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Il principio del best interests of child come causa ostativa al rimpatrio Come affermato sopra, emerge da ultimo un orientamento giurisprudenziale, sostenuto

4. Il superiore interesse del minore a un sereno sviluppo psicofisico: le cause ostative al rimpatrio

4.4. Il principio del best interests of child come causa ostativa al rimpatrio Come affermato sopra, emerge da ultimo un orientamento giurisprudenziale, sostenuto

anche da autorevoli Corti europee, tendenti ad attribuire alla clausola generale del superiore interesse del minore natura giuridica di causa ostativa al rimpatrio. Si tratta di decisioni in cui, pur non rinvenendo nel caso di specie la sussistenza di cause ostative codificate, si giunge alla decisione di non ritorno del minore sulla base di motivazioni legate alla tutela del suo superiore interesse.

Questo tipo di argomentazione giuridica si riscontra nel caso Neulinger/Shuruk deciso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo171, rinviando al capitolo III l’attenta analisi della vicenda, in questa sede occorre solo riferire come la Corte europea nel risolvere il caso della sottrazione internazionale del piccolo Noam decide sul non ritorno del minore proprio in ragione della tutela del suo superiore interesse a non essere separato dalla madre sottraente, innovando rispetto ai precedenti giurisprudenziali relativi al medesimo caso in cui l’argomentazione principale a sostegno del ritorno del minore era proprio l’impossibilità di considerare come causa ostativa al ritorno il rischio di danno correlato alla separazione dal genitore sottraente. La Corte europea dei diritti dell’uomo ritiene di fondare l’eccezione al rimpatrio sulla sola considerazione del superiore interesse del minore, fondando così un orientamento giurisprudenziale che considera tale clausola generale non già come chiave di interpretazione del sistema, ma come fattispecie autonoma.

Questo percorso ermeneutico viene ripreso dalla Cour de Cassation francaise, nella sentenza n. 107 del 13 aprile 2013, che ha cassato la decisione di ritorno del minore sul presupposto che la separazione dalla madre sottraente sarebbe contraria al suo superiore

170 Vedi in questo senso la nota a sentenza della Cour de Cassation 14 febbraio 2006, di E. Gallant, in Revue critique de droit International privè, 2007, p. 97 e ss.

116 interesse, individuando nel criterio del best interests of child, una possibile causa autonoma ostativa172.

Solo apparentemente simile il caso deciso dal Tribunale di Bruxelles, 17 giugno 2010, in cui si nega l’affidamento del minore al padre, vittima della sottrazione internazionale, con contestuale provvedimento di ritorno, poiché il rientro del bambino, perfettamente integrato in Spagna, sarebbe contrario al suo superiore interesse. Il caso in esame, in cui potrebbe sembrare che il giudice di merito utilizza il criterio del best interests of child per impedire il ritorno del minore quale causa ostativa autonoma, si pone in discontinuità rispetto ai casi prima analizzati. Vero è che il giudice si riferisce alla necessità di non separare il bambino dalla madre sottraente, considerato come sarebbe contrario al suo superiore interesse patire le conseguenze sanzionatorie dell’illecito commesso dalla madre, ma in questo caso l’organo decidente non era il giudice del ritorno (ossia l’autorità del luogo di rifugio), ma il giudice del luogo di residenza abituale, chiamato a “riscrivere” il provvedimento di non ritorno del giudice spagnolo ex art. 11.6 del regolamento “Bruxelles II bis”. Si tratta, quindi, dell’autorità che, lungi dall’operare un giudizio sommario, è chiamata a valutare in concreto il superiore interesse del minore, potendo addivenire ad una decisione nel merito del diritto di affidamento.

Questo orientamento, non ancora consolidato ma in espansione nella giurisprudenza di legittimità, si mostra debole per almeno due ordini di ragioni. In primis, la dicotomia tra regola (ritorno del minore) ed eccezione (cause ostative al rimpatrio) appare supportata, a livello di scelta normativa, dal principio del superiore interesse del minore. In particolare, proprio la tutela dei diritti fondamentali del fanciullo giustifica la presunzione per cui il ritorno del minore rappresenta la migliore soluzione possibile ai casi di legal kidnapping: l’automatismo del ritorno, se tempestivamente deciso nello spirito della Conv. Aja 1980 e del regolamento “Bruxelles II bis”, consente di ridurre il trauma psichico che comunque il minore ha già patito a causa del suo trasferimento illegittimo. Lo stesso impianto normativo, sempre in considerazione del superiore interesse, statuisce quei casi in cui, viceversa, il ritorno del

172 Sul punto vedi, N. Di Lorenzo, “Il superiore interesse del minore sottratto supera l’applicazione della Convenzione dell’Aja 1980”, contributo in fase di pubblicazione in Diritto della famiglia e delle persone.

117 minore aggrava le conseguenze del trauma della sottrazione illegittima, con ciò pregiudicando ulteriormente il suo sviluppo psicofisico. Orbene, tale dicotomia si fonda sul principio del superiore interesse per cui appare contrario all’intenzione del “legislatore” internazionale utilizzare il principio del best interests of child per riscrivere i contenuti della normativa internazionale. Si tratta, in conclusione, di un’operazione ermeneutica non supportata da alcun dato testuale normativo, pertanto confutabile circa la sua ammissibilità.

In secondo luogo, il giudizio per il ritorno del minore è necessariamente un procedimento sommario, cioè non di cognizione piena, per cui la rigida interpretazione delle cause ostative al rimpatrio si giustifica proprio in ragione alla necessità di pervenire ad una decisione celere, ancorchè sommaria. L’interesse superiore del minore, nella sua dimensione a lungo termine, deve essere oggetto di un giudizio di merito, a cognizione piena, devoluto, espressi verbis, al giudice naturale della prole (il giudice del luogo di residenza abituale prima dell’illegittimo trasferimento) che rappresenta l’autorità che meglio può pervenire ad una decisione nel merito della cura del minore. Ne deriva come, riconoscere un ampio potere discrezionale al giudice del luogo di rifugio, volto a determinare cosa sia nell’interesse del minore a lungo termine, viola l’impianto convenzionale e la tutela del diritto fondamentale a non essere distolti dal proprio giudice naturale. Inoltre, si ingenera una indebita confusione tra giudizio sommario e giudizio di merito173.

A parere di chi scrive, pertanto, l’indirizzo giurisprudenziale da ultimo emerso non può essere condivisibile, per le ragioni testè analizzate, oltre che per il rischio di attribuire ai giudici di merito la possibilità di utilizzare una clausola generale come quella del superiore interesse del minore, che potrebbe determinare un’eccessiva discrezionalità in capo al giudice del caso concreto, con un’eterogeneità di decisioni che pregiudica la tenuta e la credibilità del sistema internazionale a tutela del minore sottratto.

5. I diritti processuali del minore sottratto: il diritto a essere parte del

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