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Le procedure di rimessione delle questioni di massima ovvero relative a contrasti interpretativi fra le sezioni regionali

Nel documento C ORTE C ONTI (pagine 73-78)

VIII L’ATTIVITA’ DELLE SEZIONI REGIONALI DI CONTROLLO

IX. L’ATTIVITÀ NOMOFILATTICA IN MATERIA CONSULTIVA E DI CONTROLLO (ART

2. Le procedure di rimessione delle questioni di massima ovvero relative a contrasti interpretativi fra le sezioni regionali

Di rilievo, in proposito di procedure di rimessione delle questioni di massima ovvero relative a contrasti interpretativi fra le sezioni regionali, è quanto deliberato dalle Sezioni riunite nella deliberazione n. 8.

L’art. 17, comma 31, del decreto-legge n. 78 del 2009 assegna alle Sezioni riunite il potere di affermare principi a carattere di “orientamento generale” nei confronti delle sezioni competenti a pronunciarsi in materia consultiva. Trattasi di un potere – ha osservato la Corte – assimilabile alla c.d. nomofilachia di cui all’art. 65 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (legge sull’ordinamento giudiziario), che intesta alla Corte di

68 cassazione il compito di “garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale”.

Rispetto alle richieste di parere sollecitate dalle amministrazioni locali – ha osservato il Collegio – la Corte dei conti esercita un potere di stretta interpretazione delle disposizioni, talché l’ordinamento ha ritenuto di individuare una sede ove comporre eventuali antinomie interpretative. L’unitarietà interpretativa, oltre a garantire l’esatta attuazione della legge rispetto alle singole questioni costituisce altresì il presupposto perché la funzione consultiva possa giovare alle stesse amministrazioni.

Orbene – ha proseguito il Collegio - l’intestazione alle Sezioni riunite di un potere di indirizzo interpretativo, impone, tuttavia, un aggiornamento delle procedure attraverso cui i le questioni di maggiore rilievo, ovvero i contrasti interpretativi insorti fra le sezioni regionali, destinatarie delle richieste di parere avanzate in materia di contabilità pubblica, possano essere ridotti ad unità.

Al riguardo le Sezioni riunite hanno precisato che il sopracitato art. 7, comma 8, del decreto-legge n. 78 del 2009, assegna alle sezioni regionali della Corte dei conti la competenza a pronunciarsi sulle richieste di parere. Pertanto sono le suddette articolazioni della Corte dei conti a dover verificare, in via pregiudiziale, l’effettiva ascrivibilità della questione sollevata all’interno della contabilità pubblica. Solo laddove si manifestino contrasti interpretativi o vi sia l’esigenza di affrontare questioni di portata o rilievo nazionale si deve ravvisare la competenza delle Sezioni riunite.

La natura collaborativa sottesa alla funzione consultiva – ha proseguito il Collegio - deve indurre tutte le sezioni regionali a valutare con la massima attenzione l’esistenza della propria competenza, al fine di evitare contrasti interpretativi inerenti all’ammissibilità delle richieste di parere. E’ di tutta evidenza, infatti, che un’eventuale declaratoria di inammissibilità della richiesta di parere da parte delle Sezioni riunite rispetto ad un parere precedentemente reso da parte di una sezione regionale, oltre a rendere incerta l’utilizzabilità del parere stesso, minerebbe l’utilità della funzione consultiva.

Sul piano procedimentale, secondo il Collegio, la sezione regionale destinataria della richiesta di parere è tenuta a curare l’attività istruttoria, verificando, preliminarmente, l’esistenza di pronunce da parte di altre sezioni regionali sulla stessa questione. Ove la Sezione regionale ravvisi di non aderire alla pregressa interpretazione, è tenuta a pronunciarsi individuando gli argomenti secondo cui ritiene di discostarsi dalla precedente pronuncia.

Parimenti laddove il rilievo del parere richiesto investa profili di coordinamento della finanza pubblica tali da meritare, in astratto, la qualifica di “questione di massima”, la Sezione regionale deve rimettere la questione alle Sezioni riunite della Corte dei conti.

In entrambe le circostanze, ha ritenuto il Collegio, le singole sezioni regionali sono tenute a rendere una delibera di rimessione a queste Sezioni riunite per il tramite del Presidente della Corte dei conti. L’art. 17, comma 31, del decreto-legge n. 78 del 2009, intesta infatti al Presidente della Corte dei conti una facoltà, e non un dovere, di convocazione delle Sezioni riunite (“il Presidente della Corte medesima può disporre che le Sezioni Riunite adottino pronunce di orientamento generale”).

Il potere del Presidente della Corte dei conti deve essere tuttavia circoscritto ad una mera delibazione delle questioni prospettate, finalizzata a verificare l’attualità del contrasto fra le Sezioni regionali (stante la possibilità che più richieste intervengano, in tempi diversi, riguardo alla medesima questione) ovvero l’effettiva riconducibilità della richiesta di parere nel novero delle competenze delle Sezioni Riunite. Il Presidente della Corte dei conti, nell’ambito di tale attività di delibazione, può avvalersi della Sezione delle Autonomie. In ogni caso, il Presidente della Corte dei conti adotta le proprie decisioni mediante decreto motivato, convocando le Sezioni riunite ovvero disponendo la restituzione degli atti alla Sezione regionale.

Il potere del Presidente della Corte dei conti di convocare le Sezioni riunite, contiene, implicitamente, anche la possibilità di rimettere d’ufficio questioni di massima ovvero questioni concernenti antinomie sorte fra sezioni regionali, eventualmente su sollecitazioni della Sezione delle Autonomie.

Il Collegio ha concluso rilevando che l’individuazione di una procedura di rimessione fra le sezioni regionali o la Sezione delle Autonomie e le Sezioni riunite impone anche la fissazione di un termine, atteso che la pregressa delibera della Sezione delle Autonomie n. 9 del 2009, lasciava lo stesso indefinito.

L’attenzione posta dal legislatore alla temporizzazione dell’azione amministrativa, ha indotto a fissare in 20 giorni il termine ultimo entro cui deve essere perfezionata l’attività consultiva (cfr. art. 16 della legge 7 agosto 1990, n. 241). Tale disposizione, ovviamente, non si applica all’attività consultiva demandata alla Corte dei conti, pur tuttavia sembrerebbe utile fissare il termine delle pronunce in un mese dalla trasmissione della Sezione regionale.

70 3. Sulla delimitazione del concetto di “materia di contabilità pubblica” ai fini dell’attività consultiva intestata alla Corte.

Di grande rilievo è la deliberazione n. 54, con la quale le Sezioni riunite, ai fini di decidere in merito all’ammissibilità della richiesta di parere deferita alle Sezioni riunite dalla Sezione regionale di controllo per la Basilicata, si sono soffermate a definire previamente l’ampiezza della funzione consultiva attribuita alla Corte dei conti dall’art. 7, comma 8, della legge n. 131 del 2003.

Al riguardo il Collegio ha puntualizzato che la disposizione in questione conferisce alla Sezioni regionali di controllo non già una funzione di consulenza di portata generale, bensì limitata alla “materia di contabilità pubblica”. Cosicché la funzione di che trattasi risulta, anche, più circoscritta rispetto alle “ulteriori forme di collaborazione” che gli Enti territoriali possono richiedere “ai fini della regolare gestione finanziaria e dell’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa”. Da ciò discende, secondo il Collegio, in primo luogo, che non è da condividere qualsivoglia interpretazione dell’espressione “in materia di contabilità pubblica”, che, vanificando lo stesso limite posto dal Legislatore, conduca al risultato di estendere l’attività consultiva in discorso a tutti i settori dell’azione amministrativa, in tal guisa realizzando, per di più, l’inaccettabile risultato di immettere questa Corte nei processi decisionali degli Enti territoriali.

Su questa premessa, il Collegio non ha accolto l’interpretazione espansiva del concetto di contabilità pubblica quale emerge dalla giurisprudenza della Corte di cassazione in relazione ad analoghe espressioni impiegate dal legislatore nell’art. 103 della Costituzione e nell’art. 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994, per stabilire gli ambiti della competenza giurisdizionale della Corte dei conti. In proposito, ha ricordato il Collegio, la Sezione delle Autonomie, con deliberazione n. 5 del 17 febbraio 2006, ha già avuto modo di sottolineare come “nelle norme testé citate, secondo un costante orientamento anche del Giudice delle leggi, l’espressione contabilità pubblica intende riferirsi, sul piano processuale, ai giudizi di conto e di responsabilità e non anche, sul piano sostanziale, alle materie che possono dar luogo, in presenza di comportamenti illeciti, a responsabilità per danno erariale”, aggiungendo come sia, dunque, evidente che, “rispetto all’attività consultiva, la nozione accolta dalla giurisdizione contabile, siccome volta a valutare i comportamenti colposi o dolosi dei pubblici funzionari a garanzia della regolarità e correttezza della gestione del pubblico denaro ed a tutela del patrimonio pubblico, sarebbe troppo lata, togliendo ogni significato al criterio restrittivo fissato nell’art. 7, comma 8, della legge n. 131 del 2003”.

Né, il Collegio, ha ritenuto condivisibili linee interpretative che ricomprendano nel concetto di contabilità pubblica qualsivoglia attività degli Enti che abbia, comunque, riflessi di natura finanziaria, comportando, direttamente o indirettamente, una spesa.

Al riguardo la Sezione delle Autonomie, con la già richiamata delibera n. 5 del 17 febbraio 2006, ha avuto significativamente modo di precisare che “se è vero, infatti, che ad ogni provvedimento amministrativo può seguire una fase contabile, attinente all’amministrazione di entrate e spese ed alle connesse scritture di bilancio, è anche vero che la disciplina contabile si riferisce solo a tale fase discendente, distinta da quella sostanziale, antecedente, del procedimento amministrativo, non disciplinata da normativa di carattere contabilistico”.

Le osservazioni che precedono, ha proseguito il Collegio, inducono a condividere – con il necessario completamento che sarà esposto nel prosieguo, da porsi in diretta relazione con il carattere dinamico del concetto in esame – le conclusioni cui è pervenuta la suddetta Sezione delle Autonomie nella menzionata delibera, laddove la medesima, nell’ambito di una impostazione tendente a privilegiare un’accezione strettamente inerente ad attività contabili in senso stretto, ha espresso l’esigenza che la nozione di contabilità pubblica, strumentale alla funzione consultiva, “assuma un ambito limitato alle normative e ai relativi atti applicativi che disciplinano in generale l’attività finanziaria che precede o che segue i distinti interventi di settore, ricomprendendo in particolare la disciplina dei bilanci ed i relativi equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziaria contabile, la disciplina del patrimonio, la gestione della spesa, l’indebitamento, la rendicontazione ed i relativi controlli”.

In base alla delineata configurazione, il concetto di contabilità pubblica – di cui l’istituto del bilancio rappresenta l’aspetto principale – consiste nel sistema di principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli Enti pubblici.

La funzione consultiva della Sezione regionale di controllo nei confronti degli Enti territoriali sarebbe, tuttavia, senz’altro incompleta se non avesse la possibilità di svolgersi nei confronti di quei quesiti che risultino connessi alle modalità di utilizzo delle risorse pubbliche, nel quadro di specifici obiettivi di contenimento della spesa sanciti dai principi di coordinamento della finanza pubblica – espressione della potestà legislativa concorrente di cui all’art. 117, comma 3, della Costituzione – contenuti nelle leggi finanziarie, in grado di ripercuotersi direttamente sulla sana gestione finanziaria dell’Ente e sui pertinenti equilibri di bilancio.

Si vuole in tal modo evidenziare come talune materie (quali quella concernente il personale, l’attività di assunzione, cui è equiparata quella afferente le progressioni di

72 carriera, la mobilità, gli incarichi di collaborazione con soggetti esterni, i consumi intermedi ecc.) – in considerazione della rilevanza dei pertinenti segmenti di spesa, che rappresentano una parte consistente di quella corrente degli Enti locali, idonea ad influire sulla rigidità strutturale dei relativi bilanci – vengono a costituire inevitabili riferimenti cui ricorrere, nell’ambito della funzione di coordinamento della finanza pubblica, per il conseguimento di obiettivi di riequilibrio finanziario, cui sono, altresì, preordinate misure di contenimento della complessiva spesa pubblica, nel quadro dei principi individuati dalla giurisprudenza costituzionale. Ne consegue la previsione legislativa di limiti e divieti idonei a riflettersi, come detto, sulla sana gestione finanziaria degli Enti e sui pertinenti equilibri di bilancio.

Il Collegio ha proseguito ritenendo che per le ragioni innanzi esposte ulteriori materie, estranee, nel loro nucleo originario, alla “contabilità pubblica” – in una visione dinamica dell’accezione che sposta l’angolo visuale dal tradizionale contesto della gestione del bilancio a quello inerente ai relativi equilibri – possono ritenersi ad essa riconducibili, per effetto della particolare considerazione riservata dal legislatore, nell’ambito della funzione di coordinamento della finanza pubblica. Sulla base di quanto precede, ha concluso il Collegio, la specifica questione non può essere inclusa nella materia della contabilità pubblica ex lege n. 131 del 2003. Ed, invero, ha concluso il Collegio, ancorché la materia delle progressioni verticali, al pari di quella concernente le assunzioni, risulta destinataria dei limiti e dei divieti a tutela degli equilibri di bilancio e delle esigenze di coordinamento della finanza pubblica, tuttavia, la particolare questione in argomento non pone problematiche ermeneutiche afferenti ai limiti e ai divieti sopra indicati, concernendo esclusivamente la diversa tematica inerente alle tipologie di procedure concorsuali utilizzabili nel periodo transitorio di cui all’art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2009.

Nel documento C ORTE C ONTI (pagine 73-78)