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SEZIONE I. Il trionfo del principio di proporzionalità

5. Proporzionalità della pena di morte per i reati d

sequestro di persona a scopo di estorsione: il caso Vikram

Singh e la costituzionalità dell'articolo 364A dell'IPC.

Nel caso Vikram Singh and Anr. v. Union of India and Ors. (“Vikram Singh”)376 il ricorso alla Corte Suprema indiana, su

concessione straordinaria, era sorto in circostanze alquanto peculiari. In origine i ricorrenti erano stati accusati, processati e condannati a morte per la commissione di alcuni reati punibili in base agli articoli 302377 e 364A378 del Codice penale indiano

dall'Alta Corte del Punjab e Haryana379. In particolare, erano

stati puniti con la massima pena a seguito del rapimento di un minore con l'intento di chiedere un riscatto e per il fatto che durante la commissione del reato la vittima era morta a causa della somministrazione di un mix di droghe.

In quell'occasione i ricorrenti avevano chiesto la riapertura del caso e la commutazione della pena di morte in ergastolo con un “writ of mandamus” indirizzato all'Alta Corte del Punjab e Haryana. I ricorrenti inoltre avevano presentato un “Writ

Petition”380 davanti all'Alta Corte per ottenere la dichiarazione

che l'articolo 364A (introdotto nell'IPC dall'Act 42 del 1993) andasse al di là della Costituzione nella misura in cui lo stesso

376 Criminal Appeal No. 824 of 2013, Supreme Court of India, deciso il 21

agosto 2015.

377 Indian Penal Code, Section 302, Act no. 45 of 1860, Oct 6, 1860.

Punishment for murder. — “Whoever commits murder shall be punished with

death, or [imprisonment for life], and shall also be liable to fine”.

378 Indian Penal Code, Section 364A, Act no. 45 of 1860, Oct 6, 1860. Kidnapping

for ransom, etc.—“Whoever kidnaps or abducts any person or keeps a person in detention after such kidnapping or abduction and threatens to cause death or hurt to such person, or by his conduct gives rise to a reasonable apprehension that such person may be put to death or hurt, or causes hurt or death to such person in order to compel the Government or [any foreign State or international inter-governmental organisation or any other person] to do or abstain from doing any act or to pay a ransom, shall be punishable with death, or imprisonment for life, and shall also be liable to fine”.

379 Criminal Appeal No. 1396 – 1397 of 2008. 380 Writ Petition (Crl.) D No.15177 of 2012.

prevedeva la pena di morte per chiunque fosse stato giudicato colpevole381.

I ricorrenti sostenevano in particolare che l'articolo 364A rilevasse solo nel momento in cui il reato fosse stato commesso contro il governo o contro un paese straniero, ecc. L'Alta Corte allora aveva proceduto ad esaminare la richiesta sollevata dai ricorrenti nel merito, facendo riferimento al contesto storico nel quale il disposto dell'articolo 364A era stato inserito nel testo di legge e aveva ritenuto che tale articolo, anche se nella forma in cui era stato introdotto, considerasse il rapimento di qualsiasi persona, dato che l'India non era ancora impegnata

nell'International Convention Against the Taking of Hostages del 1979, di cui divenne parte solo nel 1994. E fu allora che venne inserito il riferimento nell'articolo: “any foreign state or

international inter-governmental organization or any other person”.

Per questo motivo l'Alta Corte aveva respinto l'argomentazione dei ricorrenti382.

Conseguentemente gli stessi sono ricorsi alla Corte Suprema sostenendo che l'articolo 364A del Codice penale indiano facesse riferimento solamente ai casi di rapimento connessi al

terrorismo internazionale. Perciò tale disposizione non poteva riferirsi al caso in cui il rapimento fosse stato attuato da privati per scopi economici383.

381 CRA No.824 OF 2013, par. 1. 382 CRA No.824 OF 2013, par. 3. 383 Id., par. 5.

Tra i motivi per i quali l'articolo 364A era considerato

incostituzionale da parte dei ricorrenti vi era indubbiamente l'aspetto legato al principio di proporzionalità della pena. Infatti, secondo questi infliggere la pena di morte per un reato che non prevedeva la morte della vittima, e che avesse finalità

prettamente economiche, risultava eccessivo a meno che lo stesso reato non avesse scopi “terroristici”.

E proprio sul principio di proporzionalità della pena si è soffermata la Corte, andando ad esaminare le sentenze più famose al riguardo pronunciate dalla Corte Suprema indiana e i casi giurisprudenziali “guida” della Corte Suprema degli Stati Uniti d'America, per affermare << che la pena dev'essere proporzionata al reato commesso è riconosciuto come un principio fondamentale del diritto penale in tutto il mondo >>384, e che << nell'affrontare la questione della proporzionalità

delle condanne, la pena di morte è considerata diversamente nella natura e nell'entità dalla pena della prigione. Ne risulta che ci sono numerose situazioni in cui la pena di morte è ritenuta essere sproporzionata rispetto al reato commesso, ci sono pochissimi e rari casi di condanne alla prigione che vengono ritenute sproporzionate385 >>.

Poi, sempre riguardo alla proporzionalità della pena per il reato di sequestro di persona, la Corte, dopo aver ricordato che

l'articolo 364A nasceva dalla necessità di proteggere il paese dallo spettro del terrorismo e preservare la sicurezza dei

384 Id., par. 38. 385 Id., par. 49.

cittadini, ha affermato che: << […] la pena prevista per coloro che commettono qualsiasi atto contrario all'articolo 364A non può essere definito così esageratamente sproporzionato alla natura del reato tanto da chiedere che lo stesso venga dichiarato incostituzionale >>386. Però poi la Corte ha precisato che nello

scegliere tra la pena di morte e l'ergastolo avrebbe seguito solo le linee guida tracciate da quei casi capitali che erano “i più rari tra quelli rari”387.

Quindi, giungendo alle considerazioni sul caso da parte della Corte, ha detto che in situazione normali e nei casi che potevano essere definiti “i più rari tra quelli rari”, la morte si sarebbe potuta infliggere solo là dove il rapimento o il sequestro fossero risultati nella morte della vittima o di chiunque altro durante la commissione del reato. La situazione di fatto dell'atto per cui l'imputato era stato accusato dimostrava che si trattasse di un atto di terrorismo che minacciava la vera essenza della struttura democratica del paese e che quindi potesse essere

eventualmente la sola situazione in cui le Corti avrebbero potuto valutare se infliggere la pena di morte388.

Alla fine della sentenza che respingeva le richieste dei ricorrenti la Corte è riuscita ad aggirare la questione della costituzionalità dell'articolo 364A del Codice penale indiano, sostenendo che, alla luce di quanto affermato in precedenza, era stata chiamata a decidere sulla base di “situazioni ipotetiche”. A tal proposito la

386 Id., par. 50. 387 Id.

Corte ha affermato: << assumere situazioni ipotetiche non può, secondo noi, essere portato a sostenere la “vires” dell'articolo 364A. Gli elementi forti che si sono ricavati hanno dimostrato che in tale circostanza ad ogni modo questo caso resterebbe fuori dalla sfera di qualsiasi situazione ipotetica >>389. Questo

derivava dal fatto che, secondo l'opinione della Corte, i

ricorrenti non solo erano stati accusati di aver commesso il reato di cui all'articolo 364A dell'IPC, bensì anche quello di omicidio ai sensi dell'articolo 302 dell'IPC. Pertanto, era stato collocato tra i casi “più rari tra quelli rari”, data la particolare crudeltà ed efferatezza del reato commesso. E questo perché non si trattava di un reato di sequestro nel quale la vittima era riuscita a

scappare ed era sopravvissuta, ma era stato un caso in cui era stato commesso un omicidio390.

La Corte dunque ha concluso dicendo: << Tutto ciò che ci interessa è se la disposizione dell'articolo 364A del Codice penale indiano nella misura in cui la stessa prevede la morte o l'ergastolo sia incostituzionale in considerazione del fatto che la pena risulti sproporzionata all'entità del crimine commesso dai ricorrenti. La nostra risposta a questa questione è negativa >>391.

6. Conclusioni.

389 Id., par. 51.

390 Vedi Law Commission of India, 35th Report, 1967, Ministry of Law,

Government of India, pag. 31.

Dunque, oggigiorno in India la pena di morte viene inflitta anche per reati che non sono connessi necessariamente alla commissione di un omicidio, non rispettando il principio di proporzionalità.

Dai casi analizzati, nei quali la pena di morte è stata inflitta per reati connessi al traffico di droga, reati di stupro o reati di sequestro di persona, i quali per definizione non implicano la morte della vittima, si può vedere come la Corte Suprema indiana abbia abbattuto le “barriere” della proporzionalità della pena, inquadrando questi casi tra quelli “più rari tra quelli rari”. Tale “regola”, che dovrebbe essere utilizzata per limitare i casi in cui può essere utilizzata la pena di morte, è stata invece usata come strumento per poter giustificare l'inflizione della massima pena, là dove sarebbe risultata altrimenti eccessiva, in

considerazione dell'entità del reato commesso.

Inoltre, la Corte Suprema indiana ha giustificato le sue decisioni adducendo al perseguimento delle finalità retributiva e

deterrente della pena, dandovi un'interpretazione

completamente diversa rispetto a quella data della Corte Suprema degli Stati Uniti d'America in casi analoghi.

CONCLUSIONE

Dunque, dall’analisi dei casi giurisprudenziali statunitensi e di quelli indiani se ne ricava che non tutti gli stati liberal –

democratici odierni che prevedono ancora la pena di morte rispettano il principio di proporzionalità nell’infliggere la pena di morte.

In particolare, in ordine a certi tipi di reati capitali, quelli che non causano o che non sono connessi alla morte della vittima, le decisioni della Corte Suprema statunitense e quelle della Corte Suprema indiana si presentano come “antitetiche”.

Gli Stati Uniti e l’India, specialmente negli ultimi quarant’anni, hanno avuto un percorso differente per quanto riguarda

l’applicazione del principio di proporzionalità ai reati capitali. Sebbene ci siano stati momenti in cui i due paesi sembravano andare di pari passo, ad un certo punto, hanno preso direzioni diverse.

Il merito della Corte Suprema statunitense è quello di aver creato uno strumento efficace con cui poter assicurare il rispetto del principio di proporzionalità nei casi capitali. Infatti, il c.d. “test bifase della proporzionalità” fa sì che la pena di morte non venga inflitta se risulti essere eccessiva rispetto al reato

commesso o per una determinata “categoria” di criminali, e fa sì che vengano perseguite le finalità della pena, retributiva e deterrente.

Il demerito della Corte Suprema indiana, invece, sta nell’aver creato un “escamotage”, così da poter infliggere la pena di morte in modo “sproporzionato”. Infatti, la dottrina del “the rarest of

rare”, la quale dovrebbe limitare l’utilizzo della massima pena

solamente a situazioni eccezionali e di estrema gravità, viene invece usata per abbattere la barriera della proporzionalità. Inoltre, al contrario di ciò che è avvenuto nei casi statunitensi, i giudici indiani hanno spiegato che la “sproporzionatezza” e la “eccezionalità” della sentenza capitale per quel particolare caso, era dovuta al perseguimento delle finalità della pena, ovvero deterrente e retributiva.

Detto ciò, è doveroso rilevare che, nonostante le recenti decisioni giurisprudenziali della Corte Suprema indiana abbiano allontanato l’India da quei paesi liberal – democratici che si impegnano a garantire il rispetto del principio di

proporzionalità e il perseguimento delle finalità della pena, recentemente il Governo indiano ha aperto una discussione riguardo all’intenzione di abolire la pena di morte.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti d’America, invece, anche se i recenti casi hanno evidenziato la tendenza ad infliggere la pena di morte nel pieno rispetto del principio di proporzionalità e del perseguimento delle finalità della pena, le legislazioni di alcuni stati prevedono ancora un consistente numero di reati capitali, per i quali la pena di morte è “sproporzionata”.

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