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La Sound Art

4 Messa in scena dei simulacri del corpo In quest’ultimo caso il corpo del performer, mutato, scarificato, ibrido, non appare più, il suo posto è preso da un

3.1 La Sound Art

Il termine sound art fu coniato dal compositore/audioartista canadese Dan Lander alla metà degli anni ’80, sebbene la Sound Art Foundation di William Hellermann l’avesse preceduto di pochi anni nell’uso del termine; comunque,inizialmente sembrava solo essere un altro modo di dire “musica nuova” o “musica sperimentale”.infatti una fioritura di esibizioni di alto profilo a cavallo del secolo rese il termine piu familiare e allo stesso tempo causò molta confusione riguardo ciò a cui si riferiva. Sonic Process: a New Geography of Sounds (Museo d’arte contemporanea di Barcellona, 2001) e Bitstreams (Whitney Museum of american art, New York, 2002) trattavano specificamente le interfacce tra l’arte digitale e la musica elettronica e includevano musicisti elettronici come Coldcut o Matmos e

musicisti sperimentali come Elliott Sharp, Andrea Parkins e David Shea; Sonic

Boom (Hayward Gallery, Londra, 2000) analogamente ospitava il gruppo

elettronico anni ’90 PanSonic insieme a scultori sonori veterani come Max Eastley e Stephen von Heute e artisti di istallazioni/registrazioni sonore come Brian Eno, Paul Schutze e Thomas Koner. La componente sonora della rassegna di arte americana moderna del Whitney, American Century, fu chiamata I am sitting in a

room e consisteva principalmente in registrazioni di opere di compositori di musica

sperimentale, nonostante il sottotitolo di Sound Works by american Artists 1950-

2000. Volume: Bed of sound (P. S.1 New York, 2000), presentava agli ascoltatori

attraverso cuffie soprattutto musica sperimentale pop e rock (Cibo Matto, Sonic Youth, the Residents, Yamataka Eye), compositori di musica sperimentale/elettronica (David Behrman, Joel Chadabe, Tod Dockstader), compositori di free-jazz (Butch Morris, Ornette Coleman, Muhal Richard Abrahams), e rock-star come Lou Reed (che merita riconoscimenti come musicista sperimentale ma non come sound artist) e pochissimi sound artists (Neuhaus, Rubin). Nessuna di queste esibizioni fu concepita per essere una mostra di sound art in quanto tale, ma il risultato fu che si registrò una tendenza ad applicare il termine “sound art” a qualsiasi musica sperimentale della seconda metà del ventesimo secolo, in particolare a John Cage e ai suoi discendenti. Anche se Cage stesso ridefinì la musica come “organizzazione di suoni” anziché come composizione di melodia e armonia, ma ciò che è più importante è la sua asserzione che la musica è ovunque, in tutti i suoni – o che tutti i suoni possono essere musica. La sua affermazione può essere letta in due modi – che tutti i suoni possono essere ascoltati come musica o possono essere usati dai compositori come materiale musicale.Il termine sound art è stato anche applicato retroattivamente alla musica noise, ai campionamenti, e a varie forme di collage musicali. L’uso dei concerti e delle performance pero’ delinea tali generi come musica (ad esempio, con basi a tempo) piuttosto che arte sonora. Come Michael J. Schumacher ha affermato, “guardare un paio di altoparlanti sul palco mina

totalmente l’apprezzamento dell’opera” – l’arte sonora non è uno spettacolo da palco.

Definirsi sound artist conferisce una certa legittimità che il “musicista sperimentale” può non avere. Persino il termine “sperimentale”, nella mente della gente comune, può possedere alcune indicazioni psicologiche: tipo che il musicista può non sapere cosa sta facendo che, sebbene erroneo e ingiusto, ancora attribuisce all’artista un tono basso e di semiprofessionalità.

“Sound art” è un termine invece che libera la musica dal suo destino accostando questo tipo di opera sonora ai propositi delle arti plastiche non basate su un tempo ma sullo spazio.

L’arte sonora concerne una situazione di esibizione piuttosto che una situazione di performance – e questo è un correlativo necessario nella definizione del termine. Nella musica, in particolare in quella pop, diversamente dall’arte sonora, c’è un inizio, un punto centrale, e una fine: è un’esperienza breve e intensa di brividi e momenti di calma che può essere subito rivissuta semplicemente ascoltando di nuovo la canzone.

L’arte sonora raramente tenta di creare un ritratto o catturare l’anima di un essere umano, o esprimere qualcosa circa l’interazione tra esseri umani – il suo interesse principale è quello di suonare come un fenomeno di natura e/o tecnologia. Persino la poesia del suono, che a volte è classificata come arte sonora, è incline a far esplodere il linguaggio e a esplorare la varietà di suoni vocali che possono essere prodotti dal corpo umano piuttosto che utilizzare la voce per comunicare all’ascoltatore nel modo solito. Solo quando le arti visive diventeranno sempre più astratte, l’idea di arte sonora come contrapposta alla musica, troverà terreno fertile.

Come con molti altri movimenti artistici, alcuni dei principali praticanti dell’arte sonora, precursori del termine “sound art”, sono diffidenti verso il termine. Ciò che segue sono tre considerazioni sul termine da parte di tre artisti che accettano il suono come loro mezzo primario: Annea Lockwood e Max Neuhaus, che hanno esplorato il suono in quanto elemento naturale e nuova forma di composizione al

di là delle sale da concerto e dalla strumentazione, a partire dagli anni ’60, oltre a Christian Marclay. Il fatto che nessuno di essi sembri confermare che il termine sia illuminante in questo caso, sottolinea ancor di più la confusione su ciò a cui – e a chi - in realtà il termine “sound art” si riferisce55.

Visitare un’installazione d’arte sonora richiede una silenziosa contemplazione per permetterne l’ascolto, ma non sempre essa sfugge all’identità della musica come arte basata su un tempo. Così è il caso di molta video arte (vengono alla mente alcuni dei primi video di Bruce Nauman, come Clown Torture), molte opere d’arte sonora tracciano una sola linea. Molto spesso un segnale elettronico è innescato da una catena di effetti e lasciato andare in una sala per conto suo, il risultato è semplicemente decorativo. In questo senso l’aspetto non performativo dell’arte sonora la rende una sfida a catturare l’attenzione dell’osservatore perché l’ambiente di una galleria rende facile per qualcuno entrare e uscire, gettare un rapido sguardo per vedere se un quadro o una scultura colpisce l’occhio e poi passare oltre fino alla prossima collocazione.

55 Qui elencate alcune definizioni fornite dai suddetti “sound-artist”:

- ANNEA LOCKWOOD: “Arte sonora. Lo applico a tutti i brani che faccio utilizzando mezzi elettroacustici, e che voglio vengano presentati in gallerie, musei, altri spazi in cui il suono viene concepito, come un mezzo a sé stante, come il video, ma non come performance.

- MAX NEUHAUS: “agli inizi dello scorso secolo, il compositore Edgar Varèse propose di ampliare la definizione di musica fino ad includere tutti i suoni organizzati. John Cage andò oltre e incluse il silenzio. Persino ora nella musica, la nostra reazione sicuramente non può essere quella di mettere la testa nella sabbia e definire in qualche altro modo ciò che è essenzialmente musica nuova - “Sound art”… se c’è un motivo valido per classificare e nominare le cose all’interno della cultura, sicuramente è per il

raffinamento delle distinzioni. L’esperienza estetica giace nell’area delle sottili distinzioni, e non la

distruzione delle distinzioni per promozione o attività del loro minimo comune denominatore, in questo caso, il suono. Molto di ciò che è stato chiamato “sound art” non ha molto a che vedere persino col suono o con l’arte.”

- CHRISTIAN MARCLAY: “Bene, penso che sia un’ottima cosa che ci sia interesse nel suono e nella musica, ma tutte le strutture dell’arte mondiale non sono ancora pronte per questo, perché il suono esige una tecnologia differente e una differente architettura per essere esibito. Pensiamo ancora alle gallerie museali come alle gallerie del diciannovesimo secolo, “come lo appendiamo al muro, come lo illuminiamo?” Ma nessuno sa niente sul suono- il modo in cui si fissa un altoparlante, il modo in cui si equalizza all’interno di una stanza. Manca questo tipo di conoscenza e competenza all’interno del mondo de musei. Sempre più musei hanno una sala lounge di ascolto, ma ci sono ancora molti cambiamenti da fare prima che il mondo dell’arte sia pronto per presentare il suono in qualità di arte.”

L’arte sonora, poi, rifiuta la possibilità che ha la musica di competere con altre forme d’arti basate su un tempo o una narrativa, e si indirizza invece a un desiderio umano di base, quello del suono nello spazio.

Le espressioni della sound art si possono strutturare su tre categorie, legate alla ”messa in forma”:

1. Un’installazione sonora in un ambiente che è definito nello spazio (e/o uno spazio acustico) piuttosto che nel tempo e che può essere messo in mostra proprio come un’opera d’arte visiva.

2. Un’opera d’arte visiva che ha anche la funzione di produrre un suono, come la scultura sonora.

3. Il suono prodotto da artisti che agisce come un’estensione dell’estetica peculiare dell’artista, generalmente espressa con altri mezzi.

3.2: L’abiente del Sound-Design. Dalla sale da concerto agli spazi naturali

La sala da concerto tradizionalmente aderisce alla funzione di presentare i suoni separati dal mondo esterno uno spazio chiuso separato dal mondo esteriore e dalla sfera sonica del quotidiano. I limiti della sala da concerto furono messi in questione prima dell’avvento delle registrazioni. R. Murray Schafer ha descritto l’evoluzione della sala da concerto come una sostituta della vita all’aperto. Egli nota che l’imitazione del paesaggio in musica corrisponde storicamente allo sviluppo della pittura paesaggistica”, prima nei maestri del Rinascimento fiammingo, e poi evolvendosi in un genere diverso nel 19°secolo. La diffusione di gallerie in aree urbane è quella che Schafer crede sia la causa di questa tendenza, in quanto il dipinto funziona da “finestra” su un mondo naturale sempre più inaccessibile. “Una galleria d’arte è una sala con mille punti di partenza, così che una volta che si è entrati, si perde la porta d’ingresso al mondo reale e si deve

continuare ad esplorare”. Allo stesso modo, la musica trasforma le “mura di una sala da concerto in finestre aperte sulla campagna”, e cita Vivaldi, Haydn, Handel, Schubert e Schumann. La musica classica ha molte corrispondenze con la natura, che siano Le Quattro Stagioni di Vivaldi, Water Music di Handel o le trascrizioni fatte da Oliver Messiaen di richiami per uccelli: tutti vogliono essere in qualche modo illustrativi o rappresentativi di fenomeni naturali.

L’ascolto dei suoni nella natura, e l’osservanza ad essa sono caratteristiche chiave della sound art, come fu anticipato da Cage e dai suoi seguaci. Cage affermava di preferire una camminata nei boschi ad un concerto, mentre Morton Feldman una volta sostenne che ci si dovrebbe avvicinare alla sua musica come se non si stesse ascoltando, ma si stesse guardando qualcosa di naturale.

Con l’avvicinarsi di questi compositori ai suoni della natura, presto la sala da concerto venne sostituita da grandi spazi all’aperto. Nel 1969 Stockhausen eseguì un concerto all’aperto nel cortile Giacometti tra le sculture di Joan Mirò al museo della Maeght Foundation a St. Paul de Vence, in cui i musicisti sedevano sui tetti, sulle scale e nel cortile, integrandosi al suono delle rane, delle cicale e di altri animali. Dopo tre ore ogni musicista cominciò ad andar via camminando, mentre continuava a suonare, nella foresta. Alle 2.00 di mattina ci fu un “dialogo di venti minuti tra i clacson delle auto. Fu il compositoe a cominciare, poi tutte le persone cominciarono a far musica con i clacson, e mentre uno dopo l’altro se ne andavano, si scambiavano suoni per miglia lungo la strada. E’ importante notare, pero’ che Cage e Stockhausen pensano ancora in termini di concerto da performance con un pubblico, e non di musica come installazione libera che attiri i visitatori.

Stuart Marshall realizzò una seria di opere di sound art all’aperto poco conosciute nei primi anni settanta, in una di esse, Golden Hill (consisteva in fonti sonore collocate tra gli alberi), si supponeva che l’ascoltatore evitasse di riconoscere tali fonti sonore come esterne all’ambiente (e veniva detto di fare un segno nel caso di disvelamento della sfonte sonora). Anche David Dunn cominciò a realizzare performance nei primi anni ’70, incluso Nexus I (1973) concepito per tre trombe

che suonavano all’interno del Grand Canyon ed espial per assolo di violino e tre registratori nel deserto di Anza-Borrego in California.

Oltre ad utilizzare gli spazi all’aperto come luogo per i concerti, c’è una lunga tradizione dell’utilizzo del vento come produttore di suono. L’arpa eolica è uno strumento a corde progettato originariamente dai Greci in cui le corde erano tutte accordate su una sola nota. Questa veniva collocata sul davanzale di una finestra e “suonata” dal vento senza interferenza umana, creando interazioni armoniche tra gli ipertoni. Con la variante di Gordon Monahan dell’antico strumento, in un brano dal nome Aeolian Piano (1984), suonato all’Holownia-Hansen Farm: a Jolicure, in Canada, egli stese le corde del pianoforte lunghe 15 piedi tra due ponti di legno, poi aggiunse un pianoforte verticale e altre corde parallele alle originali questa volta per cento piedi di lunghezza. Il vento faceva risuonare le corde (e in assenza di vento, l’aria ferma produceva una risonanza bassa). Più tardi creò un’installazione permanente, Aeolian Silo, (1990) in cui corde di pianoforte venivano stese sulla cima di un silos a Funny Farm, a Medford, nell’Ontario. Leif Brush creò Meadow Piano nel 1972, molto più di una semplice struttura a reticolato che utilizzava sensori che creavano corrispondenze uditive alle condizioni climatiche e microfoni per cogliere e registrare l’attività degli insetti intorno alla struttura. L’australiano Alan Lamb creò brani dal suono prodotto dal vento che “suona” i cavi del telefono, o che gioca rumorosamente con un organo e altri congegni che suonava invece egli stesso. Anche Max Eastley creò sculture di suono eolico, non solo arpe, ma anche flauti e altri strumenti che potevano essere suonati dal vento. Così Bill e Mary Buchen crearono gamelan a vento e “sun catcher” insieme a numerose arpe eoliche. Essi realizzarono inoltre un “cerchio armonico”, che si serviva della topografia di una collina per creare un sistema di accordatura per un’enorme scultura sonora (di 250 piedi). La scultura sonora all’aperto di Harry Bertoia che gli fu commissionata per il River Oaks Shopping Center di Calumet City, nell’Illinois, (1966) doveva essere “suonata” dal vento. Liz Philips creò brani al sintetizzatore che erano innescati dall’andamento del vento attraverso voltagabbana e anemometri. Sound Site (1977) di Douglas Hollis

disponeva di diverse sculture sonore attivate dal vento installate lungo il fiume Niagara; la sua installazione a Seattle, Sound Garden (1983), aveva canne d’organo che dovevano essere suonate dal vento. Patrick Zentz ha prodotto una varietà di opere innescate dal movimento del vento (diapason, fiati, strumenti a corda). Le “lucciole del vento” di Felix Hess erano delle macchine con un microfono e una luce verde lampeggiante che venivano innescate dai movimenti del vento. Per una registrazione del 1994, Garlo dispose 54 chitarre acustiche sulla Pyla Dune, costa della Normandia, la più alta in Europa, e lasciò che le loro corde vibrassero al vento, rilasciando come risultato Vent de Guitares.

I Terrain Instruments di Leif Brush, una serie di opere cominciate nella seconda metà degli anni ’60, erano congegni elettronici che trasformavano varie fonti di movimento ambientali (foglie, vento, precipitazioni) in suono tramite varie corde di metallo tese fra gli alberi. Egli costruì anche delle “sculture udibili” come i “signal discs” o i “cricket chord monitors” per registrare i movimenti e i suoni climatici. L’altro tipo di suono ambientale consiste nel rumore prodotto dall’uomo. Il futurista Luigi Russolo fu il primo influente ideologo del rumore, egli sminuì la musica come “un mondo fantastico sovrapposto a quello reale”. Stimolato dal lavoro del futurista F. T. Martinetti, Zang Tumb tumb, opera onomatopeica basata su suoni di guerra uditi in prima persona sul fronte della Prima guerra mondiale, e molto prima che Cage osservasse che tutti i suoni erano musica, Russolo dichiarò nel famoso manifesto del 1913 “l’Arte dei Rumori”:

“Ne abbiamo avuto abbastanza (di Beethoven e simili), e siamo compiaciuti maggiormente… dal rumore dei tram, dai motori delle automobili, dalle carrozze e dalle folle rumoreggianti.” (Russolo, 1913)

Egli osservò l’evoluzione della musica classica verso armonie più complicate che includevano la dissonanza, e affermò:

“quest’evoluzione della musica è paragonabile alla moltiplicazione delle macchine… il suono musicale è troppo limitato nella sua varietà di timbri… bisogna rompere questo cerchio circoscritto di suoni e conquistare l’infinita varietà dei suoni-rumori. […] Vogliamo dare dei toni a questi rumori diversi, regolarli armonicamente e ritmicamente.” (Russolo, 1913)

Egli auspicò l’invenzione di strumenti per dare vita ad un’orchestra di suoni– rumori, in altre parole, per “addomesticare” il suono ambientale. Vedeva inoltre i macchinari come produttori di suoni, idea che aprì la strada alle sculture sonore (in particolare alle macchine “inutili” di Jean Tinguely prima e Bruno Munari poi). Una dei lavori sonori di Russolo è Veglio di una citta ’(1914): per “urlatori, rimbombatori, scricchiolatori, raschiatori, esploditori, ronzatori, farfugliatori e fischiatori.” Il compositore si approcciò all’opera creando da sé le macchine produttrici di rumori, intonarumori56. Più tardi egli sviluppò un harmonium per i rumori concepito come accompagnamento ai film muti. Altri artisti erano interessati all’idea di organizzare il rumore nelle composizioni. Piet Mondrian auspicò una musica nuova con “un nuovo ordine di suoni e non suoni (rumori determinati)” in due saggi del 1921 e del 1922. “the Manifestation of Neo-Plasticism in Music and the Italian Futurists’ Bruiteurs” (I “Bruiteurs” erano una sorta di intonarumori) e “Neo-Plasticism: Realization in Music and Future Theatre”. Il compositore d’avanguardia George Antheil sognava “macchine orchestrali urbane i cui suoni sarebbero stati lanciati obliquamente nello spazio.”

Verso la fine degli anni sessanta, il sound designer R. Murray Schafer insieme all’urbanista Michael Southworth, hanno donato alla scienza dei suoni un nuovo termine, presidiato in seguito in modo indipendente da altri compositori, architetti e sound designers, ma che è comunque rimasto l’unico più longevo negli approcci

56 L’intonarumori è un marchingegno che rispondeva a una duplice esigenza: in primo luogo consentiva di

integrare i materiali timbrici dell’orchestra tradizionale mediante l’introduzione di rumori e in secondo luogo di regolarne l’intonazione. L’intento dell’originale invenzione di Russolo fu limitato a scandalizzare gli ascoltatori del tempo, mostrando loro quanto fossero esigui i confini dello spazio sonoro in cui si compiacevano d’essere costretti. La sua provocazione tuttavia restò tale e non fu mai finalizzata all’ampliamento dei mezzi espressivi messi a disposizione del compositore.

all’ambiente acustico nelle sue varie manifestazioni: Soundscape. Lo stesso Schafer ha descritto le differenze di suono tra l’ambiente rurale e quello urbano:

“Quando l’uomo vive per lo più nell’isolamento o in piccole comunità, le sue orecchie lavorano con delicatezza sismografica. Nell’ambiente sonoro rurale i suoni sono incredibilmente non affollati… per il fattore, il pioniere, l’uomo del bosco i più piccoli suoni hanno una loro importanza. Il pastore, per esempio, riesce a determinare dalla campanella della pecora il preciso stato del suo gregge.” (Schafer, 1994, p 126)

Egli prosegue affermando che prima dell’illuminazione esterna, l’uomo era solito ascoltare gli zoccoli del suo cavallo, durante un viaggio di notte, per determinare se si trovasse ancora sulla strada, o per stabilire la sua prossimità alla città. Gli antichi soundscape notturni di campagna erano come i suoni “hi-fi”, capaci di essere uditi distintamente “a causa del basso livello di rumore ambientale” laddove i suoni della città sono invece “low-fi” e sono “nascosti dal rumore a banda larga, per far ascoltare i suoni più ordinari bisogna che questi vengano amplificati.” (Schafer, 1994, p 126)

Mentre per i compositori “post-musica concreta” e i sound artists è ora consueto combinare suoni e rumori naturali o suoni prodotti dall’uomo, il minimalista La Monte Young potrebbe essere il primo compositore ad aver trovato terreno comune fra i suoni naturali e i suoni delle macchine. Young individua le sue fonti d’ispirazione ne:

“il suono del vento; i suoni di grilli e cicale; i suoni dei pali del telefono e di motori; suoni prodotti dal vapore che sfugge, come dal bollitore del tè di mia madre e i suoni dei fischi e dei segnali provenienti dai treni; e risonanze che nascono dalle caratteristiche naturali di particolari aree geografiche come