CAPITOLO I: I MINORI DETENUTI: ASPETTI E PROBLEMI DEL
1.9. Progetti di ordinamento penitenziario minorile presentati e dimenticati
1.9.2. Il progetto Fassino
Nel 2000, l’allora Ministro delle Giustizia Fassino, presentò un altro progetto di riforma. Nei quattordici anni che distanziano le due proposte, si collocano le sentenze della Corte Costituzionale che, come già evidenziato, più volte ha sollecitato il legislatore a provvedere con apposita legge indicandone anche le linee essenziali da seguire. Si legge nella relazione del progetto: “un adeguamento delle forme del trattamento che accentui le opportunità di recupero in soggetti che non hanno ancora portato a compimento la loro formazione fisio-psichica è il principio a cui si ispira l’intervento legislativo che intende, essenzialmente, condurre la materia dell’esecuzione penale minorile al rispetto dei canoni di legittimità119.” E’ necessario premettere alcuni aspetti. Il progetto si occupa principalmente, se non in maniera esclusiva, del regime alternativo alla detenzione. Solo una norma, l’art. 15, riguarda gli interventi per i soggetti ristretti in Istituto, ed è l’unica disposizione che si interessa dell’esecuzione della pena detentiva vera e propria. Non si presenta, quindi, come una riforma organica che coglie ogni aspetto dell’esecuzione penale del minore, si è preferito rimandare per quasi tutti gli aspetti che regolano la vita in istituto alla disciplina degli adulti. Non si fa riferimento all’edilizia carceraria, alla
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Cfr. Piercarlo Pazé, Le pene per i minorenni, cit., p. 25.
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Relazione del Disegno di Legge n. 7225 presentato alla Camera dei Deputati il 17 luglio 2000 (XIII Legislatura).
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partecipazione della comunità esterna, al coordinamento del lavoro da parte degli operatori sia tra loro sia con il territorio. Si tratta di un limite pesante.
In più si prevede al secondo comma dell’art. 1 che tale normativa sarà applicata a coloro che hanno commesso il reato da minorenne fino al compimento del ventunesimo anno di età, successivamente se pur il reato è stato commesso da minore sarà applicata la normativa prevista per gli adulti. Si peggiora così la normativa esistente che prevede l’applicazione delle norme riservate ai minori fino il venticinquesimo anno di età, logicamente se il reato è stato commesso da minorenne. Questa scelta è contraria a quelli che sono gli indirizzi internazionali e della dottrina, che sempre di più tendono a suggerire l’avvicinamento del regime dei giovani-adulti a quello minorile per evitare il contatto col mondo penitenziario120. L’unica spiegazione plausibile è che si sia voluto evitare di applicare il nuovo regime tendente a sostituire la detenzione, previsto appunto nel progetto, a soggetti troppo lontani dalla minore età.
Il nucleo del progetto è contenuto nei primi nove articoli e prevede l’applicazione di prescrizioni in sostituzione della pena detentiva. Queste previsioni tendono ad attuare, in sede di esecuzione di una pena detentiva, un intervento parallelo a quello della messa alla prova in fase processuale.
Fondamentale, per capire lo spirito del progetto, è l’art. 3. Si prevede, infatti, l’aggiunta di quattro commi all’art. 656 c.p.p. che disciplina, dal comma 5 al 10, le modalità dell’esecuzione della pena detentiva, introdotto dalla legge 165/1998. Importante è la novità introdotte all’art. 10 bis che va a regolare le modalità di esecuzione della pena detentiva per un reato commesso da minorenne.
Si dispone: “Se la pena detentiva deve essere eseguita nei confronti di persona che commise il reato prima del compimento del diciottesimo anno di età non si applicano le disposizioni contenute nei commi da 5 a 10.
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In tale caso il pubblico ministero procedente sospende l'esecuzione e chiede ai servizi della giustizia minorile di formulare, nel termine di trenta giorni, un progetto di intervento predisposto in conformità a quanto previsto dall'articolo 27 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272. Il progetto è trasmesso dal pubblico ministero, con le sue richieste, al tribunale di sorveglianza per i minorenni che provvede entro trenta giorni”.
In sostanza il P.M. che deve eseguire la pena detentiva, ne sospende l’esecuzione e chiede ai servizi di giustizia minorile di formulare un progetto d’intervento predisposto in conformità di quello della messa alla prova121. L’ultima parola spetterà al magistrato di sorveglianza che con ordinanza sostituirà all’esecuzione della pena detentiva inflitta o al residuo di maggior pena, prescrizioni, quando tenuto conto dell’entità del fatto, della personalità dell’autore, ritiene che queste siano idonee a perseguire la salvaguardia, avvio e promozione dei processi di maturazione e di socializzazione del soggetto condannato ed a prevenire che egli commetta altri reati (art. 4).
Circa il contenuto delle prescrizioni indicate nel progetto, all’art. 5, si è tenuto conto delle previsioni dell’art. 47 ord. pen., sull’affidamento in prova ai servizi sociali, ma si è andati anche oltre, con l’obbligo di permanenza in casa o presso luogo di cura o assistenza e con una sorta di semilibertà che prevede l’obbligo di trascorrere parte del giorno nell’istituto di detenzione. Alcune di queste prescrizioni sono molto limitative e formali, se pur è vero che le pene in gioco potrebbero anche essere elevate non sembrano orientate sulla finalità educativa cui dovrebbe tendere il progetto.
E’ però necessario segnalare alcuni aspetti che sono sicuramente positivi per ridurre l’area della detenzione nei confronti dei minori autori di reato. Gli adulti possono usufruire della disciplina di sospensione della pena come prevista dall’art. 656 c.p.p. solo se condannati a pene fino a tre anni.
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Inoltre la norma prevede la possibilità di sospensione solo se il soggetto al momento della condanna definitiva si trova in libertà o agli arresti domiciliari. Per i minori il progetto allarga le maglie della normativa permettendo l’applicazione della nuova disciplina nei confronti di tutti (anche se detenuti) e senza limiti di pena. Seguendo le indicazioni della sentenza n. 450/1998 della Corte Costituzionale si prevede, inoltre, che le prescrizioni in sostituzione della pena detentiva possano essere concesse anche al minore condannato per reati di criminalità organizzata quando siano stati acquisiti elementi tali dai quali sia possibile escludere l’attualità di collegamenti del soggetto con le organizzazioni criminali. Al comma 4 dell’art. 7 si prevede poi che terminato in maniera positiva il periodo delle prescrizioni, il tribunale di sorveglianza, in base alle risultanze trasmesse dai servizi incaricati, pronunzierà l’estinzione del reato e di ogni altro effetto penale della condanna, questo con l’intento di evitare effetti stigmatizzanti sul minore.
Per coloro che non possono accedere alla misura innovativa delle prescrizioni non si esclude il ricorso alle altre misure alternative alla detenzione per gli adulti, anche in questo caso prescindendo dai limiti di pena stabiliti per gli stessi. Un sistema così pensato dovrebbe tendere ad escludere il ricorso al carcere o comunque limitarlo a casi particolari in cui il minore non collabora alla realizzazione di progetti per lui pensati. Questa considerazione però non giustifica la poca importanza data nel progetto all’organizzazione della vita in istituto. Come già anticipato solo una norma si occupa di ciò, prevedendo la realizzazione di un progetto di intervento personalizzato e aggiornato costantemente contenente le modalità con cui attuare le relazioni del ragazzo con il mondo esterno nonché le attività culturali, ricreative e sportive. Si prevede inoltre che non siano applicati gli art. 14 bis, 41 bis e 4 bis dell’ordinamento penitenziario eliminando così il “regime del doppio binario” per i detenuti minorenni. L’art. 18 prevede una deroga all’art. 30 ter ord. pen. stabilendo la possibilità di concessione di
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permessi per gravi motivi familiari o permessi premio indipendentemente dalle condizioni concernenti la misura e il reato commesso.
Abbiamo visto i limiti e gli aspetti invece significativi di tale progetto, che però, una volta conclusa la legislatura nel 2001, fu dimenticato. Gli anni successivi si sono caratterizzati per un’inversione di tendenza che prescindeva completamente dai passi avanti fatti negli anni precedenti. Il progetto Castelli del 2002, “Modifiche alla composizione ed alle competenze del tribunale penale per i minorenni”, oltre a prevedere l’abolizione dei Tribunali per i minorenni, sostituendoli con l’istituzione di “sezioni specializzate presso i tribunali e le corti d’appello122”, si caratterizzava per un assoluto sfavor minoris, dilatando i tempi di custodia cautelare, fissando a diciotto anni il limite di operatività della normativa nonché della permanenza presso gli Istituti Penali per minorenni, innovando l’istituto della liberazione condizionale per la quale prevedeva addirittura la consulenza tecnico-specialistica.
Il processo di equiparazione all’adulto delineato da questo progetto era in totale contrasto con le Risoluzioni internazionali che auspicano un trattamento orientato all’educazione anche per i giovani adulti in ragione del fatto che nella società odierna si è dilatato il periodo di passaggio verso l’età adulta123.
La Camera, il 5 novembre 2003, deliberò di non procedere all’esame del disegno di legge accogliendo la pregiudiziale di costituzionalità che evidenziava il contrasto tra la normativa proposta e l’art. 31/2 della Costituzione, per il quale la Repubblica “protegge maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo124”.
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Cfr. Luigi Fadiga, I progetti di riforma della giustizia per i minorenni, “MinoriGiustizia”, 1 (2008), p. 67.
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Cfr. Laura Cesaris, Un ordinamento penitenziario per i minori e giovani adulti, cit., p. 166.
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Si veda i resoconti della seduta della Camera n. 384 del Mercoledì 5 novembre 2003 in www.legxiv.camera.it.
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