• Non ci sono risultati.

L'ATTUAZIONE DEI PROVVEDIMENTI GIURISDIZIONALI IN MATERIA DI FAMIGLIA.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L'ATTUAZIONE DEI PROVVEDIMENTI GIURISDIZIONALI IN MATERIA DI FAMIGLIA."

Copied!
173
0
0

Testo completo

(1)

1

UNIVERSITÁ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

L’attuazione dei provvedimenti giurisdizionali

in materia di famiglia

Il Candidato Il Relatore

Filippo Marini Professor Claudio Cecchella

(2)

2

PREMESSA ………. 5

INDICE

CAPITOLO PRIMO

Rilievi storico – comparatistici dell’esecuzione processuale indiretta ed inquadramento costituzionale

1. La misura coercitiva indiretta: il lungo cammino prima della

‘svolta epocale’ ……….. 7

2. La ‘ricerca dell’effettività’ alla luce dell’art. 24 della

Costituzione: il diritto all’esecuzione ……….. 13

3. Le misure di esecuzione indiretta come strumenti attuativi dei principi della ‘Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali? ………. 18 3.1. La circolazione della comminatoria nello spazio giuridico

europeo ……….. 23 3.2. La recente sentenza della Corte di Cassazione

n.7613/2015: la compatibilità delle astreintes con l’ordine pubblico italiano ……… 26

4. Profili comparatistici: uno sguardo ai modelli di esecuzione processuale indiretta nei principali ordinamenti europei

4.1. L’ Astreinte francesi ……… 30 4.2. L’ Astreinte nei paesi del Benelux: la legge uniforme del

1973 ………... 35 4.3. Le ‘Zwangsstrafen’ tedesche ……… 37 4.4. L’ istituto britannico del ‘Contempt of Court’ …………. 41

(3)

3

CAPITOLO SECONDO

Il processo esecutivo familiare: necessità di una tutela giurisdizionale differenziata

1. Profili introduttivi di diritto sostanziale ………... 45

2. Le ragioni di una tutela giurisdizionale differenziata. L’incompatibilità con le forme del libro terzo del c.p.c. ……. 49

2.1. L’urgenza ………. 51

2.2. Il mutamento della fattispecie ……….. 57

2.3. La necessità di una tutela esecutiva indiretta pro futuro... 60

3. Considerazioni sul rito dei procedimenti di separazione e divorzio 3.1. Profili sostanziali ………...… 63

3.2. Aspetti processuali: in particolare, la natura bifasica ...… 67

3.3. I rapporti tra i due procedimenti alla luce della legge n. 55 del 2015 ………. 70

4. (cenni) Il disegno di legge delega al governo per la riforma del processo di famiglia del marzo 2016 ...……… 75

CAPITOLO TERZO Misure coercitive a tutela dei diritti patrimoniali in ambito familiare e soluzione delle controversie insorte tra i genitori ex art. 709 ter c.p.c. 1. Premessa ……….. 78

2. Strumenti a garanzia dei provvedimenti patrimoniali ……….. 81

2.1. Le misure sommarie antecedenti al giudizio di separazione e divorzio ………...… 84

2.2. Misure coercitive durante la fase della crisi familiare …. 88 3. La tutela penale ………...…………. 98

4. L’introduzione dell’art. 709 ter c.p.c. ……….... 101

4.1. L’ambito di applicazione ……… 105

4.2. La natura e la finalità della norma ……….. 110

4.3. Profili processuali e panoramica delle singole misure tipizzate ………...……… 115

(4)

4

CAPITOLO QUARTO

Il ‘nuovo’ art. 614 bis del codice di rito: questioni interpretative irrisolte

1. Premessa………. 126 2. Il nuovo testo dell’art. 614 bis c.p.c.: l’ambito di

applicazione……… 128 2.1. L’ esclusione della condanna al pagamento di somme di

denaro……...……… 131 2.2. L’ esclusione della materia del lavoro………. 133 2.3. Il limite della manifesta iniquità……….. 135 3. Aspetti procedurali: la richiesta di parte ed il provvedimento di

condanna

3.1. La richiesta di parte ……… 137 3.2. Il provvedimento di condanna………. 139 4. La pronuncia della misura coercitiva indiretta: lo stretto legame

tra la corretta definizione del quantum e la funzione

dell’istituto………...…... 141 5. Vicende ex post: la fase esecutiva e la tutela del convenuto... 146

5.1. Il superamento del nesso di alternatività esclusiva e le contestazioni del debitore esecutato………...148 6. Sull’applicabilità dell’art. 614 bis c.p.c. nell’ambito familiare:

quale confronto con l’art. 709 ter c.p.c.? ...152

CONCLUSIONI …...………... 158

BIBLIOGRAFIA …...………... 164

(5)

5

PREMESSA

Il presente lavoro è incentrato sul tema dell’attuazione dei

provvedimenti giurisdizionali nell’universo familiare, costellato da una miriade di ‘stelle’ particolarmente sensibili, orbitanti attorno ad un unico ed inscindibile perno: il costante ed immanente bisogno di una tutela giurisdizionale privilegiata. Questa considerazione, così reale ed affascinante, ha attirato sin da subito le mie attenzioni, ed ha suscitato in me l’interesse di approfondire da vicino la materia, al fine di capire i motivi, teorici e pratici, che giustificano una simile affermazione, assai ricorrente tra gli esperti del settore. A ben vedere, la prima risposta intuitiva ed istintiva potrebbe esaurirsi nella mera considerazione che il trattare delle problematiche attuative nelle controversie familiari implichi necessariamente un atteggiamento quanto mai cauto, prudente e fortemente orientato alla comprensione di situazioni esistenziali, concernenti la vita stessa di una persona. Ciò è indiscutibilmente vero, ma in realtà, per capire a fondo le ragioni che impongono una differenziazione della risposta processuale

dell’ordinamento, in chiave privilegiata, non basta il solo dato empirico che nelle controversie de quibus siano in gioco diritti personalissimi, ma occorre comprendere dal profondo i caratteri peculiari che connaturano il diritto di famiglia, e lasciarsi illuminare dalle suggestioni provenienti dal diritto sostanziale, in maniera tale da individuare le migliori risposte sul piano processuale.

Avendo come faro questo obiettivo, nella trattazione che segue tenteremo di affrontare il tema dell’effettività della tutela

giurisdizionale, intesa come diritto costituzionalmente garantito ai sensi dell’articolo 24 Cost., posto che sarebbe del tutto inutile limitarsi ad accertare ed affermare l’esistenza di un diritto, senza provvedere al contempo a predisporre un efficiente sistema rimediale, a carattere esecutivo, finalizzato ad ottenere la realizzazione concreta di quanto

(6)

6

sancito a livello dichiarativo. Ciò vale ancora di più avendo riguardo al delicatissimo ambito delle controversie della famiglia, specialmente durante la fase della crisi.

In particolare, ci occuperemo della tecnica processuale

dell’esecuzione indiretta, e nel primo capitolo ripercorreremo le principali tappe storiche che hanno preceduto l’ingresso nel nostro ordinamento di una misura coercitiva indiretta a carattere generale, consci dell’utilità apportata a tal fine dal sistematico confronto con le principali esperienze processualistiche europee. Successivamente, i capitoli centrali della tesi volgeranno lo sguardo sia alle tematiche concernenti il processo esecutivo familiare, con particolare attenzione alle norme dettate per i procedimenti per la separazione e per il divorzio, sia al coacervo di misure coercitive disposte a garanzia dei diritti patrimoniali e personali, coinvolti in ambito familiare, andando a toccare con mano le problematiche attuali poste dall’art. 709 ter c.p.c., introdotto con legge n.54 del 2006. Infine, il fulcro

dell’indagine del quarto ed ultimo capitolo avrà ad oggetto lo studio dell’art. 614 bis c.p.c., proponendo un puntuale confronto tra la versione originaria della norma, introdotta con legge n. 69 del 2009, e la versione attuale, risultante all’esito delle modifiche apportate dalla legge n. 132 del 2015.

In generale, le pagine del presente elaborato, aggiornate ai più recenti casi di cronaca giunti nelle nostre corti, si rivolgono al lettore con un atteggiamento critico verso il nostro legislatore, alla luce dei

molteplici dubbi ed incertezze rimaste irrisolte, a seguito dei più recenti interventi normativi, ormai sempre più terreno di occasioni mancate, nella speranza di giungere definitivamente ad una disciplina normativa coerente, unitaria e doverosamente sensibile dei diritti soggettivi dei genitori e dei figli eventualmente coinvolti.

(7)

7

CAPITOLO PRIMO

RILIEVI STORICO - COMPARATISTICI

DELL’ESECUZIONE PROCESSUALE INDIRETTA

ED INQUADRAMENTO COSTITUZIONALE

1)

LA MISURA COERCITIVA INDIRETTA: IL LUNGO

CAMMINO PRIMA DELLA ‘SVOLTA EPOCALE’

Il presente capitolo ha ad oggetto la ricostruzione storica del tema delle tecniche di attuazione del provvedimento giudiziale, per mezzo di misure coercitive. Infatti, il problema relativo all’individuazione di tali misure è molto risalente nel tempo ed ha suscitato negli ultimi decenni un acceso dibattito dottrinale.

Le misure coercitive costituiscono strumenti di coazione indiretta, finalizzati ad incentivare l’adempimento spontaneo del debitore, attraverso la minaccia di sanzioni, civili o penali, in caso di inadempimento. Da ciò emerge chiaramente come esse siano

strettamente connesse al tema dell’ “esecuzione processuale indiretta”: mentre l’esecuzione diretta si ha tutte le volte in cui l’inerzia

dell’obbligato è sostituita dall’attività dell’ufficio esecutivo, il quale, attivandosi in luogo dell’inadempiente, fa conseguire all’avente diritto ciò che gli spetta secondo il diritto sostanziale, l’esecuzione indiretta, invece, consiste nell’indurre l’obbligato ad adempiere, prevedendo conseguenze negative per lui più onerose dell’adempimento stesso, a fronte del rifiuto spontaneo.

Occorre, tuttavia, avere prudenza e tenere distinti i termini ‘esecuzione indiretta’ e ‘misure coercitive’: quest’ultime si definiscono ‘strumenti costantemente funzionali all’esecuzione

(8)

8

indiretta’, ma non esauriscono in essa la loro funzione, potendo essere previste anche in relazione a provvedimenti di condanna suscettibili di esecuzione forzata diretta e, quindi, di perfetta surrogabilità, ad opera di un terzo, degli obblighi accertati in sede di cognizione1.

Per capire a fondo l’essenza di questi istituti e cogliere a pieno l’importanza e la portata della riforma attuata con l’introduzione dell’art. 614 bis c.p.c., ad opera della legge 18 giugno 2009 n. 692

, invocata a gran voce da una dottrina unanime e consolidata, e definita ‘epocale’3

, in virtù del conseguente allineamento del nostro ordinamento alla maggior parte dei paesi europei, è necessario sia ripercorrere le tappe, senza nessuna pretesa di completezza storica, che hanno portato all’intervento del nostro legislatore, sia analizzare alcuni principi essenziali del nostro ordinamento e di quello

comunitario.

Il d.l. 27 giugno 2015 n.83, convertito nella l. 6 agosto 2015 n. 1324, ha riformato, insieme ad altri istituti in materia esecutiva, anche l’art. 614 bis c.p.c. , ed, oltre ad incidere direttamente sul testo dell’articolo in esame, ha creato un apposito titolo IV bis nel codice, rubricato “Delle misure di coercizione indiretta” , in segno di una piena e riconosciuta autonomia delle medesime, rispetto a quanto previsto nel titolo IV (“Dell’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non

fare”). Questa recentissima legge rappresenta l’evoluzione finale di un

1

E.VULLO, L’esecuzione indiretta tra Italia Francia e Unione Europea, in Riv. dir.

proc., 2004, 3, 727.

2 “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività

nonché in materia di processo civile”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 19 Giugno 2009 ed entrata in vigore il 4 Luglio 2009.

3 E.MERLIN, Prime note sul sistema delle misure coercitive pecuniarie per

l’attuazione degli obblighi infungibili nella l. 69/2009, in Riv. dir. proc., 2009, 6,

1546; sul tema, vedi anche C.MANDRIOLI, Diritto processuale civile, 20° ed., III, Torino, 2009, 20.

4

Per un attento studio delle novità introdotte da questa legge, si rimanda alle considerazione svolte nel capitolo 4.

(9)

9

approfondito dibattito dottrinale sul tema delle misure coercitive, che affonda le sue radici a studi e progetti risalenti a quasi un secolo fa, con particolare impulso negli anni ’70 del Novecento e negli anni più prossimi all’adozione della Novella.

Ecco, in breve, una rapida rassegna delle precedenti iniziative

legislative, finalizzate ad introdurre nel nostro ordinamento giuridico una misura coercitiva indiretta suscettibile di applicazione generale:

- Anzitutto, si veda il c.d. progetto Carnelutti, presentato alla Sottocommissione Reale per la riforma del codice di procedura civile del 1926. Ex artt. 667 e 668 c.p.c. era previsto che, in caso di mancata esecuzione di un obbligo, anche fungibile, di fare o di non fare, l’avente diritto avrebbe potuto domandare la condanna dell’obbligato al pagamento di una somma di denaro per ogni unità temporale di ritardo, a partire dal giorno

stabilito con il provvedimento di condanna. La grande novità consisteva, quindi, nella previsione di una penalità di mora in caso di inadempimento, che avrebbe di fatto sancito l’ingresso nel nostro ordinamento delle astreintes francesi. Come è noto, il progetto Carnelutti non entrò mai in vigore5;

- Il progetto del ministro Reale del 1975 prevedeva, ex art 23, l’ingresso dell’art. 279 bis nel c.p.c., in virtù del quale il giudice, constatata la violazione di un obbligo di fare o non fare, avrebbe potuto, in aggiunta alla condanna del debitore a risarcire il danno, fissare a suo carico, anche d’ufficio, per ogni

5

Per una valutazione generale sul Progetto Carnelutti si rinvia alle riflessioni dello stesso autore, Lineamenti della riforma del processo civile di cognizione, in Riv. dir.

proc. civ., 1929, I,p. 3ss.; per un primo inquadramento, l’astreinte, dal latino

‘adstringere’, ossia ‘costringere’, è un istituto di diritto francese, di origine giurisprudenziale, oggi disciplinato dagli articoli 33-36 della legge 9 luglio 1991, n.650; per una ricostruzione della storia dell’istituto, cfr. L.MARAZIA, Astreintes e

altre misure coercitive per l’effettività della sentenza civile di condanna, in Riv. Esec. Forzata, 2004, 338 ss; per una ricostruzione storica, vedi, infra, par. 4.1..

(10)

10

violazione o ritardo successivamente constatati, una somma di denaro, indicando specificatamente, se del caso, il soggetto o l’ente, pubblico o privato, beneficiario del pagamento6

;

- Il disegno di legge delega del 1981 per la riforma del codice di procedura civile, (c.d. ‘d.d.l LIEBAM’), che, al punto 24, in riferimento alla provata inadempienza di obbligazioni di fare infungibile o di non fare, prevedeva l’attribuzione al giudice del potere di condannare l’obbligato, su istanza di parte, al pagamento di una pena pecuniaria a favore dell’avente diritto per ogni giorno di ritardo nell’adempimento, entro i limiti minimi e massimi prefissati dalla legge. Anche questo progetto non vide mai la luce7;

- Il disegno di legge delega predisposto nel 1996 dalla

commissione ministeriale presieduta del Professor GIUSEPPE TARZIA, che prevedeva l’introduzione di una misura

coercitiva, in aggiunta al risarcimento dei danni, applicabile sia d’ufficio sia su istanza di parte, in riferimento a prestazioni di fare infungibili o fungibili, a prestazioni di non fare, a prestazioni di consegna o rilascio8;

- Il progetto di disegno di legge delega elaborato dalla

commissione presieduta dal Professor ROMANO VACCARELLA, approvato dal Consiglio dei Ministri il 24 ottobre 2003, il cui

6 Per il testo della disposizione v. B.CAPPONI, Astreintes nel processo civile

italiano?, in Giustizia civile, fasc.4, 1999, p. 157.

7 Per il testo che qui rileva, v. Disegno di legge sulla delega legislativa al Governo

della Repubblica approvato dal Consiglio dei ministri l’8 maggio 1981, in Giustizia Civile, II, 1981, 315.

8 Il testo si può leggere in G.TARZIA, Per la revisione del codice di procedura

(11)

11

art. 42 prevede l’introduzione di una misura coercitiva di natura patrimoniale, limitata alle obbligazioni infungibili, per le ipotesi di ritardo nell’adempimento, a beneficio sia del creditore, nella misura del danno subito a causa del mancato adempimento, sia dello Stato, nei limiti del residuo9;

- Infine, il c.d. ‘disegno di legge MASTELLA’, approvato dal

Consiglio dei Ministri il 16 marzo 2007, confluito nella legge 69/2009.

Alla luce di questo veloce excursus, possiamo affermare, da un lato, che i vari interventi si caratterizzano per la presenza di determinati elementi dell’istituto, taluni attinenti al profilo funzionale, tal altri al profilo strutturale, che li rendono diversi e disomogenei tra loro; dall’altro, emerge come tratto unificante la volontà di restringere l’ambito di applicazione della misura coercitiva indiretta alle sole obbligazioni di fare e non fare.

Come anticipato, la grande maggioranza degli studiosi lamentava da tempo la mancanza nel nostro ordinamento processuale di un adeguato sistema di esecuzione indiretta, in grado di garantire l’attuazione di ogni tipo di provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi infungibili10, evidenziando in essa un ingiustificabile vuoto normativo,

9

Cfr. L.SASSANI, Il progetto di riforma della Commissione Vaccarella: c’è chi

preferisce il processo attuale, in www.judicium.it; A.P.PISANI, Proposte di interventi in tema di giustizia civile, in Riv. dir. civ., 2003, p.163 ss.

10 Come prima e generale approssimazione, per obblighi infungibili si intendono

quelli che non possono essere surrogati da un altro soggetto, in quanto per il titolare del diritto non è indifferente che la prestazione provenga da un terzo o dal soggetto obbligato; sul punto F.LUISO, Diritto processuale civile, III, 7° ed., Milano, 2013, p. 220-221, <<L’infungibilità può derivare da due cause: perché l’obbligo è assunto

intuitu personae, cioè l’avente diritto voleva proprio la prestazione personale da quel

certo soggetto; oppure perché l’obbligato si trova in una situazione di monopolio, di fatto o di diritto, e quindi la prestazione potrebbe, in astratto, essere fornita da chiunque, ma , in concreto, la soddisfazione può essere data solo da un certo soggetto..>>.

(12)

12

in grado di minare l’effettività stessa della tutela giurisdizionale dei diritti. Tale mancanza di tutela appariva ancor meno tollerabile laddove erano controversi interessi fondamentali della persona (art. 2 Cost.) ed interessi per i quali la tutela risarcitoria per equivalente non poteva essere pienamente soddisfacente per il rispettivo titolare11. Risulta così evidente come l’ingresso di una figura generale di misura coercitiva abbia faticato a trovare riconoscimento nel diritto positivo italiano. In verità, in particolari settori12, non sono mancati interventi legislativi, in cui la misura di coercizione indiretta ha rappresentato la reazione dell’ordinamento all’inadempimento di obbligazioni

infungibili, ma si è sempre trattato di previsioni sporadiche, episodiche, inidonee a definirne una disciplina generale.

11 V. A.P.PISANI, La tutela giurisdizionale dei diritti della personalità: strumenti e

tecniche di tutela, in Foro.it, 1990, V, p.1 ss.

12 Si fa riferimento, senza pretesa di completezza, all’art. 124, comma 2, d.lgs. 10

febbraio 2005, n.30, (c.d. Codice della proprietà industriale), modificato dal d.lgs. 16 marzo 2006, n.140, che prevede il potere del giudice di fissare, con la pronuncia con cui inibisce la fabbricazione, il commercio e l’uso delle cose costituenti violazione di un diritto di proprietà industriale, una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata e per ogni ritardo

nell’esecuzione del provvedimento; si segnala, in ambito del diritto del lavoro, l’art. 18, quarto comma, l. 20 maggio 1970, n.300 (c.d. Statuto dei lavoratori), in base al quale il datore di lavoro, in caso di declaratoria di illegittimità del licenziamento, è tenuto al pagamento di una somma commisurata alle retribuzioni dovute dal momento del licenziamento fino a quello dell’eventuale reintegra, al fine di indurlo ad attuare l’ordine di reintegra. Nel caso in cui quest’ultimo rimanga inadempiuto, è previsto l’obbligo di pagamento, a favore del Fondo adeguamento pensioni, per ogni giorni di ritardo, di una somma pari all’importo della retribuzione dovuta al

lavoratore. Inoltre, l’art. 28, quarto comma, dello stesso Statuto fa un espresso riferimento all’art. 650 c.p. in caso di inottemperanza al provvedimento di repressione della condotta antisindacale; nell’ambito della tutela collettiva della categoria dei consumatori, l’art. 140, comma settimo, d.lgs. 6 settembre 2005, n.206 (c.d. Codice del consumo), prevede una misura coercitiva, consistente nella

comminatoria da parte del giudice di sanzioni pecuniarie per l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento, a favore dello Stato, per poi essere destinata ad un fondo, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, da utilizzare per attività a vantaggio dei consumatori.

(13)

13

Nonostante le dovute cautele13, con la riforma del 2009 si è finalmente adempiuto il voto della cultura processual-civilistica, che da anni ne invocava l’introduzione; non solo, è stata percepita come l’occasione in cui finalmente si è compiuta una scelta di civiltà, capace di far compiere al nostro ordinamento giuridico un passo importante verso il percorso di adeguamento, sia pure con alcune modalità funzionali e strutturali tra loro diverse, ad altri ordinamenti dell’Unione Europea, ove il tema dell’attuazione delle misure coercitive risultava da tempo più che consolidato.

2)

LA ‘RICERCA DELL’EFFETTIVITA’’ ALLA LUCE

DELL’ART. 24 DELLA COSTITUZIONE: IL DIRITTO ALL’ESECUZIONE

L’art. 614 bis, introdotto con l. 69/2009, modificato dalla l. 132/2015, ha avuto senz’altro il merito di provvedere al completamento del sistema della tutela giurisdizionale, andando a colmare, nella sua versione originaria, la lacuna costituita dall’inidoneità degli obblighi di fare infungibili e di non fare a dar luogo all’esecuzione forzata diretta, per poi estendere, nella sua attuale versione, la tutela ad ogni tipo di obbligo di fare o di non fare diverso dal pagamento di una somma di danaro.

Prima della sua entrata in vigore, la discussione sul tema

dell’opportunità di una siffatta norma abbracciava scelte e posizioni di ordine più generale, “che si riassumono nella perenne oscillazione

13

Cfr., B.CAPPONI, L’esecuzione processuale indiretta, Milano, 2011,8; come tutte le disposizioni a lungo tempo attese, la norma ha fatto sorgere una serie di questioni interpretative, emerse anche dalle prime applicazioni giurisprudenziali, v. Trib.Terni ord. 7 agosto 2009.

(14)

14

delle forme giuridiche tra i poli della libertà e dell’autorità”14. La questione riguardava, infatti, i rapporti tra Stato e cittadino, e vedeva opposte le tesi liberali di chi riteneva che le misure coercitive fossero una delle massime espressioni dell’autoritarismo dello Stato-giudice, in cui la tutela di condanna non comprendeva il compimento delle condotte necessarie al soddisfacimento di situazioni non patrimoniali, in ossequio al principio nemo ad factum praecise cogi potest15, alle

tesi più attente a trovare un giusto equilibrio tra la libertà

dell’individuo e la massima efficacia della macchina processuale16

. La legge n.69/2009 ha avuto, quindi, il pregio di sancire l’ingresso nell’esperienza italiana dell’esecuzione indiretta, come tecnica di rafforzamento dell’effettività dei provvedimenti giudiziari di

condanna, che impongono un obbligo di prestazione non surrogabile da un organo dello Stato. Tra gli obiettivi della riforma in commento vi era proprio quello di offrire all’avente diritto un rimedio efficace, per ottenere, attraverso meccanismi di coazione psicologica sul debitore, lo spontaneo adempimento della prestazione dovuta; le modifiche apportate dalla legge n.132 del 2015 si inscrivono nella medesima scia, avendo inciso positivamente sul piano del

soddisfacimento degli interessi creditori, in conseguenza dell’ampliamento del campo di operatività della norma.

Se il fine dell’esecuzione forzata consiste nel far ottenere al creditore ciò che gli spetta sul piano del diritto sostanziale, facendo a meno

14 Definizione di V.COLESANTI, Misure coercitive e tutela dei diritti, in Riv.dir.

proc. , 1980, p. 601 ss.

15 Brocardo ereditato dal diritto romano, lett. “nessuno può essere costretto a

compiere un azione”. Tale enunciazione afferma un valore di libertà del soggetto, che postula necessariamente l’esclusione di misure coercitive; in questo senso, cfr. S.CHIARLONI, Misure coercitive e tutela dei diritti, 1980, 62s.; L.FERRARA,

L'esecuzione processuale indiretta, Napoli, 1915, p. 13.

16 Non a caso, circa un secolo fa, tale problema fu definito da L.FERRARA,

L’esecuzione processuale indiretta , op. cit., p.8 s. , “una bella, importante e

(15)

15

dell’adempimento, risulta chiaro come essa incontri un limite naturale nell’infungibilità della prestazione dovuta, ovvero in tutti quei casi in cui l’intervento surrogatorio dell’ufficio esecutivo risulti impossibile, a causa della natura dell’obbligazione.

A tal riguardo, la nostra Costituzione sancisce, al suo art. 24, comma primo, che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri

diritti ed interessi legittimi”, ricomprendendo tra questi senza dubbio

il diritto all’azione esecutiva, poiché anche attraverso di essa viene di fatto assicurata una tutela giurisdizionale satisfattiva per il creditore17. L’attenzione del legislatore non poteva che soffermarsi, allora,

sull’individuazione degli strumenti processuali più idonei ad apprestare una tutela effettiva, intendendo per tale una tutela non limitata alla mera affermazione del diritto da parte del giudice, ma in grado di esprimersi concretamente nelle forme necessarie per la realizzazione dello stesso18. In ossequio al dettato costituzionale, l’ordinamento può dirsi ‘effettivo’ laddove sia capace di garantire al cittadino il diritto di accedere, di fatto, alla giustizia, eliminando gli ostacoli che si frappongono alla più completa realizzazione delle situazioni sostanziali soggettive a lui riconosciute.

17 Non a caso, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune norme

che, nella sostanza, impedivano la tutela esecutiva, sottolineando come il potere di imporre, anche coattivamente, il rispetto della statuizione contenuta nel giudicato sia un connotato intrinseco della stessa funzione giurisdizionale; tra i molteplici esempi, si prenda in considerazione la sentenza della Corte Cost. , 12 luglio 2013, n.186, con la quale è stato dichiarato incostituzionale, per violazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione, l’art.1, comma 51, della l. 220/2010 (così come modificato dall'art. 17, co. 4, lett. e) del d.l. 98/2011, conv. l. 111/2011), norma che prevedeva che in alcune Regioni, in quanto sottoposte a piano di rientro dai disavanzi sanitari (sottoscritto ai sensi della l. 311/2004), non potessero essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali o ospedaliere sino al 31/12/2012, e che i pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle Regioni alle aziende sanitarie, effettuati prima della data di entrata in vigore del d.l. 78/2010 (conv. L. 122/2010), non producessero effetti sino al 31/12/2012 e non vincolassero gli enti del servizio sanitario regionale (entrambi i termini sono stati successivamente prorogati fino al 31/12/2013).

18 V. E.SILVESTRI, Problemi e prospettive di evoluzione nell’esecuzione degli

(16)

16

Se, da un punto di vista formale, il principio di effettività della

giurisdizione può essere declinato in molteplici modalità, attinenti, sul piano delle garanzie processuali, ai connotati tipici del c.d. ‘giusto processo’, da un punto di vista sostanziale, invece, occorre che la giustizia predisponga gli strumenti più adeguati ad assicurare

un’efficace tutela di qualsiasi bisogno di cui è chiesta soddisfazione, tenendo conto delle peculiarità di ogni interesse giuridicamente riconosciuto, specialmente in quei casi in cui il provvedimento di condanna non risulti di per sé sufficiente19.

L’accesso alla tutela giurisdizionale sarebbe lettera morta laddove non fosse garantito concretamente l’adempimento del diritto sostanziale, riconosciuto dall’ordinamento giuridico, a colui che ne è il rispettivo titolare. Questo aspetto fondamentale è espressione del noto principio

Chiovendiano, secondo il quale <<il processo deve dare per quanto è

possibile praticamente a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello ch’egli ha diritto di conseguire>>20.

Nonostante alcune posizioni contrarie in dottrina, ormai abbandonate21, esiste uno stretto ed indissolubile rapporto tra

condanna ed esecuzione, tanto che nessuno oggi giorno dubita più che il processo esecutivo sia esercizio d’attività giurisdizionale, e che a fronte di una tutela di condanna esista un vero e proprio diritto

19 Per una riflessione sul principio di effettività della tutela esecutiva, in una

prospettiva costituzionale, cfr. F. CARPI, Riflessioni sui rapporti tra l’art. 111 della

Costituzione ed il processo esecutivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 381ss.

20 Cfr., G.CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1912, p.81;

nel centenario del magistero di G.CHIOVENDA, si v. A.P.PISANI, La tutela

giurisdizionale dei diritti nel sistema di Giuseppe Chiovenda, in Foro Italiano,

2002, fasc. 4, Pt. 5, 126 ss.

21 Cfr, E. ALLORIO, Saggio polemico sulla giurisdizione volontaria, in Riv. trim.

(17)

17 all’esecuzione22

. In definitiva, dunque, possiamo sostenere con forza l’oggettiva inclusione, nella portata del diritto di azione e di difesa, garantito dall’art. 24, comma primo, della Costituzione, anche del diritto all’esecuzione forzata, nell’ottica di concretizzazione del provvedimento giurisdizionale stesso.

A tal proposito, numerosi sono stati gli interventi con cui la Corte Costituzionale ha ribadito tale questione, consapevole del fatto che, se lo scopo della tutela giurisdizionale è procurare la realizzazione dell’interesse sostanziale dell’avente diritto, una mera affermazione dello stesso a livello dichiarativo, senza alcuna traduzione pratica, non realizzerebbe lo scopo prefissato; infatti, se alle decisioni che

riconoscono dignità a determinate situazioni giuridiche soggettive non seguisse un sistema di garanzie diretto ad assicurare l’esecuzione delle decisioni medesime, come si potrebbe parlare di tutela?23.

Anche a livello europeo, la Corte di Strasburgo ha più volte

sottolineato che non solo il processo di esecuzione ha la stessa natura di quello di cognizione, ma che nel diritto all’equo processo, previsto dall’ art. 6 CEDU, vi è ricompresa anche la tutela esecutiva. Proprio alla dimensione comunitaria ed alla posizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul tema in esame, è dedicata l’attenzione del prossimo paragrafo.

22 M. TARUFFO, Note sul diritto alla condanna e all’esecuzione, in Rivista critica

di diritto privato, 1986, 635 ss. ; L.P. COMOGLIO, Principi Costituzionali e processo di esecuzione, in Riv. dir. proc. ,1994, 451.

23 Corte cost., 12 luglio 2002, n.522, in Giurisprudenza italiana , 2003,809, in cui è

stata sostenuta la violazione del diritto di difesa da parte di un’interpretazione che escludesse dal novero dei titoli esecutivi il verbale di conciliazione giudiziale avente ad oggetto gli obblighi di fare o non fare; Corte cost. 10 novembre 2004, n.335, in

Giurisp. Cost. , 2004, 6, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale

dell’art. 287 c.p.c., nella parte in cui esclude che le sentenze contro le quali sia stato proposto appello possano essere corrette dallo stesso giudice che le ha pronunciate. Poiché le sentenze di primo grado sono provvisoriamente esecutive tra le parti, a seguito della riforma del ’90, l’impossibilità di correggere subito l’errore materiale di quelle contro le quali è stato proposto appello incideva negativamente sul diritto di agire subito per la tutela esecutiva.

(18)

18

3)

LE MISURE DI ESECUZIONE INDIRETTA COME

STRUMENTI ATTUATIVI DEI PRINCIPI DELLA

‘CONVENZIONE EUROPEA PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’ UOMO E DELLE LIBERTA’

FONDAMENTALI’

La Costituzione italiana non contiene previsioni dirette ad assicurare esplicitamente l’effettività della tutela giurisdizionale, ma, come si è già precedentemente affermato, ormai nessuno dubita più che essa sia una componente essenziale del diritto di azione e della nozione di “giusto processo”, ex art. 111 Cost.24

.

Proprio in relazione a quest’ultimo, nonostante il testo letterale della norma sembri prevalentemente orientato al giudizio di cognizione, è indubbio che tale principio concerna anche il processo di esecuzione, in cui predomina lo scopo del conseguimento del risultato non soltanto pratico, ma anche il più giusto e satisfattivo possibile per il titolare del diritto da tutelare. Del resto, una lettura restrittiva della garanzia del “giusto processo”, limitata alla sola funzione dichiarativa del processo civile, ne determinerebbe uno svuotamento sostanziale, lasciando priva di copertura costituzionale proprio quella funzione esecutiva che il processo assolve all’esito dell’accertamento giudiziale, nella quale si concretizza ed attualizza la soddisfazione del diritto accertato25. Ad ogni modo, un’attenta riflessione sul principio di effettività della tutela giurisdizionale non potrebbe compiersi se non si operasse un rinvio all’ordinamento internazionale e comunitario ed all’attività

24 Con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, è stato novellato l’art. 111

Cost., ed introdotto il principio del “giusto processo”, espressione che riecheggia quella di “equo processo”, ricavabile dall’ art. 6 CEDU.

25 V. Corte Eur. Dir. Uomo 28 luglio 1999, Immobiliare Saffi c.Italia, in Riv. Dir.

(19)

19

ermeneutica promossa, in particolare, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Di fondamentale importanza è stata la posizione della Corte di Strasburgo in merito al rapporto tra l’esecuzione di una decisione ed il processo, lato sensu considerato, intendendo la prima ‘parte integrante’ del secondo, agli effetti dell’art. 6 della

Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali. Il primo comma di tal norma, rubricata ‘Diritto

a un equo processo’, prevede che “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge..”, ed in esso si rinvengono le tracce del diritto di

ciascuna persona ad una giustizia sì dichiarata, ma anche e soprattutto effettiva e concretamente realizzata26.

Un passaggio dalla teoria alla pratica, insomma, che risulta ben chiaro, da tempo, alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la quale ha evidenziato che il diritto dell’ individuo a vedere esaminata la propria causa da un giudice “sarebbe illusorio se il sistema legale interno di uno degli Stati contraenti consentisse che una decisione giudiziale, definitiva, esecutiva rimanesse inattuata a detrimento di una parte”, ritenendo, addirittura, “inconcepibile che l’art.6 par. 1 descrivesse in dettaglio garanzie procedurali” – equità, pubblicità, celerità- “senza assicurare l’esecuzione delle decisioni”27

.

26

La Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali è stata firmata a Roma il 4 novembre 1950 dai 12 stati al tempo membri del Consiglio d'Europa (Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia, Turchia), ed è entrata in vigore il 3 settembre 1953. Per l'Italia l'entrata in vigore avvenne solo il 10 ottobre 1955. Il testo integrale è consultabile dal sito Internet del Consiglio d’Europa:

http://www.echr.coe.int/Documents/Convention_ITA.pdf.

27

La Corte ha ribadito che spetta alle autorità nazionali dei singoli ordinamenti il compito di apprestare gli strumenti atti a rendere operante la garanzia dell’effettività della tutela; il virgolettato è ripreso dalla sentenza della Corte eur. dir. uomo 19 marzo 1997, Hornby c.Grecia, in Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, 2006, 02, 595. La Corte ha anche affermato che se si dovesse circoscrivere la portata

(20)

20

In più occasioni, i giudici di Strasburgo hanno rilevato che il diritto all’esecuzione delle sentenze costituisce la terza grande garanzia europea del ‘giusto processo’, che contempla il diritto di accesso ad un tribunale indipendente ed imparziale28, ed il diritto ad un processo che si svolga secondo i canoni della parità delle armi e del

contraddittorio29, ormai veri e propri pilastri della cultura legale occidentale e dello Stato di diritto. E’ in questa consolidata cornice giurisprudenziale, che si è rafforzata la convinzione che le garanzie sull’equo processo civile debbano trovare piena applicazione anche al processo esecutivo30.

Parallelamente allo studio dell’art. 6 CEDU, occorre porre in rilievo altri due articoli della stessa Convenzione, ciascuno di estrema importanza, a completamento delle riflessioni finora svolte sul tema del principio di effettività in ambito europeo.

dell’art. 6 esclusivamente allo svolgimento del processo di cognizione, si creerebbe il rischio di creare situazioni incompatibili con il principio della preminenza del diritto che gli Stati contraenti si sono impegnati a rispettare ratificando la

convenzione; per casi differenti, ma con enunciazione di simili principi, si v. Corte eur. dir. uomo, 4 settembre 2000, Burdov c.Russia; v. Corte eur. dir. uomo, 17 maggio 2011, Ventorino c. Italia, ricorso n.357/07.

28 Esso non è espressamente previsto dall’art. 6 CEDU, ma è stato pienamente

riconosciuto, v. Corte eur. dir. uomo 21 febbraio 1975, Golder c. Regno Unito, in

Riv. dir. internazionale, 1975, 300ss, nella quale è stata configurata la violazione

dell’art. 6, comma uno,CEDU, a causa dell’impossibilità per un detenuto di accedere ai tribunali per far valere i propri diritti e le proprie obbligazioni civili; in altra occasione, la Corte ha affermato che tale diritto non può subire compressione alcuna a causa di meccanismi procedimentali nazionali che, prevedendo valutazioni preliminari attinenti alla sussistenza di un interesse ad agire o al bisogno giuridico di tutela, impediscano al giudice di conoscere la situazione soggettiva dedotta, v. Corte eur. dir. uomo 28 ottobre 1998, Osman c. Regno Unito, in Riv. internaz. dir. uomo, 1999, 424ss.;

29 V. Corte eur. dir. uomo 26 settembre 1996, Zappia c. Italia, in Riv. internaz. dir.

uomo, 1996, 714; Corte eur. dir. uomo 23 settembre 1997, Robins c. Regno Unito;

Cfr., F.CARPI, Riflessioni sui rapporti tra l’art 111 della Costituzione ed il

processo esecutivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 381ss.

30 Cfr., G. TARZIA, Il giusto processo di esecuzione, in Riv. dir. proc., II, 2002,

(21)

21

Uno di essi è l’art. 13, rubricato ‘Diritto a un ricorso effettivo’, secondo il quale “ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti

nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”. L’articolo riflette, in buona sostanza, il principio di

sussidiarietà, fondante l’intero sistema europeo di protezione dei diritti dell’uomo, in virtù del quale gli Stati membri dell’Unione Europea debbono predisporre soluzioni interne al proprio ordinamento, in grado di prevenire ed eventualmente rimediare alle violazioni dei diritti del singolo, prima di rispondere dei loro atti dinanzi ad un organismo internazionale. Rappresenta un monito ai legislatori

nazionali, al fine di garantire ‘effective remedies’, ovvero meccanismi di salvaguardia dei diritti, attraverso i quali poter rimuovere le

conseguenze dannose degli illeciti subiti.

Se, dunque, l’art. 13 garantisce l’esistenza nel diritto interno di un ricorso che permetta di far valere i diritti e le libertà riconosciute dalla Convenzione, il vulnus normativo, in materia di misure di coercizione indiretta, che caratterizzava l’ordinamento giuridico italiano, prima dell’entrata in vigore della citata legge 18 giugno 2009, n.69, si poneva inevitabilmente in aperto contrasto con la prescrizione europea in commento, in particolar modo laddove ad essere lesi erano interessi fondamentali della persona (art. 2 Cost.), rispetto ai quali la tutela risarcitoria per equivalente non poteva rappresentare una tutela soddisfacente31. A tal proposito, non vi è dubbio che le modifiche apportate dalla legge 6 agosto 2015, n.132, all’art. 614 bis c.p.c., pur lasciando irrisolte numerose questioni, abbiano contribuito al

rafforzamento dell’istituto, e si inscrivano nel percorso di ‘ricerca

31 Sul punto, v. A. PROTO PISANI, La tutela giurisdizionale dei diritti della

(22)

22

dell’effettività’, nel significato più volte chiarito, imposto proprio dall’art. 13 CEDU32

.

L’altra norma che merita di essere presa in considerazione, alla luce dell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, è l’art. 8 della medesima Convenzione. Tale norma sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare33, non potendo “esservi ingerenza di una

autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale

ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

Nonostante la norma sia essenzialmente volta a tutelare l’individuo dalle ingerenze arbitrarie dei poteri statali, essa rivela, in realtà, un ambito di applicazione più esteso, non confinato alla sola portata inibitoria a carico dello Stato. Infatti, agli obblighi negativi imposti, si affianca una vasta gamma di obbligazioni positive, non tassativamente previste, ma comunque “attinenti ad un effettivo rispetto della vita privata o familiare”, che “possono implicare la predisposizione degli strumenti giuridici adeguati e sufficienti ad assicurare i legittimi diritti degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie ovvero misure specifiche adeguate”34

.

32 Sul punto, cfr. I. GAMBIOLI, Novità in materia di esecuzione forzata (I parte) –

Le misure di coercizione indiretta ex. Art 614bis c.p.c. , in Giur.It., 2016, 5, 1264

(commento alla normativa).

33

La Corte EDU ha più volte affermato che la nozione di ‘famiglia’ non è limitata alle relazioni basate sul matrimonio e può comprendere altri legami familiari ‘di fatto’, se le parti convivono fuori dal vincolo del matrimonio, nell’ambito di una stabile relazione di fatto idonea ad instaurare una relazione durevole tra i conviventi; cfr., Corte eur. dir. uomo, 24 giugno 2010, Schalk e Kopf c.Austria, 91 ss.

34 Il passo è tratto dalla sentenza della Corte eur. dir. uomo, 2 novembre 2010, Piazzi

c.Italia, in Famiglia e Diritto, 2011, 653, nella quale si è giunti ad una condanna

(23)

23

Tra i vari strumenti giuridici, invocati dalla Corte, rivestono un ruolo primario proprio le misure coercitive, in grado di dare una concreta attuazione ai provvedimenti, in tema di diritti attinenti alla sfera personale o familiare.

3.1.

LA CIRCOLAZIONE DELLA COMMINATORIA

NELLO SPAZIO GIURIDICO EUROPEO

La legge 6 agosto 2015, n.132, non è stata l’unica novità in tema di misure coercitive dell’anno passato. Infatti, nel gennaio 2015 è entrato in vigore il nuovo Regolamento CE n. 1215 del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, che ha sostituito il precedente Regolamento CE 44/200135, in attuazione delle

parte delle autorità nazionali di misure idonee a garantire il rispetto del diritto di visita del genitore non affidatario, finalizzate al mantenimento del legame familiare tra il figlio ed il padre ricorrente; nella sentenza della Corte eur. dir. uomo, Sez. II, 29 gennaio 2013, n.80, Lombardo c.italia. la Corte ha riscontrato una violazione dell’art.8 CEDU, nella misura in cui lo Stato italiano non aveva saputo garantire con strumenti efficaci il diritto di visita di un padre alla figlia, nonostante l’esistenza di provvedimenti giudiziari volti a riconoscere il diritto di quest’ultimo a visite regolari. A tal proposito, i giudici di Strasburgo hanno specificato che il compito dello Stato non si limita unicamente a garantire il continuum del rapporto genitoriale, ma si estende al farsi carico di tutte le procedure propedeutiche che consentono di raggiungere tale scopo, compresa l’adozione di misure

particolarmente celeri e tempestive, al fine di scongiurare il materializzarsi di conseguenze irrimediabili nell’ambito del rapporto genitore-figlio. Proprio l’inerzia ed i ritardi delle autorità nazionali nell’assicurare il diritto di visita hanno condotto la Corte alla condanna dello Stato Italiano.

35 Trattasi del Reg. (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000,

concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (di seguito, anche il “Regolamento”) pubblicato in Gazz. Uff. Com. Eur., serie L, n. 12 del 16 gennaio 2001 che, in virtù delle nuove competenze attribuite alla Comunità con il Trattato di Amsterdam, ha sostituito, con modifiche, il previgente dettato convenzionale. I contributi dottrinali sulla Convenzione di Bruxelles e sul Reg. (CE) n. 44/2001 sono assai numerosi. Per ora, cfr., in generale, senza pretesa di completezza, E. MERLIN, Riconoscimento ed

esecutività della decisione straniera nel Regolamento “Bruxelles I”, in Riv. dir. proc., 2001, p. 433 ss.; Id., Le misure provvisorie e cautelari nello spazio giudiziario

(24)

24

politiche dell’Unione Europea in materia di libera circolazione delle decisioni giudiziarie e riconoscimento della piena vincolatività del comando giudiziale tra Stati membri.

Premesso che il nuovo testo del Regolamento non ha apportato sostanziali modifiche all’originario impianto legislativo36

, ponendosi con esso in linea di continuità, è opportuno evidenziare che

un’importante novità, in realtà, esiste ed è rappresentata dall’abolizione della procedura di exequatur37

.

In linea di prima e generale approssimazione, si segnala che la possibilità di dotare di exequatur le misure giurisdizionali che dispongono misure coercitive, al fine di dotarle di efficacia esecutiva al di fuori dei confini nazionali, è stata introdotta sin dalla

Convenzione di Bruxelles del 196838, poi trasfusa nell’art. 38 del regolamento CE n. 44/2001, nel quale si prevedeva che “le decisioni

europeo, in Riv. dir. proc., 2002, p. 759 ss.; C. CONSOLO, Limiti all’esecuzione di decisioni straniere, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, p. 397 ss.

36 Il n. 34 prevede espressamente che «è opportuno garantire la continuità tra la

convenzione di Bruxelles del 1968, il regolamento (CE) n. 44/2001 e il presente regolamento (....)» e che «lo stesso bisogno di continuità si applica altresì all'interpretazione delle disposizioni della convenzione di Bruxelles del 1968 e dei regolamenti che la sostituiscono, a opera della Corte di giustizia dell'Unione europea».

37 L'«exequatur» è una nozione propria del diritto internazionale privato, riferita ad

una decisione resa dal giudice di un paese che autorizza l'esecuzione nel territorio di quest'ultimo di una decisione giudiziaria, una sentenza arbitrale, un atto pubblico o una transazione giudiziaria pronunciati o emessi all'estero.

38 La Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 , concernente la competenza

giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, è stata resa esecutiva in Italia con la legge 21 giugno 1971, n. 804 ed è entrata in vigore nei Paesi originariamente aderenti l’1 febbraio 1973. Il testo originario della

Convenzione di Bruxelles, in seguito a più riprese modificato per estenderne l'applicazione ai nuovi Stati membri, è pubblicato in Gazz. Uff. Com. Eur. serie L, n. 229 del 31 dicembre 1972; per alcuni spunti dottrinali, cfr. F. CARPI, Dal

riconoscimento delle decisioni all’esecuzione automatica, in Riv. dir. proc., 2005, p.

1127 ss.; S. M. CARBONE, Lo spazio giudiziario europeo in materia civile e

commerciale – Da Bruxelles I al regolamento CE n. 805/2004, Torino, 2006; A.

CARRATTA, La sentenza civile straniera tra “riconoscimento” ed “estensione

(25)

25

emesse in uno Stato membro e ivi esecutive sono eseguite in un altro Stato membro dopo essere state ivi dichiarate esecutive su istanza della parte interessata”.

La nuova disciplina dettata dall’art. 39 Regolamento CE n. 1215/2012 prevede una forte semplificazione, funzionale a favorire un’effettiva equiparazione dei provvedimenti giurisdizionali resi dalle autorità giudiziarie degli Stati membri dell’Unione Europea, dal momento che "la decisione emessa in uno Stato membro che è esecutiva in tale

Stato membro è altresì esecutiva negli altri Stati membri senza che sia richiesta una dichiarazione di esecutività"39.

Inoltre, con riguardo alle misure di coercizione indiretta, si rileva che esse sono espressamente disciplinate dall’art. 55 del Regolamento CE

39 A tal proposito, è opportuno rilevare che il diritto dell’Unione Europea non ha

imposto uno schema specifico di mezzo di coercizione indiretta tra i diversi disponibili nelle tradizioni giuridiche nazionali, ma ha rimesso l’adozione dello schema concreto della misura al processo di armonizzazione dei diritti nazionali; in sede di recepimento delle direttive europee, ciascuno Stato membro dovrà ricorrere alla comminatoria ogni qualvolta la misura comunitaria esiga un particolare tasso di effettività della tutela. In Italia, a tal riguardo, assumono particolare rilievo l’art. 140, co. 7, del Codice del consumo, norma introdotta con legge 30 luglio 1998, n.281, volta a dotare della massima efficacia i provvedimenti a contenuto inibitorio nei confronti dei professionisti, la cui condotta o pratica commerciale sia lesiva degli interessi del consumatore e dell’utente; al fine di correggere od eliminare gli effetti pregiudizievoli delle violazioni compiute, l’articolo prevede una misura

comminatoria di natura patrimoniale, ove si legge che il giudice “dispone, in caso di

inadempimento, il pagamento di una somma di denaro da 516 euro a 1.032 euro, per ogni inadempimento ovvero giorno di ritardo rapportati alla gravità del fatto”;

le somme di denaro non sono destinate a favore del consumatore, ma “sono versate

all’entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze al fondo da istituire nell’ambito di apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero delle attività produttive, per finanziare iniziative a vantaggio dei consumatori”. Un’altra norma importante,

in materia, è l’art. 8, co. 3, del d.lgs. 231/2002, attuativo della direttiva 2000/35/CE, concernente la lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Tale disposizione prevede una misura compulsoria pecuniaria, consistente nel

“pagamento di una somma di denaro compresa tra 500 euro e 1.100 euro ,per ogni

giorno di ritardo, tenuto conto della gravità del fatto”, a tutela dell’effettività della

tutela inibitoria collettiva accordata alle associazioni di categoria degli imprenditori presenti nel CNEL, al fine di contrastare il ricorso ad accordi di pagamento o concernenti le conseguenze del ritardato pagamento gravemente iniqui, ex art. 7 del medesimo decreto; in dottrina, cfr. S.MAZZAMUTO, La comminatoria di cui

all’art. 614 bis c.p.c. e il concetto di infungibilità processuale, in Europa e dir. priv.,

fasc. 4, 2009, p.947.

(26)

26

n.1215/201240, ove si legge che i provvedimenti, emanati in uno Stato membro, che condannano al “pagamento di una penalità41”, sono

dotati di efficacia esecutiva nello Stato membro richiesto in presenza di una condicio sine qua non: la previsione, in via definitiva, da parte dell’autorità d’origine, dell’ammontare della misura coercitiva.

3.2.

LA RECENTE SENTENZA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE N.7613 DEL 2015: LA COMPATIBILITA’ DELLE ASTREINTES CON L’ ORDINE PUBBLICO ITALIANO

Con la sentenza del 15 aprile 2015, n. 7613, la Corte di Cassazione, Sezione I Civile42, ha affrontato, per la prima volta, il tema della contrarietà o meno all’ordine pubblico italiano dell’istituto

dell’astreinte, risolvendo in senso positivo l’annosa questione.

40 Esso riproduce, senza modiche di rilievo, salvo la mancata necessità dell’

exequatur, il testo dell’art. 49 Reg. CE n.44/2001, che stabiliva “le decisioni

straniere che applicano una penalità sono esecutive nello Stato membro richiesto solo se la misura di quest’ultima è definitivamente fissata dai giudici dello Stato membro d’origine”; sull’art. 49 reg. Ce n. 44/2001, cfr. E. D’ALESSANDRO, La

circolazione della condanna ex art. 614 bis c.p.c. nello spazio europeo, in Giur.it.,

2014, 1023ss; A.MONDINI, L’attuazione degli obblighi infungibili, Milano, 2014, p. 193ss.

41 Le espressioni “misure coercitive”, “comminatoria”, e “penalità di mora” sono

utilizzate indifferentemente con la precisa volontà di riunire una serie di fenomeni che, pur esibendo, in seno ai diversi Stati membri dell’Ue, caratteri tra loro

profondamente eterogenei, risultano accomunati dall'essere strumenti di coartazione della volontà del debitore (da realizzare mediante la minaccia di sanzioni civili o penali) al fine di indurre quest’ultimo ad adempiere personalmente l'obbligazione consacrata, nei suoi confronti, dal provvedimento di condanna.

42 Nel caso in esame, la Corte di cassazione è stata chiamata a verificare la

correttezza della pronuncia della Corte d’appello di Palermo, la quale, con la sentenza del 26 settembre 2012, aveva respinto l’opposizione proposta ai sensi dell’art. 43 del regolamento CE 44/2001 (concernente la competenza giurisdi-zionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e

commerciale) avverso il decreto del 30 marzo 2010, recante l’esecutività in Italia di un’astreinte, emanata Giudice del sequestro di prima istanza di Bruxelles il 15 aprile 2009, ai sensi dell’art. 1385 bis del Code judiciaire del Belgio (per il ritardo

accumulato dall’opponente nell’adempiere l’obbligo di consegna di determinati titoli azionari al soggetto nominatone sequestratario).

(27)

27

I giudici di legittimità hanno affermato, infatti, un principio di diritto, secondo il quale “le astreintes previste in altri ordinamenti dirette ad attuare, con il pagamento di una somma crescente con il protrarsi dell’inadempimento, una coercizione per propiziare l’adempimento di obblighi non coercibili in forma specifica, non sono incompatibili con l’ordine pubblico italiano”43

.

Molteplici sono i motivi d’interesse della sentenza in commento. Anzitutto, essa ha offerto lo spunto per sollecitare un’attenta

rimeditazione della funzione da attribuire alla responsabilità civile44, e per confrontare gli istituti del risarcimento del danno e dell’astreinte, sotto il profilo della funzione; inoltre, ha contribuito a ribadire la contrarietà dei c.d. ‘punitive damages’ 45 al nostro ordinamento giuridico; e, infine, ha fornito una precisa spiegazione al significato di ‘ordine pubblico interno’, la cui “manifesta contrarietà” era stata prospettata, dai ricorrenti, come uno dei principali motivi di ricorso, ai sensi dell’art. 34, n.1, del Reg. CE n.44/200146

.

43 A parere dei ricorrenti, invece, le astreintes, operando come misure sanzionatorie

dell’inadempimento, si pongono in aperto contrasto con il principio dell’esclusiva natura risarcitoria del danno da inadempimento operante nel nostro ordinamento.

44

Sul tema, innumerevoli le riflessioni in dottrina, ex plurimis v. P.PERLINGIERI,

Le funzioni della responsabilità civile, in Rass. Dir. civ., 2011, 119 ss;

M.FRANZONI, Il danno risarcibile, Trattato della responsabilità civile, vol. 2, Milano, 2010, 734 ss.

45 La Corte rievoca due precedenti sentenze, con le quali, in ragione della

funzione compensativa del nostro sistema di responsabilità civile, aveva ritenuto la non compatibilità dei “punitive damages” con l’ordine pubblico, escludendo la possibilità di riconoscere in Italia due sentenze straniere di condanna al risarcimento; trattasi di Cassazione 19 gennaio 2007, n. 1183, in Foro.it., 2007, 1460ss, con nota di G.SPOTO, I punitive damages al vaglio della giurisprudenza

italiana, in Nuova giur. civ. comm.,2007,981ss, e di Cassazione 8 febbraio 2012,

n.1781, in Danno e resp., 2012, 609ss. Sull’argomento si segnala un pregevole intervento di G. CALABRESI, La complessità della responsabilità civile: il caso dei

Punitive Damages, intervento svolto nelle Lezioni Pisane di Diritto Civile, Scuola

Superiore «Sant’Anna», Pisa, 25 maggio 2007.

46 Ex. Art.34 Reg. CE 44/2001, venivano elencati i motivi che legittimavano lo Stato

membro richiesto a rifiutare il riconoscimento della decisione straniera. Oggi i motivi ostativi sono elencati nell’art. 45 Reg. CE n.1215/2012, anche noto come

(28)

28

Ai fini del presente lavoro, risulta particolarmente degno di nota il tema del riconoscimento e dell’esecuzione nel nostro Paese di un provvedimento giurisdizionale emesso da un’Autorità giudiziaria straniera, concernente l’applicazione della misura dell’astreinte, e la conseguente compatibilità della stessa con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico.

Proprio in relazione a quest’ultimo profilo, la Corte sostiene che il provvedimento di condanna al pagamento di una somma crescente, con il perdurare dell'inadempimento, impartito da un giudice al fine di indurre all'adempimento di un obbligo infungibile, non possa essere considerato contrastante con l’ordine pubblico interno. Per configurare una violazione di quest’ultimo, occorre che la decisione emessa in uno Stato membro contrasti in maniera inaccettabile con l’ordinamento giuridico dello Stato membro richiesto, tale da configurare una manifesta lesione di un diritto, o di una regola di diritto, considerata fondamentale47.

In considerazione del fatto che la sentenza straniera debba

necessariamente conformarsi al concetto di ‘ordine pubblico italiano’, per poter essere delibata, la Corte di Cassazione si è opportunamente soffermata sul significato di questa espressione, la cui finalità consiste nel salvaguardare “la coerenza interna dell’ordinamento”. Nella sua accezione sostanziale48, per ordine pubblico interno si intende

prevede espressamente che, su istanza di ogni parte interessata, il riconoscimento di una decisione è negato, se “è manifestamente contrario all’ordine pubblico (ordre

public) nello Stato membro richiesto”.

47 La Cassazione richiama esplicitamente le sentenze della Corte di Giustizia

dell’Unione Europea del 28 marzo 2000, causa C-7/98, Dieter Krombach, in Racc. giur. com. eur. 2000, I-1956, punto 37, e dell’11 maggio 2000, causa C-38/98,

Renault, in Racc. giur. com. eur., 2000, I-2973, punto 30.

48

La giurisprudenza distingue la categoria dell’ordine pubblico “sostanziale”, nel significato riportato nel testo, da quella dell’ordine pubblico “processuale”; quest’ultima fa esplicito riferimento ai connotati dell’ art. 6 CEDU, e, per poterne riconoscere una violazione, occorre una lesione dei principi del ‘giusto processo’ e delle garanzie minime fondamentali che ogni procedimento giurisdizionale deve

(29)

29

l’insieme dei “principi cardine dell’ordinamento giuridico, i quali caratterizzano la stessa struttura etico-sociale della comunità

nazionale”, e delle “regole inderogabili, provviste del connotato della fondamentalità”.

Inoltre, la compatibilità dell’ astreinte belga con il nostro ordinamento giuridico è dedotta, secondo i giudici di legittimità, sia dalla

somiglianza di tal misura, per struttura e per scopo, al nostro art. 614

bis c.p.c., sia in base alla presenza, nell’ordinamento italiano, di altri

strumenti aventi la medesima finalità49.

Ribadendo, infine, i tratti differenziali esistenti tra l’istituto del ‘danno punitivo’ e l’astreinte50, la Cassazione conclude affermando la non

contrarietà all’ordine pubblico italiano della misura comminata nel provvedimento del giudice belga, la cui funzione tipica, ponendosi a tutela sia del diritto del creditore alla prestazione principale accertata con il provvedimento giudiziale, sia dell’interesse generale

all’esecuzione dei provvedimenti giudiziari, è finalizzata a garantire il rispetto di alcuni principi costituzionali, quali il diritto alla libera iniziativa economica ed il giusto processo civile51.

avere. Sul punto, cfr. V.GIUGLIANO, Compatibilità delle astreintes con l’ordine

pubblico italiano, in Riv. dir. proc., 2016, 1, 243.

49

Tra i quali, la Cassazione richiama gli artt. 124 e 131 del Codice di proprietà industriale; l’art. 140, comma 7, del Codice del consumo; l’art.709 ter, n.2 e 3 c.p.c.; l’art. 114 del Codice del processo amministrativo; l’art. 12 della l. 8 febbraio 1948, n.47, in materia di diffamazione a mezzo stampa.

50 Nella motivazione della sentenza, infatti, i giudici sottolineano che, pur volendo

riscontrare in entrambi gli istituti il fine di coartazione della volontà, le differenze restano fondamentali: mentre l'astreinte si pone come tecnica di tutela volta all’induzione all’adempimento, non riparando il danno in favore di chi l'ha subito, ma minacciandone uno nei confronti di chi si comporterà nel modo indesiderato, i ‘danni punitivi’, tipici dell’ordinamento statunitense, tendono, invece, ad esasperare il profilo sanzionatorio rispetto alla funzione tipica reintegrativa del risarcimento del danno. Cfr, nota di N. SCIARRATTA, La Cassazione su astreinte, danni punitivi e

(funzione della) responsabilità civile, in Dir. civ. cont., 7 luglio 2015.

51

Cfr., T.GALLETTO, Le nuove frontiere dell’esecuzione forzata: le misure di

(30)

30

4)

PROFILI COMPARATISTICI: UNO SGUARDO AI

MODELLI DI ESECUZIONE PROCESSUALE INDIRETTA NEI PRINCIPALI ORDINAMENTI EUROPEI

4.1.

L’ ASTREINTE FRANCESE

Il diritto francese prevede una definitiva regolamentazione dell’istituto dell’ astreinte52

agli articoli 33-36 della legge n. 91-650 del 9 luglio

1991, modificata con legge n. 92-644 del 13 luglio 1992.

In via introduttiva, l’ astreinte può essere definita come una tecnica di coercizione della volontà dell’obbligato, consistente in una condanna accessoria del debitore al pagamento di una somma di denaro, per ogni giorno (o altra unità temporale) di ritardo nell’adempimento di un’obbligazione, consacrata in un provvedimento giudiziale53

.

Si tratta di un istituto giuridico di origine giurisprudenziale, nato dalla necessità di superare l’ostacolo posto dall’art. 1142 del Code

Napoleon, in base al quale al creditore era concessa soltanto la

possibilità di adire l’autorità giudiziaria, a fronte di un

inadempimento, per poter ottenere un provvedimento di condanna del

52

La produzione dottrinale in tema di astreintes francesi è ampissima. Nella dottrina italiana, si segnalano i contributi di E. SILVESTRI, Rilievi comparatistici in

tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare, in Riv. dir. civ., 1988, p.

534 ss; F.DE STEFANO, Note a prima lettura della riforma del 2009 delle norme

sul processo esecutivo ed in particolare dell’art. 614 bis c.p.c., in Riv. esec., 2009,

515ss; E.VULLO, L’esecuzione indiretta tra Italia, Francia e Unione Europea, in Riv. dir. process., 2004, 727ss; B.CAPPONI, Astreintes nel processo civile

italiano?, in Giust. Civ.,1999, p. 157-174. Per una ricostruzione storica delle astreintes, cfr. L.MARAZIA, Astreintes e altre misure coercitive per l’effettività della sentenza civile di condanna, in Riv. esec. Forzata, 2004, 338ss;S.

CHIARLONI, Misure coercitive e tutela dei diritti , op. cit., p. 72 ss; quanto al suo significato letterale, vedi nota 5) del presente lavoro.

53 Cfr. G.BORRE’, Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, Napoli,

1966, p.22ss; E.VULLO, L’esecuzione indiretta tra Italia Francia e Unione

(31)

31

debitore al risarcimento del danno ed alla corresponsione degli interessi54.

Le radici storiche della misura in esame sono di derivazione francese e risalgono a più di due secoli fa; secondo una diffusa opinione, infatti, la prima applicazione dell’astreinte sarebbe riscontrabile in una sentenza del Tribunal de Croy del 181155, cui seguirono alcune pronunce della Cour de cassation che ne riconobbero la legittimità, nonostante alcune critiche mosse dalla dottrina, che la reputava del tutto arbitraria ed estranea all’ordinamento giuridico56.

Successivamente, con la legge n. 49-972 del 21 luglio 1949, si ebbe un primo riconoscimento normativo delle misure di esecuzione indiretta a livello settoriale; ma fu negli anni a seguire che alla misura coercitiva venne riconosciuto il connotato della generalità, prima con legge n. 72-626 del 5 luglio 197257, poi con legge n. 91-650 del 9 luglio 1991, contenente la riforma del processo di esecuzione forzata, il cui art. 33 tutt’oggi prevede che ogni giudice può, anche d’ufficio,

54

Cfr., C.TRAPUZZANO, Le misure coercitive indirette. Come indurre il debitore

ad adempiere, Milanofiori Assago, 2012, p. 28.

55 V. A.MONDINI, L’attuazione degli obblighi infungibili, op. cit., pag. 29, in

particolare vedi nota (24), “sentenza del Tribunale di Croy, con la quale al

condannato veniva imposto di compiere una pubblica ritrattazione sotto minaccia di una pena pecuniaria pe ogni giorno di ritardo”.

56 V., a titolo di esempio, la sentenza della Cass. civ., 26 luglio 1854, in Rec. Sirey,

1855, 1, p. 33; nella decisione della Corte veniva confermata la condanna del mutuante a pagare una somma per ogni giorno di ritardo, in cui persisteva nel rifiuto a procedere alla cancellazione di una formalità, iscritta a garanzia del debito ormai estinto.

57 In virtù della citata legge del 1949, il giudice poteva disporre, al momento della

convalida dello sfratto, una somma di denaro dovuta dall’occupante per ogni giorno di ritardo nel rilascio dell’immobile; sulla base, invece, della citata legge del 1972, al giudice fu assegnato il potere di adottare, anche d’ufficio, misure sanzionatorie pecuniarie, quando ciò risultasse necessario al fine di garantire l’esecuzione delle proprie decisioni.

Riferimenti

Documenti correlati

Sottoscrizione di dichiarazione assenza conflitto interessi alla notifica del Piano di. Lavoro Individuale Applicazione del

Il  rinvio  pregiudiziale  è,  in  estrema  sintesi,  quella  procedura  che 

Questa visione del benessere, legando di fatto la qualità della vita a soli beni di mercato, ha contribuito ad uno sviluppo che è stato sostanzialmente condiviso fintanto che i

A colorimetric scale for forensic photography based on the colors of the bruise itself, has never been proposed due to the fact that photographic reproduction of color is

Tale lavoro che è stato portato avanti da un’equipe di Dirigenti Infermieristici, Caposala, Infermieri, ha trovato spunto principalmente nel PRN Canadese (metodo

Se, nel compiere tale attività, il giudice dell’esecuzione dispone il compimento di opere contrastanti con il titolo esecutivo, ovvero risolve questioni sorte tra le parti

- dell’art. che stabilisce il principio della soggezione del giudice alla legge, il quale esige che il giudice indichi le norme ritenute idonee a regolare una certa fattispecie ed

Mio padre ricordava sempre che aveva avuto non pochi ammonimenti: se si doveva riprendere un personaggio politico importante e questo non era molto alto, andava ripreso