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3.2. I DRIVER DELLA PERFORMANCE BANCARIA

3.3.4. Profit Efficiency

La profit efficiency risulta probabilmente l’aspetto più completo dello studio della X- efficiency di un’impresa poiché consiste in una combinazione delle due tipologie di efficienza analizzate finora. Il principale vantaggio di questa procedura è quello di tener conto non solo dei costi che la banca sostiene per la realizzazione di una data produzione ma anche dei prezzi di vendita che essa è in grado di applicare ai propri prodotti.

Anche in questo problema di massimizzazione Berger e Mester (1997) hanno rilevato la possibilità di seguire un approccio standard ed uno alternativo. Il concetto alla base dell’approccio standard consiste nel misurare la capacità della banca di massimizzare i propri profitti dati determinati livelli dei prezzi degli input e degli output (e altre variabili). È utilizzata una funzione di profitto standard in forma logaritmica, così articolata:

( 3.7 )

Con il simbolo

si indicano i profitti dell’azienda costruita sottraendo ai costi variabili C (gli stessi usati nella funzione di costo) i ricavi derivanti dall’attività caratteristica. è una costante inserita al fine di garantire la positività del logaritmo a sinistra dell’equazione.

La particolarità di questa equazione consiste nell’inserimento del vettore dei prezzi degli output p tra le variabili esogene dell’equazione. In questo modo, a differenza di quanto avviene per la cost e la revenue efficiency, si evita di mantenere costanti le quantità di output al loro livello osservato (probabilmente inefficiente) ma le si lascia libere di variare causando livelli più o meno crescenti di efficienza.

In modo analogo a quanto visto in precedenza, anche la profit efficiency della generica banca “b” può essere misurata tramite il rapporto tra i profitti di quest’ultima e quelli di una banca appartenente allo stesso campione che è situata sulla frontiera efficiente. Si ha perciò:

̂ ̂

{ [ ̂ ] [ ̂ ] }

{ [ ̂ ] [ ̂ ] } ( 3.8 )

Anche la profit inefficiency può originare da inefficienze sia allocative che tecniche. La logica alla base di tale concetto di efficienza corrisponde al più generico obiettivo

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aziendale di massimizzazione dei profitti piuttosto che al semplice controllo dei costi o alla espansione dei ricavi. Una banca che perciò vede nel risparmio dei costi il proprio fattore di vantaggio competitivo potrebbe essere ingiustamente penalizzata da un’analisi condotta sulla revenue efficiency, ma sarebbe adeguatamente valorizzata da indicatori di profit efficiency.

L’approccio alternativo si caratterizza per un cambiamento delle variabili che intervengono nella funzione di profitto. L’efficienza qui viene commisurata alla capacità della banca di massimizzare i propri profitti avendo per dati i livelli di output (dunque le quantità) e non i prezzi degli stessi. Si torna perciò alla stessa composizione delle variabili esogene rispetto a quanto osservato per la cost efficiency, dove i prezzi degli output sono liberi di variare ed influenzare i profitti. La funzione di profitto alternativa in forma logaritmica è dunque così articolata:

( 3.9 )

Si noti che rispetto alla funzione di profitto standard si ottengono diversi valori del termine di errore composito, dovuti alla diversa articolazione delle variabili esogene. A questo punto è possibile confrontare i profitti stimati per la banca generica “b” con quelli della banca sulla frontiera efficiente per ottenere un primo indicatore di profit efficiency.

̂ ̂

{ [ ̂ ] [ ̂ ] }

{ [ ̂ ] [ ̂ ] } ( 3.10 ) I motivi che sottostanno alla scelta dell’utilizzo della funzione di profitto alternativa sono tutt’altro che trascurabili. Berger e Mester (1997) hanno osservato che al verificarsi di una delle seguenti condizioni si dovrebbe scegliere l’approccio alternativo:

 la differenza nella qualità dei servizi erogati dalla diverse banche componenti il campione è considerevole e non misurabile direttamente;

 gli output della banca non sono completamente variabili e non sono perciò raggiungibili tutte le combinazioni produttive;

 le banche sono in grado di esercitare il proprio potere di mercato per allontanarsi da una formazione dei prezzi perfettamente competitiva;

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La funzione di profitto alternativa, includendo tra le variabili dipendenti anche i ricavi dell’azienda sotto osservazione, di fatto permette di valorizzare adeguatamente anche quelle realtà in cui i più alti costi di produzione sono compensati da un’offerta di maggiore qualità. Le differenze nella qualità dell’output possono essere catturate solo parzialmente nella funzione di profitto standard, dato che qui i prezzi degli output sono sostanzialmente fissati.

La seconda condizione rileva particolarmente quando nel campione di banche analizzate sono presenti soggetti con dimensioni operative considerevolmente differenti. In questo caso infatti le banche di minori dimensioni potrebbero essere giudicate inefficienti solo per il fatto di non essere in grado di raggiungere i medesimi livelli produttivi delle controparti di maggiori dimensioni. Ciò viene identificato come scale bias e scaturisce dall’incapacità delle variabili esogene di comprendere i maggiori profitti delle banche più grandi. Poiché le quantità di output nella funzione di profitto alternativa sono fissate, le aziende vengono confrontate per la loro capacità di realizzare maggiori profitti a parità di output prodotto, riducendo in questo modo lo scale bias.

Questa particolarità della funzione di profitto alternativa costituisce una valida risposta anche nel caso in cui le banche sfruttino il proprio potere di mercato per aggiustare i prezzi di vendita. Il fatto di mantenere relativamente fissi i prezzi degli output nella funzione di profitto standard finisce infatti con il penalizzare quelle banche minori che sono costrette ad abbassare i propri prezzi per aumentare l’output.

Per finire, anche gli errori di misurazione dei prezzi (l’ultima condizione sopra riportata) possono comportare uno scadimento della funzione di profitto standard. Di fatto, se il vettore p non risulta correttamente calcolato la corrispondente parte del profitto stimato nella funzione finirebbe con il portare ad un maggior errore nella stima dell’inefficienza.