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3.9 – PROBLEMI POLITICI, DI LEGISLAZIONE E DI COMUNICAZIONE: LE BARRIERE NON TECNICHE

E NON ECONOMICHE

Le politiche energetiche italiane, in particolare le politiche relative alle fonti rinnovabili e all‟efficienza, si sono dunque focalizzate sugli aspetti tecnologici e sugli aspetti relativi ai meccanismi di incentivazione e di sostegno economico.

Questi elementi, e in particolare il livello degli incentivi economici, come emerge anche da studi comparati condotti su scala internazionale (IEA, 2007), non riescono però da soli a spiegare “il ritardo relativo dell‟Italia rispetto agli altri paesi, in particolare quelli che si sono affacciati sulla scena dello sviluppo delle fonti rinnovabili successivamente all‟Italia” (Fonte: Ambiente Italia 2008”).

Il ritardo nello sviluppo di queste fonti appare attribuibile più correttamente al permanere di un insieme di barriere “non tecniche” e “non economiche”.

L‟analisi della strumentazione delle politiche energetiche nazionali dovrebbe quindi considerare in particolare:

- La coerenza intrinseca delle misure e delle politiche di settore; - La coerenza tra politiche nazionali e locali;

- L‟implementazione delle regolamentazioni e degli strumenti gestionali attuativi delle politiche e delle normative;

- La disponibilità di risorse economiche e tecniche e la capacità di erogazione; - La resistenza opposta, sia a livello sociale che amministrativo, alla

realizzazione effettiva degli impianti basati sulle fonti rinnovabili, anche attraverso un uso improprio degli strumenti di pianificazione e valutazione di impatto ambientale.

L‟attuazione delle politiche di incentivo sul CIP6, sui Certificati Verdi e sui Titoli di efficienza energetica, prima di tutto, ha mostrato in maniera evidente come la mancanza di coerenza intrinseca delle misure (l‟introduzione delle fonti assimilate nel CIP6 e la fragilità di alcune norme tecniche nei Titoli di efficienza energetica) abbia determinato distorsioni e inefficienze, generando peraltro forti costi per i consumatori a vantaggio di un ristretto nucleo di produttori e distributori.

Come è avvenuto in altri settori ambientali e in genere caratterizzati da una forte rilevanza della normativa tecnica, anche nel settore delle rinnovabili e dell‟efficienza energetica vi è stata e vi è tuttora una marcata dilatazione (o addirittura assenza)

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dei tempi di implementazione della regolamentazione tecnica necessari all‟effettiva applicabilità delle norme.

E‟ significativo il processo di implementazione della Direttiva Europea sulle fonti rinnovabili, emanata nel 2001 e recepita dall‟Italia con un ritardo di oltre due anni, nel 2003.

Il Decreto Legislativo 387 del 29 dicembre 2003 prevedeva l‟emanazione di ben 18 atti necessari per l‟operatività del decreto stesso. In particolare erano necessari 8 decreti inter-ministeriali (con il concerto di 3 diverse amministrazioni), 2 proposte ministeriali (sempre di concerto tra 3 diversi ministeri), 5 delibere dell‟Autorità per l‟Energia, 2 delibere tecniche da emanarsi da parte dei gestori di rete e una delibera della Conferenza unificata delle Regioni. A due anni dall‟approvazione del Decreto Legislativo risultavano conclusi solo 8 atti su 18. A distanza di 4 anni mancavano ancora alcuni atti di importante rilevanza (l‟incremento della quota d‟obbligo, l‟individuazione degli obiettivi nazionali per fonte e per regione, la definizione di una procedura unica semplificata che sostituisca le diverse discipline regionali).

Un impatto rilevante, in relazione all‟attuazione delle misure di efficienza, riveste il ritardo con cui si procede all‟emanazione della normativa tecnica sulla certificazione energetica degli edifici o alla risoluzione di alcune incoerenze residue nella normativa sulla solarizzazione degli edifici di nuova costruzione.

Un secondo aspetto particolarmente critico attiene “all‟incoerenza tra gli obiettivi adottati in settori diversi della amministrazione statale e nella stessa legislazione. Una dialettica (e quindi una divergenza) tra settori dell‟amministrazione che governano e tutelano interessi diversi appartiene evidentemente alla fisiologia delle politiche e delle amministrazioni” (Fonte: “Ambiente Italia 2008”).

Nel contesto delle politiche energetiche e per il clima si manifesta però un contrasto interno alle stesse strutture e agli stessi obiettivi di tutela ambientale. Per esempio, sia per gli impianti eolici sia per quelli a biomasse o idroelettrici (e in forma meno evidente anche per gli impianti solari) importanti barriere di tipo normativo o amministrativo vengono frapposte sulla base di obiettivi di tutela ambientale o paesaggistica.

Il decreto, proposto dal Ministero dell‟Ambiente e approvato dalla Conferenza Stato-Regioni, che stabilisce norme assai limitanti per l‟inserimento di parchi eolici nei Siti di Importanza Comunitaria (Sic) e Zone a Protezione Speciale (Zps), equivale sostanzialmente a inibire la realizzazione di nuovi impianti eolici (e il potenziamento di quelli esistenti) su una superficie pari al 19% del territorio nazionale e che, in parti importanti, si sovrappone proprio alle aree idonee sotto il

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profilo delle condizioni meteo. Si tratta, in questo come in altri casi, di un‟interpretazione estensiva di obiettivi di tutela anche per aree dove i beni da tutelare non sono minacciati dalla eventuale realizzazione di parchi eolici.

In terzo luogo, una barriera “non tecnica” è costituita dalla mancanza di un‟armonizzazione e coerenza tra obiettivi politico-normativi e azione di gestione e regolazione da parte di autorità indipendenti, come l‟Autorità per l‟Energia o il Gestore di Rete. Le regolamentazioni relative alla gestione dei flussi di energia sulla rete e le regole per il collegamento alle reti e le modalità di ritiro dell‟energia sono state oggetto di un lungo contenzioso e causa di forti ritardi nell‟operatività di nuovi impianti. Un tema particolarmente critico è stato (e in parte resta, anche se in forme meno eclatanti) quello relativo alle limitazioni del criterio di priorità di dispacciamento per le fonti rinnovabili in funzione delle esigenze di programmabilità dell‟offerta di energia.

In quarto luogo, “un‟imponente barriera è rappresentata dalla limitatezza dell‟offerta di servizi di assistenza tecnica e dall‟esistenza di pregiudizi o scarsa informazione presso gli operatori intermedi che propongono al pubblico finale servizi di efficienza energetica o impianti rinnovabili (architetti, ingegneri, geometri, termotecnici, installatori). Queste figure intermedie, sia di tipo professionale che artigiano, rappresentano infatti il tramite reale per la diffusione di innovazioni e tecnologie e anche per la stessa conoscenza delle opportunità di incentivi o vantaggi fiscali (come nel caso di ristrutturazioni edilizie). La creazione, in genere attraverso fondi europei, di agenzie locali per l‟energia non ha –tranne singoli casi di successo- prodotto esiti positivi, e tali strutture hanno spesso cessato la loro esistenza allo scadere dei contributi comunitari, senza divenire un agente sostitutivo o integrativo della rete di professionisti e artigiani” (Fonte: “Ambiente Italia 2008”).

Infine, un nodo politico e istituzionale cruciale è quello dei rapporti tra Stato e Regioni e più in generale tra Stato ed enti locali. La prevalenza di una dimensione competitiva e conflittuale sulla dimensione cooperativa appare non fisiologica ed è stata aggravata anche da una riforma istituzionale delle competenze che ha definito un quadro di prerogative incompatibile con l‟esigenza di politiche certe.

La relazione finale dell‟analisi conoscitiva del Senato sulle politiche per i cambiamenti climatici del 2007 riassume con efficacia il nodo delle competenze territoriali e le critiche emerse sulla scarsa capacità delle regioni di essere protagoniste di politiche energetiche coerenti e di azioni convergenti con gli obiettivi di cambiamento delle emissioni climalteranti.

“A questo riguardo –scrive la relazione della commissione ambiente del Senato- è evidente la necessità di una corresponsabilizzazione delle regioni. E‟ infatti oramai indispensabile e non più procrastinabile la costruzione di un quadro istituzionale

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unitario, capace di garantire certezza ai potenziali investitori e di indirizzarne le scelte e i comportamenti verso l‟attivazione e l‟alimentazione di un circolo virtuoso di responsabilità ambientale”.

Il contrasto di competenze tra Stato e Regioni è uno dei fattori (non il solo, forse neanche il principale) all‟origine dei ritardi nell‟attuazione di importanti normative tecniche, la cui competenza è disputata.

Ma “il contrasto di competenze si esprime soprattutto nella resistenza posta contro l‟adozione di politiche energetiche e territoriali e a conseguenti comportamenti amministrativi nell‟ambito della gestione della produzione da fonti rinnovabili” (Fonte: Ambiente Italia 2008”).

“Questa riflessione –aggiunge la stessa relazione prima citata- è tanto più necessaria quanto più si abbiano chiare le difficoltà imposte dalla farraginosità delle procedure autorizzative nelle quali si imbattono quotidianamente le società che sono disposte a investire capitali privati per la realizzazione di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili.”

Un importante passaggio in direzione di una maggiore responsabilizzazione sarebbe stato determinato dall‟applicazione, finora elusa, di quanto previsto anche dal Dlgs 387/2003 sulla definizione di obiettivi regionali per le fonti rinnovabili. Questo tema è stato riproposto dalla finanziaria 2008 prevedendo una ripartizione fra le Regioni della quota di minima di incremento delle rinnovabili, imponendo alle Regioni di adeguare i loro piani e programmi a tali obiettivi e prevedendo infine, nel caso di inadempienza regionale, di provvedere con commissari ad acta.

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