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In questo capitolo prenderò in esame i cambiamenti concettuali che hanno portato alcune femministe a difendere l’uso delle tecnologie applicate al corpo femminile e all’inizio della vita. Nonostante parlare di un’inversione di rotta generale dei movimenti femministi possa risultare eccessivo, dato che come si è detto, mai furono unificati e omogenei, con l’inizio degli anni Novanta del secolo scorso vi fu un più o meno diffuso ripensamento del rapporto donna-tecnologia. Abbiamo visto come con il Resistance

Feminism, uno dei moventi che spingevano le femministe a rifiutare le nuove tecnologie

riproduttive, fosse il fatto che queste venissero plasmate da scienza a monopolio maschile a cui le donne non avevano accesso. Questo rendeva i nuovi mezzi agli occhi delle femministe radicali, intrinsecamente dannosi per il genere femminile e le portò a rifiutare quel tipo di ricerca scientifica in quanto basata sui valori del patriarcato. Il femminismo di quegli anni diede un importante contributo nel rilevare il valore politico della tecnica, ma l’atteggiamento di totale chiusura ha contribuito a dipingere le donne come una classe uniformemente vittima della tecnoscienza patriarcale. Come fa notare J. Wajcman, la tecnologia ha cominciato a diventare problematica per le femministe con l’avanzare del post-industrialismo, quando i nuovi macchinari e i nuovi mezzi di comunicazione sembravano cambiare il mondo del lavoro rilegando le donne alle mansioni meno specializzate, ma l’atteggiamento femminista verso l’innovazione tecnoscientifica non è sempre stato di chiusura: i primi elettrodomestici, ad esempio, furono accolti come un miglioramento per la vita delle donne. “With the recent

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developments of cyberspace and digital technologies, this optimism is to the fore once again, with arguments about a networked knowledge society”70: lo sviluppo delle tecnologie digitali ha portato alcune a riesaminare la valenza politica dei nuovi strumenti e ad avere un atteggiamento più aperto e positivo anche verso le tecnologie riproduttive, che nei decenni precedenti erano risultate assai meno popolari. Gli studi sociali applicati alla scienza ed alle tecnologie hanno contemporaneamente aiutato a comprendere come le tecnologie influiscano sul comportamento sociale ed allo stesso tempo come i costumi e la cultura partecipino alla loro produzione e al loro sviluppo, e di come le/gli utenti ne modifichino l’utilizzo e la diffusione in modo non passivo. Sempre secondo Wajcman le relazioni di genere sono cruciali in questo processo di reciproco condizionamento e vengono esse stesse modificate fortemente dall’adattamento sociale delle tecnologie71. Questo comporta una visione della tecnica completamente diversa: che non può più essere considerata un oggetto che modifica dall’esterno i rapporti di potere, ma invece uno strumento che nasce sì da una certa logica, la quale però essendo estrinseca allo strumento stesso, è passibile di grandi mutamenti. Le Embracers criticano l’idea che la “natura” sia un concetto riferito ad un oggetto o categoria specifica nel mondo e che la sua identificazione sia invece una strategia politico-economica per mantenere certe relazioni di potere e di significato. Ciò implica che pensare alla categoria di tecnologia, in opposizione binaria alla natura, non sia più teoricamente possibile72.

70

Judy Wajcman, TechnoFeminism, Polity Press, 2004, p. 30.

71

Op. cit., p. 51.

72Cfr. Alluquere Rosanne Stone, “Will the Real Body Please Stand Up?, Boundary Stories About Virtual

Cultures”, Cybersexualities: A Reader on Feminist Theory, Cyborgs and Cyberspace, Jenny Wolmark (edited by), Edimburgh University Press, 1999, p. 86.

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Anche prima di questa presa di coscienza vi furono pensatrici (come S. de Beauvoir e S. Firestone), che discostandosi dall’opinione generale in merito ai mezzi tecnologici, aprirono una discussione sui significati attribuiti alla biologia del corpo femminile, creando un anello di congiunzione e le premesse del superamento del pensiero femminista radicale dall’atteggiamento tecnofobico.

Il mutato atteggiamento nei confronti della tecnoscienza comporta una diversa concezione della differenza di genere rispetto a quella proposta dalla precedente

Second-wave Feminism73, che per le studiose post-moderne/strutturaliste non risultava più efficace a rendere conto delle peculiarità di tutti i soggetti femministi, rischiando di risultare discriminatoria verso quegli individui che non rientrano a pieno in particolari definizioni. Si andava via via abbandonando l’idea dell’esistenza di un concetto universale di Donna (che si portava dietro quella di riduzionismo biologico, che affida ai tratti fisiologici l’attribuzione del genere)74, poiché troppe sarebbero le variabili come classe, etnia, condizione sociale, orientamento sessuale, ma anche di età, storia clinica ecc. per permettere l’individuazione di una categoria fissa e unificata. Per risolvere questo dilemma queste pensatrici arriveranno a rivedere l’intero progetto femminista ed i suoi obiettivi a partire anche da una rivalutazione dell’oggettività scientifica. La questione dell’identificazione di genere diventa affare complesso e sfumato, culturale e

73

Con questo termine intendo differenziare un periodo del femminismo (iniziato negli Usa e poi espansosi in Europa), che va dagli anni Sessanta sino all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso. Second-wave perché vi è un mutamento e un allargamento dei temi trattati rispetto all’ondata precedente che si concentrava più sul diritto al voto e alla proprietà. Da quegli anni si comincia a parlare di sessualità, famiglia, tecnologie e diritti riproduttivi, violenza domestica ecc. Questa definizione comprende anche il

Resistance Feminism che, possiamo dire, fu la risposta di maggioranza del Second-wave Feminism alle

tecnologie della riproduzione umana.

74Di questa identificazione si critica inoltre la retorica di vittimismo che la circonda: “I think second wave

feminism was successful in many ways, but that it does have a great deal of unfinished business. [...] the heart of the major problem, which is how to resist the culture of victimization, and the many ways that a sense of victim-hood permeate the sense of being a woman and the experience of having been raised a girl”, da: “A conversation with Susan Stryker”, International Feminist Journal of Politics, 5:1, 118-25, 2003, p. 120.

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linguistico più che fisico, politico più che individuale. Proprio in questi anni escono le prime pubblicazioni di Judith Butler, che rivoluzioneranno il pensiero in materia; opere che diventeranno fondamentali per tutta la letteratura e il pensiero femminista in generale, sino ai giorni nostri.

Le Embracers possiedono tutt’altra visione della differenza tra uomo e donna, rispetto a quella presentata nel capitolo precedente. Ripartendo dalla consapevolezza dello sbilanciato coinvolgimento dei due sessi nella riproduzione, la capacità procreativa delle donne è vista più come motivo di oppressione che come un potere di cui riappropriarsi. Finché le donne saranno fisicamente legate alla riproduzione, non sarà per loro possibile una piena emancipazione. Le più radicali tra queste femministe aspirano allo spostamento della riproduzione fuori dal corpo, un Disembodiment per usare le parole della Lam, obiettivo diametralmente opposto a quello delle Resistors che, ricordiamo, rivendicavano invece l’integrità del corpo femminile e la riappropriazione del potere generativo. Chiaramente una posizione così estrema è solo una parte di un più ampio movimento pro-tecnologico che privilegia la scelta individuale, ma che non si spinge a considerare il corpo come limite così forte da non poter considerare la libertà femminile senza l’intervento tecnologico. Facciamo rientrare in questa categoria concettuale sia pensatrici dal convinto atteggiamento tecnofilo, che femministe più moderate, ma liberali in materia di scelte riproduttive. Costante, in questo insieme, resta l’idea che le tecnologie aiutino la realizzazione dei desideri al di là dei limiti corporei (si pensi alle coppie omosessuali, ai disabili, agli infertili o sterili), desideri leciti fin tanto che non danneggiano nessun soggetto in gioco, e promuovano l’uguaglianza.

Come spiega Lam: “Embracing feminists believe the application of technology (including but not limited to NRTs) to the body dissolves boundaries such as those between

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man/woman, culture/nature, society/biology and human/machine”75.La tecnoscienza diventa in quest’ottica, la chiave di accesso all’eliminazione del dualismo cartesiano che domina il pensiero occidentale: al contrario, quei femminismi che considerano i suoi interventi un’appropriazione illecita di corpi e funzioni, rilegherebbero ancora una volta la donna al ruolo del materno, alla natura contro tecnica e cultura e contribuirebbero, loro malgrado, al mantenimento di uno schema di lettura binario del mondo.

Confondendo i ruoli e i confini delle parti in gioco nella riproduzione, le tecnologie ci costringerebbero a ripensare l’organizzazione del mondo, sia su un piano pratico che su quello della coscienza e conoscenza. La prospettiva di riuscire in un futuro prossimo a trasportare il processo di nascita fuori dal corpo femminile e valutando la possibilità di ottenere forme di multigenitorialità, gravidanza maschile ecc., rende necessario, non solo ripensare i generi così come sono stati storicamente costruiti, ma l’intera gerarchia politico sociale basata sull’idea che uomo e donna siano due concetti a scatola chiusa, con caratteri identitari specifici e proprie specifiche funzioni. Tutto questo potrebbe non essere più così scontato. La buona notizia è che un tale sconvolgimento eliminerebbe il presupposto principale per la sottomissione della donna, producendo una “defemminizzazione” dei lavori di riproduzione e cura.

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1. Il corpo tiranno: il ripensamento della differenza biologica a partire da

Firestone

Una delle prime divulgatrici dell’idea che la costituzione biologica delle donne sia alla base della loro sottomissione è Shulamith Firestone che con la sua opera The Dialectic of

Sex: The Case for Feminist Revolution, già nel 1970, quindi prima che la fecondazione in

vitro ottenesse successo, auspicava e prevedeva la portata rivoluzionaria delle scoperte scientifiche in materia di nascite.

Ispirata da Simone de Beauvoir e dal suo magistrale Le Deuxième Sexe(1949), il testo della Firestone, ne ripropone la premessa: è la realtà biologica dei sessi ad aver portato alla formazione della struttura familiare ed alla iniqua distribuzione del potere.

“Donne non si nasce, lo si diventa”76, con questa affermazione de Beauvoir attribuisce le ragioni della condizione femminile, non solo al corpo, ma anche alle istituzioni che ne tramandano l’assoggettamento. Il corpo è sì alla base del mancato riconoscimento sociale per la donna, e la filosofa francese rivendica l’accesso all’aborto e alla contraccezione come mezzi per bilanciare la disuguaglianza, ma il determinismo biologico dell’autrice è mitigato dal riconoscimento di come l’immagine della donna come “l’Altro” sia una costruzione storico/culturale.

76

Simone de Beauvoir, Le Deuxième Sexe, (1949), trad. it. Il secondo sesso, Alda Arduini (a cura di), Il Saggiatore, Milano, 2012 , p. 325.

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Alla fine degli anni Quaranta la filosofa francese si spingeva a considerare i progressi della medicina riproduttiva come innovazioni fondamentali per il destino delle donne, attraverso i quali esse andavano guadagnando autonomia:

Con la fecondazione artificiale si compie l’evoluzione che permetterà all’umanità di dominare la funzione riproduttrice. Questi cambiamenti hanno per la donna in particolare un’immensa importanza; può ridurre il numero delle gravidanze, integrarle razionalmente alla propria vita, invece di esserne schiava. A sua volta la donna, durante il XIX secolo, si libera della natura; conquista il dominio del suo corpo. Sottratta in grandissima parte dalla schiavitù della riproduzione, può assumere il compito economico che le viene offerto e che le garantirà la completa conquista della propria persona77.

Firestone eredita questo pensiero pro-tecnologico e lo sviluppa integrandolo con il metodo del materialismo storico marxista, creando un nuovo manifesto per una rivoluzione femminista che parta dagli angoli nascosti della società.

Anche per Firestone l’origine della disparità tra i sessi ha base nel corpo ed è universale e inevitabile, o almeno così lo è stata fino al momento in cui la scienza ha creato le premesse per la sua eliminazione: tra queste i moderni metodi anticoncezionali e le tecniche di inseminazione, entrambi già citati dalla collega francese, ma quello a cui ella fa particolare riferimento è l’ectogenesi, tecnologia che avrebbe il potere di liberare le donne dalla barbarie della gravidanza e dal fardello riproduttivo in generale.

Il potere generativo è quindi qualcosa di cui disfarsi per guadagnare libertà, più che qualcosa di cui riappropriarsi come abbiamo visto essere per le Resistors.

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Il potenziale salvifico delle tecnologie può però esplicitarsi solo a patto che esse vengano opportunamente indirizzate: esiste infatti il pericolo che le si usi per perpetuare i vecchi sistemi del patriarcato, primo fra tutti il nucleo familiare. Non è un caso infatti che la sperimentazione e la diffusione delle tecniche siano promosse come un nuovo modo di perpetuare i valori della vita familiare e che qualora vengano sollevate questioni interpretabili come un’implicita “rivoluzione sessuale”, la retorica cambi improvvisamente rigettando la tecnica come innaturale78.

Le NRT sono descritte come prodotto della scienza empirica che avrebbe (in maniera del tutto accidentale, poiché figlie di una logica maschile e misogina) il potere favorire le donne, o meglio, porterebbero alla distruzione della stessa divisione in sessi, generi e classi (quest’ultima in quanto conseguenza delle prime due) e quindi la struttura della società così come la conosciamo. Sarebbe questo loro potenziale a renderle sgradite persino a coloro che auspicano un ridimensionamento radicale delle società: la rivoluzione russa, secondo Firestone, ignorando la questione femminile e mancando di applicare i suoi principi anche alla sfera privata, ovvero, limitandosi ad un’analisi economica della società, avrebbe completamente ignorato l’importanza politica della famiglia, determinando così il suo insuccesso79.

Le tecnologie riproduttive e contraccettive avrebbero il potere di minacciare la formazione della famiglia come nucleo separato dalla sfera pubblica. Inoltre eliminando i legami della donna alla procreazione, esse creano le premesse necessarie alla formazione di un mondo di individui liberi ed eguali cittadini. Attraverso l’asservimento materiale, ma anche emotivo, agli uomini, le donne li hanno storicamente sollevati dalle

78

Cfr. S. Firestone, The Dialectic of Sex: The Case for Feminist Revolution, (1970), trad. It., La dialettica dei

sessi: autoritarismo maschile e società tardo-capitalistica, Lucia Personeni (a cura di), Guaraldi Editore

S.p.a, Firenze- Rimini, 1971, p. 206.

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attività domestiche e di allevamento dei figli rendendoli liberi di plasmare il mondo a loro piacimento: “Le donne, nella loro attuale funzione, sono il fondamento della sovrastruttura economica, necessarie alla sua esistenza”80. Per compiere una rivoluzione socialista è quindi necessaria una rivoluzione femminista.

Anche The Dialectic of Sex riprende l’idea che i fondamenti fisiologici siano fortemente integrante dell’identità dei soggetti, rivelando così una certa continuità dell’autrice con il femminismo radicale di quegli anni. Nonostante mantenga un certo esistenzialismo, Firestone ribalta completamente l’assunto delle Resistance feminists:

While resistance feminists argued that the techno fix approach conceals social, cultural, and economic dimensions of pollution for example, (including the industrial causes of those problems) Firestone would apply technology to fix damages that are inevitable outcome of its processes81.

Pur essendo prodotto di un modo di pensare razionale, meccanico e quindi maschile82, la scienza empirica con la sua smisurata volontà di conoscere il mondo materiale (dominarla concettualmente per sottometterla praticamente), ha creato una condizione limite per cui attraverso i suoi mezzi è adesso possibile attuare la rivoluzione. Ne esce una visione della tecnologia completamente diversa, neutrale, sono le premesse sociali culturali e politiche ad attribuire ad essa un valore positivo o distruttivo.

80

S. Firestone, op. cit., p. 214.

81C. Lam, op. cit., p. 54. 82

Per Firestone infatti le diversità biologiche tra uomo e donna si riflettono anche nella costituzione neuronale e nella psicologia. Esistono quindi dei modi maschili e femminili di agire e pensare.

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La riproduzione è il campo in cui si gioca il destino della rivoluzione:

Firestone’s argument was for a cybernetic feminist revolution involving the subversion of work, family structure, gender and sexuality. This would lead to a cybersociety based on women’s control over technology, ecological responsibility and a radical redefinition of society (labour, family, love and leisure) both on the level of production and reproduction83.

Proiettando la filosofia marxista nella sfera privata, la riproduzione umana e i rapporti affettivi sono presentati come l’altra faccia delle relazioni lavorative e di produzione. La tecnologia è per ella, la via di accesso al socialismo compiuto: la costruzione di una vera e propria Cybernation84, dove le distinzioni individuali perdono i loro confini e significato. Questa riposta speranza nella tecnoscienza rende la Firestone, a ragion veduta, iniziatrice del pensiero cyber-femminista.

Il discorso sulle biotecnologie è centro fondamentale dell’opera: è lì che natura e tecnica si incontrano nell’umano e determinano la razionalizzazione del processo generativo che si riversa su tutti gli altri aspetti della società umana, diventando però realmente rivoluzionario, solo dal momento in cui le donne ne assumeranno il controllo. Come l’appropriazione e la conseguente riorganizzazione sociale ipotizzate possano attuarsi, rimane nell’opera una fiducia al quanto speculativa85; ancora troppo indietro era il progresso tecnologico-digitale del tempo, ma l’autrice prevede uno stravolgimento della

83

Susanna Paasonen, “From Cybernation to feminization: Firestone and Cyberfeminism”, pp. 67-8, in: Mandy Merck and Stella Standford (eds.), The Further Adventures of “The Dialectic of Sex”, London: Palgrave 2010, p. 61-83.

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Durante gli anni di stesura dell’opera si andava sviluppando una versione primitiva dell’internet moderno (ARPANET) e in paesi come l’URSS, USA, GDR e Cile la cibernetica iniziava ad essere applicata come modello governativo e di controllo delle economie centralizzate. Cfr. op. cit., p. 66.

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vita relazionale, dei rapporti di lavoro ecc., non lontani dai cambiamenti che effettivamente si proporranno in seguito, almeno non così utopici come potevano sembrare all’epoca. Resta da giudicare se la Cybernation abbia effettivamente preso forma o abbia qualche speranza di farlo in futuro.

Come abbiamo detto, l’autrice mantiene una visione dei generi essenzialista, la differenza è una differenza incorporata: è il corpo tiranno a rendere le donne vincolate dalla natura, dal loro destino biologico, e a renderle svantaggiate e facilmente manipolabili dagli uomini che sono invece liberi da tale legame. Per risolvere questo svantaggio ella non propone una riorganizzazione sociale dei rapporti tra i generi, atteggiamento prevalente tra le altre femministe radicali, quanto più l’abolizione della differenza stessa. In seguito le Embracing feminists abbandoneranno, per lo più, l’essenzialismo di Firestone, passando a una visone più costruttivista della differenza, che in quanto prodotto storico-culturale è pertanto ritenuta modificabile attraverso azioni e riforme politiche, rieducazione sociale; il mezzo tecnologico continua però ad essere pensato come lo strumento privilegiato per fare e disfare i generi non solo in ambito riproduttivo.

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2. L’ectogenesi e la massimizzazione della scelta

L’ectogenesi totale86 cui aspirava Firestone, è tecnica le cui basi di sviluppo sono ormai state raggiunte, ma la cui riuscita ad oggi non ha avuto opportunità di completarsi (al di là di alcune difficoltà tecniche ancora presenti87, che non sembrano comunque insormontabili)88, a causa dei divieti di ricerca embrionale, o di specifico divieto di ricerca sull’ectogenesi stessa (come avviene ad esempio in Australia). In effetti qualcosa di simile ad un utero artificiale è già una realtà che permette ai feti nati prematuramente di sopravvivere utilizzando una macchina per completare la propria formazione fuori dal ventre materno. Se si pensa al fatto che attraverso la creazione di embrioni in vitro, che possono essere coltivati fino al quattordicesimo giorno, e che è possibile far sopravvivere un feto prematuro a partire dalla ventitreesima/ventiquattresima settimana, i tempi di gestazione in utero si sono ridotti tanto da rendere l’ectogenesi una realtà già parzialmente effettiva.

Le femministe hanno mostrato grande interesse per questa tecnica sia preoccupandosi delle conseguenze dell’allontanamento dal corpo del potere procreativo89, sia, a partire

86Ossia la creazione di un nuovo individuo completamente ex vivo. 87

La prima difficoltà da superare è quella di costruire un’incubatrice artificiale in grado di accogliere gli embrioni alla stregua di un utero. Gli scienziati sono già stati in grado di creare qualcosa di simile utilizzando cellule endometriali umane su un’impalcatura artificiale. Anche il liquido amniotico è già stato ottenuto con successo in laboratorio, il problema più grande, che richiede ulteriori miglioramenti tecnici, è la creazione di una placenta artificiale che regoli il giusto apporto di sangue, nutrimento, ossigeno e ormoni di cui i feti ed embrioni necessitano. Tutte queste difficoltà ad oggi appaiono superabili. Cfr. Evie Kendal, Equal Opportunities and the Case for State Sponsored Ectogenesis, Palgrave Macnillan, 2015, pp. 35-34 e M. Balistreri, op. cit., pp. 156-57.

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Per avere un quadro dello stato della ricerca si veda: Flamigni C. e Bulletti C., Fare figli. Storia della

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