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Problematiche nell’apprendimento cosciente delle nuove tecnologie

“CONDIVIDERE LA PROPRIA STORIA”

1.6 Problematiche nell’apprendimento cosciente delle nuove tecnologie

Come Petrucco e De Rossi26 ci ricordano, è interessante notare come il movimento del Digital Storytelling sia nato all’inizio degli anni Novanta, nello stesso periodo di diffusione e commercializzazione capillare di strumenti multimediali dal costo accessibile (videocamere, registratori, PC) e soprattutto in contemporanea con la diffusione di internet.

Il lavoro dei pionieri di questo campo, dunque, ha potuto dimostrare come le

stesse tecnologie che hanno creato distanza e frammentazione potevano

essere usate in modi nuovi per ri-connettere, creare nuovi legami, sentirsi partecipi di una comunità.

Come suggerisce Manovich27, si è venuta a creare una situazione propria della nostra età moderna, per cui l’Uomo è più povero di alcuni elementi costitutivi della propria identità culturale. Ciò è imputabile ad una mole di informazione

troppo grande ed un numero troppo esiguo di narrazioni in grado di integrarla, dove invece le culture tradizionali ed antiche avevano fiorenti

narrazioni e minore informazione.

Lambert, data la situazione odierna di massificazione informativa, sostiene la necessità di un processo di “re-storification”, una ristoricizzazione che sia insieme una ristorazione della narrazione ed un reinserimento di essa nelle nostre vite che ne sono troppo povere, una mancanza che minaccia di farci

perdere la nostra identità a più livelli.

26

Petrucco C. e De Rossi M., “Narrare con il Digital Storytelling nella scuola e nelle

organizzazioni”, cfr. Bibliografia p. 146.

27

Il ruolo della scuola, in questo contesto, è molto importante. È sicuramente vero che le nuove generazioni sono costituite da nativi digitali28, che hanno una competenza istintiva e familiarità con le nuove tecnologie, cosa che anche solo vent’anni fa era un’utopia: i media, soprattutto i più moderni, come le reti ed internet, erano accessibili a pochi e necessitavano – anche per gradi minimi di interazione – formazioni specifiche ed approfondite.

Un nativo digitale, nella sua formazione, nei momenti critici della propria crescita (anagrafica quanto personale), si troverà (ed anzi, già si trova quest’oggi) ad affrontare sfide diverse da quelle delle generazioni precedenti. E fino a qui, nulla di nuovo: ogni generazione deve affrontare problemi nuovi, e ciò giustifica in parte le avvisaglie di incomunicabilità tra le diverse generazioni ed i conflitti della crescita.

Il punto è che chi è cresciuto scoprendo i nuovi media, li ha visti evolversi dalle loro forme seminali, ha avuto modo di conoscerli in modo più

approfondito, usarli e studiarli durante le loro evoluzioni.

Trovarsi immersi nelle nuove tecnologie può essere un’arma a doppio taglio: la facilità nell’uso e la relazione spontanea con strumenti informativi e

tecnologici moderni, fa da contraltare a lacune pericolosissime nella comprensione, lacune che possono sicuramente portare ad un uso passivo, non partecipato, incosciente dei media.

Tutti siamo autori, tutti siamo connessi e tutti ci relazioniamo con i nuovi media, persino ragazzini delle scuole elementari e medie che sanno benissimo come fingere di avere l’età necessaria per utilizzare servizi internet dedicati ad un pubblico più adulto (che può e deve prendersi la responsabilità dei contenuti che produce e condivide), un bambino usa le nuove tecnologie e gli strumenti di quest’oggi spesso senza l’educazione necessaria per comprenderli ed

utilizzarli in modo proficuo.

Per questo tecniche e strategie formative che usino il Digital Storytelling

come “testa di ponte didattica” possono avere successo e sicuramente

possono tornare utili.

28

Gasser U., Palfrey J., “Born Digital - Connecting with a Global Generation of Digital

La scuola può, ma non dovrebbe soltanto favorire l’acquisizione da parte degli studenti di specifiche competenze ed abilità mediali per poterli rendere utilizzatori esperti, c’è dell’altro.

Pensiamo ad un professore odierno dotato di una salda e profonda formazione tradizionale, per quanto preziosa ed approfondita, non potrà convertirla in una “versione” adatta ad integrare nel suo insegnamento quello dei nuovi media ed un’educazione capillare al loro utilizzo.

Non si possono convertire le conoscenze tacite acquisite in una vita di studi e le tecniche didattiche affinate in una vita di insegnamento in forme nuove di insegnamento pluridisciplinare intriso di media literacy.

Tralasciando che è più probabile che sia un alunno (di qualsiasi anno della scuola dell’obbligo) ad avere maggiore dimestichezza del professore con un dato software che dovrebbe imparare ad usare a scuola, il corpo docente – e spesso senza colpa – non può essere composto da figure professionali in grado di riassumere in sé stesse sia l’insegnante tradizionale col suo bagaglio insostituibile sia il tecnico/tutor esperto di linguaggi multimediali e strumenti informatizzati.

L’obbiettivo è poter insegnare a scuola, coi giusti mezzi e le giuste strategie, non solo ad usare uno strumento, ma a comprenderlo in modo profondo.

Senza togliere spazio alla formazione tradizionale, così preziosa e sempre più indegnamente depauperata da delibere quantomeno discutibili e dai risultati inadeguati, in un processo asintotico e davvero graduale di miglioramento dell’insegnamento, gli alunni dovrebbero acquisire capacità che li rendano

fruitori autonomi e più consapevoli, ma anche in grado di diventare ri-

mediatori di conoscenze.

Gli alunni dovrebbero essere istruiti per diventare autori coscienti e

preparati, che sappiano produrre non solo progetti su cui essere valutati, ma

prodotti da uno spessore emotivo forte e formante per loro stessi.

Un obbiettivo così ambizioso sarebbe di certo più probabilmente raggiungibile affiancando nuove figure professionali a quelle essenziali di sempre.

Nessun pianificatore di strategie didattiche efficaci degno di questa designazione potrebbe mai pensare di tagliare o ridurre la struttura scolastica classica, già programmaticamente e progressivamente impoverita di contenuti, expertise e professori della scuola dell’obbligo all’altezza di standard ormai perduti. Piuttosto, per arricchire l'’offerta didattica, si può pensare a strade migliori da percorrere ed il DST può essere una di queste.