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La gestazione per altri, il mercato dei gameti e il turismo riproduttivo.

2.2 Prostitute e surrogate

Prostituzione e Gpa sono due pratiche che hanno in comune l’ingresso degli organi sessuali nel contratto lavorativo, un contratto che in entrambi i casi è caratterizzato dall’esecuzione in forma specifica. La prostituta, come la surrogata, stringe l’accordo dello scambio (che nel suo caso è l’uso sessuale del suo corpo in cambio di denaro) direttamente col cliente, sebbene sia, alle volte,spinta da una parte terza a stringere tale

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Su questo argomento si veda: Malm H. M., “Commodification or Compensation: A reply to Ketchum”,

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accordo (sempre che non si tratti di una lavoratrice indipendente). Allo stesso modo la surrogata stipula un patto con i committenti attraverso le cliniche e agenzie di intermediazione. La differenza, viene detto, sta nell’uso che si fa di quel corpo: “Il contratto di maternità surrogata si discosta dal contratto di prostituzione in quanto l’uomo non fa uso sessuale diretto del corpo della donna; piuttosto tale uso è indiretto, mediante l’inseminazione artificiale”199.

Entrambe sanciscono l’ingresso nell’economia di mercato di attività associate alla sfera della gratuità relazionale: “Public condemnation threatens women who are (or seem to be) coldly calculating their own material interest in areas where they are supposed to be subservient, generous and selfless: love/sex relationship and motherhood”200. L’associazione tra prostituzione e Gpa rifletterebbe quindi la paura inconscia dell’infedeltà femminile e l’insicurezza della paternità biologica maschile.

A. Pande descrive il pregiudizio che ruota attorno alle lavoratrici del settore riproduttivo indiano:

Almost all portrayals of commercial surrogacy in the media equate surrogacy with sex— an infertile wife agrees to bring sex worker home who is then impregnate by her husband through normal intercourse. The alternative portrayal is of a sister or a friend becoming surrogate out of pure altruism(and inevitable falling in love with the adoptive father)201.

Le lavoratrici surrogate intervistate nel suo studio prendono le distanze da figure come le prostitute o le spogliarelliste che riconoscono essere ugualmente indigenti, ma la cui

199C. Pateman, op. cit., p. 278. 200

D. Danna, op. cit., p. 144.

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scelta appare moralmente discutibile a causa dello sfondo sessuale del servizio che svolgono.

Andrea Dworking utilizza questo stesso parallelo per descrivere i due modelli di sfruttamento della donna: da un lato lo sfruttamento sessuale del “modello postribolare” che vuole le donne come meri strumenti del soddisfacimento dei desideri sessuali maschili, dall’altro lato il “modello dell’allevamento” in cui si ha l’identificazione della donna nella figura di madre, gestante e allevatrice202. Questo secondo modello sarebbe stato perfezionato e incrementato dall’avvento delle tecnologie riproduttive sostituendo il controllo del marito con quello medico.

Carole Pateman afferma che la retorica della vendita del servizio ed il concetto di “forza lavoro” siano in realtà finzioni politiche e che quello che lavoratori, prostitute e surrogate cedono in “affitto” sia non solo l’uso del corpo, ma il loro proprio io. Una vendita che nella gestazione per altri assumerebbe la sua forma più estrema in quanto riguarda la capacità più intima ed emozionale di una donna. La surrogata venderebbe per l’appunto, sé stessa in quanto donna. Il contrattualismo dilagante, sia nel caso della prostituta che in quello della surrogata, renderebbe puramente accidentale il fatto che siano coinvolte prestazioni sessuali e di gestazione per cui secondo Pateman accade, come già abbiamo accennato nel primo capitolo, che si utilizzi uno strumento pensato per gli uomini (il contratto) per dare l’illusione dell’autodeterminazione femminile mentre si sta attuando un nuovo metodo di sfruttamento che consiste appunto nella minimizzazione (se non scomparsa) delle differenze sessuali. La prostituta è quasi sempre una donna, la surrogata è tale proprio in quanto donna. Estendendo la

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concezione dell’individuo proprietario si vorrebbe quindi nascondere la vera natura del contratto: una nuova forma di diritto patriarcale sui corpi femminili.

Le femministe abolizioniste affermano che la prostituzione non possa essere considerata una forma di lavoro volontaria in quanto la donna che accetta soldi per una prestazione sessuale subirebbe violenza anche quando vi sia consenso prima facie203. Un argomento simile è avanzato per la Gpa: l’accordo sarebbe sempre prodotto di forze coercitive per cui il valore del consenso sarebbe da considerarsi invalido. Il femminismo radicale e abolizionista auspica quindi che si gli stati adottino provvedimenti legali per impedire entrambe le forme di sfruttamento204.

Daniela Danna afferma:

The first element is akin to sex work and surrogacy: the suspension of habeas corpus on intimate life. Even though it is paradoxical, the use of one’s sexual capacities for the exclusive sexual satisfaction of other in prostitution does not clash with the principles of sexual self-determination (at least not in formal terms)205.

Eppure sarebbe altresì evidente che nella prostituzione è il cliente a trarre vantaggio dalla prestazione sessuale e quindi a sfruttare la donna, lo stesso varrebbe per la

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Le lotte femministe contro la prostituzione si sono scontrate, a partire dagli anni Novanta, con i movimenti delle sex workers che hanno cominciato a richiedere riconoscimento per la loro professione. Per queste femministe la prostituzione è sempre violenza e puntano quindi alla criminalizzazione dei clienti (Svezia, Norvegia e Islanda hanno applicato questo principio a livello legislativo tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila): “La scelta non solo di rivolgersi ai clienti, ma di criminalizzarli, è però oggetto di grande contestazione. Infatti, essa mostra molti dei problemi classici del proibizionismo, legati cioè al fatto che la prostituzione non diminuisce, ma si trasforma, passando per esempio su Internet, si nasconde, allontanandosi perciò da ogni contatto con associazioni e autorità, e le condizioni di lavoro generalmente peggiorano”. Giulia Garofalo Geymonat, Vendere e comprare sesso, tra piacere lavoro e

prevaricazione, Il Mulino, Bologna 2014, pp. 47-50. 204

Si veda ad esempio l’appello delle lesbiche italiane contro la Gpa, Repubblica, 26/09/2016: http://www.repubblica.it/politica/2016/09/26/news/appello_di_50_lesbiche_contro_l_utero_in_affitto- 148575784/.

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gestante all’interno degli accordi di surrogazione. La prostituta sarebbe stigmatizzata non tanto perché mette in vendita sé stessa, quanto per l’uso improprio che fa della sessualità206. Ella auspica che si porti avanti una lotta contro la stigmatizzazione delle prostitute, le cui condizioni di vita sono spesso rischiose ed inumane ed aggiunge:

A legalization of sex work would combat the whore stigma, broadening women’s sexual freedom, as a normalization of the prostitute’s activity (including respect and gratefulness by clients) would—somehow paradoxically—foster a freer view of women’s sexuality. On the other hand, a regulation and normalization of surrogacy would just foster a market in babies [...] One thing is what to do with one’s own body, but the other is what to do with a newborn207.

Danna riconosce quindi gli aspetti comuni alle due attività, ma rivendica l’illegittimità della seconda in quanto non porterebbe nessun vantaggio alla società, come pare invece fare la prostituzione qualora venisse riconosciuta e legalizzata. Riconoscere la Gpa come prestazione lavorativa avrebbe come unico effetto rendere lecita la vendita di bambini e di conseguenza la mercificazione degli esseri umani. Ho già spiegato nelle pagine precedenti perché a mio parere non si possa parlare di compravendita di neonati in merito agli accordi di surrogazione.

Quello che mi pare emergere da questi argomenti è ancora una volta l’idea che sessualità e riproduzione abbiano un valore essenzialmente diverso da tutte le altre attività umane, ma l’analogia con la prostituzione mette maggiormente in risalto il fatto che queste siano maggiormente attribuite alla costituzione dei corpi di donna. Esiste

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Cfr. D. Danna, op. cit., p. 147.

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infatti una doppia morale che intima le donne ad effettuare una maggiore selezione dei loro partner sessuali quando agli uomini è concessa maggiore promiscuità. Un uomo non può vendere i suoi servizi riproduttivi, al massimo può vendere il suo liquido seminale (pratica che comunque leva molti meno argomenti morali dall’opinione pubblica), tuttavia sembra emergere la paura che pratiche prima ritenute dono gratuito delle donne agli uomini, divengano prestazioni a pagamento, immettendo una parte importante delle donne nel circuito economico e sottraendole allo stretto controllo dei loro compagni, mariti e della società nel suo complesso.

Sebbene la Gpa sia da molte autrici descritta come un nuovo strumento del controllo patriarcale, seguo Shalev nel pensare che essa potrebbe invece contribuire allo smantellamento dei valori che questo controllo porta con sé: quello che prima avveniva gratuitamente all’interno dell’istituzione matrimoniale, viene riconosciuto in quanto lavoro e può essere utilizzato dalle donne come mezzo di sostentamento e di ingresso nel mercato dei servizi: quella caratteristica della loro biologia che prima le ha discriminate, adesso viene impiegata nell’acquisizione di indipendenza economica e sociale208.

Allo stesso tempo la gravidanza si allontana dalla genitorialità contribuendo in tal modo a demolire l’imposizione dell’idea eteronormativa della famiglia tradizionale (padre, madre e figli genetici) aprendola così a nuovi soggetti. La Gpa ha la potenzialità di aprire un nuovo campo nella coscienza che le donne hanno del proprio potenziale generativo (e del resto della società), a patto però che esse vengano tutelate stabilendo un adeguato compenso e facendole partecipare attivamente alla stesura dei contratti dove possono essere stabilite le condizioni ed i termini accettabili del servizio.

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127 A dispetto dell’attenzione posta sull’aspetto patrimoniale della surrogazione, il vero tema riguarda il potere di controllo sull’attività umana di procreazione […] Il problema patrimoniale è in realtà meramente strumentale: la mercificazione della vita a venire e la mancanza di rispetto per la personalità di un essere umano in formazione non sono in alcun modo correlati al rapporto contrattuale; nella nostra cultura, tuttavia, il potere di controllo, qualsiasi forma assuma, ha rilevanza economica e se le donne intendono reclamare il potere di controllare la loro attività procreativa in un’epoca di sviluppo tecnologico è del tutto naturale che giungano a confrontarsi con l’idea a prima vista ripugnante di dare un valore economico alla loro capacità di procreare209.

Spostando il velo di sacralità che circonda le attività sessuali e riproduttive, si potrà rendersi conto di come tali occupazioni non siano percepite come degradanti da tutte le donne che le svolgono, lo dimostrano ad esempio le prostitute indipendenti, le organizzazioni delle sex workers che si battono affinché la loro professione venga riconosciuta, ma anche gli studi e le interviste alle surrogate danno prova del fatto che queste professioni possano essere svolte con passione.

La gestione della prostituzione a livello normativo ci fornisce non di meno, un importante esempio della fallimentarietà dei divieti in materia di autodeterminazione e della possibilità degli individui di disporre del proprio corpo.

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