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Il procedimento sanzionatorio delle Autorità indipendenti e le deroghe rispetto alla disciplina generale

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10. Il procedimento sanzionatorio delle Autorità indipendenti e le

deroghe rispetto alla disciplina generale

L

ETTERIO

D

ONATO

SOMMARIO:1. La specificazione della disciplina generale.- 2. La clausola di salvezza delle discipline speciali: deroghe alla disciplina generale.- 3. L’inapplicabilità della disciplina generale e l’antinomia apparente tra quest’ultima e la disciplina speciale.- 4. L’adattamento interpretativo della disciplina generale: il caso del termine per la notifica della contestazione degli addebiti.

1. La specificazione della disciplina generale.

Il procedimento di irrogazione delle sanzioni pecuniarie delle Autorità indipendenti presenta tratti differenziali rispetto a quello disciplinato in generale dalla l. n. 689/1981 in tema di sanzioni amministrative.

A determinare e giustificare gran parte di tali differenze è la dimensione “regolatoria” [su cui cfr., infra, il contributo di TRIMARCHI] che caratterizza il sistema delle sanzioni irrogate dalle Autorithies [CERBO (1), 2006, 5426 ss.] riflettendosi sulla dinamica procedimentale.

Tanto premesso, va osservato che il rapporto tra i procedimenti sanzionatori delle Autorità indipendenti e il procedimento descritto dalla l. n. 689/1981 è multiforme.

In alcuni casi, infatti, la disciplina speciale si inserisce nel solco tracciato dalla disciplina generale, che non viene in alcun modo derogata; in altri, la disciplina speciale deroga, invece, espressamente alla disciplina generale; altre volte, ancora, presenta aspetti di incompatibilità con quest’ultima.

Uno dei principali ambiti in cui la disciplina di settore si inserisce nel solco di quella generale, limitandosi ad apportare alcune specificazioni, è quello dei criteri di quantificazione delle sanzioni [su cui cfr., in questo lavoro collettaneo, il contributo di COLAPINTO].

Ed infatti, benché le disposizioni generali in materia trovino applicazione nei procedimenti speciali, anche se non espressamente richiamate [SANDULLI M.A., 2010, 14], la disciplina delle Autorità indipendenti indica criteri ulteriori per la determinazione delle sanzioni con l’obiettivo precipuo di limitare la discrezionalità dell’organo preposto ed, al contempo, adattare le generiche previsioni contenute all’art. 11 della l. n. 689/1981 alle specificità delle fattispecie sanzionate.

Un esempio è costituito dal comma 4 dell’art. 19-quater, d.lgs. n. 252/05 (Covip), il quale prevede che la sanzione deve essere commisurata alla potenzialità lesiva della violazione, alle qualità personali del colpevole e al vantaggio arrecato.

Tali criteri sono una specificazione di quelli previsti dall’art. 11, l. n. 689/1981 che, nel disciplinare la determinazione delle sanzioni amministrative, prescrive di avere riguardo alla gravità della violazione (che dovrà essere valutata in ragione della potenzialità lesiva), alla personalità dell’agente, all’attività da questi prestata (che dovrà valutarsi tenendo conto anche delle qualità personali e dell’attività che l’agente avrebbe dovuto concretamente prestare) e, infine, alle condizioni economiche del sanzionato (sulla cui valutazione incide il vantaggio conseguito grazie alla violazione).

Sotto la stessa luce possono essere letti i criteri individuati dall’art. 15 della l. n. 287/1990, che integrano quelli generali dettati dall’art. 11 della l. n. 689/1981 [SANDULLI M.A., cit., 15], o ancora le specificazioni contenute nella deliberazione dell’Aeeg del 2 ottobre 2008, ARG/com 144/08 (Tar Lombardia, Milano, sez. III, 7 febbraio 2013, n. 348).

Un ulteriore significativo esempio di specificazione dei criteri di commisurazione delle sanzioni si rinviene nelle « Disposizioni di vigilanza in materia di sanzioni e procedura sanzionatoria amministrativa », da ultimo dettate dalla Banca d’Italia, contenenti gli indici dai quali desumere la gravità della sanzione (Banca d’Italia, Disposizioni di vigilanza in materia di sanzioni e procedura sanzionatoria amministrativa, par. 1.6).

Le disposizioni cui si è fatto cenno si pongono tutte nel solco tracciato dall’art.11, molto spesso espressamente richiamato dalle normative di riferimento, e non costituiscono, dunque, alcuna deroga alla disciplina generale.

2. La clausola di salvezza delle discipline speciali: deroghe alla disciplina generale. Vi sono invece casi in cui la disciplina speciale contiene previsioni che si pongono apertamente in contrasto con quanto previsto dalla l. n. 689/1981: in tal caso opera la clausola di “salvezza” delle discipline speciali contenute all’art. 12 della legge generale [PELLIZZER – BURANELLO, 2012, 8], oltre che il generale criterio di specialità.

Tra le ipotesi di deroga più frequenti vi è il divieto di oblazione [CERBO (1), cit., 5429].

Per quasi tutti gli illeciti sanzionati dalle Autorità indipendenti è, infatti, previsto il divieto di applicare l’art. 16 della l. n. 689/1981 [ciò ad eccezione delle sanzioni indicate all’art. 193 del TUF per la violazione delle disposizioni sugli obblighi di comunicazioni delle partecipazioni rilevanti di cui all’art. 120, per le sanzioni comminate dal Garante per la privacy e per quelle irrogate dall’Agcom. Deve precisarsi,

tuttavia, che la giurisprudenza più recente, in relazione al procedimento sanzionatorio condotto da quest’ultima Autorità, in ragione della peculiare articolazione dello stesso, ed in particolare dalla prevista possibilità, per il soggetto sanzionato, di evitare la sanzione cessando il comportamento contestato, ha ritenuto irragionevole l’applicazione della disciplina di favore contenuta all’art. 16, affermando, anche in questo caso, il divieto di oblazione (Tar Lazio, Roma, sez. III, 4 novembre 2011, n. 8443)].

La ratio del divieto va rintracciata nella necessità di assicurare alla sanzione la capacità di dissuadere i potenziali trasgressori dal compimento di attività contrarie alle disposizioni normative. Ove si ritenesse applicabile l’art. 16, infatti, l’importo dell’oblazione, non essendo quantificato in ragione dei criteri individuati all’art. 11 della l. n. 689/1981, sarebbe prevedibile dai potenziali trasgressori, i quali potrebbero decidere di internalizzare i costi della sanzione, contravvenendo al precetto normativo tutte le volte in cui i ricavi concretamente realizzabili siano maggiori rispetto al costo dell’attività illecita calcolato tenendo conto dell’oblazione. Il legislatore, vietando l’oblazione, dunque, ha inteso evitare che un simile atteggiamento del trasgressore vanifichi la funzione afflittiva della sanzione e, ancor prima, quella di deterrenza [CLARICH, 2011, XXXI; CERBO (1), cit., 5424; SANDULLI M.A., cit., 5].

Ad una logica simile risponde anche la previsione, ricorrente nella legislazione speciale, di limiti edittali nella commisurazione della sanzione che superano quelli individuati dalla l. n. 689/1981 ( art. 10).

Trattandosi, infatti, di illeciti idonei a procurare ingenti vantaggi economici non quantificabili a priori, si è ritenuto opportuno riservare all’amministrazione un elevato grado di elasticità nella valutazione relativa all’ammontare della sanzione. Si pensi, ad esempio, alle sanzioni bancarie dove il limite massimo si attesta a cinquanta volte il minimo, all’ipotesi di condotte manipolative del mercato o ancora all’uso di informazioni privilegiate in cui la sanzione massima supere di 150 volte la sanzione minima.

La scelta del legislatore, dunque, anche in questo caso, è operata in funzione dell’effettività della sanzione [SANDULLI M.A., cit., 5].

L’evidente scostamento rispetto alla cornice edittale prevista dall’art. 10 l. n. 689/1981, sembra inoltre essere riconducibile alla previsione di infrazioni non compiutamente tipizzate, per sanzionare le quali il legislatore ha inteso lasciare alle Autorità indipendenti il potere di calibrare la sanzione irrogata in modo aderente alla violazione che concretamente è stata commessa. Va precisato che, nonostante la cornice edittale entro la quale è possibile determinare concretamente la sanzione sia particolarmente ampia, il rischio di qualsiasi arbitrio da parte delle Autorità indipendenti è scongiurato dall’operatività della disciplina di cui all’art. 11, l. n. 689/1981: sotto tale profilo, dunque, la deroga appare immune da critiche [BALDASSARRE, 2011, 514].

Un’ulteriore deroga espressa attiene al termine previsto, nei procedimenti sanzionatori condotti dalle Autorità indipendenti, per la notifica dell’atto di contestazione degli addebiti, che si differenzia rispetto a quello di 90 giorni individuato dall’art.14 della l. n. 689/1981.

Le discipline di settore individuano, infatti, un termine più lungo rispetto al termine generale (ad esempio il termine entro il quale la contestazione deve essere effettuata è doppio nel caso dell’art. 195 T.U.F. e dell’art. 45 del d.lgs. n. 93/ 2011, c. 5, è di 120 i giorni per i procedimenti condotti dall’Ivass (ex Isvap), è invece di 90 ai sensi dell’art. 145 del T.U.B.).

Tale scelta potrebbe essere giustificata dalla particolare complessità delle fattispecie contestate, tuttavia, deve rilevarsi che, come si dirà oltre (par. 4), le Autorità

indipendenti già godono di una interpretazione di favore in ordine alla decorrenza di detto termine, circostanza questa che, quindi, rende piuttosto complesso rintracciare la

ratio di siffatta deroga.

3. L’inapplicabilità della disciplina generale e l’antinomia apparente tra

quest’ultima e la disciplina speciale.

Accanto alle ipotesi di deroga alla disciplina generale, sin qui brevemente esaminate, vi sono ipotesi rispetto alle quali l’applicazione della disciplina speciale in luogo di quella contenuta nella l. n. 689/1981 non comporta alcuna deroga alle previsioni contenute in quest’ultima.

Per chiarire questo punto bisogna tener presente che la l. n. 689/1981 contiene una auto-limitazione del proprio ambito di applicazione. L’art. 12, infatti, esclude l’operatività del Capo I della medesima legge ove: 1) la sanzione amministrativa comminata non consista nel pagamento di una somma di denaro; 2) la sanzione comminata segua ad un illecito di natura disciplinare; 3) il quadro normativo delineato dalla disciplina sanzionatoria di riferimento non sia compatibile con quello delineato dalla l. n. 689/1981.

Occorre soffermarsi su quest’ultima ipotesi di auto-limitazione.

L’inciso « in quanto applicabili » contenuto all’art. 12 è stato oggetto di un’interpretazione non sempre univoca da parte della giurisprudenza.

Per un verso, essa ha rilevato, esattamente, che « il limite alla “vis espansiva” delle disposizioni di cui al capo I della legge n. 689/1981 non va individuato nella sua “compatibilità” con la singola fattispecie sanzionatoria, in relazione alle finalità di rilievo pubblico che a mezzo di essa si è inteso perseguire, ma si raccorda alla nozione di “applicabilità” del quadro normativo ivi prefigurato ».

Per altro verso, però, ha finito per individuare, quali indici della inapplicabilità della l. n. 689/1981, la natura non amministrativa dell'illecito, il carattere non pecuniario della sanzione, la non riconducibilità dell'illecito ad uno specifico codice di disciplina (Tar Lombardia, Milano, sez. III, 17 dicembre 2012, n. 3061, Tar Lombardia, Milano, sez. III, 11 marzo 2010, n. 573).

È del tutto evidente che l’individuazione di questi indici comporta un’abrogazione implicita della clausola secondo cui le disposizione contenute nella l. n. 689/1981 si applicano in quanto compatibili.

Sembra, allora, preferibile ritenere che la l. n. 689/1981 sia inapplicabile in tutti quei casi in cui l’impianto complessivo delineato dalla normativa dettata per le sanzioni irrogate dalle Autorità indipendenti appaia incompatibile (strutturalmente o funzionalmente) con la disposizione contenuta nella legge generale, benché la sanzione irrogata abbia carattere pecuniario. Il parametro di riferimento è, quindi, rappresentato dal sistema sanzionatorio delineato dal legislatore a cui si applicano le singole disposizioni contenute nella l. n. 689/1981, lì dove queste si rivelino compatibili.

Aderendo a tale interpretazione, si ritiene che la clausola di salvaguardia prevista all'art. 12 operi in tutti i casi in cui una disposizione di legge (ovvero una fonte regolamentare da quest'ultima abilitata) rechi una disciplina puntuale del procedimento sanzionatorio affatto incompatibile rispetto a quella prevista in via generale dalla legge generale del 1981 (Cons. Stato, sez. VI, 21 gennaio 2013, n. 306).

In queste ipotesi, come si accennava, non pare si possa discorrere di deroga alla disciplina generale: l’antinomia è apparente, essendo la stessa l. n. 689/1981 ad

escludere la propria applicazione, in favore della disciplina incompatibile. Non si pone dunque né un problema di prevalenza della legge speciale su quella generale, né di prevalenza della legge sulle fonti di rango subordinato.

Le differenze procedurali che conducono alla incompatibilità tra la disciplina speciale e quella generale sembrano essere la diretta conseguenza della dimensione regolatoria che caratterizza anche i procedimenti sanzionatori condotti dalle Autorità indipendenti, la quale più che sulla funzione della sanzione [PELLIZZER – BURANELLO, cit., 12] sembra incidere sulla struttura del procedimento che conduce alla sua adozione.

L’esempio più significativo di un simile atteggiarsi del rapporto tra la l. n. 689/1981 e le discipline di settore va rinvenuto nell’incompatibilità che sussiste tra le norme generali che si occupano delle fasi procedimentali successive all’atto di contestazione degli addebiti e le norme che disciplinano le medesime fasi procedimentali davanti alle Autorità indipendenti.

In relazione a queste fasi, il modello procedimentale descritto per l’adozione degli atti sanzionatori di competenza delle Autorità indipendenti non sembra assimilabile al modello procedimentale dettato dalla l. n. 689/1981 che, come noto, ricalca quello del processo penale, ma, piuttosto, sembra ricalcare il modello del procedimento amministrativo generale.

In questo senso depongono diversi elementi.

In primo luogo, la possibilità che l’organo incaricato di svolgere l’istruttoria prosegua l’attività anche dopo la notifica dell’atto di contestazione degli addebiti, cui può seguire, in alcuni casi, un atto di integrazione delle contestazioni (Banca d’Italia). Il supplemento istruttorio può, inoltre, essere sollecitato dall’organo decidente e quindi condotto dopo che l’ufficio preposto abbia già formulato la propria relazione finale (Banca d’Italia, Disposizioni di vigilanza in materia di sanzioni e procedura sanzionatoria amministrativa, par. 1.5).

Tali facoltà si giustificano per la necessità di qualificare meglio i fatti che hanno dato avvio al procedimento di adozione dell’atto sanzionatorio avvalendosi della collaborazione dell’interessato nella ricerca di ulteriori elementi istruttori, collaborazione, peraltro, garantita dalla previsione di sanzioni a carico di chi ometta di fornire la documentazione richiesta o fornisca dati falsi (vedi Agcm; Consob; Banca d’Italia).

Appare significativo, inoltre, il richiamo al principio di leale collaborazione procedimentale contenuto nelle disposizioni in materia di « Sanzioni e procedura sanzionatoria », da ultimo adottate dalla Banca d’Italia, ma immanente in tutte le discipline speciali, dal quale emerge la funzione collaborativa, oltre che meramente difensiva, che si riconosce agli strumenti di partecipazione attivabili dinnanzi alle Autorità indipendenti.

Funzione, quest’ultima, particolarmente evidente in relazione all'audizione delle parti nel corso del procedimento, considerata funzionale all'acquisizione di elementi istruttori e non invece ad esigenze di difesa, come dimostrato dal fatto che il mancato svolgimento dell’audizione da parte dell’amministrazione non conduce necessariamente all’illegittimità del provvedimento sanzionatorio (Tar Lazio, sez. I, 22 marzo 2012, n. 2374).

Un ulteriore elemento a sostegno della tesi prospettata è costituito dalla facoltà del soggetto incolpato di interloquire solo con l’organo incaricato di svolgere l’istruttoria e non anche con quello cui è affidata la decisione finale.

Ciò rende il contraddittorio nei procedimenti sanzionatori condotti dalle Autorità indipendenti strutturalmente diverso da quello previsto in via generale dagli articoli 7 e 10, l. 7 agosto 1990, n. 241 [GRASSO, 2011, 409].

A differenza di quanto previsto all’art. 18 della l. n. 689/1981, infatti, l’interessato non può presentare le proprie controdeduzioni direttamente all’autorità competente a decidere della sanzione ma, piuttosto, deve limitarsi a presentarle all’organo incaricato dell’istruttoria. Detta circostanza non ha mancato di suscitare le critiche della dottrina, da parte di coloro i quali hanno rinvenuto nella mancanza di contraddittorio con l’organo decidente una grave violazione del diritto di difesa del soggetto interessato [TROISE MANGONI, 2012, 232; VILLATA – GOISIS, 2008, 548].

Ancora, nell’impianto della l. n. 689/1981, all’organo istruttorio non compete alcuna proposta in ordine alla decisione: qualora non sia intervenuto il pagamento in misura ridotta, questo si limita a trasmettere un rapporto contenente la prova delle eseguite contestazioni o notificazioni all’autorità competente ad assumere la decisione.

Nel caso dei procedimenti sanzionatori delle Autorità indipendenti, invece, l’ufficio che si occupa dell’attività istruttoria successiva alla contestazione degli addebiti è chiamato a valutare le osservazioni difensive presentate dai soggetti che hanno ricevuto la contestazione ed a formulare una proposta di decisione – certamente non vincolante - che verrà inoltrata all’ufficio cui spetta la decisione.

L’organo dotato del potere di decisione non valuta, quindi, le osservazioni difensive presentate dagli interessati, ma la correttezza della proposta formulata dall’ufficio deputato ad istruire il procedimento.

Ulteriori indici che vanno nella direzione tracciata possono desumersi dal ricorso da parte di alcune Autorità indipendenti all’attività consultiva nei casi di particolare difficoltà o novità della questione sottoposta al proprio esame, senza che sul parere sia previsto alcun tipo di contraddittorio (in questo senso Banca d’Italia, Disposizioni di vigilanza in materia di sanzioni e procedura sanzionatoria amministrativa, par. 1.5; Agcm; Tar Lazio, 4 giugno 2012, n. 5026).

Il procedimento così delineato si distacca evidentemente dal procedimento descritto dalla l. n. 689/1981 che, dunque, per questi aspetti si rivela strutturalmente incompatibile rispetto ai procedimenti sanzionatori condotti dalle Autorità indipendenti.

L’assunto che si è tentato di dimostrare sembrerebbe essere confermato da quell’orientamento giurisprudenziale che ritiene applicabile ai provvedimenti sanzionatori adottati dalle Autorità indipendenti il precetto contenuto all’art. 21-octies, secondo comma (Cass. civ., sez. un., 30 settembre 2009, n. 20935; Tar Lazio, Roma, sez. III, 4 maggio 2012, n. 3975), ossia una disciplina generalmente ritenuta non applicabile alle sanzioni amministrative pecuniarie di cui alla l. n. 689 (Tar Lazio, Latina, sez. I, 13 gennaio 2009, n. 23) (salvo che a quelle in cui è spiccata la funzione ripristinatoria, come nel caso delle sanzioni edilizie - ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2009, n. 3029 - il cui procedimento, non a caso, ricalca quello dei procedimenti amministrativi in genere) dove la natura afflittiva della sanzione impone una disciplina improntata a una severa applicazione del principio di legalità anche nelle sue proiezioni formali.

Sul punto, la giurisprudenza ha avuto modo di osservare che il richiamo all'applicazione dell’art. 21-octies « è il più chiaro elemento che induce a ritenere come lo schema di riferimento sia quello tipico del procedimento amministrativo, pur con le tipicità esclusive proprie del procedimento disciplinare o giurisdizionale » (Tar Lazio, Roma, sez. III, 4 maggio 2012, n. 3975).

Un ulteriore argomento a sostegno della tesi proposta può, infine, desumersi dal fatto che la giurisprudenza assegna carattere ordinatorio e non perentorio ai termini infraprocedimentali e di conclusione del procedimento sanzionatorio delle Autorità indipendenti (Cass. civ., sez. II, 7 agosto 2012, n. 14210; Cass., sez. un., 30 settembre 2009, n. 20935; Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2008, n. 1469; Cass. civ., sez. II, 01 marzo 2007, n. 4873; Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 31 gennaio 2012, n. 345).

Si giunge a questa conclusione argomentando alla luce della prevalenza dell’art.18 della l. n. 689/1981, il quale non prevede alcun termine di conclusione del procedimento, sugli eventuali termini indicati nei regolamenti di settore.

Alla luce di quanto da ultimo sostenuto, circa la struttura ordinaria del procedimento, invece, sembra che l’ordinarietà dei termini vada spiegata diversamente. Si tratta non già di rilevare la prevalenza della disciplina legislativa generale sui regolamenti di settore, bensì di riconoscere che i procedimenti che si svolgono davanti alle Autorità indipendenti sono procedimenti amministrativi “ordinari”: procedimenti ai quali pertanto non si applica, con riferimento agli istituti e alle fasi precedentemente individuate, la l. n. 689/1981, ma i principi della l. n. 241/1990 che, come noto, non prevedono la perentorietà dei termini (Tar Lazio, Roma, sez. III, 4 maggio 2012, n. 3975).

Qualora si optasse per una caratterizzazione in senso sanzionatorio puro del procedimento che si svolge davanti alle Autorità indipendenti, la soluzione favorevole alla perentorietà del termine per provvedere sarebbe da preferire, in quanto la più idonea a garantire l’effettività del diritto di difesa all’interno del procedimento, così come dovrebbe escludersi recisamente l’applicabilità dell’art. 21-octies.

Non a caso, del resto, tutte le volte in cui la giurisprudenza ha assunto quale punto di partenza quello della struttura sanzionatoria “pura” dei procedimenti condotti dalle Autorità indipendenti, è giunta ad affermare tanto la perentorietà dei termini di conclusione del procedimento, tanto l’inapplicabilità dell’art. 21-octies, escluso in ragione della presenza di un tasso di discrezionalità coessenziale alla natura del provvedimento stesso (Cons. Stato, sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 542).

La dimensione “regolatoria” del procedimento sanzionatorio ha, infine, condotto la giurisprudenza ad affermare l’operatività della clausola di salvaguardia contenuta all’art. 12 per le sanzioni comminate dall’Agcom e dall’Agcm per la violazione della diffida inviata agli interessati a seguito della comunicazione di avvio della procedura [FRENI, 2011, 866 ss.].

In questo caso, la giurisprudenza ha ritenuto incompatibile con la struttura del procedimento delineato dalla normativa di riferimento le prescrizioni contenute all’art.14 che prevedono l’invio di un atto di contestazione degli addebiti.

Si ritiene infatti sufficiente a garantire la posizione del sanzionato il primo atto di contestazione inviato al momento dell’apertura del procedimento (Cass. civ., sez. un., 22 febbraio 2002, n. 2625; Tar Lazio, Roma, sez. III, 4 novembre 2011, n. 8443).

4. L’adattamento interpretativo della disciplina generale: il caso del termine per la

notifica della contestazione degli addebiti.

Vi è, infine, un’ulteriore ipotesi, in cui non si ha una vera e propria deroga o un’inapplicabilità della disposizione normativa contenuta nella l. n. 689/1981 quanto,