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ai sensi del diritto internazionale

Capitolo 4 Esito dell’indagine

4.1 Osservazioni sui punti critici e conclusioni finali.

4.1.3 Terzo capitolo.

Nel terzo capitolo si è analizza la possibilità che uno Stato possa essere ritenuto responsabile sul piano internazionale in forza di una violazione contrattuale commessa da parte di una State-owned Enterprise ad esso riconducibile.

Si è esaminata pertanto la possibilità che sussista un collegamento tra la condotta della State-owned Entity e il home State di appartenenza.

Il primo passo per determinare la responsabilità internazionale dello Stato per la violazione di un contratto commessa da parte di una State-owned Enterprise riguarda l’attribuibilità di tale condotta in capo allo Stato medesimo.

Al fine di sciogliere il presente nodo giuridico, l’interprete, dopo aver dato risposta positiva circa il soddisfacimento dei criteri previsti per determinare la giurisdizione del Tribunale sul caso, dovrà esaminare se lo Stato possa essere ritenuto responsabile per la condotta dell’impresa ad esso collegata.

Nonostante gli artt. 4, 5 e 8 degli ILC Articles siano stati elaborati all’interno uno strumento che disciplina della responsabilità internazionale degli Stati, non avendo particolare riguardo all’ipotesi di State Corporations collegabili al home

State di appartenenza, si è riscontrato come la normativa in esame sia stata

applicata dai Tribunali ICSID anche al tema della presente indagine.

Tale trilogia di articoli costituisce il set normativo su cui si basa l’intera architettura dell’istituto dell’attribuzione, descrivendo i parametri necessari per determinare il link che collega gli atti posti in essere da un soggetto non immediatamente riconducibile allo Stato di appartenenza e lo Stato medesimo.

Pertanto, qualora la condotta dell’ente sia caratterizzata da una qualsiasi delle ipotesi previste nei suddetti articoli in tema di attribuzione (4, 5 e 8), la condotta di tale ente potrà essere fatta ricadere in capo allo Stato di appartenenza.

Infine, affinché uno Stato possa essere considerato responsabile ai fini del diritto internazionale per la violazione di un contratto tra un investitore straniero e una SOE a quest’ultimo riconducibile, la violazione del contratto deve costituire al tempo stesso anche la violazione di un obbligo internazionale.

In altre parole, affinché si possa configurare l’ipotesi in esame, è necessaria che la violazione del contratto costituisca al tempo stesso anche la violazione di una treaty provision, commessa da parte di un soggetto riconducile allo Stato (State-owned Enterprise), la cui condotta venga attribuita a quest’ultimo ai sensi dei parametri previsti dagli ILC Articles.

Pertanto, come si evince dalla premessa in esame, gli elementi in gioco sono quattro: un contratto stipulato tra un investitore privato e una State-owned Entity; un trattato internazionale che funga da base di riferimento per il contratto sottoscritto tra le Parti; l’attribuzione degli atti posti in essere dalla SOE allo Stato di appartenenza; la violazione di una provision del contratto che costituisca al tempo stesso anche violazione del diritto internazionale.

Gli artt. 4, 5 e 8 degli ILC Articles, tuttavia, non forniscono alcuna regola generale (in materia di attribuzione) secondo la quale qualsiasi atto di un’impresa di Stato che violi un contratto - e che possa essere attribuito a quest’ultimo - comporta necessariamente anche la violazione del BIT di riferimento, dunque del diritto internazionale. Lo scopo di questa disciplina, al contrario, è quella di delimitare i casi in cui si possa configurare siffatto link, limitando le condotte che causino un illecito internazionale per lo Stato.

Per tanto, al fine di sciogliere il presente nodo, si è esaminato in quali circostanze la violazione di un contratto possa costituire, al tempo stesso, una violazione di un obbligo internazionale, focalizzando l’attenzione sulla distinzione tra contract claims e treaty claims.

In ultima analisi, si potrà affermare che tale ipotesi sia verificata ogni qualvolta la violazione del contratto incida anche sulle previsioni del BIT di riferimento tra gli Stati parte, provocando una violazione della normativa internazionale che fa da riferimento al contratto. Al contrario, la violazione rimarrà nel mero alveo contrattuale ogni qualvolta questa incida solo sui rapporti commerciali e privatistici che intercorrono tra le parti.

In quest’ottica rileva la scelta di esaminare il ruolo delle umbrella clauses, disposizioni che hanno l’effetto di elevare la violazione di una disposizione di un contratto a violazione del trattato internazionale di riferimento, offrendo in tal modo all’investitore la possibilità di ricorrere ai mezzi di soluzione delle controversie ivi previste.

Data la particolare formulazione che queste assumono all’interno dei BITs, non è stato possibile riscontrare nella giurisprudenza dei Tribunali ICSID un’interpretazione uniforme di queste disposizioni. Si sono riscontrati approcci discordanti tra i vari casi esaminati sia per quanto riguarda le modalità in cui una violazione di una disposizione contrattuale veniva elevata ad illecito internazionale, sia per quanto riguarda l’applicazione dei criteri interpretativi, sia infine per quanto riguarda la tipologia e gli obblighi coperti dalle umbrella clauses.

In conclusione, è possibile affermare che con tali disposizioni in realtà non si intenda operare alcuna trasformazione delle violazioni contrattuali in illeciti internazionali, volendo al contrario fornire agli investitori una protezione ulteriore contro contract claims che tali rimangono, seppur collegati al BIT di riferimento cui accedono.

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