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Profili introduttivi di diritto sostanziale

La Costituzione si occupa della famiglia in una disposizione di carattere generale – l’art 2 – e in tre specifiche disposizioni dedicate espressamente alla disciplina della famiglia: artt. 29, 30 e 31.

Nella norma di carattere generale, la parte ove si prevede che “La

repubblica garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali nelle quali si esplica la sua personalità”

ricomprende a pieno titolo la nozione di famiglia, che certamente rappresenta la prima delle formazioni sociali, nelle quali l’individuo si trova ad inserirsi.

Nell’ambito del Titolo II, Parte I, della Legge Fondamentale, relativo ai rapporti etico-sociali, invece, troviamo una disciplina più specifica per la materia di nostro interesse, tra le cui autorevoli disposizioni scorgiamo la definizione di famiglia come “società naturale fondata

sul matrimonio”1.

E’ opportuno precisare che tale definizione non debba essere letta come un richiamo ai principi di diritto naturale o a valori di ordine religioso, ma debba essere colta, nel quadro dei rapporti

intersoggettivi, come un implicito riferimento alla tradizione etica,

1 A tal riguardo, si riporta la riflessione dell'on. MORTATI il quale, in sede di

Assemblea Costituente, dichiarò che tale formula intendesse riconoscere alla famiglia “una sua autonomia originaria, destinata a circoscrivere i poteri del futuro legislatore in ordine alla sua regolamentazione”. Così on. MORTATI, in Atti Assemblea Costituente, seduta del 23 aprile 1947, in La Costituzione della

Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea Costituente, a cura del

Segretariato generale della Camera dei Deputati, Roma, 1970, vol. VI, p. 630 ss. Sul punto v. anche CAVANA, La famiglia nella Costituzione italiana, in Dir. fam. e

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sociale e culturale del mondo occidentale, in virtù della quale il complesso dei diritti e doveri, che unitariamente considerati costituiscono la famiglia, trova nel matrimonio il proprio titolo di legittimazione2.

Nonostante questa non risulti la sede più idonea ad offrire prospettive ermeneutiche dei dettami costituzionali, il richiamo alle citate

disposizioni appare doveroso per evidenziare che la famiglia rappresenti un fenomeno sociale in cui preesistono una serie di rapporti, per la precisione etico-sociali, rispetto a qualsivoglia intervento normativo3, rispetto ai quali l’ordinamento giuridico è chiamato continuamente ad una risposta efficiente, in sede di recepimento delle istanze dovute al mutare delle generazioni, per la costruzione e l’organizzazione della comunità.

Il mutare delle generazioni, appunto. Non è un caso che, da un punto di vista storico, il concetto di famiglia abbia subito un’evoluzione concettuale, essendo transitati da una concezione della stessa quale istituzione caratterizzata da una struttura gerarchica ed autoritaria, espressiva di interessi pubblicistici4, ove la primaria necessità consisteva nella tutela dell’interesse superiore della famiglia, ad una visione volta a valorizzare i diritti dei singoli componenti, ed in particolar modo l’interesse del minore5

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2 Per interessanti riflessioni sul punto, v. G.GIACOBBE, La famiglia

nell’ordinamento giuridico italiano, Torino, 2016, p.36 ss.

3

Cfr., L.QUERZOLA, Il processo minorile in dimensione europea, Bologna, 2010, p. 24.

4 V. G. FERRANDO, Il matrimonio, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu e Messineo, V, 1,

Milano, 2002, p. 32; così anche L.VASSALLI, Diritto pubblico e diritto privato in

materia patrimoniale, in Scritti giuridici, I, Milano, 1960, p195, il quale riteneva

esistente un interesse familiare superindividuale e di stampo pubblicistico. Sul punto, v. M.SESTA, Diritto di famiglia, Padova, 2003, 4, il quale sostiene che nell’impianto originario del codice del 1942 il modulo di riferimento per la famiglia fosse quello del potere e della soggezione, esattamente come nel diritto pubblico.

5 Sul tema, è particolarmente ampia la dottrina, senza pretese di esaustività, v.

F.LONGOBUCCO, Interesse del minore e rapporti giuridici a contenuto non

patrimoniale: profili evolutivi, in Dir. fam. e pers., 2014, p. 1642 ss.;

F.TOMMASEO, Processo civile e tutela globale del minore, in Fam. e dir., 1999, p. 583 ss.; ID., L'interesse del minore e la nuova legge sull'affidamento condiviso, in

Fam. e dir., 2006, p. 295 ss.

Inoltre, sul punto un ruolo fondamentale è stato svolto tanto sul piano del diritto convenzionale, quanto su quello europeo; rispettivamente v. art. 3 della

Convenzione di New York, ratificata con la l. n. 176/1991 ed art. 24 della Carta di Nizza.

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A partire dall’entrata in vigore del codice civile del 1942,

particolarmente critica era la condizione di quest’ultimo, alla luce della circostanza che esauriva il rapporto genitoriale nell’autorità del padre verso il minore, sottoposto alla patria potestà. Pertanto, i figli non venivano considerati “soggetti”, ma soltanto uno degli “oggetti” della relazione tra i coniugi, la cui educazione doveva essere

improntata al rispetto dei principi della morale, senza alcuna considerazione delle aspirazioni personali.

Il riconoscimento dei diritti individuali ed il mutamento del costume sociale hanno svolto un ruolo fondamentale per il superamento della consolidata situazione di immunità e di privilegio di fatto esistente nel contesto familiare, a favore di una concezione della famiglia non più chiusa in sé stessa ed impermeabile alle altre branche del diritto6, col tempo divenuta sempre più luogo di realizzazione della personalità del singolo7.

A partire dagli anni ’70, anno di introduzione della legge n.898 sul divorzio, prende avvio un processo di privatizzazione del diritto di famiglia, in cui scoloriscono gli interessi pubblicistici, e si pongono in primo piano gli interessi dei singoli componenti; con la legge di riforma del diritto di famiglia, n. 151 del 1975, si adegua la disciplina codicistica a quella costituzionale, e in conseguenza di ciò si afferma l’idea che i membri del consortium familiare siano anzitutto persone, titolari di situazioni esistenziali uguali dinanzi alla legge, e si sancisce il passaggio alla potestà genitoriale8, intesa quale potere-dovere dei coniugi finalizzato alla crescita e allo sviluppo della personalità della prole.

Nel solco tracciato da queste leggi, si sono susseguiti altri interventi normativi, atti a perfezionare ulteriormente il rapporto genitoriale, in particolare nelle situazioni di crisi familiare, in cui è forte il rischio di

6 Il riferimento è all’apertura operata dalla Suprema Corte circa la possibilità di

applicare la tutela aquiliana agli illeciti endo – familiari, v. Cass., 7 giugno 2000, n. 7713, in Fam . dir., 2000, 159 e Cass., 10 maggio 2005, n.9801, in Fam. Dir., 2005, p 365.

Importante riconoscimento in tal senso si è avuto con la riforma dell’affido condiviso, con la legge 8 febbraio 2006, n. 54.

7

Cfr., F.RUSCELLO, I rapporti personali tra coniugi, Milano, 2000, p.33 e 48ss.

8 Si segnala che il d.lgs 28 dicembre 2013, n. 154, in applicazione della delega

contenuta nella legge n.219 del 2012, ha superato il concetto di potestà ed ha introdotto quello di “responsabilità genitoriale”.

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inadempimenti dei doveri genitoriali e di lesioni dei diritti inviolabili del singolo. Si allude, in particolar modo, alla legge sull’affidamento condiviso, n. 54 del 2006, la quale, novellando il codice civile ed il codice di rito, ha introdotto strumenti diretti a far sì che i genitori, nonostante la crisi, rimangano responsabili della crescita e

dell’educazione del figlio, continuando ad adempiere ai propri doveri, nel rispetto delle statuizioni del giudice.

Alla luce di questo breve e generale excursus storico, condotto senza alcuna pretesa di esaustività, possiamo capire come la materia de qua sia particolarmente complessa ed intrisa di forti componenti emotive, tali da riguardare aspetti delicatissimi della vita della persona.

Tuttavia, non possiamo non rilevare come, salvo i richiamati ed originari interventi normativi degli anni ’70, la mano del Legislatore non si sia mai espressa in modo unitario e sistematico, contribuendo ad alimentare un caos insostenibile, specie sul piano processuale, che, se da un lato impone un ripensamento razionale sul rito di famiglia, dall’altro costringe il giurista non solo ad adottare un atteggiamento d’indagine il più possibile orientato alla comprensione di questo panorama particolarmente articolato, al fine di limitare al massimo le ipotesi di ineffettività del rimedio processuale, ma anche a misurarsi

de facto con soluzioni spesso incoerenti e di difficile interpretazione9. Nelle pagine seguenti, analizzeremo il tema dell’attuazione delle misure che originano dalle controversie di famiglia, e nel far ciò passeremo in rassegna le principali ragioni che giustificano una tutela giurisdizionale differenziata rispetto a quella ordinaria, in virtù degli aspetti peculiari che si riscontrano a livello di diritto sostanziale, e che il sistema processuale deve necessariamente conoscere e valorizzare. Pertanto, l’aspetto che approfondiremo concernerà la specialità dei procedimenti, essendo le controversie in questione destinatarie di procedimenti speciali.

9

Sul punto, emblematica ed attualissima la prefazione al libro di C.CECCHELLA e G.VECCHIO, Il nuovo processo di separazione e divorzio, Milano, 2007, ove si legge <<Mai come oggi nella materia de qua, dove le implicazioni sociali delle regole introdotte è altissima e, quindi, il bene della certezza del diritto da tutelare con particolare attenzione, si impone la necessità di un ripensamento sistematico, che riconduca ad unità e razionalità gli istituti sostanziali e processuali, dove finalmente la giurisdizione sia unica, auspicabilmente innanzi al giudice ordinario, con un tribunale organizzato in sezione speciale, (..)>>.

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2) LE RAGIONI DI UNA TUTELA GIURISDIZIONALE

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