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“REATI OFFENSIVI DELLA SICUREZZA SUL LAVORO E IL COMPORTAMENTO IMPRUDENTE DEL LAVORATORE”.

3. Il principio di affidamento.

La penetrazione del principio di affidamento in ambito giurisprudenziale, presenta gradi di approfondimento diversi a seconda del settore in cui venga invocato. Tale diverso modo di atteggiarsi, pone degli interrogativi in ordine ai suoi limiti e alla possibilità di coglierne l' essenza del principio.

Per questi motivi, la Corte di Cassazione, afferma che “ ciascun consociato può confidare nella circostanza che gli altri si comportino in conformità alle

213 Pulitanò, Igiene e sicurezza del lavoro (tutela penale), in D. disc. Pen., VI, Torino, 1992, 102.

regole cautelari riferibili all' agente modello proprio del contesto di attività che di volta in volta viene in considerazione” 214.

Tale principio, come è stato anticipato, trova la sua ratio nei vari contesti presi in riferimento.

1. Oltralpe, tale principio, ha trovato il suo terreno fertile nel settore della circolazione stradale, risultandone caratterizzato dall' entrare in contatto dei soggetti agenti con interlocutori per cosi' dire anonimi e della conseguente impossibilità per i primi di conoscere l' inclinazione di questi ad attenersi o meno alle regole che governano la circolazione dei veicoli215.

Al contrario, la giurisprudenza italiana, questo stesso terreno, si è presentato impermeabile ai dettami del principio di affidamento216.

Una simile resistenza non nasce, come potrebbe supporsi, dal ricorrere in

214 Cassazione, sez. IV penale, 26 maggio 2006; pubblicata in Cassazione penale, 2008, p. 446 ss.

215 Sulla evoluzione della giurisprudenza tedesca in ordine all' applicazione di tale principio, si osservano: M. Mantovani, Il principio di affidamento, cit., pag. 32 ss. Sull' efficacia del principio di affidamento con riguardo alla circolazione stradale, Duni, Limiti all' obbligo di

prevedere le imprudenze altrui, in Riv. Giur. Corc. Trasp., 1964, p. 317 ss.

216 In tema di lesioni o di omicidio colposi commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, si è affermato che, nell' obbligo di tenere un

comportamento prudente ed accorto da parte del conducente di un autoveicolo, è compreso quello di prevedere le imprudenze altrui ragionevolmente prevedibili, quali l' inosservanza dell' obbligo di dare la precedenza da parte di chi da una strada secondaria s' immetta su una strada principale: Cassa., sez. IV. 8 novembre 1990, Bertilotti, cit., 298.

questo ambito dell' agire umano di quelle condizioni che, ad avviso dei teorizzatori del principio, ne escluderebbero l' applicabilità: vale a dire il ricoprire il soggetto agente una posizione di garanzia nei confronti di un terzo incapace di provvedere a se stesso, ovvero il possedere l' agente particolari conoscenze tali da indurlo a ritenere che gli altri consociati, con i quali viene in contatto, non osserveranno gli obblighi su di loro gravanti217.

Il primo limite si osserva dal punto di vista dell' automobilista, il quale è investito di una “posizione di garanzia” e non certamente “di protezione” nei confronti dei conducenti di altri veicoli a loro volta, investiti del medesimo ruolo.

Il secondo limite, al contrario, potrebbe operare nel contesto della circolazione stradale, nel senso che, può accadere che il conducente di un veicolo deduca, o comunque, abbia la possibilità di dedurre, dalla condotta tenuta da un altro automobilista, che questo si accinga a violare la regola cautelare a lui indirizzata.

Ad ostare in nuce alla operatività del principio, è la stessa legislazione in materia, caratterizzata dalla cristallizzazione di regole cautelari218.

217 Forti, Colpa ed evento nel diritto penale, Milano, 1990, p. 284 ss.; Fiandaca Musco,

Diritto penale, Parte generale, 3' ed., Bologna, 1995, p. 499.

218 Molte di queste regole cautelari appartengono al novero delle regole c.d. “ elastiche”, ovvero norme il cui schema di comportamento non è stato fissato con assoluta nettezza, ma che “ abbisognano invece, per essere applicate, di un legame più o meno profondo, e più o

Sempre con riguardo al settore della circolazione stradale, la giurisprudenza è giunta talvolta alla negazione della possibilità di invocare il principio basandosi sul rilievo della violazione di una regola cautelare da parte del conducente che lo adduceva219.

Anche in questo caso occorre discendere due piani.

Da un alto abbiamo delle massime, che se, formulate in questi termini, risultano prive di significato, se non addirittura prive di fondamento220.

Diverso è il caso in cui massime di tale tenore siano state enunciate in situazioni di successione di posizioni di garanzia221, o di pluralità di posizioni di garanzia.

Quindi, si afferma la responsabilità di colui che ha violato la regola cautelare senza che ovviamente possa fare affidamento nella osservanza altrui, poiché l' evento verificatosi già si pone come concretizzazione del rischio che la regola

meno esteso, con le circostanza del caso concreto”. Cfr. Marinucci, La colpa per

inosservanza di legge, Milano, 1965, p. 236 ss.

219 Cass., Sez. IV, 7 novembre 1983, Patro, in Arch. Giur. Circ., 1984, p. 607.

[… ] In tali pronunce il principio di affidamento sembrerebbe trovare applicazione in sede di ricostruzione del nesso causale; il che lascia trapelare una sovrapposizione tra i diversi piani dell' accertamento causale e dell' accertamento della colpa. Si vedano, per tutte, in tema di responsabilità del datore di lavoro per l' infortunio occorso al lavoratore: Cassa., sez IV, 10 novembre 2006, B.S., in Ced cassa., 2006, n. 234807.

220 Per una critica a simili posizioni, espresse anche dalla giurisprudenza tedescam in materia di circolazione stradale: Roxin, Strafrecht, Allgemeiner Teil, I, Grundlagen. Der Aufbau der Verbrechenslehre, II, ed., Mùnchen, 1994, 897 s.

cautelare stessa mirava a prevenire222.

2. Il principio di affidamento viene poi invocato nel' ambito dell' attività medica svolta in equipe.

Anche in questo settore, si assiste, all' interagire di più soggetti, circostanza questa che potrebbe condizionare il procedimento di individuazione delle misura di diligenza richiesta a ciascun medico.

La possibilità di addurre l' affidamento ed esenzione del rimprovero a titolo di colpa viene fatta dipendere “ dall' atteggiarsi dei rapporti di colleganza all'interno dell' equipe”223; pertanto si distingue a seconda che gli operatori siano posti in posizione paritaria, oppure in casi di ripartizione gerarchica. A questo punto, è opportuno spiegare meglio, il profilo dell' accertamento della colpa da quello dell' omissione, scindendoli in due poli contrapposti. Come primo profilo, bisogna individuare la presenza di una posizione di garanzia dalla quale scaturisca un obbligo di vigilanza che va a riempire di un ulteriore contenuto il dovere di diligenza gravante sul medico.

La separazione dei due piani, quello della colpa e quello dell' omissione,

222 “ Non può invicarsi legittimamente l' affidamento nel comportamento altrui quando colui che si affida sia ( già) in colpa per aver violato deteminate norme precauzionali o per evere omesso determinate condotte e , ciononostante, confidi che altri, che gli succede nella stessa posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione”: Cass., sez. IV, 16 novembre 2006, P.F., in Ced Cassa., 2006, n. 235879.

223 Indice penale 2009, commento di Maria Chiara Bisacci : Cassazione, sez IV penale, 26 maggio 2006, pag 195-205.

conduce in alcuni casi a concludere, non nel caso della presenza di un legittimo affidamento in capo al medico, posto in posizione apicale, quanto, piuttosto, di assenza in capo allo stesso di un obbligo di vigilanza.

Ciò nonostante, anche in presenza di una ripartizione gerarchica delle competenze, non è da escludersi l' operatività del principio dell' affidamento. Ancora, una volta il principio di affidamento sembrerebbe operare pienamente, salvo l' eventuale ostacolo dettato dalla prevedibilità del comportamento osservante altrui224, nelle ipotesi in cui i medici dell' equipe si pongono su un piano paritario essendo chiamati a svolgere, in virtù delle relative competenze, compiti diversi.

Naturalmente la ricostruzione della diligenza del medico richiesta, deve effettuarsi sulla base, sia delle conoscenze dell' agente modello di riferimento, con la conseguenza che potranno rilevare errori macroscopici del collega avente diversa specializzazione, sia della concreta possibilità di riscontrare tali

224 “ In tema di colpa professionale, nel caso di <<equipes>> chirurgiche e, più in generale, in quello in cui ci si trova di fronte ad ipotesi di cooperazione multidisciplinare nell' attività medico-chirurgica, sia pure svolta contestualmente, ogni sanitario, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, è tenuto ad osservare gli obblighi di ognuno derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico. Ne consegue che ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l' attività precedente o contestuale svolta da altro college, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio o facendo in modo che si ponga opportunamente rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali e, come tali, rilevabili ed emendabili con l' ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio”. Cass.,m sez. IV, 2 marzo 2004, in Riv. Pen., 2005, p. 635, Cfr. inoltre: Cass. Sez IV, 12 luglio 2006, I.U., in Ced Cass., n. 234971.

errori tenuto conto che il medico è chiamato a prestare il proprio contributo ai fini del corretto esito del trattamento medico-chirurgico.

3. Adesso possiamo analizzare l' ambito di applicazione del principio di affidamento che ci interessa: la penetrazione di esso all' interno della sicurezza sul lavoro.

Occorre premettere che , sovente, il giudizio di responsabilità del datore di lavoro delle condotte imprudenti del lavoratore, che abbia concorso al prodursi dell' evento- infortunio, si risolva sul piano della causalità.

Si perviene a negare al comportamento della vittima il carattere della concausa da sola sufficiente a determinare l' evento, operando una sovrapposizione del piano di accertamento della tipicità oggettiva con quello relativo alla sfera soggettiva225.

Nel dirimere il nodo qualificativo si è richiamato il principio di affidamento, prevalentemente, per escludere che il datore di lavoro potesse invocarlo226. Il rivestire il datore di lavoro di una posizione di garanzia non concederebbe margini di operatività al principio227.

225 Si veda per tutte: Cass., sez. IV, 3 giugno 2004, Giustiniani, in Ced Cass., n. 229564.

226 Tale rigidità troverebbe la sua spiegazione nel diverso atteggiarsi della coscienza sociale non disposta a tollerare la verificazione di eventi dannosi non riconducibili alla libera esposizioneal rischio da parte di chi li subisce, ma scaturenti dalle scelte decisionali di coloro che traggono vantaggi economici da quelle attività: Di Giovine, Il contributo della

vittima, cit., p. 51.

A livello teorico, la sussistenza di una posizione di garanzia viene vista come condizione tale da non rendere effettivo il principio, si consideri, tuttavia, come per poter giungere a tale conclusione occorra verificare quali siano i contenuti della posizione di colui che risulta destinatario della tutela.

Questa lettura, sembrerebbe, essere stata recepita anche dal legislatore che, nel disegnare il nuovo volto del sistema di tutela del lavoratore, ha inserito quest' ultimo tra i destinatari di obblighi, rendendolo protagonista nello stesso sistema228.

Possono allora comprendersi quelle sentenze, in cui il comportamento gravemente imprudente del lavoratore- vittima viene ritenuto imprevedibile in quanto abnorme ed esorbitate229.

metri da terra, anziché servirsi della apposita scala, aveva fatto uso improprio di un carrello elevatore, si è affermato che il datore di lavoro non può invocare a proprio scusa il principio di affidamento assumendo che l ' attività del lavoratore fosse imprevedibile.

Ad avviso della Corte questo ragionamento risulterebbe doppiamente erroneo, da un lato, in quanto l' operatività del detto principio riguarda i fatti prevedibili e, dall' altro, atteso che esso comunque non opera nelle situazioni in cui sussite una posizione di garanzia, come certamente è qualificabile quella del datore di lavoro: Cass., 3 giugno 1999, Grande, in Ced Cass., n.214997.

228 Sia sufficiente richiamare l' art. 20 del d.lgs. 8172008 dedicato agli obblighi del lavoratore.

229 Cass., sez. IV, 9 febbraio 1993, in Riv. Trim. pen. ec., 1995, p. 101, con nota di Volpe,

3.1 (Segue) Colpa e prevenzione del rischio nell' attività lavorativa.

La perenne tematica dei rapporti tra i profili oggettivi e soggettivi dell' illecito penale vede da qualche tempo affacciarsi sul proscenio la delicata questione della responsabilità per colpa in contesti caratterizzati da una situazione di incertezza ( o di progressiva evoluzione) delle conoscenze230 in ordine al

collegamento, sia sotto il profilo causale, che sotto quello dell' imputazione “ personale”, rispetto al fatto lesivo concretamente verificatosi.

Proprio in siffatti contesti, <<malgrado la convinzione che i due profili sopra menzionati non possono essere confusi tra loro, non sono pochi i momenti di contatto e di interferenza tra le due problematiche, ulteriormente accresciuti da una serie di fattori predisponenti all' affermarsi di un simile connubio […]>>231.

Accanto a simili fattori, viene poi a delinearsi, quale chiave di lettura del complesso delle pertinenti valutazioni, quella che viene da molti definita come la “processualizzazione” delle categorie penali sostanziali232: là dove,in effetti,

il tema della prova, una volta portato al canone della “ probabilità logica” delle

230 Cfr. D. Pulitanò, colpa ed evoluzione del sapere scientifico, in questa rivista, 2008, 647 ss.

231 Giovannangelo De Francesco, Colpa e prevenzione del rischio nel campo delle malattie professionali, in Diritto penale e processo 6/2012, pag. 665.cit.

232 Sul fenomeno, v. le riflessioni di T. Padovani, Lezione introduttiva sul metodo nella scienza del diritto penale, in Criminalia, 2010, 237 ss.

ipotesi di volta in volta formulate, sembra permeare senza distinzioni l'intero contesto della responsabilità penale, escludendo giudizi differenziati in ragione delle singole componenti caratterizzanti la struttura del reato.

Infatti, appare fondato ritenere che le c.d. Regole cautelari rilevanti per fondare la colpa non possano essere concepite in una dimensione puramente obiettiva, dovendo esse, viceversa, venire già ab initio, ricondotte al piano del rimprovero di colpevolezza. A differenza del contenuto precettivo insito nel fatto legalmente tipizzato le regole di diligenza meritano, in altri termini, di essere identificate con altrettanti imperativi a carattere “ strumentale”, del seguente tenore: << se vuoi che nell' esercizio dell' attività intrapresa non si verifichino certi tipi di eventi, dovrai allora tenere determinate condotte volte allo scopodi scongiurarne la possibile verificazione>>233.

La regola cautelare pertanto dà luogo ad una valutazione di “ secondo grado”, la quale, una volta preso atto del giudizio negativo in ordine al “fatto” in sé e per sé considerato, viene a determinare le condizioni per imputarlo all' agente, in funzione di quelle possibilità, sul piano cognitivo ed operativo, di cui egli era in grado di avvalersi per impedire l' offesa.

L' esigenza fondamentale è quella di evitare di confondere il piano

233 Giovannangelo De Francesco, Colpa e prevenzione del rischio nel campo delle malattie professionali, in Diritto penale e processo 6/2012, pag. 666.cit.

impersonale della tipicità con quello collegato al giudizio di colpevolezza, all' interno del quale sembra invece maggiormente congruo inserire le valutazioni concernenti l' imputazione per colpa e del resto è fin troppo noto che <<come dimostra la stessa evoluzione della categoria della colpevolezza, la qualificazione in guisa del precetto doveroso delle sottostanti valutazioni non ha impedito di sposare l' idea di una caratterizzazione in chiave essenzialmente personalistica dei contenuti afferenti al giudizio di rimproverabilità>>234.

Infatti una volta assunto a parametro di riferimento il c.d. “agente modello” ci si deve domandare se con questo s' intenda alludere ad un criterio di tipo obiettivo ovvero, ad un paradigma già dotato di contenuti commisurati al momento personalistico del rimprovero penale.

Prendendo adesso ad esempio il tema della responsabilità collegata all' uso dell' amianto235, sorge l' interrogativo se il fatto che, alla stregua delle

cognizioni al tempo disponibili, la potenzialità carcerogena della sostanza fosse allora configurata all' interno di un sapere scientifico estremamente circoscritto(o, il che è lo stesso, ad una sfera corrispondente alle c.d.

234 Cit. vedi nota precedente.

235 v. , a commento di due recenti ed approfondite sentenze che la corte di cassazione, rispettivamente, F. Palazzo, Morti da amianto e colpa penale, in questa rivista, 2011, 185 ss e R. Bartoli, Responsabilità penale da amianto: una sentenza destinata a segnare un punto di svolta?, in Cass pen., 2011, 1712ss.

“conoscenze superiori” proprie del singolo agente)236, potesse attribuire un

ruolo preventivo a regole cautelari in linea di principio “pensate”in relazione alla contrazione di altri tipi di malattie237.

Il problema ha ragione di porsi, in quanto,<<una volta constatata la presenza di regole, l' eventuale idoneità di quest' ultime a ridurre il rischio di tumore polmonare dovrebbe essere pur sempre correlata al riconoscimento della loro finalità preventiva rispetto a siffatte patologie>>238.

Pertanto la tematica della colpa nel settore delle malattie professionali, non necessita il richiamo alla raffinata impostazione secondo la quale il nesso di prevedibilità dell' evento dannoso dovrebbe arricchirsi di una valutazione fondata sulla “ ridescrizione” dello sviluppo lesivo, effettuata mediante il richiamo al c.d. “ evento intermedio” del carcinoma polmonare239.

Piuttosto problematico potrebbe rivelarsi il quesito in ordine alla rilevanza da

236 Nel senso di una parziale difformità tra i due criteri (la quale non sembra tuttavia incrina quanto osservato nel testo) cfr. peraltro, R.Bartoli, Causalità e colpa nella responsbailità penale per esposizione di lavoratori ad amianto, in Riv. it. Dir. Proc. Pen., 2011, 628 ss. 237 Ne dubitano, tra i molti, D. Castronuovo, L' evoluzione teroica della colpa penale tra dottrina e giurisprudenza, in Riv.it.dir. Proc. Pen.., 2011, 169 ss.; C. Piergallini, Attività produttive, decisioni in stato di incertezza e diritto penale, in M. Donini- M. Pavarini ( a cura di), Sicurezza e diritto penale, Bologna, 2011, 345 ss. Più possibilità C. Ruga Riva, in E. Dolcini-C.E. Paliero (a cura di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, II, Teoria della pena, teoria del reato, Milano, 2006, 1768 ss.

238 Giovannangelo De Francesco, Colpa e prevenzione del rischio nel campo delle malattie professionali, in Diritto penale e processo 6/2012, pag. 667; cit.

attribuire al giudizio ipotetico di evitabilità dell' evento nel caso in cui la regola fosse stata osservata.

Sennonchè, è ben chiaro come un simile accertamento, in tanto risulterà giustificato, in quanto si possa affermare che lo scopo di prevenzione della regola fosse effettivamente ricollegabile alle valutazioni sottese al “modello” di agente ipotizzato240.

Ne appare fuori luogo osservare come, qualora, specialmente per le attività svolte successivamente all' acquisizione di più adeguate conoscenze, tale ultimo requisito fosse da ritenersi adempiuto, sembrerebbe meritare adesione la recente tendenza a non esasperare eccessivamente il rigore valutativo di quell' ulteriore accertamento241.

Sull' intera problematica dei rischi per la salute indotti da attività produttive grava da tempo anche un ulteriore, delicato interrogativo sul piano sistematico e politico-criminale. Si vuole alludere al diffondersi del ben noto “principio di precauzione”242, il quale pone la questione se alla stregua possano essere

concepite delle regole cautelari destinate a fronteggiare, non più pericoli

240 Sulla distinzione tra i due profili, v. G. Forti, Colpa ed evento nel diritto penale, Milano, 1990, 443 ss.

241 Cfr. i rilievo di R. Bartoli, Il problema della causalità penale. Dai modelli unitari al modello differenziato, Torino, 2010, 105 ss.

242 Da ultimo, sull' argomento, cfr. D. Castronuovo, Principio di precauzione e beni legati alla sicurezza, in www.penalecontemporaneo.it, 2011, 3 ss.

empiricamente testati, bensi' i c.d. “ rischi da ignoto”.

Orbene, non sono pochi coloro che sono giunti a contestare l' ingresso del suddetto principio nel territorio della responsabilità colposa243; ed in effetti,

proprio la straordinaria “ apertura” verso esiti tuttora incerti e indefiniti si simili esigenze meramente “ precauzionali” parrebbe, in linea di principio, dissonante rispetto a scelte d' azione << congruenti con la “ funzione di richiamo” della regola circa lo specifico scenario lesivo di volta in volta delineato>>244.

Infatti , malgrado le varie perplessità, la dottrina ha affermato come il principio in questione non sarebbe incompatibile con la fisionomia della colpa specifica. Ne senso che, ammessa l' esistenza di una regola ad hoc collegata a certi tipi di eventi, tale regola potrebbe fondare l' imputazione per colpa, una volta che l' ipotesi formulata “ sia divenuta certezza scientifica”245.

Una soluzione del genere, sembra arricchire il dibattito di almeno due profili di valutazione.

In primo luogo, essa getta luce sul rapporto dialettico tra regola cautelare e

243 Cfr. tra gli altri, F. Giunta, Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione, in Criminalia, 2006, 241 s, e più di recente, A. Gargani, la “ flessibilizzazione”

giurisprudenziale delle categorie classiche del reato di fronte alle esigenze di controllo