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Processi di cura e di partecipazione oggi

CAPITOLO 2: ATTORI ED INTERAZIONI IN TRASFORMAZIONE

2.4. Processi di cura e di partecipazione oggi

Continuando con il viaggio, all’interno del neo Sistema Sanitario Nazionale (SSN), sorto poco più di un trentennio fa, è adesso opportuno sottolineare che i soggetti che

entrerebbero in interazione sono molteplici, per lo studio che si intende intraprendere sarebbe opportuno analizzare due di questi soggetti, racchiusi in due categorie: il Medico ed il Paziente, che entrerebbero in interazione in varie strutture, il cui fulcro d’attenzione è la salute, come le Asl (aziende sanitarie locali) o gli ambulatori di medicina generale, ma per comodità verrà analizzato quella struttura che assume il nome di: l’ospedale. Con il sorgere dell’istituzione ospedaliera come struttura di segregazione, con i suoi vincoli ed i suoi obiettivi, prese vita una gerarchia decisionale che permise l’equilibrio dei poteri all’interno di essa, andando a regolare la circolazione delle informazioni e la natura dei rapporti sociali fra i diversi attori che entrano in interazione.

Coloro che lavorano dentro la struttura ospedaliera, i professionisti, assumerebbero l’abitudine di classificare i malati in due categorie (Caricaburu e Mènoret, 2007, p.27):

- Malati dell’ospedale - Malati del medico

I primi non avendo un riconoscimento di un particolare status, potrebbero essere considerati portatori di una patologia stigmatizzata, come ad esempio può essere

l’alcolismo; i secondi invece assumerebbero uno status sociale valorizzato dalla società, detengono cioè una patologia giudicata interessante, costretti a recarsi in ospedale, magari per usufruire di un particolare servizio o per sentire il consulto di uno specialista, come ad esempio i diabetici.

Come si evince da questa differenziazione, nonostante è stata promulgata una legge che garantisse equità di accesso, vi permane la differenziazione fra la medicina considerata dei ricchi, basata sul rapporto individuale fra un medico di alta formazione e il suo cliente, e una medicina invece dei poveri, in cui verrebbe sconfinata una medicina meno

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Per tale motivo sorge un altro elemento, che susciterebbe il porsi di alcune domande: l’ordine medico sarebbe responsabile delle disuguaglianze sociali di salute?

Contribuirebbe alla riproduzione e alla produzione delle società di classe?

Purtroppo la specializzazione che nel corso del tempo si è sempre di più affermata, riproduce tali differenze, definita, come il motore della gerarchia medica, poiché su di essa si baserebbero le carriere ospedaliere e le gerarchie di prestigio fra i servizi, le malattie e anche i pazienti (Caricaburu e Ménoret, 2007, p. 28).

Quindi dentro la struttura ospedaliera esisterebbero due modelli di medicina, quella altamente specializzata, con l’adozione di alta tecnologia, e quella riconosciuta come di massa, che obbedirebbe a criteri di burocratizzazione a cui sono state sottoposte tale strutture, come ad esempio il rendimento economico, che comporterebbe

un’emarginazione sociale.

Con il sorgere della prospettiva bio-medica e quindi anche delle logiche biomediche, verrebbero meno quelli che sono i vincoli territoriali, e dagli studi condotti da sociologi, come Caricaburu e Ménoret, si riuscì a dimostrare che quando i servizi ospedalieri sono impegnati in programmi di ricerca molto specializzati, l’accettazione dei pazienti non avverrebbe più su base locale.

La principale conseguenza di un sistema del genere potrebbe essere il disinteresse da parte dei medici per i pazienti che non presentino un particolare “valore di scambio” (Caricaburu e Ménoret, 2007, p.30), vale a dire quelle persone che non apporterebbero una crescita di esperienza al medico che assume la responsabilità della cura del paziente, comportando il non rispetto di quelli che sarebbero invece i principi fondamentali del nostro sistema sanitario nazionale, come l’universalità, l’equità e infine l’uguaglianza. Il sorgere dell’ospedale come istituzione sociale si ebbe dagli studi di Weber sul

fenomeno burocratico nelle società moderne, in cui la burocrazia costituirebbe una delle forme del “disincanto del mondo” (Caricaburu e Ménoret, 2007, p. 34), esprimendo un potere “legale-razionale”; una rappresentazione in cui l’autorità sarebbe fondata sulla competenza, andando così a gerarchizzare il potere, questo significherebbe che le regole diventano impersonali.

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obiettivi da raggiungere; nello stesso periodo si assisterebbe all’affermazione all’interno di esse della divisione del lavoro, comportando un crescente grado di specializzazione e di responsabilità, di diritti e di autorità.

È proprio nell’analisi della trasformazione della relazione medico-paziente, che arriva il momento di analizzare le trasformazioni che il medico stesso subisce con il

progresso delle normative che regolano il Sistema Sanitario a livello Nazionale; infatti, è con l’avvento del processo di femminilizzazione della professione medica e il sorgere della medica di genere, che il rapporto di medico-paziente incominciò a subire delle trasformazioni, venendosi a declinare la supremazia del sapere scientifico riservato al genere maschile e si assistette all’entrata della figura femminile

all’interno della dimensione psicologica e sociale della malattia (Biancheri, Ruspini, 2015, p.143).

Attraverso l’affermazione della figura femminile nel campo medico, e con i vari processi che portarono alla trasformazione del Sistema Sanitario Nazionale, come ad esempio il processo di burocratizzazione e di aziendalizzazione, quest’ultimo

avvenuto con l’entrata in vigore dei Decreti Legislativi 502/1992 modificato dal Decreto Legislativo 517/1993, si modificò la figura del medico in quanto sapere supremo scientifico, comportando delle limitazioni al suo operato e all’operato delle figure professionali che collaborano con il medico.

Nelle strutture sanitarie, luoghi altamente professionali, emerge chiaramente che vi lavorano, fianco a fianco, persone che appartengono a categorie apparentemente differenti, con persone che fanno parte del mondo profano, i malati e le loro famiglie. Nello svolgimento quotidiano del proprio lavoro, il personale arriva ad istaurare patti di negoziazione con i pazienti, su vari livelli (Caricaburu e Ménoret, 2007, p.40):

- operatori socio-sanitari, quelli che Caricaburu e Mènoret chiamano il personale profano, sul comfort, sul cibo ed altre prestazioni inerenti a tale categoria;

- personale infermieristico, sulle visite da poter ricevere, sui calmanti, sui sonniferi, ed altre prestazioni;

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il trattamento che devono ricevere, ed altre prestazioni;

In particolare, quando i malati soffrono di malattie classificate dal personale della struttura come croniche, sono costretti a periodi di ospedalizzazione a lungo termine, ed è proprio in quel momento che è maggiore il loro impatto sul processo di

negoziazione, quest’ultimo non va però a modificare la stabilità della struttura. Illich invece sostenne come il rapporto medico-paziente sia teso a garantire “una salute sempre migliore”, come se la salute fosse merce da poter produrre e manipolare

a proprio piacimento; egli crede che un autentico rapporto medico-paziente dovrebbe necessariamente recuperare la dimensione morale ed umanitaria, non focalizzando ogni attenzione sull’aspetto tecnicistico e specialistico degli interventi (Caricaburu e Ménoret, 2007, p.32).

Nel rapporto medico-paziente soltanto con una modalità relazionale che presupponga un’integrazione tra sapere medico e soggettività del malato, si potrebbe arrivare al concetto di malattia, quest’ultima intesa come disagio prodotto da cause organiche e psicosociali.

Il medico diventa quindi una figura professionale significativa, grazie alla sua

capacità di comprendere e ascoltare le esigenze del paziente-cittadino, esso dovrebbe adottare una prospettiva che privilegi gli aspetti relazionali del paziente-cittadino nel contesto socio-culturale di riferimento.

Si potrebbe dire che tale rapporto sia caratterizzato da una sempre maggiore

complessità, multidimensionalità e variabilità della relazione, arrivando a sostenere quindi che (Agnoletti, Cipolla, 2004, p. 322):

Il medico dovrebbe agire secondo linee guida dettate da spendibilità scientifica, coscienza personale, norme sociali ed esigenze dell’altro.

Nel rapporto medico-paziente potrebbe emergere chiaramente come il reciproco mal contento di pazienti irati e medici disorientati dalla pratica clinica, derivi

62 che l’empatia, (Giarelli, Venneri, 2009, p. 301):

processo intenzionale di un soggetto che cerca di mettersi nei panni dell’altro, passando attraverso un’esperienza interpretativa di ciò che è vissuto dal corpo proprio di un altro.

Vada a sottolineare come la relazione medico-paziente sia co-essenziale alla qualità delle cure, una relazione che il più delle volte al paziente risulta essere più

importante dei contenuti e della prestazione medica stessa.

Proprio in questi casi emerge chiaramente il dissenso da parte del paziente o dei suoi familiari, che trovandosi obbligati a rispettare il regolamento che il sistema sanitario pone, crede e avvolte succede realmente, che non vengano rispettati i loro diritti o che a essi viene meno il rispetto che si dovrebbe portare.

Ecco che emerge chiaramente la voice del cittadino-paziente e dei suoi familiari, caso che vede essi rivolgersi al personale dirigenziale per chiedere il rispetto di essi. Nell’insorgere di questa discrepanza comunicazionale, nel rapporto tra medico e paziente, ma anche con i suoi congiunti, che emerge chiaramente la voglia di trovare una soluzione per riuscire a superare questa difficoltà sopraggiunta.

Come possiamo quindi desumere in questo percorso, il problema che il medico riscontra nell’esercitare la propria professione è che l’aver necessariamente accesso al corpo umano del paziente che ha di fronte, per poter fare la diagnosi e poter

prescrivere le cure appropriate, farebbe sorgere problemi sui sentimenti verso l’offesa del corpo che alcune culture o religioni hanno, quindi il rapporto medico-paziente si andrebbe a strutturare attorno al consenso necessario alla guarigione.

L’insieme dei fattori che intervengono durante la relazione medico-paziente sono tali da coinvolgere inevitabilmente il medico negli aspetti della vita privata non solo del paziente, ma anche dei suoi congiunti; dagli studi condotti emerge chiaramente come il ruolo della famiglia assume un ruolo fondamentale nelle varie fasi che il paziente attraversa, dall’inizio della patologia, vale a dire nella diagnosi, sino alla fase finale, guarigione o morte di esso.

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Il medico, allo stesso tempo, lavorando con gli esseri umani, lo fa in situazioni che lo coinvolgono in aspetti intimi del paziente e dei suoi familiari, contesti che Agnoletti descrive come (Agnoletti, Cipolla, 2004, p. 315):

fortemente carichi di significanza emotiva ed espressioni simbolici, che per l’individuo sono privati o particolarmente intimo con gli altri. Deve però sempre mantenere il controllo nel dover svolgere il proprio lavoro. In tale situazione, nella relazione medico-paziente, potrebbero subentrare elementi che vanno ad assumere valenza ed influenza in tale relazione, come ad esempio il subentro dei congiunti o semplicemente idee diverse tra le parti, nel percorso da svolgere nella fase terapeutica, che comporterebbero delle crisi profonde e delle falde relazionali, che andrebbero ad influire sulla guarigione del paziente, che non

bisognerebbe dimenticare essere il fine ultimo di tutti i soggetti coinvolti nel percorso della malattia.

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