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La problematica organizzativa

CRISI FINANZIARIA:FINE DI UN MECCANISMO FINANZIARIO DEVIATO

1. La problematica organizzativa

L’interesse per la problematica organizzativa della banca è conseguenza del crescente dinamismo del contesto istituzionale e competitivo.

Con riferimento al mercato bancario italiano, lo stesso, dalla legge bancaria del ’36 alla seconda metà degli anni ’80 ha vissuto in un contesto di “serenità normativa” e “quiete competitiva”. Nel senso che, la specializzazione temporale, operativa e istituzionale aveva creato dei segmenti di mercato (per prodotto e area geografica) dove all’interno sia gli istituti di credito sia le aziende di credito vivevano in una situazione di monopolio o oligopolio. Con il venir meno di tali condizioni, come vedremo nel prossimo paragrafo, e a seguito del nuovo assetto normativo le banche hanno ridefinito le loro strategie ed hanno adottato modelli istituzionali e organizzativi per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

In conseguenza di ciò gli studiosi degli intermediari finanziari negli ultimi ventanni hanno dato il loro contributo nel fornire modelli e soluzioni di tipo pescrittivo.

In sostanza,si sono sviluppati due approcci di analisi della strategia e dell’organizzazione della banca.

Il primo approccio, il c.d. approccio positivista, il più remoto, permea il paradigma ambiente-strategia-organizzazione. Tale paradigma si pone al centro della progettazione organizzativa della banca, a seguito dell’evoluzione del contesto ambientale (normativo e competitivo) e delle strategie. Evidenziando la contrapposizione tra l’aumento della competitività

dei mercati e la ricerca di linee di sviluppo basate sulla crescita dimensionale e sulla diversificazione (Bavarelli M., 2001). L’approccio positivista è da ricondursi tipicamente alla strategia di portofoglio, cioè alla opzione tra specializzazione e diversificazione.

Nel corso degli anni, seguendo proprio la crescente complessità operativa dell’attività bancaria, dovuta alla crescita dimensionale e all’aumento dei prodotti e servizi offerti ha portato alla necessità di suddividere le linee di business (corporate, retail, private). Con ciò è cambiata l’ottica di osservazione, spingendo l’analisi strategica ed organizzativa da una vista complessiva macro-strutturale della banca ad una osservazione che permette di cogliere un determinato modello per quel specifico business.

In questo caso l’approccio è costruttivista. Tale approccio tende ad identificare le logiche di funzionamento che spiegano la sopravvivenza e lo sviluppo dell’impresa bancaria, questo implica che lo studioso si pone non all’esterno ma all’interno dell’istituzione finanziaria, guardando con gli “occhi” e ragionando con la “mente” degli attori dei processi gestionali degli intermediari (Bavarelli M., 2001)

Nel corso degli anni, si è cercato di verificare l’applicabilità al settore bancario dei modelli organizzativi concepiti e sviluppati dalle imprese non finanziarie, ciò in ragion del fatto che le teorie organizzative da cui traggono spunto i modelli di progettazione risalgono in gran parte all’esperienza organizzativa del settore industriale, il quale ha sperimentato molto tempo prima la necessità del cambiamento rispetto al settore bancario.

1.1. La normativa

Il processo di trasformazione del settore bancario italiano, trova la sua origine nelle modifiche del macroambiente che si sono andate manifestando a partire dagli anni ’80.

In quegl’ anni, hanno incominciato ad operare una serie di forze di cambiamento che hanno influenzato il modus operandi degli intermediari finanziari in generale. Possono essere identificate in: globalizzazione dei

mercati finanziari, progresso tecnologico, disintermediazione dell’attività bancaria e nel mutamento del carattere normativo connesso al processo di integrazione comunitaria (Birindelli G., Cappiello A., 2002).

Fino a quegl’ anni, il modello dominante era costituito dalla “banca istituzione”, cioè un’organizzazione che conseguiva le proprie finalità attraverso l’applicazione di principi e tecniche consolidate. Ciò in un quadro caratterizzato da una sostanziale stabilità, nonchè dal prevalere di condizioni da “mercato del venditore”, fissate e garantite dalla regolamentazione (Giannini M., 2001). Con il progressivo venir meno di queste condizioni, il modello di riferimento diventa quello della “banca impresa”, cioè di una organizzazione la cui sopravvivenza e il cui sviluppo dipendono dalle proprie autonome e originali capacità di affrontare e superare le sfide di un ambiente di mercato sempre più dominato dalla competizione (Scott W.G., 1995; Giannini M., 2001).

La sostanziale stabilità prima accennata è stata determinata dalla legge bancaria del 1936.

La legge di “Riforma bancaria” si forma in un periodo storico difficile, segnato dalle precedenti crisi bancarie12 e in special modo dalla crisi del ’29. Essa mantenne il suo carattere centrale e di riferimento fino all’emanazione del Testo Unico in materia creditizia e bancaria, avvenuta con il d.lgs n.385 del 1 settembre 1993, entrato in vigore all’inizio del 1994.

I principali e fondamentali criteri ispiratori della suddetta legge furono:  la natura pubblica dell’attività bancaria. Il primo comma del primo

articolo recita: “La raccolta del risparmio fra il pubblico sotto ogni

forma e l’esercizio del credito sono funzioni di interesse pubblico...”;

 l’unicità del controllo prima ripartito tra vari organi ministeriali ed ora sotto quello che poi sarà chiamato Comitato Interministeriale per il

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La crisi degli anni ’20 colpì numerose banche ed in particolarele tre banche d’interesse nazionale (BIN)(Caparvi R., 2002). Secondo il secondo comma dell’art.25 della legge bancaria del ’36 sono BIN “..quelle che, costituite nella forma di società per azioni ed aventi una vasta organizzazione di carattere nazionale, siano riconosciute tali con decreto del presidente della Repubblica promososso dal ministero per il tesoro. Non può essere riconosciuta tale qualifica alle banche che non abbiano stabilito filiali in almeno trenta provincie”.

Credito ed il Risparmio(CIRC), presieduto dal Ministro del tesoro con la partecipazione di diritto del Governatore della Banca d’Italia;

 l’elasticità della norma;

 la separazione tra credito ordinario e credito speciale, nel senso che alle aziende di credito veniva riservato l’esercizio del credito a breve mentre ad istituti di credito quello del medio e lungo termine (Caparvi R., 2002).

L’elemento fondamentale su cui s’imperniava l’organizzazione creditizia e su cui essenzialmente si basava il nostro ordinamento bancario, fu senza dubbio il “termine”: tra la raccolta del risparmio ed gli impieghi doveva esserci un perfetto sincronismo (Renzi A., 1960).

La legge bancaria fu senza dubbio una riforma necessaria, in rapporto agli effetti devastanti e destabilizzanti della crisi degli anni trenta ( Caranza C., Frasca F., Toniolo G., 1986; Giannini M., 2001) contribuendo a risolvere i problemi immediati.

Purtroppo, la ricerca di stabilità ha significato, uno stretto controllo da parte delle Autorità creditizie e la limitazione della concorrenza13. Ciò si è tradotto in una scarsa attitudine all’innovazione, soprattutto di prodotto, e scarsa attenzione ai costi, quindi scarsa efficienza.

La svolta per il sistema bancario italiano avvenne con il recepimento della prima direttiva comunitaria14 77/780/CEE in materia creditizia con l’emanazione del D.P.R. del 27 giugno 1985 n.350.

Il D.P.R. 350/1985 si poneva in pieno contrasto con la legge del ’36 in quanto dava all’attività bancaria una qualificazione imprenditoriale15 e liberandola dal connotato pubblicistico sancito nell’art.1 della “Riforma bancaria”(’36). Inoltre, ha eliminato uno dei fattori che limitavano la concorrenza e cioè la

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Sin dalla formulazione della “Riforma bancaria” del ’36, le autorità hanno impedito l’introduzione di un modello concorrenziale per il mercato bancario, nella convinzione che un mercato basato su regole competitive non sarebbe stato in grado di garantire la stabilità del sistema.

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Direttiva 77/780/CEE relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l'accesso all'attività degli enti creditizi e il suo esercizio; successivamente abrogata dall’art.67 della direttiva 2000/12/CE.

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Infatti il comma 1 dell’art. 1 del D.P.R 350/1985 recitava: “L'attività di raccolta del risparmio fra il pubblico sotto ogni forma e di esercizio del credito ha carattere d’impresa, indipendentemente dalla natura pubblica o privata degli enti che la esercitano”.

discrezionalità delle autorità di controllo nel concedere l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria: non potevano più rifiutare l’autorizzazione per “esigenze economiche di mercato”, ma dovevano limitarsi alla verifica delle condizioni oggettive richieste16.

La tendenza verso un mercato bancario concorrenziale ha trovato conferma nella legge 10 ottobre 1990 n° 287 (legge Amato), che ha sottoposto anche gli enti creditizi alle norme per la tutela della concorrenza (Giannini M., 2001). Altre leggi sono state emanate nel 1990.

Il legislatore con la legge Amato e con il d.lgs n° 356 del 20 novembre 1990 ha consentito alle banche pubbliche di adottare la forma delle società per azioni e di effettuare “...trasformazioni ovvero fusioni con altri enti creditizi di qualsiasi natura..”, quindi ha concesso agli enti creditizi pubblici la possibilità di partecipare ad operazioni di concentrazioni, non soltanto nell’ambito pubblico, ma anche in quello privato. Inoltre il d.lgs 356/1990, ha disciplinato il gruppo bancario polifunzionale. In realtà, l’organizzazione di gruppo era già diffusa in quanto negli anni ’80 le banche si erano inserite nel mercato finanziario non bancario, acquisendo partecipazioni di controllo in società finanziarie, di factoring , di leasing ecc.

L’ulteriore spinta all’apertura del mercato bancario italiano e quindi ad una maggiore concorrenza, è avvenuta con il d.lgs n°481 del14 dicembre 1992 che ha recepito la seconda direttiva comunitaria in materia bancaria17. La suddetta direttiva mirava ad una armonizzazione delle condizioni necessarie per esercitare l’attività bancaria. Inoltre affermava la libertà di stabilimento e di prestazioni nei Paesi europei adottando il principio del mutuo riconoscimento.

Il d.lgs 481/1992, ha rappresentato un momento decisivo per il cambiamento dell’operatività degli Enti creditizi consentento loro di strutturare il proprio

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Il comma 2 dell’art.1 del D.P.R 350/1985 stabiliva che l’autorizzazione all’attività bancaria doveva essere rilasciata dalla Banca d’Italia in presenza di determinate condizioni:l’esistenza di un capitale minimo o di un fondo di dotazione a seconda della forma giuridica dell’impresa bancaria; possesso da parte dgli amministratori , direttori e controllori di requisiti di esperienza adeguata all’attività e requisiti di onorabilità; presenza di un programma dell’attività che si intende svolgere e struttura organizzativa dell’ente.

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Decreto legislativo 481/1992 emanato in attuazione della direttiva 89/646/CEE, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative regolamentari e amministrative riguardanti l’accesso all’attività degli enti creditizi e il suo esercizio e recante modifica della direttiva 77/780/CEE.

assetto organizzativo secondo il modello di gruppo polifunzionale o in alternativa, di banca universale (Natale E., Schiavetti E., 1994).

È necessario evidenziare che la normativa comunitaria, prevedeva per la banca universale un’operatività prevalentemente focalizzata all’intermediazione creditizia. Infatti, le attività di gestione dei fondi comuni d’investimento, quelle di negoziazione nel mercato azionario18, e quelle assicurative vanno escluse dall’operatività della banca universale.

Tutto il percorso normativo fin qui delineato sfocia nel Testo Unico in materia bancaria e creditizia, emanato con d.lgs del 1 settembre 1993.

Nel Testo Unico sono state riscritte e coordinate le innumerevoli norme esistenti in materia bancaria; un’opera di snellimento, in quanto la normativa ridisegnata contiene solo 162 articoli, a fronte degli oltre 1350 articoli contenuti nei 130 provvedimenti della legislazione previgente (Birindelli G., Cappiello A., 2002). I principi fondamentali su cui è stato costruito il nuovo ordinamento sono essenzialmente: la natura imprenditoriale dell’attività bancaria; la despecializzazione della medesima; l’adozione per gli intermediari creditizi del modello concorrenziale e la neutralità della vigilanza. Riguardo alla despecializzazione esso si esplicità in tre forme:

 despecializzazione istituzionale, elimina i ruoli differenti in rapporto alla rispettiva localizzazione (ad es. gli istituti di credito di diritto pubblico: Banco di Napoli, Banco di Sicilia, BNL, MPS e l’istituo bancario San Paolo di Torino) ed alla segmentazione di clientela (casse di risparmio o casse rurali ed artigiani). Inoltre sono scomparse le numerose categorie giuridiche a favore dei modelli della società per azioni (SpA) e delle società cooperative a responsabilità limitata (SCARL);

 despecializzazione temporale, permette alle banche di operare indistintamente nel mercato del credito sia a breve sia a medio-lungo termine;

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La negoziazione nel mercato azionario era un’attività “riservata” alle SIM per permettere lo sviluppo di tale mercato ma successivamente tale riserva di attività venne abolita (Quirici M. C., 2002).

 despecializzazione operativa,viene di fatto eliminato il concetto di specializzazione settoriale (ad es. credito agrario, credito mobiliare e industriale ecc.) e di forma tecnica (credito fondiario), ampliando le possibilità gestionali delle banche sul frontedella raccolta e degli impieghi.

Il principio della despecializzazione temporale fu importante, perchè rese possibile l’introduzione nel nostro ordinamento, del modello organizzativo della banca universale.

È necessario precisare che tale modello organizzativo è stato ad appannaggio delle sole aziende di credito. Per gli istituti di credito speciale la possibilità di operare come banche universali è apparsa, nella maggior parte dei casi, abbastanza remota, per l’assenza delle competenze necessarie dell’attività bancaria a 360° nonchè di una autonoma rete sportellare. Questi istituti confluirono nei gruppi bancari polifunzionali, ciò consentì loro di mantenere le caratteristiche di specializzazione e di valorizzare le competenze maturate nel settore (Bruno E., 2004).

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