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ai sensi del diritto internazionale

Capitolo 4 Esito dell’indagine

4.1 Osservazioni sui punti critici e conclusioni finali.

4.1.1 Primo capitolo.

L’analisi del presente studio, rivolta alle imprese di Stato in qualità di player sulla scena internazionale, è partita da un dato materiale di grande rilevanza. Tali entità, infatti, rivestono un ruolo vieppiù centrale nell’economia mondiale, ramificando ed estendendo il loro business in modo sempre più capillare, essendo ormai presenti con le loro attività anche in una pluralità di Stati diversi rispetto a quello di appartenenza.

Tale dato, misurabile in modo non così accurato ma certamente indicativo dal punto di vista economico, ha rappresentato sul piano giuridico una nuova sfida per il diritto internazionale.

Pertanto, si è voluto osservare il ruolo svolto dalle State-owned Enterprises su due distinti versanti: da un lato, si è analizzata l’attività che queste imprese svolgono in qualità di investitore internazionale in Paesi terzi rispetto a quello cui sono riconducibili (proiezione esterna); dall’altro lato, si è studiato il rapporto che intercorre con l’investitore internazionale all’interno dei confini nazionali (proiezione interna).

Per quanto concerne la proiezione internazionale dell’attività delle imprese di Stato, si è immediatamente osservato come tali soggetti non siano ad oggi contemplati da alcuna normativa vincolante sul piano internazionale, potendosi rintracciare unicamente strumenti di soft law che le menzionino espressamente.

La categoria giuridica delle State-owned Enterprises (o Entity), pertanto, sul piano internazionale è frutto di una produzione principalmente dottrinale e giurisprudenziale.

Per questo motivo è sorta la necessità di ricondurre tali enti alla categoria di soggetti cui afferiscono, in ossequio al principio di relazione genere/specie, dimostrando la loro riconducibilità alla categoria delle imprese multinazionali. Muovendo da tale assunto, si sono osservati i punti di contatto nonché le differenze tra queste due realtà.

Per quanto concerne i punti in comune, le SOEs condividono con le imprese multinazionali tout court intese la struttura societaria. Infatti, entrambe le entità sono costitute da una società “madre”, che risiede nello Stato di appartenenza dell’impresa, dove si trova il centro direzionale ed amministrativo. Vi sono poi le altre società che compongono l’impresa, collocate fisicamente nei Paesi in cui viene sviluppato il business aziendale, in costante collegamento con la capofila, con cui costituiscono un unico centro di imputazione giuridica degli atti posti in essere.

Tale coincidenza strutturale ha permesso di affermare come, in larghissima parte, la normativa applicabile alle imprese multinazionali sia applicabile anche alle imprese di Stato.

La necessità di cercare una disciplina cui tali entità debbano sottostare è emersa in ragione del rovesciamento subito nel rapporto investitore straniero -

host State. Tradizionalmente, infatti, l’investitore è stato ritenuto il soggetto

debole di tale rapporto, da tutelare in quanto potenziale bersaglio di espropriazioni o di trattamenti deteriori subìti a causa della propria nazionalità, diversa rispetto a quella dello Stato che ne ospita l’investimento.

Tuttavia, tale affermazione non è del tutto condivisibile nel momento in cui si ha a che fare con le imprese di Stato. I settori strategici in cui solitamente operano (energia, trasporti, telecomunicazioni, sistemi di rete), unitamente con la magnitudine dei capitali a disposizione, in alcuni casi addirittura superiori al PIL stesso del Paese che ne ospita l’investimento, hanno causato una forte influenza di queste imprese nella vita economica dello Stato ospite.

Tale influenza si potrebbe tradurre addirittura nella capacità di incidere sostanzialmente nelle dinamiche interne dello Stato, fino al punto di sottoporlo a potenziali forme di ricatto. Infatti, qualora non garantisca adeguate condizioni di esercizio dell’attività economica, l’impresa potrebbe minacciare - o realizzare concretamente - l’abbandono del sito lavorativo/industriale, in favore della collocazione delle proprie attività un altro Stato.

Fin da subito è apparso chiaro come la normativa internazionale esistente - composta da Declarations, Principles, Guidelines et similia - non sia in grado di dispiegare effetti coercitivi sulle imprese multinazionali. Tali strumenti, non vincolanti dal punto di vista giuridico, si sostanziano essenzialmente in codici di condotta, adottabili dall’azienda solo sulla base della libera adesione ed in seguito ad un’iniziativa adottata autonomamente.

All’interno di questi strumenti sono stati individuati quattro obblighi principali che le multinazionali devono rispettare nell’esercizio della propria attività all’interno del host State: the obligation not to interfere in domestic affairs;

obligation relating to human rights; liability for violations of environmental norms; the obligation to promote economic development.

Dal momento tali prescrizioni sono vincolanti per gli Stati - in qualità di soggetto ai sensi del diritto internazionale consuetudinario - si è tentato di estenderne la portata anche alle imprese multinazionali. Tuttavia, il medesimo grado di vincolatività non è stato raggiunto anche nei confronti di quest’ultime, in qualità di ente autonomo.

Il problema degli effetti e delle ricadute del loro operato sulla popolazione locale è stato più volte affrontato anche in seno alle Nazioni Unite, dove sono state istituite Commissioni ad hoc, osservatori, gruppi di studio e di lavoro. Il risultato del lavoro di tali organi, tuttavia, non è mai sfociato in un testo vincolante, limitandosi a prevedere raccomandazioni e prescrizioni da rispettare sulla base del principio volontaristico.

La responsabilità sociale dell’impresa (Corporate Social Responsibility) ha trovato una collocazione a livello di normativa vincolante solo per ciò che riguarda il tema del rispetto dei diritti umani fondamentali, argomento sul quale si

è verificato un consenso molto ampio e condiviso in seno alla Comunità internazionale.

Allo stesso modo, per quanto concerne i meccanismi di monitoraggio, di controllo e di follow-up predisposti e previsti da questi strumenti (Corporate

Accountability) il problema principale risiede nella mancata previsione di alcuna

forma coercitiva di controllo per sanzionare l’impresa inadempiente.

Il tentativo di separare lo strumento giuridico - collocabile a livello di normativa di soft law - dal contenuto giuridico - elevato a livello di specificazione del principio di diritto internazionale consuetudinario (quindi vincolante) - non ha tuttavia sortito l’effetto di imporre tali standards a livello di normativa vincolante. Non si è creato, ad oggi, quel consenso necessario affinché queste prescrizioni possano assurgere al livello di norma di diritto internazionale generale.

Per ciò che concerne le differenze tra SOEs e imprese multinazionali, si è ravvisato unicamente un grado di intensità e di specificità di tali prescrizioni sulle prime in ragione del particolare rapporto che lega la State Corporation all’entità statale cui fanno capo.

Il fatto che tali imprese siano spesso utilizzate come braccio operativo commerciale da parte degli Stati di riferimento - per fini che non si limitano al mero interesse economico, sfociando anche nello sviluppo o nell’instaurazione di veri e propri rapporti diplomatici - intensifica ancor di più la necessità che si arrivi a sancire forme di controllo e di tutela.

Tuttavia, nonostante sia più elevata l’attenzione su queste imprese sia da parte del home State, sia del host State, nonché dell’opinione pubblica, non si è riusciti ad oggi a far evolvere tali prescrizioni dal semplice livello di norme cui aderire unicamente su base volontaristica a quello di embedded business practice.

In conclusione, anche per quanto concerne le SOEs, possono essere riproposte le medesime considerazioni precedentemente effettuate per le multinazionali.

L’efficacia, la portata e il grado di rispetto degli standards di concotta stabiliti a livello internazionale sono lasciati alla libera volontà di aderirvi da parte dei soggetti in esame. L’adozione di codici di autodisciplina a livello interno, che riproducano fedelmente ed in modo organico le good practices stabilite in seno alle Organizzazioni internazionali, è essenzialmente funzionale a superare

eventuali incertezze giuridiche o quadri normativi lacunosi entro cui solitamente operano queste imprese. Tuttavia, l’assunzione pubblica e spontanea di tali impegni non trova, sul lato opposto, alcun meccanismo di controllo che consenta di verificare in concreto i rispetto dei parametri indicati.

In molte circostanze, il vero player che ha determinato l’assunzione di responsabilità da parte delle SOEs è stata l’opinione pubblica, che attraverso azioni di protesta e di denuncia dell’operato delle imprese che violavano diritti fondamentali, ha determinato un’assunzione di responsabilità da parte di quest’ultime.