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Principali componenti della dieta

Capitolo 2: Alimentazione

2.2 Principali componenti della dieta

2.2.1 Fibre

La fibra è una componente di vitale importanza nella dieta del coniglio da compagnia (Varga, 2014). È fondamentale per il mantenimento del benessere gastrointestinale e per evitare l’eccessivo accrescimento dei denti che potrebbero poi dare problemi quali mal occlusione e punte dentarie che andrebbero ad ostacolare la normale assunzione di alimento (Harcourt-Brown, 2002).

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Si ritiene anche che l’assunzione di grandi quantità di fibre possa prevenire lo sviluppo di stereotipie comportamentali, in quanto tiene occupato il coniglio per gran parte della giornata ed evita quindi che si annoi (Gidenne, 1996).

Le fibre sono parte della parete della cellula vegetale, che è composta da un complesso di carboidrati come polisaccaridi, oligosaccaridi, cellulosa, emicellulosa, gomme e pectine tutti incorporati in una matrice di lignina (Harcourt-Brown, 2002). Il coniglio non è in grado di digerire la cellulosa e soprattutto la lignina e pertanto, se queste sono presenti in grandi quantità nella dieta, diminuiscono la digeribilità della razione (Cheeke, 1994).

La fibra può essere classificata come digeribile o non digeribile in dipendenza della specie animale in questione e della sua fisiologia. Per parlare della fibra digeribile si può utilizzare anche l’espressione fibra fermentabile, dato che è degradata dalle fermentazioni microbiche, siano queste a livello ruminale o cecale (Varga, 2014).

Nel coniglio le fibre sono separate a livello del colon prossimale a seconda delle dimensioni delle particelle.

Le particelle di dimensioni maggiori di 0,5 mm non vengono mandate al cieco, sono rapidamente espulse indigerite e rappresentano la componente indigeribile delle fibre della dieta. Essa è fondamentale per regolarizzare la peristalsi e il tempo di transito intestinale (Harcourt-Brown, 2002).

Le particelle più piccole di 0,3 mm, massimo 0,5 mm, sono sospinte verso il cieco dai movimenti retrogradi del colon e a questo livello saranno degradate dai batteri, costituendo la porzione digeribile della fibra della dieta (vedi figura 1) (Harcourt-Brown, 2002).

Nel cieco la digeribilità della fibra non è comunque costante per tutti gli alimenti, ma dipende dalla superficie a disposizione per l’attacco batterico e dalla natura delle fibre, quindi dalla struttura molecolare e dalle loro proprietà chimiche (Gidenne et al., 1998).

I processi di lavorazione degli alimenti (sminuzzamento, schiacciamento, macinazione, trattamenti termici) possono comportarne una variazione della digeribilità (Cheeke, 1994). Più finemente vengono sminuzzati i prodotti, ad esempio, più facilmente saranno attaccati dai batteri e daranno il via a forti fermentazioni cecali con un maggior rischio di sviluppo di disbiosi, ma allo stesso tempo non è possibile salire a dimensioni superiori gli 0,5 mm per i motivi espressi in precedenza (Harcourt-Brown, 2002). Deve quindi essere trovato un equilibrio tra la necessità di fornire un’adeguata quantità di fibra indigeribile (per mantenere la motilità, il ricambio cellulare, le secrezioni, l’assorbimento e le escrezioni

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Figura 2. Digestione delle differenti fibre nel coniglio. Per alcune la digestione inizia già a livello prececale

ad opera di enzimi gastrici o intestinali. Le fibre che raggiungono il grosso intestino possono essere degradate dalla microflora cecale o espulse indigerite (da Textbook of Rabbit Medicine, Françes Harcourt-Brown, 2002).

intestinali) e di fibra digeribile per mantenere le fermentazioni cecali a livelli adeguati (Meredith, 2006).

I livelli di fibre vanno anche ad incidere sull’appetito e sulla ciecotrofia dell’animale, aspetti che saranno entrambi ridotti nel caso in cui l’apporto non sia ottimale (Quesenberry and Carpenter, 2012).

Per i conigli da compagnia è consigliato un apporto minimo di fibra totale del 20-25% di cui almeno il 12% non digeribile (Lowe, 1998). Nella pratica questo si traduce con la somministrazione di fibra indigeribile ad libitum (per esempio erba fresca e fieno), garantendo un’integrazione con alimenti contenenti fibra digeribile, come per esempio le verdure verdi.

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Tabella 2. Ruolo della fibra indigeribile e digeribile (da Textbook of Rabbit medicine, Françes Harcourt-

Brown, 2002)

Se si vuole ricorrere alla somministrazione di mangimi commerciali, nonostante a questo sia preferibile di gran lunga una dieta a base di fieno e verdure fresche, questi devono avere un contenuto minimo di fibra del 18% di cui almeno 12,5% indigeribile (Harcourt-Brown, 2007).

Per quanto riguarda i conigli di interesse zootecnico è importante la fibra digeribile in quanto deve essere garantito un buon incremento ponderale. In questo settore l’importanza della fibra indigeribile passa un po’ in secondo piano a vantaggio della produzione zootecnica (Varga, 2014). Nei conigli da compagnia, invece, non presentando un tasso di crescita elevato e dovendo essere mantenuti in salute, questo aspetto non può essere trascurato.

Nella tabella 2 sono riassunti i ruoli svolti dai due tipi di fibra nel mantenimento di un coniglio in salute.

Fibra digeribile

Una parziale digestione della fibra può iniziare già a livello gastrico e del piccolo intestino per azione di alcuni enzimi come pectinasi e xilonasi (Gidenne et al., 1998), comunque la maggior parte del lavoro è svolto dalla flora ciecale. La digestione a questo livello dipende dalla natura della fibra e da eventuali lavorazioni (trattamenti termici e/o meccanici) a cui è stata sottoposta (Cheeke, 1994).

Fibra indigeribile Fibra digeribile

Importante per:

 Stimolare la motilità intestinale e lo spostamento delle ingesta nel cieco in modo che possano avere atto le fermentazioni

 Fornire materiale foraggero per prevenire la noia e stereotipie comportamentali

 Garantire un regolare consumo dei denti

 Stimolare l’appetito e l’ingestione dei ciecotrofi

Importante per:

 Garantire un substrato per l’attività della microflora cecale

 Regolare il PH cecale e la produzione di acidi grassi volatili

 Prevenire la proliferazione di batteri patogeni nel cieco

 Aumentare la quota di fibra presente nei ciecotrofi in modo da aumentarne un po’ la consistenza

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Le emicellulose e le pectine sono degradate molto più facilmente della cellulosa, che richiede una degradazione specifica e molto più lunga da parte di batteri cellulosolitici (Gidenne et al., 1998).

La cellulosa può essere associata, chimicamente e fisicamente, con altri componenti come l’emicellulosa e la pectina e va ad alterare la digeribilità anche di queste ultime. Può ritrovarsi anche combinata con la lignina, il che la rende quasi del tutto indigeribile.

Il tipo di fibra assunta ha un effetto sul PH del cieco e di conseguenza anche sulla microflora che riesce ad impiantarsi a questo livello (ad esempio la paglia di grano aumenta il PH, mentre le polpe di barbabietola lo abbassano) (Gidenne et al., 1998).

La dimensione delle particelle va ad influenzare il loro tempo di permanenza nel cieco perché le particelle di dimensioni minori presentano una maggiore superficie disponibile all’attacco batterico, venendo quindi degradate più velocemente.

La dimensione dipende dalla pianta d’origine e da eventuali trattamenti subiti. Ad esempio la digeribilità di un alimento con un grande contenuto di lignina può essere aumentata mediante trattamento alcalino che dissolve la lignina e rilascia la cellulosa e altre componenti contenute in essa (Cheeke, 1994). Anche sminuzzare maggiormente gli alimenti può essere un metodo per aumentare la quota che verrà sospinta nel cieco e sarà messa a disposizione dei batteri, ma se siamo di fronte ad elementi grossolani, ad alto contenuto di lignina, questo può portare a turbe digestive anche notevoli dal momento che essa, anche se presente sotto forma di particelle di dimensioni minori, continua ad essere indegradabile (Gidenne et al., 1998).

È stato quindi stabilito che le componenti fibrose della dieta non possano essere sminuzzate in parti più piccole di 2 mm (Lowe, 1998).

Alcune componenti della parete cellulare, come gomme e pectine, sono idrofiliche e tendono a gelificare in soluzione. Questa caratteristica a livello del cieco del coniglio comporta un aumento del tempo di permanenza prima che avvenga un’efficace degradazione (Harcourt-Brown, 2002).

Fibra indigeribile

La fibra indigeribile gioca un ruolo fondamentale nel mantenimento di un coniglio in salute in quanto regola la peristalsi intestinale (Harcourt-Brown, 2002).

I conigli hanno una preferenza per gli alimenti altamente fibrosi e prediligono il fieno, le radici e verdure essiccate a quelle fresche (Varga, 2014). Questi alimenti richiedono

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un’accurata masticazione che comporta un maggiore consumo dei denti e previene quindi lo sviluppo di patologie legate a fenomeni di mal occlusione e punte dentarie (Crossley, 1995).

Una dieta povera di fibra indigeribile predispone all’ipomotilità intestinale e alla ritenzione nello stomaco di cibo e pelo che può andare a costituire i tricobezoari, causa molto spesso di dilatazione gastrica e/o blocco intestinale (Harcourt-Brown, 2002), patologie di cui si parlerà in seguito. Un rallentamento della motilità intestinale, unito ad un aumento della permanenza delle ingesta a livello gastrico e intestinale, inoltre, predispone all’alterazione della microflora intestinale e allo sviluppo di enterotossiemie (Harcourt-Brown, 2002).

La quantità di fibra nella dieta va ad influenzare anche l’appetito, la ciecotrofia e il tempo di permanenza nel cieco delle ingesta sottoposte alle fermentazioni batteriche (Carabaño et al., 1988).

In uno studio condotto da Fekete e Bokori nel 1985 sono stati misurati i pesi delle feci molli prodotte da conigli alimentati con percentuali diverse di fibra. Il peso dei ciecotrofi è stato poi paragonato al peso del contenuto ciecale. I risultati dimostrano come in conigli alimentati con meno del 14% di fibra indigeribile la produzione di ciecotrofi giornaliera fosse nettamente minore e come invece fosse maggiore il volume delle ingesta che restavano di giorno in giorno nel cieco. Nei conigli alimentati con più del 14% di fibra il contenuto ciecale era quasi interamente eliminato ogni giorno.

Bisogna sottolineare come la fibra indigeribile non vada comunque ad alterare la qualità del ciecotrofo, dato che viene direttamente eliminata con le feci dure e non passa dal cieco.

Nella tabella 3 è possibile osservare il contenuto di fibra dei principali alimenti utilizzabili nell’alimentazione del coniglio.

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Tabella 3. Oltre al contenuto di fibra generale dell’alimento (Crude fibre), è possibile confrontare il contenuto in

percentuale di NDF(Fibra Neutro Detersa, ovvero cellulosa, emicellulosa e lignina) e ADF (Fibra Acido Detersa, ovvero cellulosa e lignina). La distinzione non è importante nei carnivori, ma lo è negli erbivori in grado di digerire buona parte della fibra, soprattutto se costituita da emicellulosa (da Textbook of Rabbit medicine, Françes Harcourt-Brown, 2002).

2.2.2 Carboidrati

I carboidrati rappresentano un’importante fonte energetica. Possono essere digeriti e assorbiti a livello gastrico o del piccolo intestino o attaccati dalla microflora ciecale.

Nonostante i risultati degli studi siano controversi, è opinione comune ritenere che una grande quota di carboidrati altamente fermentescibili aumenti la probabilità di sviluppare disordini digestivi ai quali i conigli sono molto sensibili (Quesenberry and Carpenter, 2012). Per questa ragione, soprattutto nei conigli da compagnia, la loro somministrazione va accuratamente controllata.

I monosaccaridi come glucosio, fruttosio e galattosio sono assorbiti a livello del tenue, come avviene nelle altre specie. Gli amidi, polisaccaridi che si trovano in abbondanza nei semi, nella frutta, nei tuberi e nelle radici, sono scissi in zuccheri semplici durante i processi digestivi. La reazione è catalizzata dall’amilasi, la quale è secreta in abbondanza dalle ghiandole salivari, dal pancreas ed è presente nei ciecotrofi per opera delle sintesi batteriche (Harcourt-Brown, 2002).

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Gli amidi sono solitamente insolubili in acqua fredda, ma quando questi sono scaldati formano una soluzione gelatinosa che può anche formare dei complessi con le proteine portando ad una diminuzione della digeribilità sia di queste ultime che degli amidi stessi (Cheeke, 1987). Per questo motivo i trattamenti termici a cui possono essere sottoposti gli alimenti possono andarne ad alterare la struttura e il grado di digeribilità. Essa è influenzata anche dall’età del coniglio, dalla percentuale di amido presente nella dieta e il tipo di amido (ad esempio quelli presenti nei cereali sono più fermentescibili di quelli nei tuberi o nelle radici) (Varga, 2014).

Gli amidi che non sono digeriti e assorbiti dal piccolo intestino passano nel cieco e fungono da substrato per le fermentazioni batteriche. Se però, a causa di una dieta ricca di questi elementi e povera di fibre, essi arrivano a questo livello in grandi quantità possono determinare dismicrobismi importanti, selezionando in particolar modo batteri appartenenti al genere Clostridium spp. che sono ritenuti la causa principale di enterotossiemia nei conigli (Cheeke, 1987). Stessa cosa si può avere nei coniglietti perché presentano un’attività enzimatica ridotta e pertanto, anche con quantitativi non eccessivi di amidi, una predisposizione allo sviluppo di questa patologia. Gli adulti, invece, sono in grado di digerirli in modo molto più efficiente, perciò se la dieta è bilanciata solo piccole quantità raggiungono il cieco e vi è quindi minore probabilità di sviluppare una clostridiosi (Lowe, 1998).

Per evitare queste complicazioni sarebbe bene somministrare cereali che presentano percentuali minori di carboidrati, come ad esempio l’avena, rispetto ad altri che ne sono ricchi, come il grano e il mais. Un’altra accortezza che si può avere è quella di non sminuzzare troppo finemente i semi in modo da rallentarne il transito, già piuttosto celere per motivi fisiologici, e allungare quindi i tempi a disposizione per il loro assorbimento a livello dell’intestino tenue (Cheeke, 1994).

2.2.3 Proteine

I conigli soddisfano il loro fabbisogno proteico ricavando ciò di cui hanno bisogno interamente dalle piante. Un tempo questo non era del tutto vero in quanto in campo zootecnico erano utilizzati mangimi addizionati con farine di pesce o manzo in piccole quantità per renderli più energetici ed aumentare l’apposizione di massa muscolare (Cheeke, 1987). Oggi l’utilizzo di farine animali nell’alimentazione di erbivori monogastrici non è più consentito.

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Tabella 4. Amminoacidi essenziali nel coniglio (da Textbook of Rabbit medicine, Françes Harcourt-

Brown, 2002)

Da questo discorso si evidenzia comunque come l’importanza di un apporto proteico notevole non sia d’interesse della gestione del coniglio da compagnia, il quale necessita di un quantitativo limitato di proteine. Il loro utilizzo è accentuato solo in particolari condizioni dell’animale come può essere l’accrescimento, la gravidanza, l’allattamento o stati per i quali non possono essere sfruttate al meglio altre fonti energetiche (Varga, 2014). Nella tabella 4 sono specificati quelli che sono gli amminoacidi essenziali per il coniglio, ovvero quelli che non possono non essere assunti con la dieta.

Va comunque tenuto presente che i batteri all’interno del cieco sintetizzano moltissimi amminoacidi che poi il coniglio assorbirà durante la digestione del ciecotrofo, riuscendo quindi a sopperire ad eventuali, limitate, carenze proteiche. La composizione amminoacidica delle feci molli dipende dalla popolazione microbica del cieco e dalla digeribilità proteica, quest’ultima a sua volta varia in base all’alimento in causa e all’età dell’animale. Il contenuto proteico, invece, è inversamente proporzionale al grado di maturazione della pianta (McDonald et al., 1996).

L’erba, ad esempio, è di per sé è un’ottima fonte proteica, ricca di arginina, glutammina e lisina, ma povera di metionina e isoleucina. Bisogna ricordare che il contenuto proteico e quello di fibra sono solitamente inversamente proporzionali e che va trovato quindi un equilibrio tra le due componenti basandosi sulle richieste nutritive del coniglio in questione. Ad esempio l’erba medica, grande fonte proteica, è ottima per i coniglietti, ma risulta certamente inadeguata per un coniglio adulto (Harcourt-Brown, 2002).

Anche i cereali contribuiscono ad un buon apporto proteico, ma scarseggiano in metionina e lisina. Per bilanciare queste carenze nelle formulazioni dei mangimi sono aggiunti i legumi, come piselli e fagioli, che ne contengono in buone quantità.

In zootecnia le proteine dovrebbero rappresentare il 16% della dieta e salire a 19% in caso di allattamento (Cheeke, 1994). Questa percentuale è decisamente eccessiva quando

 Arginina  Istidina  Glicina  Isoleucina  Leucina  Lisina  Metionina  Fenilalanina  Treonina  Triptofano  Valina

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invece si parla di un coniglio da compagnia per il quale è consigliato un massimo del 12% di proteine (Lowe, 1998).

Non bisogna poi dimenticare che un apporto proteico eccessivo con la dieta riduce l’appetito del coniglio nei confronti dei ciecotrofi e rischia di alterare la microflora cecale, alzando il PH e permettendo la proliferazione di microrganismi patogeni (Cheeke, 1994). Alti apporti proteici aumentano poi i livelli di produzione ed escrezione di ammoniaca, che in ambienti poco ventilati può essere particolarmente irritante e può predisporre a disturbi oculo-congiuntivali e respiratori (Varga, 2014).

2.2.4 Grassi

Data la fisiologia dell’animale gli oli vegetali sono sicuramente più digeribili dei grassi animali (Cheeke, 1987). Questi sono spesso addizionati nella razione come fonte energetica alternativa per ridurre il quantitativo di carboidrati, che potrebbero portare dismicrobismi a livello del grosso intestino, e per aumentare l’appetibilità (prestando attenzione alla conservabilità dell’alimento che in questo modo può essere predisposto all’irrancidimento).

La digestione e l’assorbimento dei grassi nel coniglio è simile a quanto avviene per gli altri monogastrici: le micelle di grasso sono emulsionate dall’azione dei succhi biliari, degradate dalla lipasi pancreatica e assorbiti a livello del piccolo intestino (Harcourt- Brown, 2002).

Una dieta ricca di grassi, però, può portare ad un minore assorbimento di calcio, a causa della formazione di saponi di calcio nell’intestino, ad un aumento eccessivo della motilità intestinale e, soprattutto, ad un incremento del peso dell’animale che può divenire talvolta anche obeso (Varga, 2014). Pertanto la percentuale di grassi nella razione non deve superare il 2,5-4% (Harcourt-Brown, 2002).

Una grande quantità di grassi, inoltre, aumenta il rischio di sviluppare lipidosi epatica, alterando il metabolismo lipidico e promuovendo la produzione di corpi chetonici. Il coniglio risulta essere particolarmente predisposto allo sviluppo di questa patologia, soprattutto se obeso, motivo per cui anche un breve periodo di anoressia può essere deleterio sia per quanto riguarda la funzionalità epatica che per quella renale (Jean-Blain and Durix, 1985).

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2.2.5 Vitamine

Vitamina A

La vitamina A, o retinolo, è una vitamina liposolubile che viene sintetizzata a partire da pigmenti carotenoidi delle piante, quali il β-carotene che è convertito in vitamina A soprattutto dalla mucosa intestinale ed è poi accumulato a livello epatico, da dove può essere mobilizzato a seconda dei fabbisogni del soggetto e trasportato alle cellule che lo richiedono per mezzo di proteine carrier.

I conigli tenuti in casa e alimentati esclusivamente con mix di cereali, senza un adeguato apporto di fieno, sono i migliori candidati a sviluppare una sintomatologia legata alla carenza di vitamina A (Harcourt-Brown, 2002).

Essa risulta essere importante per la vista, lo sviluppo osseo, il mantenimento dell’integrità degli epiteli, la riproduzione e la risposta immunitaria. Il retinolo va a costituire un pigmento retinico, la rodopsina, che permette una buona visione soprattutto se la luminosità è scarsa. La vitamina A garantisce anche una buona conformazione degli epiteli e una sua deficienza può portare a fenomeni di metaplasia squamosa e ipercheratinizzazione. In molte specie bassi livelli di questa vitamina sono accompagnate da bassi livelli di immunoglobuline, nonostante l’esatta funzione di questa vitamina nella formazione di queste proteine resta ancora sconosciuta (McDonald et al. 1996).

Date queste molteplici funzioni è stato evidenziato come soggetti la cui alimentazione non garantisce un adeguato apporto vitaminico sono più soggetti allo sviluppo di infezioni e fenomeni infiammatori, enteriti in primis (Cheeke, 1994).

Sperimentalmente sono poi stati registrati ritardi nella crescita, perdita di peso e, nei casi più eclatanti, sviluppo di una sintomatologia neurologica legata, in fase fetale, allo sviluppo di idrocefalo. Nell’adulto sono invece le lesioni oculari le prime a rendersi evidenti con lo sviluppo di cheratite che può progredire fino a portare anche alla perdita totale della vista. Problemi della sfera riproduttiva come malformazioni fetali, calo della fertilità, aumento degli aborti sono stati correlati sia ad una deficienza che ad un eccesso di questa vitamina (Cheeke, 1987).

Il fabbisogno, espresso in unità internazionali (UI), va da 6.000 UI per i coniglietti in crescita a 10.000 UI per le fattrici gravide (Mateos and de Blas, 1998).

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Vitamina D

La vitamina D è una vitamina liposolubile che gioca un ruolo molto importante nel metabolismo di calcio e fosforo. Recettori per la vitamina D possono essere ritrovati in molteplici tessuti ed organi inclusi lo stomaco, il cervello, l’ipofisi, le gonadi, le paratiroidi, l’epidermide, il derma, i monociti e i linfociti T e B attivati, nonostante l’esatta funzione di questa vitamina in alcuni distretti non sia ancora del tutto chiara (Holick, 1990).

Per convertire il precursore endogeno, il 7-deidrocolesterolo, in provitamina D3 e poi

vitamina D3 (colecalciferolo), processo che avviene a livello cutaneo, è necessaria la luce

ultravioletta. Le piante contengono un diverso precursore della vitamina D, l’ergosterolo, il quale subisce un processo molto simile a quello precedente convertendosi in ergocalciferolo, o vitamina D2. Questo processo inizia nella pianta quado questa è messa

ad essiccare nei campi per la produzione di fieno. A livello epatico la vitamina D2 è

comunque convertita in D3. A questo punto, indipendentemente dall’origine dei

precursori, la via è comune e vede un’idrolisi a 25-idrossicolecalciferolo, il quale sarà a sua volta convertito nel metabolita attivo della vitamina D, 1,25-diidrossicolecalciferolo, a livello renale. Quest’ultima conversione è stimolata dall’azione del paratormone (PTH), ormone rilasciato dalle paratiroidi in risposta ad uno stato di ipocalcemia (Harcourt- Brown, 2002).

La funzione principale della vitamina D è quella di mantenere i livelli sierici di calcio nel range ottimale (per il coniglio questo è 3.2-3.7 mmol/L) (Varga, 2014).

Il ruolo della vitamina D nella regolazione della calcemia nei conigli è differente rispetto alle altre specie. Questa vitamina, infatti, non sembra giocare lo stesso ruolo

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