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Le prospettive del problema occupazionale e della struttura pro- pro-fessionale in Italia: le ipotesi di cui si dispone

L'unica ipotesi ufficiale di cui il nostro Paese dispone riguardo appunto alle prospettive future della situazione economica ed occupa-zionale, il cosiddetto Piano Vanoni, prevede del resto una notevole

modificazione della distribuzione delle forze del lavoro.

Nel quadro di un piano decennale che parte dal 1954, la struttura delle forze di lavoro dovrebbe così modificarsi : gli addetti alla agricol-tura dal 41% dovrebbero giungere a rappresentare, nel 1964, il 33% del totale delle forze di lavoro; gli addetti all'industria dal 29% sali-rebbero al 33'%; quelli dei servizi passesali-rebbero dal 30 al 34%.

Per quanto concerne le previsioni all'interno dei diversi settori, le ipotesi formulate sono riassunte nella seguente tabella:

settori incremento % occupati

sul 1954 1964 Agricoltura — 12 Industria + 31 di cui: Estrattiva 36 Costruzioni 53 Elettricità, gas, acqua 30 Tessili

Chimica e gomma 40 Carta e poligrafiche 10 Alimentari e tabacchi 10

Legno 20

Minerali non metallici 31 Petrolio e carbone 14 Metallurgia 17 Meccanica 54 Varie 27 Servizi + 31 Complesso + 13

E' opportuno però prendere atto a questo proposito anche di un tentativo di previsione condotto in altra circostanza dal Martinoli (19) già da noi ricordato : « Limitiamo la nostra indagine alle aziende ed alle amministrazioni pubbliche e private, siano esse dell'industria, del-l'agricoltura, del commercio o di Stato.

Si può ritenere che dai 10.321.000 unità attuali, ci si porterà nel 1975 sui 14-15 milioni di unità e cioè che il processo di coagulazione degli individui da lavoranti in proprio verso unità più articolate e com-plesse vada proseguendo ed intensificandosi.

Dalle considerazioni svolte possiamo tentare una suddivisione sche-matica della gerarchia produttiva, secondo un criterio che consenta un più agevole parallelo con il tipo di istruzione da impartire :

— operai comuni e manovali o braccianti; — operai specializzati;

— tecnici a tutti i livelli tecnologici, addetti alla ricerca applicata; — addetti al coordinamento, al controllo ed al governo della pro-duzione, della distribuzione ed ai servizi;

— uomini con responsabilità di comando.

E' estremamente difficile poter dire come si suddivida l'attuale nostra struttura produttiva fra queste categorie e ci converrà lavorare ancora più di fantasia, per immaginare quale dovrebbe essere di qui a vent'anni. Quello che proponiamo è pertanto solo un tentativo che potrebbe essere materia per discussioni, critiche nuove e più precise proposte; riteniamo tuttavia che uno schema di programma sia meglio che nessun programma -e che ci convenga soffermarci almeno sull'ordine di grandezza delle cifre che sottoponiamo.

categorie

Operai comuni e manovali Operai specializzati Tecnici e progettisti Addetti al coordinamento Capi Totale 1955 1957

% cifre assolute % cifre assolute

80-85 8.500.000 40 6.000.000 3-4 400.000 20-25 3.500.000 1-2 100.000 8-10 1.500.000 8-10 1.000.000 20-25 3.500.000 2-3 250.000 2-4 500.000 10.250.000 15.000.000

A questo punto dovremmo poter calcolare la graduale trasforma-zione della struttura delle forze del lavoro nei prossimi vent'anni, con la sostituzione delle vecchie leve; da ciò si dovrebbe rilevare la "pro-duzione ", il gettito annuale di nuove leve preparate secondo un rinno-vato ordinamento scolastico e conseguentemente determinare la quan-tità di scuole e di docenti cui dovremmo provvedere.

L'alcatorietà di queste cifre e di tutte queste considerazioni in genere, ci scoraggiano dall'affrontare questo problema. Ci basti qui avanzare qualche osservazione, che può esserci utile a fini indicativi come espressione di un indirizzo, di una tendenza, e come invito ad altri di proseguire per questa via ».

(19) G. MASTINOLI, L'automazione e la necessità di un'adeguata preparazione

Se dinanzi a queste esigenze si vogliono avere indicazioni sulla situazione qualitativa attuale delle nostre forze di lavoro, essa è così riassunta — dallo stesso Martinoli (v. nota 19) — sulla base dei dati forniti dall'« Annuario statistico italiano » del 1955 :

« In quel che segue vogliamo postulare, secondo quanto ci viene affermato da alcuni studiosi di demografia, che la popolazione italiana non cresca oltre i 50 milioni di abitanti e che le forze del lavoro riman-gano al livello attuale, e cioè intorno ai 21 milioni di unità su 47 milioni di abitanti.

Osserviamo per inciso che i dati della situazione attuale delle nostre forze del lavoro, quali ci fornisce 1'« Annuario statistico » del 1955, si riferiscono in parte al censimento del 1951 ed in parte a dati succes-sivi rilevati in modo diverso, sicché non si è trovata una coincidenza completa.

Le forze del lavoro sono ripartite come segue a seconda della con-dizione professionale:

Persone in condizione professionale indipendente:

imprenditori, liberi professionisti, lavoratori in proprio 4.777.000 Persone in condizione professionale dipendente:

dirigenti impiegati 1.553.000 lavoratori dipendenti occupati 7.914.000

lavoratori disoccupati 862.000 10.329.000 Personale in condizione non professionale:

forze di lavoro con attività occasionale 1.909.000 Persone in cerca di prima occupazione 794.0000 2.703.000 Coadiuvanti :

nell'agricoltura 2.518.000 nell'industria 180.000 in altre attività 338.000 3.036.000

20.845.000

E' peraltro importante esaminare in modo particolare il grado di istruzione di alcune di queste categorie:

Grado di istruzione imprenditori lavoratori dirigenti operai Uberi profess. in proprio impiegati occupati

Scuola elementare o nessuna 107.000 4.172.000 211.000 7.266.000 Scuola media inferiore 43.000 228.000 498.000 554.000 Scuola media superiore 61.000 54.000 578.000 79.000

Università 97.000 15.000 266.000 15.000

Totale 308.000 4.569.000 1.553.000 (') 7.914.000

(1) di cui 68.000 disoccupati

Se dal numero dei dirigenti ed impiegati depenniamo, oltre ai disoc-cupati, coloro che hanno un titolo di studio inferiore alla media supe-riore (767.000) e trascuriamo, fra coloro con un titolo supesupe-riore, i dipendenti delle amministrazioni dello Stato (impiegati civili, insegnanti, ufficiali, magistrati) e cioè ci riduciamo a considerare coloro che dovrebbero avere la preparazione culturale per esercitare una funzione

di guida sui 7,9 milioni di unità adibite ad attività economiche, tro-viamo una cifra che si aggira sulle 280.000 unità e cioè 1 ogni 25 operai, cifra che almeno intuitivamente ci appare estremamente bassa ed inadeguata. Negli Stati Uniti in qualche industria il rapporto degli impiegati agli operai è di 1 a 3.

Aggiungiamo per inciso per coloro che ritengono che tutto ciò sia un retaggio del passato, che l'analfabetismo sia una piaga scomparsa e quindi che la situazione vada rapidamente migliorando, i seguenti dati rilevati dal Piano Vanoni :

— il 16'% di coloro che hanno un'età compresa fra 5 e 11 anni non frequenta nessuna scuola:

— del restante 84% che si iscrive alla 1" elementare, solo il 54% raggiunge la 5" elementare. Tale percentuale si abbassa al 37% nel Sud d'Italia e raggiunge il 70% nel Nord ».

Quanto poi all'adeguatezza del nostro apparato scolastico alle esi-genze del futuro — tenuto conto che sempre il Martinoli calcolava che nel 1975 si dovrebbe aver bisogno circa di 1.500.000 tecnici e progettisti contro i 10.000 esistenti nel 1955 — valgano queste considerazioni tratte dalla stessa fonte già citata: '

« Oggi queste categorie possono formarsi solo attraverso le scuole industriali, i Politecnici, le Facoltà di Fisica e di Chimica e poche altre. Per mantenere una forza di 1.500.000 di addetti, di cui possiamo postu-lare una vita media di lavoro di 25 o 30 anni, occorrerebbe un gettito annuale di 50.000 diplomati e laureati. Può essere interessante raffron-tare questa cifra con il numero di individui orientati in modo vagamente similare, che costituiscono il gettito delle varie scuole italiane attuali

(anno 1952-1953):

Istituti industriali 3.346 Istituti nautici 746 Istituti agrari 966 Istituti per geometri 4.524

Facoltà di ingegneria (di cui civili 835, architetti 196) 1.229 Facoltà di fisica (di cui una buona parte si dedica all'insegnamento) 112

Facoltà di chimica 607 Facoltà di chimica industriale 198

Totale 11.728

In vent'anni avremo così preparato 235.000 individui, il 15% di quello che sarebbe necessario ».

Ora, dinanzi a queste prospettive, volendo renderci approssimati-vamente conto di quale sia lo stato delle aspirazioni, ovvero l'atteggia-mento soggettivo, l'oriental'atteggia-mento della gente del nostro paese, nella ricerca di una professione, dovremmo rifarci alle lontane inchieste Doxa del 1948 (20).

I dati della frequenza scolastica sono poco indicativi a questo fine. Gli indirizzi scolastici, infatti, risultano condizionati da fattori ambientali esterni : come conferma tra l'altro l'indagine condotta dai centri di

orien-( 2 0 ) PIERPAOLO LUZZATTO FEGIZ, Il volto sconosciuto dell'Italia, Milano, Giuf-frè, 1956.

tamento in collaborazione con l'Istituto centrale di statistica — di cui dà notizia la dottoressa Massucco Costa (21). In effetti le difficoltà economiche rappresentano la motivazione percentualmente più rilevante (45'% circa) dei casi di mancato proseguimento degli studi e questo (per il 94% circa) riguarda soprattutto i figli dei lavoratori in proprio e lavoratori dipen-denti. Spesso, inoltre, la scelta della scuola dipende da circostanze connesse col grado di sviluppo economico e sociale e rappresenta la saldatura di un cerchio senza via d'uscita, quasi, tra l'insufficienza delle rappre-sentazioni collettive e lo sviluppo di una branca dell'istruzione scola-stica (ad esempio in Sardegna, premesso che solo il 10!% della totalità dei casi presi in considerazione è raggiungibile dal servizio di orienta-mento, si è riscontrato che il 40-50% delle ragazze si avvia agli istituti magistrali, nonostante che si riscontrino 70.000 maestri disoccupati e che su 15.000 diplomati l'anno trovino occupazione solo 4.500).

Rifacendoci pertanto all'inchiesta Doxa citata, è risultato che: l'aspirazione universale dei genitori per i figli si indirizza verso le posizioni indipendenti delle libere professioni (il 38% desidera per il figlio una condizione di lavoro dipendente, il 62% indipendente); sempre secondo i desideri dei padri il 25'% dei figli maschi dovrebbe prendere una laurea; i figli invece pensano meno dei padri alle professioni liberali (ad esempio persino tra i giovani provenienti da famiglie agiate non più del 411% si pronuncia a favore delle professioni indipendenti); le aspirazioni dei padri e dei figli per quanto riguarda il 38% trovano maggior concordanza attorno a scelte di professioni tecniche, commer-ciali, artigianali, impiegatizie; si profila infine una diserzione dai lavori agricoli, nonché un certo interessamento da parte dei giovani a nuove attività (cinema, sport) che esulano dall'interesse degli anziani.

Come si vede, dunque, si opera una distinzione tra le generazioni; mentre le aspirazioni dei padri non si accordano troppo con le prospet-tive dei tempi, quelle delle generazioni successive presentano tendenze più conformi.

10. Conclusione.

Quanto siamo andati dicendo per illustrare a grandi linee il processo, ali interno del quale si evolve la struttura delle professioni (con quasi esclusivo riferimento al lavoro dipendente), renderà ragione delle diffi-coltà che s'oppongono ad un tentativo di accertamento delle prospettive professionali, anche se dovesse trattarsi — come sembrerebbe per noi — di una verifica di ipotesi già formulate.

Anzi, particolarmente per il nostro Paese scarsi sono — per non dire assolutamente inadeguati — i dati relativi allo sviluppo tecnologico, mentre quelli che in qualche modo riferiscono lo sviluppo sociale sono per loro natura difficilmente confrontabili. Sicché non è possibile, ad esempio, accertare la fase di meccanizzazione che si attraversa. Mentre

(21) ANGELA MASSUCCO COSTA, Metodologia e risultati di una indagine nazionale sulle scelte scolastiche e professionali dei giovani, in « Homo faber », Roma, n. 66-67,

d'altra parte, non essendo identificabili con chiarezza e certezza le linee di una politica di sviluppo economico e sociale, risulta addirittura sconsi-gliatale formulare ipotesi quantitative approfondite a proposito delle modi-ficazioni della struttura professionale.

E' per questo che, ad evitare che la fantasia abbia a prenderci la mano, il tentativo che andremo di seguito conducendo dovrà essere man-tenuto entro i limiti di una ricognizione spesso frammentaria, che al più potrà cogliere degli spostamenti di occupazione, mentre per gli aspetti professionali sarà necessario contentarci di fornire delle indicazioni di massima.

Al fine poi di dare ai nostri rilievi un fondamento di concretezza s'è ritenuto inevitabile restringere quasi sempre l'indagine a periodi di breve lunghezza, onde poter contare sulla minore influenza possibile dei fattori di natura tecnologica.