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4. Costo del lavoro e produttività

4.3. Produttività

I valori della produttività per ora lavorata registrati ci permettono di notare come l’indicatore in Italia sia stato caratterizzato da un andamento complessivamente piatto dal 2000 al 2013, con oscillazioni tra l’1 e il -1%. Come già chiarito nella parte relativa al costo del lavoro per unità di prodotto, i trend in crescita nei tassi di produttività in Italia nel 2009 e nel 2012 sono influenzati dalla caduta occupazionale registrata nei due anni, di fatto gonfiando l’apporto in termini di produttività. Ad eccezione del 2009, in Germania la produttività ha registrato valori positivi nel periodo di riferimento. 15.000 18.000 21.000 24.000 27.000 30.000 33.000 36.000 39.000 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 Italia Germania

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Grafico 29 – Produttività per ora lavorata (in %)

Fonte: Eurostat, 2014

Ulteriori approfondimenti permettono di comprendere quanto marcate siano le differenze tra la situazione italiana e quella tedesca.

Grazie a dati Eurostat, è possibile confrontare gli andamenti tra salari e produttività negli anni per verificare se ad aumenti di produttività sia corrisposta una maggiorazione delle retribuzioni o se, viceversa, le due linee seguono andamenti indipendenti.

Fatto 100 il dato dell’anno 2000, è possibile osservare il fenomeno rendendo omogenea la crescita (o decrescita) di produttività e quella delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti.

L’accostamento mostra non solo il calo di produttività italiano, a differenza dell’aumento tedesco nello stesso periodo, ma anche che la crescita dei salari è stata completamente diversa nei due paesi: se in Germania questa ha – tendenzialmente – seguito l’andamento della produttività, in Italia, invece, produttività e retribuzioni sono linee sempre divergenti.

-6,0% 6,0%

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 Italia Germania

116 Italia-Germania, una comparazione dei livelli di competitività industriale

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Grafico 30 – Andamento salari-produttività in Germania e Italia

Fonte: Eurostat, 2015

Una crescita reale delle retribuzioni che sia in linea con la produttività del lavoro è considerata una precondizione per la stabilità macroeconomica, perché aiuta a preservare la competitività rispetto ai concorrenti esterni e, allo stesso tempo, a limitare le pressioni inflattive scongiurando la spirale salari- prezzi.

Non a caso, l’importanza dell’abbinamento fra crescita delle retribuzioni nominali e produttività è ai primi punti dell’agenda europea, oltre che italiana. Nel 2011 i leader europei hanno concordato nel “patto per la competitività” o “patto per l’euro” (Euro-Plus Pact) che la crescita delle retribuzioni nominali in ogni Stato membro dovrebbe seguire l’andamento della crescita della produttività del lavoro ai fini di aumentare la competitività nazionale e dell’intera Unione europea.

In una unione monetaria infatti, venendo a mancare l’arma della svalutazione competitiva (visto che i tassi di cambio sono fissi), la competitività si basa in misura sempre crescente sul costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP), definito come crescita delle retribuzioni meno crescita della produttività del lavoro, il quale può evidentemente mantenersi a livelli competitivi solo allineando la crescita delle retribuzioni con quella della produttività del lavoro. Si legge nel patto europeo per la competitività che «i progressi saranno valutati in funzione dell’evoluzione delle retribuzioni e della produttività e delle esigenze di adeguamento della competitività. Per stabilire se l’evoluzione delle retribuzioni sia in linea con quella della produttività, si monitoreranno in un dato lasso di tempo i costi unitari del lavoro raffrontandoli con l’evoluzione in altri paesi della zona euro e nei principali partner commerciali con economie simili. […] Aumenti ingenti e mantenuti nel tempo possono erodere

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la competitività, soprattutto se associati ad un disavanzo corrente in aumento e a quote di mercato in calo per le esportazioni. Interventi per migliorare la competitività sono necessari in tutti i paesi, ma ci si concentrerà in particolare su quelli confrontati a grandi sfide sotto quest’aspetto».

A questo scopo, prosegue il patto: «particolare attenzione sarà dedicata alle riforme seguenti:

(i) nel rispetto delle tradizioni nazionali di dialogo sociale e relazioni industriali, misure volte ad assicurare un’evoluzione dei costi in linea con la produttività, ad esempio:

• riesaminare gli accordi salariali e laddove necessario, il grado di accentramento del processo negoziale e i meccanismi d’indicizzazione, nel rispetto dell’autonomia delle parti sociali nella negoziazione dei contratti collettivi;

• assicurare che gli accordi salariali del comparto pubblico corrispondano allo sforzo di competitività del settore privato (tenendo presente l’importanza del segnale dato dalle retribuzioni del settore pubblico).

(ii) misure intese a incrementare la produttività, ad esempio:

• ulteriore apertura dei settori protetti grazie a misure adottate a livello nazionale per eliminare restrizioni ingiustificate ai servizi professionali e al settore del commercio al dettaglio, nell’intento di stimolare la concorrenza e l’efficienza nel pieno rispetto dell’acquis comunitario;

• sforzi specifici per migliorare i sistemi di istruzione e promuovere la ricerca e lo sviluppo, l’innovazione e le infrastrutture;

• misure volte a migliorare il contesto imprenditoriale, in particolare per le PMI, segnatamente eliminando gli oneri amministrativi e migliorando il quadro normativo (ad es. leggi sui fallimenti, codice commerciale).

Ebbene, uno dei paesi all’attenzione dell’Europa sotto l’aspetto della produttività e competitività è proprio l’Italia. Secondo l’Euro Plus Monitor del 2011 (un documento che attesta i progressi degli Stati membri rispetto agli intenti sottoscritti nel patto per la competitività), l’Italia si attesta solo al 14esimo posto nell’indicatore di benessere complessivo, soffrendo di un tasso di crescita molto basso e di mercati dei servizi eccessivamente regolamentati. Il documento sostiene che la bassa crescita della produttività sia attribuibile al (così è definito nel documento) «tallone di Achille» dell’economia italiana, consistente nella eccessiva regolamentazione. Il Paese è poi solo al 12esimo posto con riguardo all’indicatore di progresso nell’aggiustamento, con la motivazione della necessità di un taglio della spesa e della parallela

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implementazione di riforme strutturali per la crescita piuttosto che di aumenti delle tasse.