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La gestazione per altri, il mercato dei gameti e il turismo riproduttivo.

2.1 Le principali obiezion

La critica avanzata dalla maggioranza degli oppositori alla Gpa riguarda la natura della riproduzione: essa sarebbe un’attività che coinvolge il corpo e la psiche dei soggetti, in

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maniera differente rispetto a ogni altro esercizio umano e non crea beni di consumo, bensì nuovi individui. Questa è quella che Satz chiama “tesi essenzialista”172 in quanto presuppone l’esistenza di un’essenza specifica e separata dell’attività riproduttiva che la renderebbe non-vendibile e non-comprabile. Inserire una sfera così privata della vita personale all’interno del mercato dei servizi sarebbe degradante per le donne, coinvolte tanto intimamente in questo processo che coinvolge non solo il loro corpo, ma anche la loro personalità e la loro sfera emotiva. Generare un nuovo individuo resta, nell’immaginario comune, ciò che rende una donna tale e ne determina il suo modo di stare nel mondo. Esisterebbe perciò, secondo questa tesi, una radicale asimmetria tra il lavoro sessuale/riproduttivo rispetto agli altri tipi di impiego173.

Satz elenca le principali differenze avanzate che dovrebbero portarci a rifiutare di considerare la riproduzione un lavoro e quindi a includerla tra i servizi immettibili sul mercato:

What is about women’s reproductive labor that single it out for a type of respect that precludes market use? [...] 1) Women’s reproductive labor has both a genetic and a gestational components. Other forms of labour do not involve a genetic relationship between the worker and her product. 2) While much human labor is voluntary at virtually every step, many of the phases of the reproductive process are involuntary. [...] 3) Reproductive labor extends over a period of approximately nine months; other types of labor do not typically necessitate a long-term commitment. 4) Reproductive labor

172Cfr. Debra Satz, “Markets in Women’s Reproductive Labor”, Philosophy & Public Affairs, vol. 21, No. 2

(Spring, 1992), pp. 107-131.

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Satz ammette l’esistenza di un’asimmetria, ma è convinta che i critici della gestazione per altri ne fraintendano la natura attribuendo un’essenza, un valore innato, immutabile e specifico alla riproduzione umana; l’asimmetria esisterebbe, ma le sue cause non sono per ella immanenti alla natura della riproduzione bensì provengono dall’esterno, dal contesto socio-culturale.

107 involves significant restrictions of a woman’s behaviour during pregnancy; other form of labor are less invasive with respect to the worker’s body174.

Se la Gpa è certamente lavoro gestazionale, quasi mai è lavoro genetico, poiché nella maggioranza degli interventi vengono utilizzati oociti estranei alla persona della gestante. Per quanto riguarda invece i tempi del contratto, la Gpa, come fa notare l’antropologa Paola Tabet, pone un limite temporale al lavoro riproduttivo della donna, distinguendosi dalle numerose forme matrimoniali dove la cessione della capacità riproduttiva non è limitata né nel tempo né nella quantità di produzione175.

L’elemento involontario che caratterizza le fasi lavorative della gestazione, non pare a un’analisi accurata, rilevare particolari problemi; esistono infatti altri impieghi dove molti passaggi non sono controllati dal lavoratore stesso: Satz fa l’esempio della catena di montaggio, ma si potrebbero elencare anche i lavori agricoli o di allevamento di bestiame dove la produzione è fortemente influenzata dal clima e da altri fattori biologici e naturali su cui si ha un potere di controllo limitato.

Il corpo della gestante è sottoposto a continui accertamenti durante la gravidanza, un monitoraggio della salute e dei comportamenti personali che potrebbe apparire eccessivo per un’attività lavorativa, a ben vedere però a un certo controllo del corpo è sottoposto l’atleta, il venditore di gameti o tessuti, il militare, la modella ecc. e non rappresenta perciò un carattere inedito di questi accordi. Sicuramente il controllo clinico di un corpo gravido solleva alcune problematiche: la libertà di una donna di scegliere in autonomia sullo stile di vita da condurre, sugli esami a cui sottoporsi durante la gravidanza non è fatto scontato se si pensa a quanto il benessere del nascituro venga

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D. Satz, op. cit., pp. 112-3.

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messo avanti al suo in ogni fase (mi riferisco all’obbligatorietà di alcuni test clinici, ai cesarei forzati, al giudizio a cui è costantemente sottoposta se non antepone il benessere del feto in ogni cosa). Ancora più complessa sarà la situazione della donna che mette al mondo un figlio per altri e che deve rispondere davanti alle agenzie ed ai committenti sull’esercizio della sua autonomia personale.

Penso che iniziare a considerare la donna come la libera proprietaria della propria forza lavoro riproduttiva, possa favorire la sua raffigurazione come libera contraente del contratto di gestazione e quindi ad attribuirle il diritto di contrattazione sui termini dell’accordo, cosicché ella abbia la possibilità di stabilire coi committenti quanto la sua condotta possa essere monitorata e quali controlli e pratiche cliniche si trovi disposta ad accettare. In altre parole, riconoscere la riproduzione come una vera e propria attività lavorativa permette alle donne che la svolgono di rivendicare i diritti sindacali propri della loro professione (che dovranno essere stabiliti).

La tesi essenzialista propone inoltre l’idea che esista qualcosa di speciale nella riproduzione e che l’identità delle donne sia particolarmente legata a questa sfera tanto da essere costruita a partire da questa; per tale motivo molti critici, ed anche alcune femministe, sostengono l’impossibilità per le donne di scegliere liberamente di trarre profitto dalla riproduzione senza degradare sé stesse e subire ripercussioni psicologiche176. L’associazione tra identità femminile e riproduzione richiama l’idea che esista un “destino biologico”: rappresentazione questa, che ha storicamente favorito la relegazione sociale delle donne nella sfera domestica e di cui, da sempre, il femminismo (nel suo complesso) si impegna a combatterne la supposta necessità. Frequentemente però, quando si tratta di discutere la questione della gestazione per altri, vediamo molte

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Cfr. Elizabeth S. Anderson, “Is Women’s Labor a Commodity?”, Philosophy & Public Affairs, vol. 19, no. 1, (Winter 1990), p. 75.

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femministe ricadere nello schema ideologico patriarcale che tentano di combattere, riproponendo un paternalismo che vorrebbe difendere le donne dallo sfruttamento del mercato capitalistico, ma che ha l’effetto di disconoscere le loro capacità razionali e decisionali esaltandola capacità di dare la vita come una caratteristica di cui riappropriarsi contro i tentativi di controllo e separazione dai loro corpi operate dalle NRT.

Quali sono i criteri attraverso i quali decidiamo gli attributi essenziali alla costituzione dell’identità personale? Satz si chiede perché si scelgano a tal proposito, per la donna, proprio sessualità e riproduzione? E se anche questo collegamento fosse corretto, sarebbe logicamente sufficiente a considerare degradante la sua commercializzazione? Molte attività e mestieri mettono in gioco la personalità in maniera profonda, ma non pensiamo ad esempio che un pittore vendendo le opere frutto della sua creatività, o un sacerdote il cui lavoro coinvolge la spiritualità stiano perdendo parte della loro identità, al contrario l’utilizzo di queste capacità è visto come momento di accrescimento personale. Non è allora che considerare ignobile la vendita di capacità sessuali o riproduttive nasconda il tentativo delle società di contenere e controllare la sessualità femminile?177.

La Gpa sembra inoltre porci davanti al dilemma di trovare un corrispettivo monetario all’attività di dare la vita: il problema di dover attribuire un valore commerciale a beni e servizi non valutabili economicamente si presenta in più occasioni (si pensi ad esempio alle assicurazioni sulla vita), che se pur problematiche, vengono comunemente accettate o fatte oggetto di compromesso. L’esclusione dell’attività di procreazione dall’economia

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pubblica sarebbe, secondo Shalev e O’Brien178, funzionale al mantenimento del sistema economico patriarcale che si regge sui servizi gratuiti e domestici offerti da madri, mogli e compagne.

Consapevoli dell’ingiustizia sociale rappresentata dai lavori di cura non retribuiti, la maggior parte delle femministe continua a disapprovare la gestazione per altri per timore di legittimare, con tale pratica, lo sfruttamento femminile: essa è vista da un certo tipo di femminismo radicale, come l’ennesimo tentativo di una classe medica, a maggioranza maschile, di utilizzare e controllare le capacità generative femminili riducendo le donne a macchine riproduttive. Questo è l’approccio generale delle

Resistors alle NRT, descritto nel primo capitolo, e che per l’appunto era caratterizzato dal

rifiuto di ogni tecnologia riproduttiva. Esistono, a mio parere, almeno due grandi problemi intorno a questa tesi: se è vero che le nuove tecnologie minacciano di trasformarsi in uno strumento di conservazione e rafforzamento dell’idea della donna- come-madre e dell’appropriazione del potere biologico da parte del maschio; allo stesso tempo non si vede, e questa è in fondo la tesi sostenuta da Satz, che questo carattere non è intrinseco alle tecniche bensì alla cultura e al sistema politico delle società in cui sono inserite. Come abbiamo visto già Firestone avvertiva di come le tecnologie riproduttive abbiano il potere di consolidare o ribaltare completamente il modo in cui le società umane rappresentano i soggetti e le loro relazioni interpersonali e parentali.

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Cfr. Carmel Shalev, Nascere per contratto, Giuffré Editore, Milano, 1992, p. 165 e Mary O’Brien, The

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In questo la Gpa non sembra essere da meno, ma anzi, come afferma Shalev in chiusura alla sua opera:

Nell’esplorare il campo ho scoperto che l’attività di surrogazione porta con sé un rifiuto radicale delle nozioni fondamentali dell’ideologia patriarcale, e ciò nell’ambito di un rapido sviluppo della tecnologia che sembra invece perpetuare quelle stesse nozioni. La madre surrogata concepisce intenzionalmente, genera un figlio al di fuori del vincolo coniugale, rifiuta apertamente la connessione tra maternità biologica e maternità sociale, e pretende il diritto di avere al riguardo una partecipazione nell’economia di mercato179.

La Gpa è innegabilmente una pratica che presenta molte problematiche e che espone le donne ad una nuova stereotipizzazione rafforzata dai mezzi tecnico-mediatici. Ma prendendo atto di quanto detto sul diritto a disporre del proprio corpo ed essendo essa già una realtà di fatto con un mercato ramificato a livello internazionale. Quello che ritengo utile fare a posteriori è quindi proporre una regolamentazione (anziché impugnare il proibizionismo, che in molti altri campi si è rivelato essere scelta inefficiente e rovinoso) diversa e condivisa (meglio sarebbe trovare norme internazionalmente riconosciute) che contempli la tutela di tutte le soggettività partecipanti e che diano linee guida chiare (individuazione di criteri di idoneità delle donne che scegliessero di praticarla, le caratteristiche del consenso informato, le responsabilità delle parti pre e post nascita ecc.) con l’ipotesi di lasciare ai giudici la valutazione dei singoli casi ad esempio quando si presenti la volontà di recidere i contratti nei limiti della validità degli accordi presi.

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I pericoli di sfruttamento potrebbero infatti essere arginabili tramite apposite norme che ne disciplinino la messa in atto, allo stesso modo in cui sono controllati i mercati e attribuiti i diritti ai lavoratori. Credo che il primo passo in questa direzione sia l’istituzione di cliniche ed agenzie di intermediazione pubbliche o comunque di aumentare la partecipazione e la regolamentazione statale. La fertilità d'altronde è un problema di ordine pubblico in occidente, che influisce sulle politiche di welfare (banalmente basta pensare a come l’abbassamento dei tassi di natalità influisca sulla gestione dei sistemi pensionistici). Lasciare la gestione delle tecnologie riproduttive in mano ad associazioni ed enti privati ha un duplice effetto: primo di lasciare che siano gli andamenti del mercato ad influenzarne la gestione (con la conseguenza che l’incremento della produzione prevalga sulle buone condizioni di salute e lavoro delle gestanti o fornitrici/tori di gameti), in secondo luogo permette la delocalizzazione selvaggia verso le economie del secondo e terzo mondo, dove possono contare su tassazioni basse, manodopera a prezzo inferiore e tutela dei lavoratori praticamente inesistente. Si potrebbe poi immaginare uno scenario in cui le gestanti si riuniscano in associazioni sindacali specifiche e/o organizzazioni di categoria. Per fare tutto questo però è necessario riconoscere che la Gpa come una forma lavorativa vera e propria che crea profitti all’interno del circuito di servizi riproduttivi transnazionali. Continuare a considerarla come un atto di “generosità privata” significa legittimare la deregolamentazione della pratica con la conseguenza di lasciare i soggetti coinvolti (sia la gestante che i genitori intenzionali) privi di qualsiasi salvaguardia legale, poiché gli accordi non risultano giuridicamente vincolanti.

Altro problema è che vietando l’utilizzo di nuove tecniche si limitano le possibilità d’azione e di scelta dei soggetti in un campo, quello delle scelte riproduttive, che

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generalmente si fa ricadere nell’ambito della privacy: la Gpa apre nuove possibilità di genitorialità che prima erano chiuse (ad esempio per le coppie omosessuali, uomini single o per le donne che soffrono di ripetuti aborti spontanei o hanno problemi di salute inconciliabili con la gravidanza, può essere l’unico modo di aver un figlio a loro geneticamente legato), ma apre anche possibilità di guadagno per alcune donne. L’incentivo monetario può sì spingere una donna indigente a diventare gestante per altri, ma a ben vedere potrebbe non essere il denaro la causa dello sfruttamento delle lavoratrici:

A questo proposito, va notato che in California, Canada e nel Regno Unito la somma percepita per una GPA non si discosta molto dal guadagno medio annuale di altre professioni esercitate da donne, in India, invece, può equivalere fino a dieci volte il reddito annuo familiare. Lo sfruttamento, dunque, non sarebbe ascrivibile tanto all’aspetto economico, quanto alla presenza o meno di intermediari che tutelino tutte le parti coinvolte, alle condizioni in cui la GPA ha luogo e al consenso informato al trattamento180.

Non intendo qui negare che esistano contesti in cui la Gpa commerciale è attuata in condizioni disumane per le lavoratrici (si possono elencare le realtà delle baby factory nigeriane, i surrogacy hostels indiani, e quelle di stati come l’Ucraina, Nepal, Thailandia ecc.). Si tratta quindi di verificare se non siano effettivamente i sistemi del lavoro informale181e del neoliberismo post-fordista, a produrre forme di sfruttamento, e non la

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Nicola Carone, In origine è il dono. Donatori e portatrici nell’immaginario delle famiglie omogenitoriali, Il Saggiatore, 2016, pp. 76-77.

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Con lavoro informale si intendono quelle forme lavorative prive di forme assicurative, assistenza sanitaria e contributi, dove l’azienda o il datore di lavoro recluta i lavoratori attraverso canali informali. Un

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Gpa in sé. Resta poco chiaro, afferma Federico Zappino, come si denunci lo sfruttamento delle donne e ne si metta in dubbio l’autodeterminazione nel caso delle surrogate, delle sex workers, di quelle che desiderano abortire o vendere i propri gameti, ma gli stessi argomenti non vengano avanzati nei confronti della badante, dell’operaia tessile a cottimo o degli altri pseudo lavori che compongono la manodopera precaria odierna182. Dicendo questo non voglio sottovalutare il peso che questa scelta che può comportare per alcune donne, ma solo invitare a riflettere sulle reali cause di sfruttamento: vietare alle donne indiane di partorire i figli delle ricche coppie internazionali potrebbe, alla condizioni odierne, privarle di una grande fonte di reddito ed esporle ad altre, non meno rischiose, forme di sfruttamento. Ritenere che le donne indigenti non siano in grado di compiere scelte consapevoli in virtù della loro situazione economica, mi sembra un’idea tanto pericolosa quanto semplicistica: sicuramente il movente principale delle lavoratrici surrogate sarà quello monetario, ma non possiamo escludere che esse non stiano attuando una qualche forma di autodeterminazione scegliendo questa opzione piuttosto che un’altra. Solo un soggetto economicamente abbiente è immune da coercizioni e condizionamenti è in grado di esercitare scelte libere e consapevoli? Nessun individuo a prescindere dal suo status economico, dal suo livello di istruzione ecc. è in grado di compiere forme di pura autodeterminazione. Quello che siamo è il frutto di svariati condizionamenti esterni (familiari, culturali e via dicendo) per cui il nostro stesso modo di pensare ed i valori etico/morali di cui ci facciamo portatori sono il prodotto dei legami

esempio sono le lavoratrici domestiche del settore dell’abbigliamento che lavorano a cottimo e che possono vedersi intensificare, ridurre o terminare improvvisamente il ciclo produttivo a seconda delle esigenze del datore. Anche le lavoratrici surrogate vengono reclutate attraverso questi canali, il passaparola o attraverso le agenzie di intermediazione delle cliniche private.

182Cfr. Federico Zappino, “Sulla maternità surrogata, una riflessione a partire da ‘Biolavoro globale. Corpi e

nuova manodopera’, di Melinda Cooper e Catherine Waldby”, www.lavoroculturale.org/sulla-maternità- surrogata/

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sociali e relazionali che abbiamo stretto e incontrato. Se è vero che la povertà pone dei seri limiti è anche vero che non annulla la libertà individuale, che può essere esercitata ad esempio nella scelta di un “male minore”. Perciò, “se davvero ci indigna pensare che una donna per iscriversi all’università debba vendere pezzi del proprio corpo, allora occorre mettere in discussione i rapporti di forza economico-politici, piuttosto che vietare la prostituzione o le nuove forme di lavoro riproduttivo”183.

Non è inoltre da escludere poi che altri fattori, oltre quello economico, possano partecipare alla scelta. Parry parla, ad esempio, del senso di solidarietà delle lavoratrici indiane verso altre donne:

But it is not just economic need that drives their involvement. Many consider their work a kind of philanthropic labour. They participate not just to earn money but to assist other women to overcome the enormous stigma attached to infertility in Indian culture as well as abroad184.

In aggiunta a quanto detto vorrei porre attenzione alla contraddizione che emerge comparando alcune posizioni in merito al tema dell’aborto a quello della legittimità dell’uso della propria funzione riproduttiva a vantaggio di terzi (ovvero ciò che accade nella Gpa e nella vendita/scambio/dono dei gameti). Come fa notare Michela Murgia, l'articolo 4 della legge 194/78 indica esplicitamente quelle economiche tra le ragioni valide per consentire l'interruzione di gravidanza. Se sono valide per interrompere la

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Angela Balzano, Carlo Flamigni, Sessualità e riproduzione, Due generazioni in dialogo su diritti, corpi e medicina, Ananke lab, 2015, p. 132.

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Bronwyn Parry, “May the surrogate speak?”, 14/12/2015, Open

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relazione donna-feto, perché non dovrebbero essere altrettanto valide per farla partire?185

È allora sull’esistenza di disparità tra gli individui la questione che gli stati e i legislatori dovrebbero impegnarsi a sanare:

Nessuna dovrebbe essere costretta ad abortire o a partorire per altri perché ha bisogno di soldi, ma finché non saremmo socialmente in grado di rimuovere gli ostacoli economici che impediscono alle donne di scegliere di diventare o meno madri secondo il solo loro desiderio, esse devono poterlo fare dentro a un quadro di regole che le tuteli e tuteli chi da loro nasce. Chiedere che si faccia una legge per impedire la GPA non solo non ferma lo sfruttamento, ma lo rende privo di limiti186.

Un’altra contraddizione arriva dall’universo femminista. La posizione delle Resistors nei confronti delle NRT che è, come abbiamo visto, caratterizzata dalla chiusura verso qualsiasi intervento della tecnica sui corpi di donna. D’altro canto però l’aborto viene salutato come ciò permette alle donne di esercitare scelte riproduttive consapevoli. Oltre ad essere l’interruzione di gravidanza praticata dalla stessa classe medica autrice degli altri interventi riproduttivi, non si comprende come la scelta non-riproduttiva si possa considerare senza ombra di dubbio come pienamente consapevole, immune da ogni coercizione o influenza culturale, mentre la scelta delle modalità con cui riprodursi o mettere a disposizione il proprio utero per i progetti parentali altrui, debba

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Cfr. Michela Murgia, “Non chiamatela maternità surrogata”, Repubblica e l’Espresso 01/02/2016 http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/02/01/news/michela-murgia-non-chiamatela-maternita- surrogata-1.248420

186 Ibidem.

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necessariamente essere tanto condizionata dalla pressione esterna da rendere invalido il consenso informato187.

Le femministe da sempre si battono perché alle donne sia garantito il controllo del proprio corpo:

Now a growing feminist contingent is moving beyond the issue of bodily control during pregnancy and seeking to ban surrogacy altogether. But the rationales for such a ban are

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