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Presso la LUB, i diversi insegnamenti disciplinari sono proposti in tedesco, italiano ed inglese, ossia nelle L1, L2, L3 ecc. degli studenti. Ogni corso ha una lingua ufficiale in cui si tengono anche gli esami. Durante l’arco degli studi si cerca di arrivare ad un uso ponderato delle tre lingue, con flessibilità a secon- da del corso di studio. La meta è di formare studenti competenti in almeno tre lingue, e di farlo attraverso un insegnamento impartito in tre lingue. Le lingue si acquisiscono quindi nei corsi stessi, come pure nei corsi di lingue sotto la direzione delle facoltà e del centro linguistico. Inoltre, come terzo pilastro, si acquisisce la L2 e L3 anche grazie alla composizione degli studenti della LUB: essa è infatti fra le più varie d’Italia: il 15% ca. della popolazione studentesca proviene da università estere. Non sono studenti Erasmus, ma persone che hanno scelto di studiare presso la LUB proprio per il suo profilo linguistico. La sfida della LUB è quindi di formare, attraverso l’uso veicolare di tre lingue nei corsi disciplinari, studenti attivi e competenti in italiano, tedesco, inglese (e in ladino per la formazione degli insegnanti per le scuole delle valli ladi- ne).3 Accanto al Centro Linguistico fortemente coinvolto in tali percorsi, vi è

un Centro di Competenza lingue, dedicato alla ricerca, che ha fra i vari compi- ti ha anche quello di m onitorare il p rocesso di a pprendimento presso gli studenti.

Come accennato inizialmente, il Centro di competenza lingue è stato coinvolto negli anni 2006-2011 in un ampio progetto di r icerca a livello europeo dal

3 Per una spiegazione del modello linguistico della LUB, si cfr. il contributo di Christoph Nickenig in questo volume e Nickenig 2007. In modo succinto alcuni capisaldi: i professori insegnano la materia nella loro L1 italiano o tedesco, o in inglese. Ogni facoltà (ossia: Design, Economia, Informatica, Scien- ze e Tecnologie e la Facoltà di Scienze della formazione) opera con modelli linguistici adattati ai corsi (laurea, laurea magistrale, dottorato, master). In entrata, gli studenti devono documentare la cono- scenza di conoscere due lingue o superare degli esami. I professori possono, teoricamente, essere mo- nolingui, sono comunque tenuti ad acquisire almeno competenze ricettive nelle altre lingue ufficiali della LUB. Le competenze attive accertate vengono incentivate.

Rita Franceschini

titolo DYLAN: dinamiche linguistiche e g estione della diversità (VIo progamma

quadro), in cui si è studiato, fra altre tematiche, la gestione della diversità linguistica a livello universitario. Oggetto di studio – e di comparazione con altre istituzioni – è stata anche la LUB. Abbiamo condotto per lo più analisi qualitative, registrando ed osservando da vicino p.es. lezioni in classe, semi- nari, situazioni di servizio (servizio orientamento, biblioteca) e studiando le reti amicali. Vorrei fare qualche cenno ad alcuni risultati, tratti succintamente dalle varie pubblicazioni che si riferiscono a tale progetto (per cui si v. France- schini/Veronesi in stampa, Varcasia 2010, Veronesi 2009, 2007, Veronesi Spreafico 2009, Vietti 2009, 2011).

Si è p .es. avverato che più il docente è c apace di comprendere la lingua dell‘allievo, più questi è attivo e si lancia nel tentativo di usare l’altra lingua, in qualche modo confortato dal fatto che potrà ottenere aiuto.

Si è inoltre constatato che più il do cente mette in atto un modo multilingue di conversazione, più gli allievi si a ttivano. Quindi, la modalità chiamata anche ALAT (all languages at a t ime) e non OLAT (one language at a t ime) rende l’insegnamento più coinvolgente. La modalità ALAT permette di o perare un’integrazione del sapere proveniente da vari background culturali più duttile. Le analisi condotte sulle reti amicali degli studenti ha rivelato la centralità dei contatti ravvicinati, emotivamente coinvolgenti, con parlanti delle L2 e L3. Avere una rete amicale con componenti dell’’altra lingua’ si è rivelato essere un buon indice predittivo per un’alta competenza linguistica (Vietti 2011). Che cosa significano questi – ed altri risultati – per lo sviluppo di m odelli didattici e organizzativi a livello universitario?

Un modello da sviluppare deve tener conto almeno di tre punti vista, quello dell’utente, del docente e dell’istituzione. Le domande che si pongono sono: • da parte dell‘utente: quali lingue/conoscenze sono necessarie per il futuro? • da parte del docente: come insegnare/come comprendere gli studenti? • da parte dell‘istituzione: come organizzare/come includere nuovi saperi? A seconda delle risposte rispetto agli obiettivi da raggiungere, devono essere prese le decisioni organizzative, fra cui la formazione degli insegnanti e l’assetto didattico. In fondo, si tratta di riflettere, a livello istituzionale o gestionale, sul management della diversità.

CLIL universitario: una risposta europea per l‘inclusione della diversità linguistica

Il diversity management nei suoi vari risvolti in effetti è, con il ruolo fortemente internazionale delle università, una tematica che brucia sotto le dita, perché le università formano, all’interno delle nostre società, zone ad alta densità di diversità linguistica, vista la composizione degli studenti. La diversità non va omologata, si sa, ma va presa per gli stimoli che essa può offrire. In tale senso, le università assumono anch’esse – come altre istituzioni del mondo della formazione – un ruolo di g arante della diversità culturale che contrassegna anche storicamente l‘Europa.

Rispetto alla formazione dei docenti – e nell’ottica di un maggiore ancoramen- to ‘naturale’ dell’approccio CLIL – avrei due sogni: il primo concerne la formazione di inseganti europei, ossia di inseganti che hanno un orizzonte che prenda in considerazione la diversità europea, con una formazione quindi raggiunta frequentando università e lavorando in vari paesi. Il secondo sogno concerne la maggiore mobilità fra insegnanti: ci si poi immaginare quanto si potrebbe incentivare un approccio CLIL, se vi fosse uno scambio di insegnanti attraverso tutto l’Europa?