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Produzione Videografica

1.13 Videoarte: per una classificazione possibile

1.13.1 Produzione Videografica

Si racchiude in tale categoria “la produzione originale di opere appositamente concepite per il medium video, in cui si opera direttamente sull’immagine elettronica che viene,quindi, “lavorata” e sollecitata in varie direzioni a seconda della specifica personalità dell’artista” (Fagone, 1990, p 37). Infatti non è un caso che Nam June Paik già nel 1965 si esprima in questi termini “Un giorno gli artisti lavoreranno con apparecchiature elettroniche, come oggi lavorano con pennelli, violini e rifiuti” (Documenta 6, vol. II, 1977).

Le radici della produzione videografica sono attribuibili ai pionieristici lavori di alterazione del segnale televisivo proprio dello stesso Paik, con la mostra di Wuppertal nel 1963 e successivamente, nel 1970, con la creazione del suo video- sintetizzatore in collaborazione con l’ingegnere Shuya Abe; ma importanti sono

anche le prime sperimentazioni nel corso degli anni Settanta sulla costituzione e manipolazione delle immagini di sintesi, immagini derivanti da elaborazioni matematiche, a partire da voltaggi, dalle vibrazioni di frequenza e dai “feedback”, ad opera di Steina e Woody Vasulka e di Bill Etra.

1.13.2 Registrazioni

Includiamo in tale categoria la registrazione di performance, azioni ed eventi, spesso in tempo reale, la cui funzione non è semplicemente documentaria, ma di partecipazione al momento creativo e di possibilità di estensione visiva e temporale del fenomeno indagato” (cfr. Fagone 1990). Qui l’attenzione va posta sul processo di smaterializzazione dell’oggetto artistico avvenuto nella seconda metà degli anni Sessanta ad opera del Movimento Concettualista. Le radici, dunque, sono rintracciabili nel lavoro di prolungamento del carattere comunicativo e percettivo delle azioni di Joseph Beuys, e soprattutto nel progetto della prima videogalleria ad opera di Gerry Schum, il quale, attraverso la presentazione delle prime due mostre televisive “Land Art” e “Identification”, da forma all’esigenza di documentazione ed espansione del raggio d’azione delle performance, delle azioni e degli eventi di quegli artisti operanti sull’ambiente naturale o sociale.

L’espressione, così come i sinonimi “Earth Art” o “Earth Work”, si afferma negli Usa alla fine del decennio 1960-1970 per designare le ricerche “operative” impegnate in diretti interventi sul paesaggio e sulla natura. La sua consacrazione ufficiale avviene nel 1968 in occasione della mostra alla Cornell University di Ithaca, ed in cui vengono esposte le tracce selezionate di un’idea di intervento sul paesaggio dal carattere fortemente concettuale. E’ dal principio che l’esistenza di tale forma espressiva è strettamente collegata al video, in quanto quasi sempre gli interventi sono sempre stati soggetti a forme di documentazione.

La Land Art, si propone di agire con intenzioni estetiche sul paesaggio per produrre un mutamento nella sua struttura e per osservarne sperimentalmente i risultati, estetizzandone i risultati. L’artista si pone quindi come elemento

modificatore e al tempo stesso modificato, assumendo come materiale di lavoro quei luoghi in cui instaurare una con-fusione tra naturale e artificiale.

Al fondo delle motivazioni della Land Art si trovano spesso istanze ecologiste. Secondo Dorfles essa interviene sulla natura “non in modo edonistico e ornamentale ma per quello che potremmo definire una presa di coscienza dell’intervento dell’uomo su elementi che presentano un ordine naturale e che, da tale intervento, sono sconvolti ed incrinati”. (Dorfles, 2001 p. 46)

Un altro aspetto rilevante, è rappresentato dal fatto che in questo periodo gli artisti iniziano a sentire il bisogno di divincolarsi dagli oppressivi limiti dettati dallo spazio urbano, ciò determina un diverso rapporto con il mercato dell’arte. Non essendoci più un pubblico presente da stupire o da affascinare in prospettiva di un eventuale acquisto, si infrange l’eterno triangolo: studio, galleria, collezionista, fattore caratterizzante il mercato dell’arte fino a quel momento. Come fa notare Fulvio Salvadori: L’avvento della Land Art porta un elemento nuovo, rivoluzionario, nel sistema della distribuzione del prodotto artistico: in un mercato da sempre condizionato dall’ ideologia borghese della tesaurizzazione, della ricchezza e dello spettacolo l’opera d’arte era considerata come bene di lusso, acquistata in una in galleria ed esibita come oggetto di prestigio; aveva come punto di riferimento l’oggettività e la mercificazione del pezzo unico, e, una volta incamerato nella collezione privata, o nel museo, aveva una circolazione solo attraverso la riproduzione (Salvatori 1977) “Quindi attraverso questo tipo di distribuzione l’opera acquisiva una sorta di aura di irraggiungibilità, venendo feticizzata come merce e gli veniva assegnato un valore monetario. Con le pratiche della Land Art e la visione “minimalista” dell’arte di questo tempo questa visione di tesaurizzazione dell’opera va in crisi. L’evento artistico deve sottostare a quello che Duchamp ha chiamato l’“effetto istantaneo”, l’incontro simultaneo tra l’artista e le condizioni oggettive del suo lavoro.

Viene superata così la logica del pezzo vendibile, quindi è ciò che ne rimane dell’opera, i residui, “le sue tracce”, ad essere considerato come pezzo mercificabile, fino a diventare a sua volta e inevitabilmente un’altra opera. Ciò è

comprensibile se si considera che la registrazione di un evento, e quindi il trasferimento di un’opera per sua natura transitoria ed effimera su un nuovo supporto, non si limita alla pura e semplice documentazione, ma proietta questo in una dimensione di estensione sia visiva che temporale, che considerano l’oggettività dello spazio e del tempo come limiti dell’evento.

In questa direzione si muove l’importante esperienza di Gerry Schum, e della sua “Videogalerie” attiva a Dusseldorf tra il 1971 ed il 1973. Schum realizza la prima mostra televisiva nel 1969 con il film-opera-documentario proprio dal nome “Land Art”, in cui sono presentati gli interventi ambientali di diversi artisti. Questa iniziativa, oltre ad introdurre il termine “Land Art” per indicare la pratica artistica sopra descritta, ridefinisce lo statuto della produzione e della distribuzione dell’arte, proponendo una percezione diversa sia per le opere che per i video ad esse connessi, i quali vengono istituzionalizzati ed assunti nel mondo dell’arte. Nel filmato di Land Art gli artisti svolgono la funzione della regia mentre Schum è l’operatore. La macchina da presa è usata con una certa moderazione, le inquadrature o sono fisse, o dettate da esigenze strettamente connesse all’opera. In definitiva quest’opera si presenta come la registrazione di azioni e trasformazioni ambientali nel loro farsi, caratterizzata da una componente artificiale dovuta al fatto che queste opere erano state pensate e realizzate più che per essere viste per esistere concettualmente in una dimensione remota, quindi

“pensabili come totalità ma percepibili come frammento, come parzialità, o come registrazione; che ne perpetua il processo, ne raffredda la simbolicità, li trasforma in altro tipo di opera, restituendo la visibilità espunta dalla loro natura concettuale”. (Bordini 1995 p. 103)

Come documenta lo stesso Schum:

“Gli artisti di Land Art cercano possibilità espressive che vanno ben oltre i limiti tradizionali della pittura”. Non è più il punto di vista del paesaggio, ma il paesaggio stesso, per esempio il paesaggio contrassegnato dall’artista stesso, che diventa l’oggetto d’arte “ Tutte le opere che sono esibite sono

state ideate e realizzate dagli artisti appositamente per la trasmissione tramite la televisione”. (Schum, in Valentini 1988, p 164)

L’anno seguente fu realizzata un’altra mostra televisiva, dal titolo “Identifications”, trasmessa dalla Sudwestfunk di Baden-Baden il 30 novembre 1970. Questo film/mostra è composto da un programma di registrazioni di azioni comportamentali e concettuali di diversi artisti, e sebbene l’idea di fondo della mostra televisiva può essere nel complesso simile a quella della precedente Land Art, la realizzazione e il campo d’azione degli interventi cambiano in direzione di una maggiore fusione e correlazione tra artista e opera d’arte. Il soggetto dei video è ora l’autore-artista e la funzione della telecamera risulta essere quella di “produrre centinaia di copie dell’io, che tendono a penetrare nell’universo del telespettatore. Prima il visore entrava nello schermo e si immedesimava nell’universo creativo e fantastico dell’immagine, senza autore, ora l’artista muta questo ruolo e si rivolge, guarda e parla allo spettatore. Lo aggredisce e tende a entrare nel suo mondo, si estende dal privato al pubblico attraverso l’oggetto tv”. (Germano Celant ,1977 p 75)

Il film “Identifications” ha come obiettivo la neutra “visualizzazione” delle opere, senza alcun commento e riducendo al minimo l’azione della macchina da presa: “Il film mostra, registra nel tempo, fissa un modello di chiaro scuro su una superficie bidimensionale, in modo da soddisfare certe esigenze del processo artistico e dell’arte concettuale, di garantire l’aspetto processuale e immateriale. Land Art, questo primo confronto fra autore materiale del film e artista visivo (che convenivano sul fatto che non avrebbero prodotto un documentario sull’arte, ma un’opera d’arte per la televisione) risultò una combinazione unica di idea, materiale, e mezzo. In Identifications la tensione di quel confronto era subordinata alla pura visualizzazione di un concetto” (Mignot, 1988, p 70)10.

10 Apparentemente, dunque, il ruolo di Schum, nel lavoro di produzione, sembra essere semplicemente quello

del tecnico che gestisce le attrezzature, ma ciò non è del tutto vero. La sua posizione è particolare e come scrive Dorine Mignot: “Da un lato si ritiene che Schum sia stato un tramite, un’estensione delle possibilità tecnologiche, qualcuno che ha contribuito a realizzare le idee dell’artista. Dall’altro si ritiene che Schum sia un artista, come è dimostrato, per esempio, dalla dichiarazione di Merz, che ha affermato “Non si può dire che “Lumaca” fosse di Merz e neanche di Schum, bensì l’opera di due artisti, una coproduzione”. (Mignot,

Quindi la posizione di Schum nei confronti dell’operazione artistica risulta ambigua proprio per la forte attenzione rivolta all’elemento concettuale del fare arte, che in qualche modo allontana dall’idea della pratica dello strumento e dal suo carattere manuale, consentendo così la separazione del momento di elaborazione (appannaggio dell’artista) dalla sua esecuzione effettiva (realizzabile da qualsiasi esperto operaio). Una tale concezione dell’arte non è facilmente applicabile però al mezzo video che si presenta come un mondo nuovo, poco conosciuto, e quindi poco concettualizzabile. Per quanto neutrale quindi possa essere stato il momento delle riprese, è inevitabile che l’operatore (unico esperto e conoscitore del mezzo) diventi anche un “co-elaboratore” dell’opera stessa. L’elaborazione estetica dell’opera procede allora di pari passo con l’esplorazione e la sperimentazione del mezzo televisivo spingendo così gli artisti all’uso del video in prima persona.

Nell’introduzione alla mostra televisiva “Identifications” Schum chiarisce la sua idea di arte e lo sviluppo che ha portato a questa nuova dimensione dell’opera come processo:

“C’è stato uno sviluppo che ha portato lontano dall’autonomo ‘oggetto di grandi dimensioni’, in cui l’idea e il concetto sono utili per azzerare le dimensioni o l’estetica. Il film è stato ridotto in favore dell’essenza dell’oggetto, l’idea. L’opera d’arte perde la sua autonomia e non può più essere separata da colui che la produce, per esempio l’artista. Identifications indica la correlazione nel processo artistico fra l’opera d’arte e l’artista nel tentativo di superare ciò che li separa. Questa separazione essenziale è radicata nella domanda del tradizionale mercato dell’arte. L’artista è un artigiano: si deve a questo soltanto il fatto che l’arte possa essere comprata e venduta. Il film e specialmente la televisione offrono in un certo senso all’artista la possibilità di evitare la materializzazione delle sue idee; la trasmissione televisiva e la videoregistrazione creano un diretto contatto fra l’artista e un potenziale pubblico. Gli artisti in questa mostra

vogliono provocare, scatenare dei processi” (Schum, in Valentini 1988, p 88).

Inevitabilmente le idee di Schum si scontrarono con la chiusura dei circuiti televisivi11, che lo costrinsero spesso a ridimensionare i propri progetti, e con le regole del mercato dell’arte: “Le idee sull’arte di Gerry Schum erano in diretta opposizione alle leggi che regolavano il mercato e il commercio dell’arte, ma da allora in poi egli dovette sottomettersi a quelle regole. L’unica possibilità di distribuire i progetti su scala più vasta era la collaborazione con istituti d’arte e musei. Dato che pochi istituti avevano la necessaria apparecchiatura, la distribuzione continuava a porre dei problemi, erano il contenuto avanguardistico, lo stile e la concezione del suo lavoro a sbarrargli più spesso le porte degli studi televisivi, impedendo di conseguenza la distribuzione fra le masse”. (Ursula Wevers, in Mignot 1988, p. 78)

Nel complesso l’attività della galleria-laboratorio di Schum, e la sua idea di una circolazione di videotape d’arte, apre comunque una linea operativa che verrà seguita in diversi paesi, e troverà nella realizzazione di centri di produzione e distribuzione di video d’artista, anche se a volte per breve tempo, un ideale compimento.

1.13.3-Videoperformance

Il termine “Performance Art” designa una serie di espressioni artistiche prodotte attraverso la danza, la musica, il cinema, il teatro, il video e la poesia. La Performance art inizia ad essere identificata negli anni Sessanta, con il lavoro di artisti come Allan Kaprow, che coniò il termine “happening” (avvenimento artisticizzato) si sviluppa e prolifera nel corso degli anni settanta anche se molti 11 Da un punto di vista teorico si rivelano interessanti le riflessioni di Gerry Schum sul suo rapporto con il

mercato dell’arte, le quali cercheranno di essere messe in pratica dall’autore stesso nella costituzione di una videogalleria, attivata a Dusseldorf dal 1971 al 1973 con il nome di Fernsehgalerie Gerry Schum. (nota Schum in una lettera a Youngblood del 1969 da “Gerry Schum. La galleria un’istituzione mentale”, in Cominciamenti).

teorici della cultura occidentale spesso fanno risalire tali attività agli inizi del XX secolo.

Elementi fondamentali della Performance Art sono il corpo e il comportamento (Body Art), i suoni, l’olfatto e le parole. Esponenti delle Performance Art, dagli anni sessanta e settanta, sono: Robert Fillou, Dick Higgins e Jackson McLow con le performance verbali; Merce Cunningham, Trisha Brown e Lucinda Childs con le performance sinestetiche; John Cage, Terry Riley, La Monte Young e Giuseppe Chiari con le performance acustiche.

Quando i performers provengono dal mondo del teatro risultano prevalenti immagine e movimento, quando invece provengono dal mondo della danza prevalgono la parola e la teatralità; se l’artista, invece, proviene dal mondo musicale il fattore squisitamente acustico è di gran lunga in secondo piano, o del tutto assente, a vantaggio delle sollecitazioni teatrali, gestuali e visive. La Performance art, più precisamente, è una forma artistica dove l’azione di un individuo o di un gruppo, in un luogo particolare e in un momento particolare costituiscono l’opera. Essa può avvenire in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, o per una durata di tempo qualsiasi. Un altro modo per comprendere il concetto è quello di dire che la performance art può essere qualsiasi situazione che coinvolge quattro elementi base: tempo, spazio, il corpo dell'artista e la relazione tra artista e pubblico; in contrapposizione a pittura e scultura, tanto per citare due esempi, dove un oggetto costituisce l’opera.

Anche se si può dire che la performance art include attività artistiche tradizionali quali teatro, danza, musica, e attività legate all’arte circense come il fachirismo, la giocoleria e la ginnastica, queste sono in realtà “arti performative”. Il termine Performance art viene normalmente riservato per un tipo di avanguardia o arte concettuale relativo alle arti visuali.

L’immagine televisiva, quella della grande comunicazione, quella del video affermatosi nei primi anni settanta, ha esercitato una profonda influenza sul mondo delle arti visive, del teatro, delle letteratura. In uno dei luoghi più

emblematici della condizione artistica contemporanea, la performance, dove “arti belle” e “arti dell’esecuzione” si sono fronteggiate su un confine dialettico, il video ha marcato la propria presenza. Esiste oggi una pratica diffusa tra gli artisti che agiscono la scena di rinvio allo schermo video che vale come specchio, come segnale di riconoscimento e come elemento di scala ottica per ogni gesto o comportamento e soprattutto come macchina del tempo.

Alla Video-performance può essere rapportato, anche se solo per alcuni essenziali aspetti, il più complesso fenomeno di interazione multimediale tra performance, forme del nuovo teatro di avanguardia e immagine video di cui parleremo più approfonditamente a breve.

La registrazione di performance, azioni ed eventi in cui l’artista stesso è situazione ed elemento primario dell’opera, e in cui si procede all’esplorazione del corpo- luogo dell’artista stesso, comprende soprattutto il fenomeno definito “Body Art”. L’espressione body art, dall’area inglese, entra nell’uso del linguaggio critico internazionale tra il 1973 e il 1974, per indicare tutto quel complesso di esperienze, ricerche, proposte, che hanno come elemento costante il riferimento al corpo dell’uomo, visto alternativamente come oggetto su cui compiere azioni o come soggetto che si muove nello spazio e circoscrive eventi12.

Come abbiamo visto, con la mostra televisiva Identifications avviene il passaggio dall’analisi dell’ambiente, alla “performance”. Abbiamo esplorato, quindi, la possibilità di trasferire sullo schermo un evento o un’azione e visto come queste presentate nell’immaterialità dell’immagine riprodotta, costituite di impulsi elettronici, assumono a loro volta lo statuto di opere d’arte. La registrazione, infatti, fissa in una nuova dimensione spazio-temporale, le opere caratterizzate da una durata limitata nello spazio e nel tempo, proprio al di là della presunta oggettività della camera.

12 Un grande numero di artisti ricorre all’uso del corpo come linguaggio. Questi artisti si impegnano nella

ricerca e nella perlustrazione delle infinite possibilità di conoscenza del corpo ed entrano nella messa in scena artistica senza utilizzare un personaggio ma essendo loro stessi il personaggio e subendo su di sé le proprie elaborazioni artistiche. Alcuni artisti praticano un camuffamento, uno spostamento del materiale personale, altri invece ne fanno esplicito riferimento.

Questo particolare procedimento è ancora più evidente nella pratica della Body Art, dove il video oltre a porsi come documentazione, secondo il modello di Schum, spesso assume la funzione di tramite diretto tra artista e pubblico. Ciò proprio per il carattere coinvolgente di queste opere, le quali si basano sull’immediata ed istintiva risposta che provoca nello spettatore la loro visione. Le radici dell’uso della registrazione nella Body Art possono essere rintracciate già verso la fine degli anni Sessanta, prima attraverso il medium del film e presto direttamente con il mezzo video. Saranno documentate le performance di Dennis Oppenheim, Vito Acconci, Gina Pane, Marina Abramovic, Bruce Nauman, Gilbert e George, Gino De Dominicis, Arnulf Rainer, Hermann Nitsch, Joan Jonas ed altri. Particolarmente calzante la definizione proposta da Rosalind Krauss nel 1976 per il particolare uso del mezzo elettronico nella Body Art, di video come formalizzazione estetica del narcisismo, in cui il dispositivo assume sovente la funzione di specchio del corpo dell’artista e della sua identità. Scrive la Krauss:

“Cosa significa dire ‘Il medium del video’ è il narcisismo?’. Due sono gli aspetti del quotidiano uso del medium utili per una discussione sul video: la ricezione e la proiezione simultanea di un immagine; e la psiche umana usata come conduttore. Perché gran parte delle opere prodotte nel breve arco dell’esistenza della videoarte hanno usato il corpo umano come strumento centrale. Nel caso dei nastri è stato per lo più il corpo dell’artista. Nel caso delle videoinstallazioni è stato di solito il corpo dell’osservatore. Diversamente dalle altre arti visuali, il video è capace di registrare e trasmettere nello stesso tempo, producendo un feedback istantaneo. Dunque è come se il corpo fosse posto in mezzo a due macchine che sono l¹apertura e la chiusura di una parentesi. La prima è la telecamera; la seconda è il monitor, che proietta l’immagine del performer con l’immediatezza di uno specchio” (Krauss, 1976, p 98).

Usato allora dagli artisti in esperienze “comportamentali” e nella performance il sistema camera-monitor offre la possibilità di un rispecchiamento del sé come esperienza psichica, proponendo un dialogo serrato con l’identità e il corpo,

proprio in virtù della particolare capacità del mezzo di riprendere e ritrasmettere simultaneamente l’immagine: “Il soggetto si mediatizza in un altro se stesso” (Bordini, 1995 p. 55).

Quindi se da un lato le azioni vengono concepite espressamente per essere registrate, dall’altro la loro ripresa innesca un processo di modificazione delle