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Avete in programma anche attività con impronta meno terapeutica e più artistica? M: Sì, diciamo che il gioco è presente in tutte le attività del CPE ed ha lo scopo di far

Intervista numero 2: Centro Psico-Educativo di Lugano

J: Avete in programma anche attività con impronta meno terapeutica e più artistica? M: Sì, diciamo che il gioco è presente in tutte le attività del CPE ed ha lo scopo di far

Il lavoro educativo nell’accompagnamento peri traumatico con minori vittime di abusi

animali (negli ultimi anni abbiamo in programma attività con cani o anche asini, in fattoria, le quali hanno molto successo e appassionano assai anche noi operatori), attività di cucina, pittura, creta, si possono inoltre usare gli strumenti musicali o le marionette; diciamo che ci sono varie possibilità. C’è da dire anche che quando un operatore ha degli interessi particolari, questo ha la possibilità di svilupparle ed integrarle nel lavoro; io ho lavorato ad esempio con delle operatrici bravissime sotto il punto di vista corporeo, nel senso che le piacevano le attività in cui la dimensione motoria e corporea era presente e per questo hanno sviluppato all’interno del CPE questo tipo di attività riscontrando grande successo.

J: Quali pensa siano i punti di forza e/o le criticità nell’inserire un bambino vittima di abusi all’interno di un gruppo del CPE composto anche da altri bambini?

M: Attraverso il lavoro in gruppo il bambino ha la possibilità di riconoscere le proprie emozioni e confrontarle con quelle degli altri, si ha la possibilità di rispecchiarsi, di rivedersi e di vedere le modalità di superamento degli altri bambini; condividere le proprie esperienze permette al minore di rielaborare il proprio vissuto e le proprie emozioni e questo è importante.

J: In che modo al CPE create un ambiente in cui il bambino può esprimere il proprio disagio liberamente?

M: Il bambino sa che è libero di esprimere ciò che vuole, l’atteggiamento di accoglienza e di ascolto che si richiede agli operatori di cui parlavo prima dà al bambino la sicurezza di poter essere se stesso senza essere giudicato o colpevolizzato. L’assenza di giudizio è importante per questo, per poter mettere il bambino nella condizione di esprimere qualsiasi contenuto lui voglia con la certezza che l’operatore non si arrabbierà con lui e sarà sempre lì per aiutarlo, sostenerlo e contenerlo laddove al bambino serve.

J: Quali sono i comportamenti tipici che voi notate corrispondere nei bambini vittime di abusi?

M: Vediamo spesso e in molti bambini atteggiamenti agitati, aggressivi o provocatori, anche sessualizzati. Spesso vogliono mostrarsi più grandi di quel che sono, potenti, invincibili (bisogna fare attenzione però perché non sempre dietro questi comportamenti vi è dietro un abuso); alcuni bambini sono anche depressi (molti si sentono scolasticamente depressi in quanto non riescono ad imparare, non riescono a creare delle amicizie, a prendersi cura del proprio corpo o a vestirsi in modo non trascurato e quindi il vissuto è quello di fallimento); spesso queste fragilità vengono mascherate da atteggiamenti tipici come quelli che noi definiamo da gradassi, ma che in realtà dietro nascondono – appunto – una grossa fragilità. Abbiamo poi manifestazioni di atteggiamenti ipomaniacali, esibizionisti (“non ho paura di niente e di nessuno”) o bambini che si difendono tantissimo (anche con insulti) cercando di compensare le fragilità portando un’immagine di sé molto iperpotente, caricata; tanti bambini hanno il grande vissuto di impotenza, una ferita per

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essersi trovati di fronte all’adulto in una posizione totalmente passiva in balìa di un'altra persona e quindi il loro comportamento può essere il cercare di passare da una posizione relazionale passiva ad una attiva.

J: In che modo gestite questi comportamenti?

M: L’operatore del CPE di fronte a questi comportamenti assolutamente non deve giudicare o essere oppressivo; deve riuscire a contenerlo e a far capire al bambino che attuando certi comportamenti non ricava niente di positivo, specialmente nelle relazioni private. Si cerca di lasciar esprimere il bambino per capire il suo malessere, mettendo però sempre il limite laddove risulta necessario. Si cerca di creare un ambiente rassicurante e portare il bambino alla parola e non all’atto qualora manifestasse comportamenti aggressivi, sia verso se sia verso gli altri. Ripeto, è importante, quando i bambini manifestano troppa agitazione o eccitazione porre dei limiti per cercare di contenere questo aspetto. Attenzione alle conclusioni troppo affrettate però, non sempre dietro un certo comportamento vi è per forza un abuso.

J: Vi sono manifestazioni anche di comportamenti sessualizzati o aggressivi?

M: Sì certo, ci sono come ho detto già prima. In questo devo anche dire che internet e le varie tecnologie, a mio parere, non hanno facilitato le cose e mi preme anche sottolineare nuovamente come però non per forza dietro a un comportamento aggressivo o sessualizzato vi sia per forza un abuso; l’abuso può essere sì un’ipotesi ma bisogna vedere anche molti altri aspetti.

J: Quali sono gli aspetti di maggiore difficoltà in una presa a carico di bambini vittime di abusi?

M: Una delle cose più difficili consiste nel riuscire a costruire delle relazioni professionali di fiducia con la giusta distanza relazionale e a gestire, a tarare bene le proprie emozioni, questo è un aspetto molto delicato e a cui bisogna dare molta attenzione.

J: Vi sono degli spazi, dei momenti in cui l’educatore sociale ha modo di parlare dei sentimenti o dei vissuti nati dalla relazione con questi bambini?

M: Sì, i colleghi hanno spesso dei momenti in cui si scambiano i loro vissuti, parlano tra loro e io lo trovo importante per portare avanti un lavoro pulito. Inoltre è anche a loro disposizione la supervisione, sia informale (collega-collega) sia più strutturata (d’équipe) che viene proposta all’interno del CPE ma anche individuale con me, se necessario. J: Mi può descrivere in che modo sono concepiti/pensati questi spazi?

M: Le discussioni tra colleghi avvengono in maniera informale, dopo le attività e i momenti con i bambini. Le supervisioni invece avvengono una volta alla settimana a rotazione a dipendenza del gruppo. Abbiamo anche la sintesi settimanale in cui si presente il caso clinico di un bambino, uno diverso ogni settimana, in cui si ha la possibilità di discutere in équipe dell’andamento del bambino nel gruppo e di valutarne l’andamento della presa a

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carico. Inoltre mi sembra importante dire che per me rappresenta un aspetto importante anche quello dello stipendio e delle vacanze, anche se ad alcuni potrebbe sembrare strano; lo trovo importante in quanto gli operatori qui svolgono un lavoro emotivamente pesante, un lavoro molto impegnativo che li pone nel rischio di burn out e quindi rischio di soccombere, di cedere o di andarsene da questo posto poiché emotivamente è troppo pesante, per questo trovo importante che vi siano tempi di riposo adeguati o degli ammortizzatori che permettano di ricaricare le energie. Mi sembra inoltre – per lo stesso motivo – molto importante avere in équipe un buon clima relazionale, per poter permettere agli operatori di confrontarsi, venirsi incontro ed evitare conflitti, ulteriori stress che poterebbero l’operatore a vivere male diverse situazioni.

J: L’intervista è terminata, la ringrazio nuovamente per la sua disponibilità e il suo