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Proprietà intonative e l‟interfaccia sintassi–prosodia

Capitolo IV: La costruzione pseudorelativa

4.4 La PR come “oggetto complesso”

4.4.4 Proprietà intonative e l‟interfaccia sintassi–prosodia

In questa sezione ci avvarremo dei dati forniti in Scarano (2002), che nella parte finale del suo lavoro si occupa dell‟interfaccia tra sintassi e intonazione, al fine di confrontare i contorni intonativi della costruzione PR rispetto alle Frel e mostrare le proprietà fonologiche che distinguono la prima delle ultime e ne fanno una costruzione autonoma, in linea con quanto proposto.76

Come abbiamo già avuto modo di osservare, infatti, in questa parte del lavoro l‟autrice afferma, in modo inatteso, che la PR “aggiunge un tratto denotativo opzionale, anche se semanticamente rilevante, alla testa” (p. 145, corsivo nostro), dopo aver mostrato proprietà sintattiche e semantiche che rivelano il carattere non opzionale di tale costrutto. Tale incoerenza è peraltro confermata quando l‟autrice conclude che le PR “sono strutture che costruiscono il significato dell‟antecedente, dal quale non possono essere separate” (p. 162, corsivo nostro).

76 In lavori recenti, infatti, è stata dimostrata l‟esistenza di una correlazione sistematica tra contorni intonativi, atti

linguistici e categorie del discorso. Come noto, ad esempio, un enunciato dichiarativo è tipicamente associato a un‟intonazione di tipo discendente, mentre uno interrogativo a un‟intonazione ascendente; il Topic è marcato in modi diversi in base alla sua posizione e funzione e, infine, il Focus è sempre marcato da un pitch (Ladd, 1986; Hayes & Lahiri, 1991; Selkirk, 1986, 2000; Frascarelli & Hinterhölzl, 2007; Frascarelli, 2007; Bianchi & Frascarelli, 2010.

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Risulta inoltre difficile condividere la volontà di includere, nonostante tutto, le PR nel sistema delle Frel ai fini di una “certa simmetria nel sistema” (p. 162). Tale intenzione, forse auspicabile per certi aspetti, si scontra con l‟analisi formale e interpretativa dei dati ed è pertanto insostenibile.

È pertanto estremamente importante confrontare i contorni intonativi della PR con quelli delle Frel (sia RR che RA) e riflettere sulle differenze prosodiche, interpretate in termini di toni accentuali (pitch accents),77 toni di confine (boundary tones), pause e ripartenze della F0 (reset). In altre parole, nei termini di ToBI, così come proposto in Pierrehumbert (1980).78 Cominciamo dalle Frel.

(130) Vidi l‟imputato che deponeva [RR] (131) Ho visto Sandra, che piangeva [RA]

Come possiamo notare dal confronto, nella RR si realizza un unico contorno intonativo, senza pause né reset della F0, in cui si può individuare il picco della vocale tonica della Testa (imputàto) e un picco secondario (H!) sulla vocale tonica del predicato che compone la Frel. Solo alla fine di questa si raggiunge la baseline del parlante (ovvero, il punto più basso della sua F0). In una Frel questi due picchi non indicano categorie del discorso, quali il Focus o il Topic (cfr., fra gli altri, Pierrehumbert and Hirschberg, 1990; Hayes and Lahiri, 1991; Frascarelli, 2004, 2007), bensì il dominio di portata

77 La realizzazione dei pitch accents avviene in corrispondenza delle vocali toniche; in tal modo essi conferiscono

prominenza al materiale linguistico al quale sono associati. In particolare, nel sistema ToBI (cfr. nota successiva), i

pitch vengono formalmente segnalati mediante il simbolo dell‟asterisco (*). 78

Il sistema notazionale in ToBI, utilizzato per la descrizione dei contorni intonativi, è stato sviluppato in Pierrehumbert (1980 e successive rielaborazioni). Tale sistema descrive gli eventi tonali sottoforma di sequenze di toni “alti” (H, dall‟inglese high) e “bassi” (L, dall‟inglese low), i quali determinano l‟andamento del contorno relativo alla F0.

H*

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della Testa-Op (cioè, il suo scope sintattico; cfr. Frascarelli, 2004). Nella RA, invece, troviamo due domini prosodici distinti. Il primo è quello ascendente-discendente (H*+L) di una frase a Focus esteso (broad Focus) che contiene l‟antecedente (al quale non corrisponde nessun picco accentuale), il secondo – che viene dopo una pausa e un reset della F0 – è relativamente piatto e privo di prominenze accentuali, cosí come ci aspettiamo essere un‟Appendice (nei termini di Cresti, 2000a).

Questi dati sono perfettamente in linea con le strutture sintattiche proposte in (126b) e (127b): nella RR abbiamo un unico costituente nominale (DP), la cui Testa agisce da Op e definisce un dominio di scope comprendente la Frel che lo identifica. Nelle RA, invece, il sintagma di coordinazione congiunge un DP autonomo con una frase che aggiunge informazione aggiuntiva.

Osserviamo ora il contorno intonativo di una PR. Come si noterà, si tratta della stessa frase usata per la RR in (130), ma con diversa interpretazione. Il confronto sarà dunque immediato e sicuramente proficuo:

(132) Vidi l‟imputato che deponeva [PR]

Come si può notare, la costruzione PR presenta un contorno intonativo diverso sia dalla RR che dalla RA. Differentemente dalla RR non vi è alcun accento secondario sulla parte che segue l‟antecedente – a dimostrazione del fatto che non vi è alcuna relazione Op-variabile – e differentemente dalle RA non vi sono pause né reset accentuali dopo l‟antecedente. Dopo l‟antecedente vi è invece una forte caduta della F0 per poi proseguire con un declino tonale (downgrading) fino alla basiline finale in un unico contorno intonativo. Ciò rappresenta una forte conferma per l‟ipotesi strutturale proposta: un unico oggetto complesso dominato dal nodo DP, in

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cui una Testa nominale prende come suo complemento una SC il cui SOGG è una copia nulla (cfr.

(125)). Questo determina un abbassamento della F0 (l‟informazione familiare è tipicamente realizzata con toni bassi) che però non può essere totale in quanto seguito dalla parte predicativa della SC, dal tipico tono discendente.79

La PR è dunque un costituente unico, a differenza sia della RA che della RR, e la relazione che si instaura tra la Testa e la PR è pertanto funzionale a esprimere che l‟unione di entrambi rappresenta l‟oggetto della percezione.

Concludiamo dunque il presente capitolo, il cui scopo era quello di proporre un approfondimento sul costrutto PR al fine di far luce su questo particolare tipo di subordinata e valutare le eventuali analogie strutturali tra l‟oggetto complesso implicato nelle PR con verbi di percezione e quello ipotizzato per la causativa sintattica. Esaminando le ipotesi riportate in letteratura per rendere conto della costruzione PR, abbiamo però riscontrato dei limiti che hanno messo in luce la necessità di avanzare una proposta strutturale alternativa per tale costrutto. L‟originario „approfondimento‟ si è così trasformato in analisi, sebbene ciò non fosse previsto nelle intenzioni iniziali. Come vedremo si tratta tuttavia di un momento fondamentale per l‟analisi delle causative, in quanto la struttura proposta per le PR avrà un ruolo centrale nel Capitolo V.

Possiamo a questo punto riprendere la nostra analisi della frase causativa nelle lingue scandinave, sospesa al Capitolo III, al fine di valutare possibilità, vantaggi e predizioni di un‟applicazione (totale o parziale) dell‟ipotesi proposta sulla causativa di tipo frasale.

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La PR presenta dunque l‟andamento prosodico tipico del Comment. Questo proprio perché, usando i termini di Scarano (p. 149 e sgg), la frase PR non serve a identificare la Testa (non è una relativa di modificazione, come le RR), ma è una frase che aggiunge informazione, come le RA. Tuttavia, a differenza delle RA, non è neanche una “relativa di integrazione” perché non è un‟unità informativa a sé stante. La PR indica, infatti, l‟azione che caratterizza il referente- Testa al momento della percezione.

CAPITOLO V La monofrasalità complessa

Come abbiamo avuto modo più volte di osservare, dal punto di vista sintattico relativo al grado di fusione tra le due predicazioni implicate, nella letteratura si sono sempre opposte due chiavi di interpretazione per il costrutto causativo, basate sul dualismo tra monofrasalità e bifrasalità. Per cui, ad esempio, lingue come il chichewa e l‟italiano si mostrano molto più chiaramente monofrasali, mentre lingue come il francese (in parte) e l‟arbëresh tendono a manifestare comportamenti bifrasali (cfr. Cap. II: §2.2.2). Tuttavia, anche in quest‟ultimo caso non è in realtà possibile proporre un‟analisi netta, poichè ad esempio il SOGG del secondo predicato (il <causee>) non è mai trattato come tale (ossia, come regolare SOGG di una frase di forma finita) e il secondo predicato è sempre soggetto a particolari restrizioni, per cui non appare mai come un verbo pieno e completo nei suoi tratti specifici (da qui le ipotesi di riduzione frasale).

Nelle lingue scandinave la situazione sembra essere altrettanto mista e complessa. I dati esposti nel Capitolo III hanno infatti dimostrato che il comportamento mono- vs. bifrasale di tale costrutto è fortemente correlato alla semantica dei verbi causativi utilizzati e mostra variazioni inter- e intralinguistiche. Tale diversificazione, analizzata in prospettiva tipologica e diacronica fornisce elementi importanti per una caratterizzazione del continuum tra analisi monofrasale e bifrasale in questo tipo di strutture. Tuttavia, nell‟approccio da noi adottato è fondamentale riuscire a „fissare‟ all‟interno di una struttura sintattica anche i costrutti soggetti a variazione, affinché se ne possano spiegare fenomeni e proprietà ad essa correlati in prospettiva sincronica e si possa altresí definire in qualche modo i limiti della variazione. Questo è l‟intento che ha mosso la nostra ricerca, le cui conclusioni sono l‟oggetto di questo capitolo.

5.1 L’analisi delle causative: una nuova prospettiva

Sulle base dell‟analisi discussa nel Capitolo III abbiamo concluso che la rappresentazione strutturale della frase causativa nelle lingue scandinave necessita una distinzione tra strutture che fanno uso del causativo få/fá e quelle che presentano il causativo låta/late/lade/láta. In altre parole la caratterizzazione semantica di questi verbi si associa ad una diversa implementazione sintattica (e una conseguente diversa interpretazione alle interfacce). La soluzione più facile a

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quel punto sarebbe stata quella di analizzare la prima come struttura bifrasale e la seconda come monofrasale, riducendo tutto al dualismo classico.

Tuttavia, i risultati dei testi diagnostici proponevano dati nuovi, non immediatamente riconducibili a un dualismo così netto. Inoltre, ci è stato immediatamente evidente che la struttura con få/fá non poteva essere ricondotta semplicemente a una struttura a Controllo, così come la struttura con låta/late/lade/láta „conteneva‟ più struttura di una frase semplice. Era necessario dunque trovare una „terza via‟ di analisi, un‟alternativa al dualismo classico, una struttura che potesse rendere conto delle differenze e, al tempo stesso, del collegamento tra le due costruzioni causative in esame.

Abbiamo dunque preferito „sospendere il giudizio‟ e concentrare la nostra attenzione su un dato (emerso attraverso lo studio della NEG) che ci è sembrato particolarmente illuminante, vale a dire, il fatto che in caso di scope esteso la forza illocutiva del verbo causativo non opera su una subordinata (frasale o nominale che sia), bensì su un oggetto complesso formato dall‟unione del <causeee> più l‟evento cui è stato sottoposto (in modo più o meno coercitivo). Il <causee> non è dunque (solo) l‟OGG di una frase principale (come in una struttura a Controllo) né (solo) uno degli argomenti del predicato (come in una struttura monofrasale). Esso è anche e soprattutto un costituente che ha un ruolo indipendente nella struttura ove è posto, in relazione con l‟evento. Questo tipo di considerazioni ci ha portato ad esplorare la possibilità di una SC all‟interno della frase causativa e ha richiamato alla nostra memoria le strutture subordinate con i verbi di percezione tra cui, e in particolare, la costruzione PR. Abbiamo così ritenuto necessario dedicare un intero capitolo alla trattazione di tale costruzione al fine di considerarne le proprietà e valutare la possibilità di un‟analogia strutturale tra i due costrutti. Questo con il vantaggio di rendere conto dei paralleli sintattici e interpretativi, evitando una moltiplicazione di proposte strutturali.

Siamo così giunti a un‟ipotesi strutturale per le PR, che riteniamo possa essere ora applicata alle costruzioni causative (seppur con qualche variazione). Prenderemo tale struttura come base e, avvalendoci della proposta di Ramchand (2008; cfr. Cap. II: §2.2.3), rianalizzata in termini derivazionali, cercheremo di rendere conto delle proprietà e dell‟interpretazione della costruzione causativa nel continuum tra bifrasalità e monofrasalità.

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