CAPITOLO II: I MINORI AUTORI DI REATO
2.2. Le teorie sociologiche
2.2.2. La Scuola della reazione sociale
All’inizio degli anni Sessanta del Novecento avvenne all’interno della criminologia una svolta teorica. L’interesse si focalizzò sulle modalità di azione delle agenzie di controllo, sulla reazione sociale al fenomeno deviante. Piuttosto che studiare le cause della criminalità in maniera deterministica, venne presa in considerazione l’interazione che si instaura tra il soggetto deviante, le norme e la reazione sociale.
Lemert è una figura centrale nel nuovo paradigma teorico: i suoi studi si sono concentrati soprattutto sulle conseguenze del controllo sociale e sull’ordine morale. Al centro del suo lavoro vi è la distinzione tra “devianza primaria” e “secondaria”, che segnala i diversi effetti dell’intervento della società sulla fenomenologia deviante164
.
La “devianza primaria” riguarda tutti quei comportamenti che infrangono la norma, ma che vengono “normalizzati dalla società”. Essi non
163
Cfr. Gaetano De Leo, La devianza minorile , cit., p. 83.
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producono quindi fenomeni di etichettamento e stigmatizzazione. Tale situazione fa sì che il soggetto non si senta cambiato in conseguenza dell’atto deviante: ancora non gli è stato assegnato dalla società il ruolo di “deviante”. La devianza secondaria consiste invece, spiega lo stesso Lemert: “nel comportamento deviante o nei ruoli sociali basati su di esso, che diviene mezzo di difesa, di attacco, o di adattamento nei confronti dei problemi, manifesti o non manifesti, creati dalla reazione della società alla devianza primaria165”.
L’etichetta di deviante, imposta dalla società, fa sì che il soggetto, se non ha un’immagine di sé ben definita, sia costretto a riorganizzare la propria identità psicosociale sulla base dell’avvenuta attribuzione del ruolo. La “devianza”, per Lemert, viene acquisita secondo un processo di scambio reciproco, che ha termine quando la persona accetta l’etichetta come un’identità reale166. Interessante è il concetto di “interazione sociale”: la devianza è frutto di un incontro tra il soggetto e la società in cui le caratteristiche del primo hanno una loro importanza così come ha importanza la risposta della collettività.
Altro concetto fondamentale proposto da Lemert è quello di “problema sociale”, che consente di spiegare le diverse soluzioni attuate nel tempo in relazione alla “devianza minorile”. Secondo come sono percepiti e sentiti, a livello sociale, alcuni comportamenti devianti del minore, muta anche la risposta statale. Sono molti i fattori che entrano in gioco, primo fra tutti la capacità della società di adattarsi ai nuovi bisogni adolescenziali. Lemert, come ha ben spiegato De Leo: “ha aiutato a cogliere il fatto che il controllo sociale funziona secondo livelli di problematicità, secondo criteri di rilevanza del problema, di rilevanza contestuale culturale, non secondo una rilevanza assoluta167”.
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Edwin M. Lemert, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, Giuffrè, Milano, 1981.
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Cfr. Frank Williams III, Marilyn D. Mc. Shane, Devianza e criminalità, cit., p. 127.
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Altro autore di grande importanza in questo contesto teorico è Becker che, attraverso un modello di indagine partecipativa, valorizza l’esperienza soggettiva, il modo in cui il deviante interagisce col gruppo e con le agenzie di controllo. Il suo contributo più significativo per la comprensione della “devianza minorile” è contenuto nel saggio Come si diventa fumatori di marijuana168, dove egli illustra l’importanza che assume la presa di coscienza del comportamento deviante e della comunicazione in gruppo dell’esperienza. Il passaggio centrale tra un’esperienza transitoria di devianza e l’affermazione del sé deviante sta nel significato che il “deviante” dà della sua esperienza, nonché nel significato che viene dato ad essa dalle agenzie di controllo. Il soggetto è attivo e prende parte diretta alla costruzione della sua “carriera deviante”. Egli diventa davvero “deviante” quando darà un significato sociale positivo e gratificante alla propria esperienza169. La devianza è, però anche un’azione collettiva: ogni comportamento umano, secondo Becker, è condizionato dalle reazioni che avranno i soggetti coinvolti nella stessa azione. Egli scrive: “Tutti gli uomini, nel momento in cui agiscono tengono conto e valutano come ciò inciderà sul loro prestigio e sul loro rango170”.Anche questa teoria, quindi, pone l’accento sull’interazione tra il soggetto e la società con la quale il soggetto contribuisce attivamente a costruire il proprio percorso.
Questa teoria è stata valorizzata e sviluppata da David Matza. Egli ha contribuito attivamente ad ampliare le teorie sulla “delinquenza giovanile” attraverso un metodo che egli chiama “naturalismo”. Obiettivo di Matza è descrivere il fenomeno dal di dentro, il più fedelmente possibile171. Egli conduce un’ampia critica al concetto di “subcultura” e, in particolare,
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Howard Becker, Come si diventa fumatori di marijuana, in Outsider, cit.
169
Cfr. Lorena Milani, Devianza minorile, cit., p. 111.
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Howard. Becker, Come si diventa fumatori di marijuana, in Outsider, cit.
171
Cfr. David Matza, Becoming Deviant, Englewood Cliffs, 1969 trad. it; Come si diventa
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all’idea del rifiuto, da parte del deviante, della morale e dei valori tradizionali. Secondo l’autore anche i “devianti” partecipano al medesimo sistema dei valori dei “non devianti” e la devianza è fenomeno diffuso in tutte le classi sociali. La teoria di Matza ridimensiona fortemente la diversità e il distacco culturale del criminale rispetto al resto della popolazione.
Le norme non sono capovolte: il comportamento criminale non scaturisce da un meccanismo di formazione reattiva tendente al rovesciamento dei valori correnti, bensì da una serie di neutralizzazioni che formano un “sistema di difesa”, con il quale il deviante tende a porre giustificazioni, ad attenuare il proprio senso di colpa, e, quindi, a mantenere la stima di sé, pur essendo consapevole dell'offensività delle proprie azioni. Il meccanismo di neutralizzazione ha, quindi, l’effetto di recidere i vincoli del controllo sociale, effetto dal quale deriva la possibilità di realizzazione di condotte criminali.172
La teoria proposta da Matza muove quindi dall’idea che la criminalità non sia il frutto di precise cause individuali e sociali. Essa sostiene piuttosto che “il delinquente si trova transitoriamente in un limbo tra convenzione e crimine e reagisce alle istanza ora dell’una ora dell’altro, vagheggiando ora l’una ora l’altro, differendo la scelta, eludendo la decisione. Così egli va alla deriva tra le azioni criminali e quelle convenzionali173.”
Le principali tecniche di neutralizzazione sono:
La negazione della responsabilità per cui si attribuisce la causa delle proprie azioni a forze fuori controllo, ad esempio attraverso la giustificazione: “ero ubriaco”;
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Cfr. Gabrio Forti, L’immane concretezza, cit., p. 501.
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La negazione del danno per cui si minimizza il torto inflitto, ad esempio attraverso l’idea che: “nessuno si è fatto male”; La negazione della vittima attraverso cui si accolla alla vittima
la responsabilità per il crimine commesso, ad esempio sostenendo: “rubo solo agli ubriaconi, ai balordi ecc.”;
La condanna dei condannanti con cui si sottolineano le manchevolezze delle figure che rappresentano le autorità, negandone la legittimazione ad esprimere una condanna, sostenendo ad esempio che: “sono ipocriti, interessati, corrotti”;
Il richiamo a fedeltà superiori in nome del quale si neutralizza l’azione dando importanza alle esigenze dei gruppi di amici o della banda, rispetto alla lealtà nei confronti della società. Questo mette in luce che il delinquente non respinge le norme convenzionali, ma antepone ad esse un codice di valori per lui preminente.
L’apprendimento delle tecniche di neutralizzazione, secondo Matza, è il primo passo che conduce il giovane alla delinquenza. Nel testo Come si diventa devianti, Matza mette in luce tre concetti base del processo che conduce alla devianza:
1. affinità, 2. affiliazione, 3. significazione.
Criticando la versione deterministica del concetto di affinità, secondo cui il soggetto è strutturalmente predisposto alla devianza, egli propone un criterio di affinità come disposizione soggettiva, cioè come quel processo attraverso cui una persona compie una scelta. Il problema quindi, per Matza, riguarda il processo di affiliazione e di attribuzione di significato all’azione deviante. Il soggetto, infatti, si rende affine attraverso la scelta delle persone con cui vivere, con cui fare le cose, e attraverso l’attribuzione
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di significato alle cose che fa. In questo contesto il soggetto è pienamente valorizzato nella sua soggettività: il soggetto si affilia perché è disponibile a condividere le sue esperienza con altre persone e attribuisce un significato rilevante al fatto di far parte di un gruppo. Il soggetto descritto da Matza è attivo e non reattivo: ha capacità di orientarsi, di scegliere, di decidere, costruisce la propria realtà e si confronta con i propri condizionamenti elaborandoli in maniera cognitiva e non subendoli174.
E’ importante, quindi, il valore simbolico che il soggetto attribuisce alla sua esperienza deviante, ossia quale significato questa assume nella riorganizzazione del suo progetto di vita. L’idea è, ancora una volta, quella della “devianza” come processo comunicativo interattivo complesso e dinamico nel quale le diverse parti in causa svolgono un ruolo attivo di ridefinizione reciproca175.
Il contributo di questa teoria nella spiegazione della “devianza minorile” è fondamentale: piuttosto che ipotizzare una subcultura deviante, contrapposta a quella convenzionale secondo Matza i giovani “delinquenti” condividono molte norme convenzionali come l’equità, il coraggio, la lealtà verso il gruppo di riferimento. La subcultura dei giovani “devianti” è solo parzialmente autonoma dalla cultura convenzionale. Il giovane che commette reati è immerso nell’illegalità in modo casuale, intermittente e transitorio, scorre tra i due poli delle norme convenzionali e criminali, sottraendosi al controllo di entrambe i complessi normativi176.
La teoria di Matza, pur essendo critica nei confronti delle precedenti tesi sulla subcultura, non è completamente incompatibile con ciò che affermano al riguardo Cloward e Ohlin. In particolare, vi è accordo tra gli autori sul fatto che i membri di una banda giovanile “possono oscillare di volta in volta nel relativo grado di legittimità che essi attribuiscono alle
174
Cfr. Gaetano De Leo, La devianza minorile , cit., p. 92.
175
Cfr. Lorena Milani, Devianza minorile, cit., p. 113.
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norme ufficiali e a quelle delinquenti177.” In secondo luogo, gli autori concordano nell’affermare che solo una parte delle attività di queste bande ha carattere criminale e che i loro membri non negano la legittimità delle norme convenzionali. Se ne discostano in virtù di circostanze particolari ed attenuanti178. Cloward e Ohlin pongono, però, l’accento sugli aspetti devianti della subcultura giovanile, connessi ad una situazione psicologica indotta da una particolare posizione nella struttura sociale. Matza, invece, preferisce soffermarsi sul carattere contraddittorio della subcultura stessa. Una lettura congiunta di tali teorie, pur non perfettamente coincidenti, consente di cogliere gli aspetti della subcultura dei giovani “devianti”, situa questa subcultura in aree di scarso controllo e forte disorganizzazione, esamina le modalità di rinforzo di questa per mezzo di una socializzazione alla devianza, e, infine, non trascura la posizione del giovane nella più ampia struttura sociale e normativa.