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Centro sociale A.06 n.26-27. Inchieste sociali, servizio sociale di gruppo, educazione degli adulti

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Centro Sociale

inchieste sociali servizio sociale di gruppo educazione degli adulti sviluppo della comunità

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Centro Sociale

inchieste sociali - servizio sociale di gruppo educazione degli adulti - sviluppo della comunità a. VI - n. 26-27, 1959 - un numero L. 400 - abbonamento a 6 fasci-coli ed allegati L. 2.200 - estero L. 4000 - spedizione in abbonamento postale gruppo IV - c. c. postale n. 1/20100 — Direzione Redazione Amministrazione : piazza Cavalieri di Malta, 2 — Roma — telefono 593.455

S o m m a r i o

William H. Beveridge 1 Lo scopo dell'occupazione

Benedetto De Cesaris Indagine sulle tendenze occupazionali e pro-spettive della struttura professionale in Italia 3 II problema delle professioni nel quadro dello

sviluppo economico-sociale. Introduzione 36 II settore agricolo

76 II settore industriale 110 II settore dei servizi

142 Documenti

Utilizzazione del corso sulla Costituzione pubblicato da « Centro Sociale» Il progetto pilota per l'Abruzzo -Riorganizzazione delle biblioteche nei centri sociali UNRRA-Casas - Cicli culturali e utilizzazione dei mezzi audiovisivi - Osserviamo gli animali

Recensioni

G. Mazzoni e R . Catelani, Codice della legislazione

assistenziale (G. Molino); R . Ferrari, Come condurre

una riunione e fare un discorso {M. Calogero); A. Car-bonaro, A. Pagani e F. Brambilla, Introduzione alla

ricerca sociologica (.4. Signorelli)

Periodico bimestrale redatto a cura del Centro Educazione Professionale Assistenti Sociali sotto gli auspici dell'UNRRA CASAS Prima Giunta

Comitato di direzione : Achille Ardigò, Vanna Casara, Giorgio Molino, Ludovico Quaroni, Giovanni Spagnolli, Paolo Volponi, Angela Zucconi.

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Lo scopo dell'occupazione

« L'affermazione che vi dovrebbe essere sempre un numero di posti vacanti maggiore di quello delle persone disoccupate significa che il mer-cato del lavoro dovrebbe essere sempre un mermer-cato favorevole al vendi-tore anziché al compravendi-tore. Vi è una decisiva ragione perché sia così... E la ragione è che le difficoltà incontrate da chi offre lavoro hanno conse-guenze di ordine ben diversamente nocivo da quelle incontrate da chi ne fa domanda. Chi incontra difficoltà nell'acquistare la mano d'opera di cui ha bisogno subisce un contrattempo o una riduzione di profitti. Chi invece non può vendere il proprio lavoro è considerato di nessuna utilità. La prima difficoltà causa fastidi o perdite; l'altra invece è una catastrofe personale ».

« L'inattività non è la stessa cosa del bisogno, ma è un male diverso, al quale gli uomini non sfuggono per il fatto di avere un reddito. Essi debbono avere anche la possibilità di rendere un servizio utile e di averne coscienza. Ciò significa che non si vuole l'occupazione per amore dell'occu-pazione, senza alcun riguardo a quel che essa propone... L'occupazione è richiesta come mezzo per conseguire un maggior consumo o una mag-giore agiatezza, ossia come un mezzo per conquistare un più alto tenore di vita. L'occupazione che sia semplicemente perdita di tempo, come lo scavar buche per colmarle di nuovo, o sia meramente distruttiva come la guerra e la sua preparazione, non serve a tale scopo e non sarebbe rite-nuta cosa degna. Essa deve essere produttiva e progressiva ».

« Perché gli uomini abbiano un valore ed abbiano coscienza di valere qualcosa, vi devono essere sempre cose utili che aspettano di essere fatte, e danaro da spendere per farle. Sono piuttosto i posti da occupare che devono attendere, non gli uomini ».

« ... La scelta dell'occupazione significa la libertà di scegliere tra occu-pazioni che sono disponibili; non è possibile che uno scelga di divenire arcivescovo di Canterbury, se quel posto è già occupato da un altro. Lavo-rare significa fare ciò che è richiesto, non già fare quel che piace. Ogni libertà comporta delle responsabilità. Ciò non significa che si debba rinun-ciare alle libertà stesse ».

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Indagine sulle tendenze occupazionali

e prospettive della struttura

professionale in Italia

di Benedetto De Cesaris

Sommario

Il problema delle professioni nel quadro dello sviluppo economico-sociale.

Introduzione. 3

1. La qualificazione professionale: fattore dinamico di un sistema economico. 2. Il concetto di qualificazione professionale e l'organizzazione dell'attività pro-duttiva, 3. Come formarsi un'idea esatta delle professioni. 4. La ricerca della professione come capacità di iniziativa rispetto a tutto il sistema socio-economico. 5. La conoscenza attuale delle professioni. 6. L'evoluzione del concetto di pro-fessione. 7. Lo sviluppo economico-sociale e la vicenda delle qualifiche profes-sionali. 8. Il ritardo dello sviluppo economico-sociale del nostro Paese. 9. Le prospettive del problema occupazionale e della struttura professionale in Italia: le ipotesi di cui si dispone. 10. Conclusione.

Il settore agricolo.

1. Introduzione. Il progresso economico-industriale e l'agricoltura. 2. Lo sviluppo produttivo dell'agricoltura italiana. 3. Le componenti sociali dello sviluppo agri-colo. 4. Considerazioni conelusive.

Il settore industriale. 76

1. Premessa. 2. Accertamento delle prospettive di sviluppo delle singole indu-strie manifatturiere e delle relative possibilità occupazionali. 3. Indicazioni rela-tive alla domanda dei mestieri e delle professioni. 4. Completamento della pro-spettiva; indicazioni per i settori delle estrattive e delle costruzioni.

Il settore dei servizi.

1. Premessa. 2. Prospettive occupazionali.

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Il problema delle professioni

sviluppo economico - sociale.

nel quadro dello

Introduzione.

1. La qualificazione professionale: fattore dinamico di un sistema economico.

In un paese che vede da lunghi anni sostare l'indice della disoccu-pazione intorno ad un livello di due milioni di unità, un discorso sul problema della qualificazione professionale, impostato secondo l'esigenza espressa dalla valenza di reciprocità della formula « l'uomo adatto al posto adatto — il posto adatto per l'uomo adatto », potrebbe apparire meno realistico di un altro che tenda invece a studiare soprattutto il modo di' creare sufficienti posti di lavoro, ovvero soltanto di adattare l'oiferta alle occasioni esistenti.

Ma, a dimostrare come il problema della « formazione degli uomini » costituisca una questione quasi preliminare all'impostazione della stessa problematica occupazionale — problematica che oggi appare quasi senza vie d'uscita dopo una faticosa esperienza di approcci condotti nei termini di iniziative di « adattamento » ovvero del « far fare comunque una qual-siasi cosa ad ognuno » —, sta, per citare un intervento recente, la tesi autorevolmente sostenuta da Alfred Sauvy in un convegno svoltosi alla fine del 1957 a Palermo, secondo la quale « gli investimenti di formazione degli uomini sono al tempo stesso più produttivi, più red-ditizi per la nazione di quanto non sembri a un primo momento, e insieme tipicamente " processivi ", cioè adatti a creare dei posti di lavoro. Essi meritano sempre una forte precedenza e l'ottengono rara-mente » (1).

Ricordava giustamente il Sauvy che l'economia politica come scienza può considerarsi ancora agli inizi : di recente, infatti, essa comincia a porsi il cosiddetto « fattore umano » quale oggetto centrale di indagine.

( 1 ) ALFRED SAUVY, Come progresso tecnico ed investimenti influiscono

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D'altra parte appare chiaro che in un'economia di tipo capitali-stico, caratterizzata dalle esigenze dell'accumulazione — e fondata quindi sull'iniziativa umana intesa ad assicurare il costante processo di capi-talizzazione attraverso una sempre nuova e più efficace combinazione di fattori produttivi — venga messa in luce l'importanza di un fon-damentale capitale tecnico: quello dell'uomo posto nelle condizioni di esprimere tutte le sue capacità inventive e pratico-operative anche e soprattutto nei confronti di quelli che appaiono come i condizionamenti obiettivi. Il ritardo con cui si è giunti ad acquisire — e forse non ancora con sufficiente convinzione — tali prospettive di politica e di politica-economica si spiega in relazione col fatto che le curve evolutive delle tecniche, dello sviluppo economico, delle istituzioni, non procedono con lo stesso andamento, cosicché l'esperienza capitalistica non coincide immediatamente con l'esperienza democratica, Di conseguenza, anche in presenza di un altissimo grado di sviluppo economico e delle tecniche, le istituzioni possono permanere intese al consolidamento di una vecchia stratificazione sociale; il lavoro, in nuove forme, può sussistere ancora come « attività di servizio a gerarchie più elevate » ; il fatto scolastico, piuttosto che seguire un processo di socializzazione, subisce, assieme a tutto il fenomeno formativo, il principio di una « selezione eliminativa » per l'apprestamento dei ristretti « quadri » del potere. Spesso anzi lo stesso sviluppo economico e delle tecniche si rivela strumento e funzione di questo diverso andamento, che certamente è alla base delle moderne tensioni sociali.

2. Il concetto di qualificazione professionale e l'organizzazione del-l'attività produttiva.

Il concetto di qualificazione professionale tende oggi ad assumere un contenuto sempre più vasto anche se non ancora sufficientemente pre-gnante; esso comporta, sì, relativamente al soggetto, una somma di com-petenze ed abilità operative, ma insieme esso tende sempre più a far conto della capacità del soggetto medesimo di integrarsi nel gruppo, nonché di rendersi consapevole dello spirito di organizzazione e interdipendenza che domina l'intero processo produttivo. Quando ci si cominciò a proporre, in questo secondo dopoguerra, il fine di ridurre il volume della disoccu-pazione, le conseguenti pubbliche iniziative che sorsero sul piano della qualificazione professionale si proposero in prevalenza l'obiettivo di for-nire a tutti « le condizioni pratiche per esercitare una qualche attività di lavoro ». Anche per questo, forse, le suddette numerose iniziative, che perseguivano e tuttora perseguono la lotta contro la disoccupazione (can-tieri-scuola, corsi di riqualificazione, ecc.) non contribuirono ad affrontare radicalmente il problema — così come esso rimaneva definito nella nostra peculiare situazione caratterizzata da una gravissima carenza di capa-cità imprenditiva — risultando a tal fine inconcludenti le abilitazioni pra-tiche, o, al più, di mestieri artigianali tradizionali (si pensi al grande

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numero di scuole di taglio e cucito) che esse fornivano, quando le stesse iniziative non finivano col ridursi a forme spurie di assistenza (nel senso più vieto dell'espressione).

Non si teneva sufficientemente conto della nuova realtà configu-rata dalla moderna organizzazione dell'attività economico-produttiva, neppure nei termini generali in cui, invece, a proposito dei problemi della scuola moderna, viene descritta da Sergio Hessen : « L'artigia-nato e il lavoro qualificato specializzato che costituivano l'essenza di ciò che nel XIX secolo era chiamata la " professione " (inglese tra/le o craft) cessano di svolgere il compito che avevano nel periodo della industrializzazione dell'Europa e degli Stati Uniti.

Nei paesi dove la razionalizzazione dell'industria è molto progredita l'operaio non ha più una professione, ormai, nel senso che veniva dato una volta a questo termine, perché egli non lavora nello stesso mestiere tutta la vita, ma lo cambia parecchie volte nella sua carriera operaia. Le statistiche americane rilevano come l'operaio d'oggi lavora in uno stesso mestiere in media solo per cinque o sei anni, anche se rimane nello stesso settore dell'industria e nella stessa fabbrica in cui ha comin-ciato a lavorare. La razionalizzazione dell'industria rende elastica la professione dell'individuo perché ogni introduzione di nuove istallazioni tecniche provoca il trasferimento della mano d'opera precedentemente occupata. E' noto come, attualmente, appunto questo fatto ha contri-buito assai alla trasformazione dell'intera struttura del movimento pro-fessionale. La struttura orizzontale di una volta secondo le professioni

(trade) che nel movimento professionale dava la prevalenza alla classe degli operai qualificati, si trasforma in struttura verticale, secondo i vari settori dell'industria comprendente in sindacati comuni lavoratori della stessa impresa, insieme con operai che non possiedono una definita qualificazione professionale » (2).

Del resto già i maestri ed i capostipiti dell'economia classica, lo Smith e il Ricardo, avevano notato la distinzione che correva tra il lavoro dei cosiddetti mestieri completi artigianali e quello organizzato all'interno delle nuove industrie manifatturiere, imperniate su un processo di meccanizzazione e sul principio della divisione dei compiti. Anche se — come giustamente osserva il Naville — lo Smith non poteva certamente immaginare che lo skilled labour dovesse sfociare presto nello unskilled labour a causa dell'esperienza di estrema parcel-larizzazione delle mansioni. Come non avrebbe potuto prevedere che gli ultimi sviluppi del macchinismo avrebbero comportato nuove forme di qualificazione del lavoro, cui appunto si darà ancora il nome di skilled, « dando a questo termine, però, un contenuto opposto, poiché invece di significare la strettissima specializzazione del compito, si rife-rirà piuttosto a capacità assai estese e più o meno polivalenti » (3).

(2) SERGIO HESSEN, Struttura e contenuto della scuola moderna, Roma, Ed. Avio,

1950. . (3) PIERRE NAVILLE, Essai sur la qualification du travail, Paris, Lib. M. Riviere

et C., 1956.

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3. Come formarsi un'idea esatta delle professioni.

L'obiettivo di diffondere informazioni esatte e dettagliate sulle atti-vità di lavoro — ai fini di promuovere iniziative di orientamento pro-fessionale, nonché di preparazione alla stessa professione — appare di evidente importanza.

Altrettanto evidente dovrebbe risultare però, da quanto' detto finora, che una conoscenza delle professioni capace di contribuire a sollecitare il processo di trasformazione del fattore umano in capitale tecnico (mediante l'acquisizione di competenze e l'educazione di capa-cità e attitudini per le quali detto fattore possa innestarsi attivamente nel circuito di produzione di investimenti « processivi ») non possa ridursi ad una semplice segnalazione delle professioni più richieste dallo stesso processo produttivo e neppure ad una esposizione di « dati » sulle componenti strutturali di una attività lavorativa (tecniche, fun-zionali, culturali, biofisico-psicologiche; compiti fissi, occasionali, facol-tativi, sottospecializzati, affinità professionali). Noi pensiamo, invece, che sia necessario collocare la professione nel quadro delle motivazioni dinamico-motorie di un sistema economico sociale, le cui prospettive di sviluppo sono a loro volta connesse con gli atteggiamenti e con l'inizia-tiva stessa che i singoli o i gruppi assumono nei confronti del problema della qualificazione professionale.

Traendo le conseguenze della stessa tesi del Sauvy, nel quadro di una moderna prospettiva di progresso economico-sociale, ci pare infatti che cercare oggi di acquisire una qualificazione professionale, soprat-tutto nel nostro paese, debba significare esprimere una iniziativa com-plessa rispetto alla logica globale del sistema. Di conseguenza, pen-siamo che possedere una rappresentazione il più possibile adeguata e corretta degli sviluppi di questa logica, conoscere quali fattori concor-rano a determinare l'esigenza e le caratteristiche di una qualificazione professionale, saper individuare il rapporto tra una data qualificazione professionale e le prospettive di modificazione riguardanti le modalità e le risultanze della combinazione globale dei diversi fattori, mentre può, da una parte, trasformare la ricerca di una qualificazione profes-sionale del fattore umano in un contributo originale e consapevole alla dinamica strutturale del « fattore lavoro », può d'altra parte conferire alla scelta di una determinata qualificazione un importante fondamento di sicurezza d'ordine soggettivo. Una scelta così motivata diviene infatti capace di coesistere funzionalmente con tutta la serie delle altre scelte che determinano la struttura di un sistema economico-sociale, e pone di conseguenza il soggetto in condizione di non subire passivamente, ma di concorrere a dominare in modo positivo la vicenda ciclica del sistema stesso.

Si tratta in altri termini di non considerare più il problema della qualificazione professionale in senso statico, ovvero secondo una pro-spettiva a singulto di prima o di poi, come cioè equivalente ad un puro sforzo di adattamento, da parte della mano d'opera, a quelle che sono le risultanze del processo d'organizzazione dell'attività economica e della produzione. Una prospettiva di puro « adattamento » abbandona infatti l'iniziativa della « qualificazione » nelle mani di soggetti diversi da quelli che devono essere qualificati, vale a dire nelle mani dei

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sog-getti : « imprenditori », Stato (uno Stato costituito in termini di sepa-razione con la « società », facile preda di soluzioni ipostatizzanti, diffi-cilmente qualificabile come democratico, comunque), cui rimane affidata la più ampia disponibilità di gruppi sociali di « paria », di individui ridotti ad una sorta di « inerzia mentale » e di « passività morale ». Tanto più inconcludente e pericolosa questa prospettiva di puro «adat-tamento », quanto più la funzione imprenditoriale subisce, e va subendo, essa stessa un processo di burocratizzazione che esalta il suo contenuto tecnico e sterilisce le componenti umane personalistiche, rendendola alla mercè di pregiudiziali tecnologiche proposte inevitabilmente come assolute.

4. La ricerca della professione come capacità di iniziativa rispetto a tutto il sistema socio-economico.

Il medesimo progresso industriale, nei suoi ultimi sviluppi, va invece insistentemente sollecitando il superamento di una così rigida sistemazione sociale, e mentre sempre più pressante si manifesta l'esi-genza di razionalizzare i cicli economici, ad essa fa riscontro, di pari passo, la necessità di un circuito più fluido, capace di immettere costan-temente nel processo nuove energie e facoltà di « novazione » e di pro-muovere sul piano dei fenomeni di vita associata la presenza di tutta la società, i cui singoli componenti, ovvero i cui gruppi funzionali, possano così divenire insieme soggetti ed oggetti del processo orga-nizzativo.

« Dovremmo renderci conto — affermava con una felice espres-sione di sintesi l'ing. Giovanni Enriques, consulente industriale del-l'IMI, nel corso di una relazione tenuta ad un convegno svoltosi a Torino sui rapporti fra scuola e industria — che noi viviamo in un momento interessantissimo della nostra storia, che si identifica in parte in una fase industriale: i processi naturali produttivi che erano natu-ralmente integrati nello spazio e nel tempo dall'età primordiale, si sono progressivamente disintegrati. La automazione non è unicamente una applicazione di mezzi moderni di produzione in un flusso continuo, che a somiglianza di un fiume trova un naturale sbocco. Essa perciò finirà per includere forzatamente anche il problema della saldatura del ciclo produttivo col ciclo distributivo. Dal punto di vista concettuale un vero e proprio ritorno ai primi processi produttivi, seppure con fenomeni di dimensioni cambiate ».

Ora il problema della saldatura dei due cicli sottolinea — per chi sappia essere minimamente lungimirante — l'esigenza del superamento di una prospettiva di puro « adattamento » per il problema della forma-zione degli uomini.

Se poi guardiamo al problema medesimo della qualificazione profes-sionale da un altro punto di vista, quello cioè delle modificazioni cui si avvia la struttura organizzativa dell'attività produttiva sotto la spinta del progresso tecnologico — specie in un paese come il nostro che si trova, in tale prospettiva, ad uno stadio assolutamente peculiare — risulta altrettanto necessaria l'impostazione del suddetto problema secondo finalità formative e non informative. (Tendere cioè, forse non

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è inutile ripetere, a fornire una rappresentazione della logica di tutto il processo economico produttivo, all'interno di una determinata situa-zione storico-ambientale). E ciò per due ordini di motivi : da una parte perché le esigenze apportate dal suddetto progresso tecnologico, di un nuovo tipo di qualificazione della mano d'opera, non si trasformino in strumento di frustrazione e non riducano (con danno finale di tutti) troppe unità lavorative in una condizione psicologica di « non appar-tenenza » e quindi di « opposizione » ; d'altra parte perché la stessa qualificazione professionale sia resa capace di influire attivamente nel-l'interazione dei vari fattori che presiedono alla formazione di interessi, preferenze e gusti dell'età post-puberale, in modo non semplicemente funzionale al sistema, ma piuttosto ad una più profonda esigenza di felicitazione umana e sociale.

I fini stessi della vocational guidance, cioè dell'orientamento profes-sionale, sono andati profondamente modificandosi negli ultimi anni. Prima della seconda guerra mondiale il problema stesso dell'orientamento profes-sionale veniva infatti impostato in termini individualistici e soggettivi e si proponeva l'obiettivo precipuo di collocare ogni uomo in un posto di lavoro rispondente alle sue tendenze e attitudini particolari, così che potesse agevolmente compiere « il pieno sviluppo della propria individua-lità », e raggiungere quella specie di equilibrio interiore che risulta da una occupazione che si ama, che si fa bene e con gioia, e nella quale ci si può elevare (Courthial).

Negli ultimi anni invece le esigenze collettive sono andate acqui-stando prevalenza sugli interessi individuali : « Oggi gli orientatori •— diceva H. Rosebery, già nel 1946 — accordano una crescente attenzione alle esigenze della società, non soltanto a quelle di carattere immediato, ma ancora alle pianificazioni globali dell'avvenire del paese. La guerra ha posto in luce l'ineluttabile esigenza di predisporre programmi di breve e lungo termine, soprattutto per i fini sociali, sia pure tenendo conto dell'interesse degli individui ». Il pericolo sta nel fatto che il diverso procedere delle curve evolutive — di cui si diceva più avanti— può far sì che le « esigenze collettive » vengano interpretate e definite da una ristretta oligarchia di soggetti attivi o di tecnocrati.

Va ricordato, a questo proposito, che molte statistiche compilate sulle aspirazioni professionali degli studenti dimostrano come « voca-zioni » precise si manifestino solo eccezionalmente, come esista sempre una relazione indicativa tra l'insufficiente livello di informazione su professioni e mestieri e l'indifferenza nei confronti di una scelta pro-fessionale, e come tutt'al più, da parte degli studenti medesimi, si verifichi la accettazione passiva o l'avversione profonda nei confronti della professione paterna.

D'altra parte, è in genere noto come sulla scelta professionale, o almeno sulla formazione dei gusti e delle tendenze, agisca tutta una serie di fattori ambientali occasionali, fortuiti o meno (il luogo di nascita, la famiglia, vicinanza della abitazione a stabilimenti di lavoro, associazioni, ecc.) che mettono in moto diversi tipi di coazione per cui l'individuo è indotto a seguire e imitare i compagni, a evadere da schemi familiari ecc.

E mai superfluo è ripetere che squilibri della psiche e del carattere, insoddisfazioni ed esaltazioni che influenzano negativamente la solu-zione obiettiva e subiettiva del problema professionale, fino ai casi

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estremi della più assoluta indifferenza ed inerzia di fronte ad ogni attività lavorativa, traggono origine da una frattura tra il processo di formazione di una personalità consapevole delle proprie esigenze e capace di adattare le proprie attitudini ad una determinata struttura sociale, e la resistenza che a questo sviluppo oppongono una situazione familiare diffìcile e una più vasta esperienza sociale povera di prospet-tive per rigidi condizionamenti, e molto spesso situazioni di eccessiva precarietà economica.

5. La conoscenza attuale delle professioni.

Lo studio delle attività lavorative — cui il Keaston dà il nome di

occupationology — trova in ritardo il nostro paese. Va attribuito a merito del Ministero del Lavoro di aver dato vita — non appena le circostanze lo hanno permesso — dal 1949 ad una serie di iniziative in questo campo di indagini, che, se si proponevano degli scopi pratico-funzionali, non hanno trascurato però l'aspetto scientifico del problema.

Tale iniziativa ha prodotto : una « Classificazione professionale » che, nella redazione del 1955, comprende 27 categorie professionali in cui sono elencate 225 professioni-tipo e 3000 professioni, prescindendo dagli inquadramenti sindacali e dagli accordi salariali, classificazione questa destinata esclusivamente ai servizi del collocamento e della emi-grazione; l'inizio della pubblicazione di monografie professionali conte-nenti l'analisi delle diverse professioni, già elencate organicamente nella classificazione, nei loro aspetti funzionali, tecnici, fìsiopsicologici, culturali, ecc. (4) distribuite agli organi periferici del Ministero per usi prevalentemente amministrativi e pratici; l'istituzione della Com-missione nazionale per lo studio e la determinazione dei profili profes-sionali, funzionante presso l'ENPI, che ha pubblicato i fascicoli del-l'armatore di miniere di carbone, del minatore di carbone, del manovale di galleria di carbone, del saliniere, dell'ammassatone del sale, dell'atte-latore, del manovale di salina, del raffinatore di sale marino, del tipo-grafo compositore a mano; più una «Guida per la compilazione della scheda per l'analisi delle mansioni » con annessa la « Scheda di analisi della professione»; l'inizio dei lavori di elaborazione di un dizionario delle professioni nel primo trimestre del 1957.

Quanto a quest'ultima opera, va notato come altrove (5) sin dalla seconda metà dell'ottocento si fossero sviluppate numerose iniziative,

(4) Sono circa 90, relative ai lavoratori dell'edilizia, dell'industria siderurgica, mineraria, dell'estrazione e lavorazione del marmo, dell'estrazione del metano, cui dovrebbero essere aggiunte quelle relative ai lavori del settore metalmeccanico e del legno.

(5) In Francia nel 1880 appare a cura di Eduard Charton il « Dictionnaire des professions de guide pour le ehoix d'un état indiquant les conditions de temps et d'argent pour parvenir à chaque profession, les études a suivre, les programmes des écoles spéciales, et les facultés necessaires pour réussir, les moyens d'etablissement, les chances d'avancement et de suiccés, les devoirs ». Nel 1955 l'Institut National de la Statistique et des Études Économiques, in collaborazione con una commissione

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intese a raccogliere ed a fornire informazioni complete e sistematiche sulle attività lavorative nazionali, particolarmente ai fini dell'orienta-mento e della preparazione professionale. Sicché oggi l'Italia si ritrova ad essere una tra le poche nazioni del mondo che risulti ancora sprov-vista di un dizionario delle professioni.

Nemmeno da noi sono mancati tentativi di indagini sui vari mestieri, ad opera di privati, curiosi od interessati (6), ma le iniziative pubbliche, in questo settore, si sono limitate per lungo tempo alla sola pubblicazione da parte dell'Accademia dei Lincei di un « Dizionario della Marina » nel 1870, primo ed ultimo di una serie di vocabolari di arti e mestieri.

Molto opportuno dunque l'annuncio della pubblicazione di un nostro « Dizionario delle professioni », che sarebbe dovuto apparire per la fine del 1957. Questo, a quanto si sa, però sarà solo, per ora, un glossario di termini contenuti nella classificazione professionale del ministero.

La prospettiva di questa pubblicazione, come d'altra parte l'esi-stenza di una « Guida per le classificazioni professionali » pubblicata a cura dell'Istituto Centrale di Statistica, non può esimerci dal fornire in questa sede alcuni elementi essenziali del concetto di professione, utile a farci cogliere in seguito il fatto professionale nella sua relazione col sistema economico-produttivo e con la struttura sociale di un paese.

interministeriale per la nomenclatura delle professioni, forniva un « Dictionnaire des

métiers et appellations de l'emploi ». . In Inghilterra, in seguito ad una risoluzione della Conferenza Statistica

del-l'Impero, veniva pubblicato nel 1927 un « Dictionary of Occupational Titles » conte-nente 29.106 denominazioni di mestieri e 16.837 mestieri definiti. Mentre nel 1952 C.H. Chaffe, un privato, pubblica una « Careers Encyclopoedia » in cui illustra le prospettive di impiego di 220 professioni.

Negli Stati Uniti il Bureau of Labor Statistica apprestava nel 1918 un Dizio-nario delle professioni della metalmeccanica, della cantieristica, dell'edilizia, per il servizio del 'collocamento. Tra le due guerre e nel secondo dopoguerra si assisteva in questo paese — come pure in Inghilterra — all'intensificarsi dello studio dei mestieri e nel 1939 veniva pubblicato anche lì il « Dictionary of Occupational Titles » (D.O.T.) che nelle successive ristampe giungeva a comprendere 40.000 termini.

Nel 1946 appariva a Madrid il « Vocabulario de oficios y profesiones ».

Nel 1947 all'Aia si aveva la prima edizione del « Beroepeninventansatie » con

brevi definizioni di (circa 2.000 termini di mestiere.

In Australia nel 1948 il Dipartimento del Lavoro e il Ministero della Ricostru-zione Postbellica pubblicano un dizionario delle cosidette professioni libere.

Nel 1950 in Finlandia l'Ufficio Centrale di Statistica pubblica la «

Yrkesno-menklatur ». . In Austria l'Istituto di Statistica pubblica nel 1951 un « Sistematisches

Verzei-chnis der Berufe ».

In Belgio nel 1955 si pubblica una « Nomenclature des professions » che « f e -risce anche sinonimi e denominazioni locali.

(6) Ricordiamo tra gli altri : « Piazza universale di tutte le professioni del mondo» del 1589 di Tommaso Garzoni, che non comprende solo le professioni^ lecite, ma anche quelle... poco lecite come gli « agozzini », ma che non si può pero accogliere come primo tentativo del genere; il « Nuovo dizionario universale tecnolo-gico o d'arti e mestieri » in tredici volumi, pubblicato nel 1830 dal Grisellini dopo un primo tentativo dello stesso autore risalente al 1768; il «Nuovo vocabolario di arti e mestieri» pubblicato dal Carena nel 1885; nel 1870 il Canevazzi pubblicava un vocabolario di agricoltura; nel 1871 T.E. Cestari descriveva numerose professioni in un libro che riguardava appunto « le professioni che possono scegliersi ed a cui avviarsi i giovani studenti, storicamente e metodicamente descritte ».

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6. L'evoluzione del concetto di professione.

Col termine di « professione » si indica, nel linguaggio corrente, la destinazione, per così dire, sociale di un soggetto. Essa, dice il Barassi, « è la particolare forma di attività che l'individuo ha prescelto come sua attività ordinaria e continua, a scopo di sostentamento (benche non sia questo a rigore un presupposto essenziale), ma soprattutto a servizio dei bisogni della generalità ». Il contenuto pratico invece delle attività: competenze tecniche, capacità, attitudini, tipo di servizio pro-dotto, ecc. (le cosidette componenti tecnologiche) si indicava ed ancora si indica, più esattamente, con il termine di « mestiere ».

In un passato non molto lontano il concetto di professione si corre-lava anche con quello di « autonomia », e cioè valeva più specificamente ad esprimere una forma di attività di ordine soprattutto intellettuale, esercitata di solito in posizione di indipendenza e non sempre m rela-zione ad una domanda immediata; donde la denominarela-zione di «libere professioni» o «professioni liberali».

Da quel concetto si distingueva m modo pm preciso quello di « mestiere » impiegato a designare un'attività pratica, prevalentemente manuale^ ^ ^ n e ] c o n c e t t o d i professione, proprio delle cosiddette

« libere professioni », non si trovasse compreso il riferimento a com-petenze tecniche ed attività specifiche: ad esempio, la professione di avvocato si riferiva e si riferisce ad una attivila prevalentemente intel-lettuale (saper interpretare una legge, applicarla al caso concreto^ ma anch'essa nel suo esercizio suppone una certa tecnica, che m mota parte si apprende attraverso la cosiddetta «pratica» e che configura un vero e proprio « mestiere ». Ma, in questo caso, il concetto di mestiere rimaneva e rimane assorbito nel concetto più generale, di. ^ofesamne che indicava la situazione di « relazione sociale » dell individuo. Mentre non accadeva il contrario per i mestieri che comportavano una preva-lente attività manuale; ad esempio, i mestieri di ciabattino di fale-gname, di fabbro, ecc., conferivano, e conferiscono, al soggetto che 1 praticava la qualifica professionale di artigiano: infatti si era indotti a pensarli - esercitati, o meno, nella forma completa, con le diverse man-sioni di cui constano - organizzati all'interno di una bottega artigianale che costituiva e costituisce il centro delle «relazioni sociali» e qualifica IR profossioiiG

Con l'evolversi della organizzazione della attività economica, i mestieri artigianali o completi si sezionano e scadono m mestieri mono-valenti, mentre numerose attività che rientrano nelle cosiddette profes-sioni liberali si inseriscono e si integrano anche esse nella organizza-zione del processo produttivo, in rapporti di dipendenza gerarchica e funzionale, all'interno dell'impresa. Così il concetto di professione ha visto sfumare le linee tradizionali dei suoi confini ed ampliato il suo campo di accezione, sino ad assumere il generico significato di destinazione continuativa dell'attività pratica di un soggetto, riferendo nel e diverse denominazioni, più o meno direttamente, anche la rilevanza del soggetto 11

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medesimo sul piano sociale, sia dal punto di vista economico, sia, ancor più, dal punto di vista funzionale.

Accanto alle qualificazioni tradizionali o meno delle cosiddette « libere professioni » che relativamente comprendono un numero sempre minore di soggetti, sono andate dunque definendosi nuove « qualifiche » professionali, che raggruppano — magari distinguendole ancora in più strette « categorie » — attività vuoi prevalentemente intellettuali, vuoi prevalentemente manuali. E' nata cioè la cosiddetta « qualifica professio-nale », espressione che presuppone una specificazione del tipo di atti-vità organizzata in un moderno processo produttivo di tipo industriale, cui corrisponde un più o meno preciso stato giuridico. La « qualifica » non si riferisce ovviamente a ciascun singolo mestiere (non più com-pleto), ma solo a certi loro più o meno ampi raggruppamenti, che confi-gurano differenziazioni tali da giustificare appunto la specificazione di un diverso stato giuridico.

Per quanto riguarda questo tipo di « qualifiche » professionali con le relative categorie, che raggruppano quasi tutto il lavoro organizzato nella struttura del processo produttivo di tipo industriale (la parte più importante della occupazione di oggi), la loro sistemazione formale subisce, oltre all'influenza del progresso tecnologico, anche l'effetto della cosiddetta azione sindacale. Questa tien conto delle componenti di ordine tecnologico nonché d'ordine strutturale ed istituzionale della profes-sione, ma ancor più della posizione di rilevanza e della funzione di iniziativa, che le diverse professioni o categorie di professioni occupano od assolvono all'interno del processo produttivo.

Avremo così accanto alle qualificazioni generiche di imprenditore, di agricoltore, di industriale, di contadino, ecc. le « qualifiche » di diri-gente, impiegato, operaio, dal significato ancora generale, all'interno delle quali si distinguono le categorie di operaio specializzato, operaio qualificato, manovale specializzato, manovale, impiegato di I, II, III, o più particolareggiatamente ancora, di saldatore, tornitore, bracciante, che indicano più da vicino il cosiddetto mestiere, anche se spesso sono usate pure esse come qualifica professionale (per il fatto che rappre-sentano una specializzazione capace di determinare o di assicurare una applicazione continuativa).

Le categorie dell'inquadramento sindacale variano da Paese a Paese e servono di riferimento per la determinazione delle retribuzioni (7).

(7) In Francia le categorie operaie sono 7: manovale (MO), manovale specia-lizzato (MC), operaio qualificato (OSI; OS2), operaio speciaspecia-lizzato « professionnel »

(OP1 ; OP2; OP3).

Nel Belgio abbiamo la stessa suddivisione, tenuto conto che esiste una sola categoria di qualificati ed una di specializzati.

In Germania gli impieghi qualificati (343) e gli impieghi semiqualificati « rico-nosciuti » (155) sono specificatamente elencati ; mentre gli accordi sindacali definiscono gli impieghi di livello inferiore.

In Gran Bretagna gli impieghi si distinguono in mano d'opera qualificata, semiqualificata, non qualificata.

In Italia le categorie professionali dell'industria sono generalmente: operai (manovale semplice, manovale specializzato, operaio qualificato, operaio specializzato); intermedi (di I e II categoria) e impiegati (di 3 A, 3 B, di 2 [A-B], di I [A-B]).

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7. Lo sviluppo economico-sociale e la vicenda delle qualifiche professionali (8).

Per renderci conto del modo in cui sono nate le attuali qualifiche professionali (faremo d'ora in avanti esclusivamente riferimento al lavoro dipendente che costituisce il volume più cospicuo delle occasioni di lavoro in una società moderna) sarà opportuno tratteggiare a brevissime linee le componenti fondamentali di quel processo che va sotto il nome di svi-luppo economico di tipo capitalistico industriale. Questo processo risulta a prima vista dominato dalla utilizzazione sistematica della macchina, che comporta un graduale allontanamento dell'uomo dall'adempimento di fun-zioni dirette nella trasformazione dell'oggetto lavorato. In realtà il pro-cesso capitalistico è anteriore al propro-cesso industriale meccanico, e in certo modo ne costituisce la spinta fondamentale.

L'industria meccanizzata suppone infatti per nascere e svilupparsi tutta una serie di condizioni che così possono riassumersi:

a) un mercato dalle dimensioni abbastanza ampie da poter assi-curare un consumo di prodotti tale che renda conveniente l'investimento dei capitali necessari per l'impianto;

b) una accumulazione di capitali sufficienti per gli investimenti necessari per l'impianto, per il funzionamento e per il costante adegua-mento al progresso tecnologico;

c) un volume di mano d'opera adeguato, sia dal punto di vista quantitativo sia dal punto di vista qualitativo (della specializzazione professionale) e dotato di un adeguato grado di mobilità (quindi non impacciato da vincoli quali potevano essere quelli delle corporazioni me-dioevali).

Per quanto riguarda quest'ultimo fattore va detto subito come il processo di meccanizzazione, mentre esprime (e si potrebbe dire che è mosso da) un rincaro del valore economico del lavoro umano, si risolve in una progressiva espulsione del lavoro umano dalla combinazione pro-duttiva. Ma di questo più avanti.

Lo sviluppo capitalistico industriale è guidato dalla figura premi-nente dell'imprenditore che assolve al compito determinante dell'inizia-tiva di combinazione dei fattori avanti indicati. Tale iniziadell'inizia-tiva si mani-festava in un primo tempo nella semplice forma di una « cooperazione » e consisteva nel riunire più lavoratori, l'uno accanto all'altro, sotto il controllo di un capo che forniva materiale ed attrezzi, senza che il modo individuale di lavorare si differenziasse dal vecchio modo artigianale.

In un secondo tempo appare invece la «manifattura» caratteriz-zata dall'applicazione del principio della divisione dei compiti e delle

(8) Vedi tra gli altri: T. S . ASHTON, La rivoluzione industriale, Bari, Laterza,

1953; R . TEANI, Gradi e prospettive di automazione, in «Tecnica ed organizzazione»

n. 29, a. V i l i , 1956; A . TOURAIN, L'évolution du travail ouvrier aux Usines Renault,

Paris', 1955; G. FRIEDMANN, OÙ va le travail humainl, Paris, 1950.

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mansioni, nella quale le singole operazioni sono affidate ad un operaio che si specializza in esse. E' celebre l'esempio di Adamo Smith della fabbrica di spilli, in cui ad ogni lavoratore veniva affidata una fase del processo : taglio, punta, capocchia, ecc. Con questo secondo tempo si combina l'introduzione decisiva dei fattori meccanici: congegni mec-canici sostituiranno l'uomo nella parte operativa del lavoro, mentre l'orologio meccanico permetterà una razionale suddivisione del tempo. Quando interverranno nuovi fattori energetico-motori, riceverà nuove soluzioni anche il problema della localizzazione delle combina-zioni produttive, che avrà riflessi sul problema della mobilità della mano d'opera (non sarà più necessario, ad esempio, che la fabbrica sorga vicino ad un fiume, che ha rappresentato a lungo la fonte di energia motrice).

Nel processo di trasformazione dei beni, andrà prevalendo la com-ponente organizzativa, onde sarà sempre più ridotto il margine di iniziativa individuale.

A) Si opera una distinzione tra i settori economici e si apre un processo di trasferimento della occupazione da settore a settore.

Il processo di trasformazione dell'unità produttiva — dalla bottega artigianale (all'interno della quale il lavoro si qualifica in mestieri com-pleti) si passa alla impresa di tipo industriale, dominata dalla legge della divisione dei compiti — non manca di trasferirsi sul piano della struttura economico-sociale.

L'agricoltura era stata per lungo tempo la base dell'attività eco-nomica e le attività di trasformazione in genere, senza avere molti rapporti reciproci, trovavano in essa il loro fondamento e vivevano quasi sempre di un rapporto diretto con essa, E' il caso dell'industria tessile, ma è il caso anche della stessa industria siderurgica, quando ancora i rudimentali impianti spesso appartenevano al proprietario dei boschi. Ora il settore industriale si distingue, soprattutto dal punto di vista strutturale, da quello agricolo e comincerà a vivere sempre più di vita autonoma ; anche se i settori industriali dei beni di consumo, che trasformano i prodotti dell'agricoltura (tessili, zuccherifici, car-tiere, ecc.) non saranno troppo presto sostituiti, sul piano della rilevanza economico-occupazionale, da quelli destinati a produrre beni strumentali. Nel frattempo una complessa rete di relazioni e di interdipendenze allaccerà tra loro i diversi settori industriali, nella gran parte dei quali la materia prima della lavorazione non sarà più data dal materiale grezzo (minerale, vegetale, ecc.) ma dai cosiddetti semilavorati. Tutte queste modificazioni si tradurranno, sul piano della occupazione, in un costante processo di trasferimento della mano d'opera dal settore pri-mario (agricoltura, caccia, pesca) al settore secondario (industria) ed al settore terziario (servizi) : questo processo risultando poi in relazione ai miglioramenti della produttività del lavoro, da alcuni economisti sarà assunto ad indice del progresso economico e sociale di un paese. Ad esempio negli Stati Uniti questo fenomeno della diversa ripartizione

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della popolazione attiva in percentuale sul totale della popolazione si presenta nelle seguenti proporzioni:

anni att. primarie att. secondarie att. terziarie

1820 72 12 15 1850 65 18 18 1870 53 23 24 1880 49 26 25 1890 43 27 30 1900 37 29 34 1910 32 31 37 1920 27 33 40 1925-34 24 30 46 1937 25 29 46 1940 19 31 50 1950 16 26 57

(da C. Clark, ' " The conditions ol Economie Progress " , pag.

Naturalmente tutte queste modificazioni si trasferiscono in modo dinamico sull'assetto dell'intera organizzazione sociale. L'insediamento di tipo rurale entra in crisi, mentre si sviluppano processi imponenti di agglomerazione urbana. Si frantuma l'equilibrio dell'isolamento pa-triarcale e si determinano fenomeni d'accentramento verticale di potere. B) Il processo di meccanizzazione.

La tecnica d'altra parte gioca un ruolo autonomo la cui caratteristica generale è la spinta all'automatismo. Questa spinta segue due ritmi diversi a seconda che si sviluppi sul piano della lavorazione in serie, ovvero sul piano della lavorazione a flusso continuo.

Si parla in genere di lavorazione in serie nel caso della produzione di macchine utensili, per il fatto che il processo di fabbricazione si risolve nella lavorazione di unità separate : blocco-motore, lastre di acciaio ecc. Quando invece la materia da lavorare non è più solida ma liquida o gassosa, il processo di lavorazione diventa continuo : abbiamo allora

la lavorazione a flusso continuo.

E' naturale che l'automatismo trovi, ed abbia trovato, uno sviluppo più rapido e più pieno nell'ambito dei settori rientranti nel secondo rag-gruppamento : raffinazione del petrolio, produzione di energia elettrica, industria chimica in genere, ecc.

Comunque giova avvertire che l'automatismo medesimo, nelle sue prospettive di diffusione, dipende dalla scelta, più o meno condizionata, di una economia sulla opportunità o meno di organizzarsi in unità indu-striali di grandi dimensioni, a cicli di lavorazione più o meno ampi e comprensivi.

D'altra parte non va dimenticato che un grande complesso metalmec-canico, ad es. del tipo della FIAT, collateralmente ad un compiuto pro-cesso di pura fabbricazione vede organizzate officine di attrezzaggio, di manutenzione, di riparazione in cui continua a prevalere il lavoro in pic-cola serie o addirittura sulla unità.

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La marcia verso l'automatismo è stata felicemente sintetizzata, dal punto di vista dell'uomo che in essa rimane inserito, come « il movi-mento progressivo per cui il lavoro creatore si trasferisce dall'esecutore al costruttore ». L'iniziativa viene sempre più sottratta all'operaio che maneggia la macchina: questa lavora sempre più da sola: vale a dire che l'intelligenza umana non dovrebbe più avere tendenzialmente il com-pito di utilizzare la macchina sibbene di concepirla, di costruirla, di rego-larla e controlrego-larla. Così come l'operaio si è evoluto nell'operatore, questo viene rimpiazzato ora dal sorvegliante, dal riparatore; dal tecnico.

In questa marcia si possono distinguere due grandi fasi.

I. La fase della decomposizione del lavoro, dalla macchina univer-sale alla macchina specializzata.

1. Il tornio primitivo rappresenta la macchina utensile da cui deri-vano la gran parte di « macchine da truciolo » : essa è ridotta ad un mec-canismo elementare, spesso anche azionato dall'uomo che conserva ampia possibilità di iniziativa (regolazione; profondità di incisione ecc.).

2. Le macchvne universali. La macchina universale nasce quando l'utensile si incorpora nella macchina e la specializza. La macchina uten-sile più caratteristica è la fresa universale. Le possibilità di questa mac-china sono ampie : spetta ancora all'operaio utilizzarle. Gli americani le dicono « flessibili » ; l'operatore rimane arbitro della loro « flessibilità ». E corrisponde, nel quadro dello sviluppo economico, alla lavorazione in pic-cola serie. Gran parte del tempo per la sua utilizzazione viene speso per la regolazione (la loro messa a punto) : l'operatore può ignorare il mec-canismo della macchina, ed invece rimane responsabile del funzionamento che dipende dalla sua intelligenza ed abilità.

3. Le macchine specializzate. Il loro avvento è legato alla esigenza di grande serie. Il maneggio diviene semplice e monotono, visto che la grande macchina esegue sempre lo stesso tipo di operazioni. L'unità di lavoro non è più costituita dall'uomo e dalla sua macchina, ma dalla cessione delle macchine destinate ad effettuare operazioni parcellari suc-cessive, unitamente agli uomini che servono queste macchine. Nasce la catena, il cui organizzatore è l'unico ad avere una visione globale della produzione organizzata. Gli uomini della catena sono solidali gli uni agli altri insieme alle macchine e ciascuno con la sua macchina è impossibi-litato a realizzare alcunché di compiuto.

La specializzazione conosce due fasi : quella delle macchine adattate a compiere un certo tipo di operazioni meglio della macchina universale (l'alesatrice, la rettificatrice ecc.) ; quella delle macchine concepite per un lavoro particolare.

Questa fase è ancora dominata dalla « guida a mano » da parte del-l'operaio.

II. La fase della ricomposizione del lavoro, dalla macchina multipla alla macchina automatica.

Si combinano gli elementi singoli provenienti dalla macchina univer-sale, si raggruppano le operazioni, si giustappongono o si organizzano i

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meccanismi separati, in modo da ottenere una macchina che, pur restando specializzata, sia suscettibile di fare di seguito più operazioni, riducendo così il tempo perduto per le manutenzioni.

Si hanno :

1. Forme semplici di ricomposizione delle operazioni, che ancora non arrivano a raggruppare operazioni differenti rispettando la loro suc-cessione col passaggio automatico dall'una all'altra.

2. Torni automatici e semiautomatici, macchine per tagliare gli ingranaggi, che realizzano il progresso di cui sopra. Queste macchine appaiono quando è possibile stabilire la successione regolare delle « opera-zioni in un ordine invariabile, o in un ordine il cui ritmo ed il cambia-mento sono regolari. L'ordine delle successioni deve poter essere anch'esso comandato dal meccanismo ».

L'operaio si ritrova scaricato delle operazioni di messa in moto e di arresto del lavoro.

3. Macchine speciali, macchine transfer : sono costituite da un insieme di gruppi che effettuano una determinata operazione o serie di operazioni talvolta lunga, secondo un ordine costante che non può essere modificato senza un rimaneggiamento completo della macchina mentre i pezzi in lavorazione passano da una stazione all'altra della macchina medesima. La prima forma di esse è data dalla macchina a piano cir-colare, che comporta stazioni o posizioni di lavoro e una o più stazioni di carico e scarico. Alcuni inconvenienti di questa hanno conferito mag-giore importanza alla macchina transfer, « macchina a posizioni di lavoro multiplo, che permette di eseguire su uno stesso pezzo operazioni diffe-renti, consecutive, spostandosi il pezzo automaticamente da una posizione di lavoro ad un'altra, secondo un movimento di traslazione rettilinea ». La testa elettromeccanica ovvero il servo comando di ritorno rappresenta con l'elemento transfer uno dei due elementi, la cui combinazione ha dato vita alla macchina medesima.

Questa fase, secondo il Bright, la cui prospettiva è accolta dal Teani, vede trasferirsi la funzione di guida all'interno della stessa macchina secondo diversi gradi.

Il ciclo operativo comporta grosso modo tre tempi : carico del pezzo grezzo, lavorazione del pezzo (tempo effettivo di macchina) e scarico del pezzo finito.

Il secondo tempo ha formato quasi subito oggetto della attenzione dei tecnici chiamati a ridurre i tempi di lavorazione (fase A). Ma infine, accertato che il tempo impiegato a maneggiare materiali e pezzi incide in modo rilevante sui costi di produzione, le cure furono rivolte anche agli altri due tempi e ne derivò la piena meccanizzazione delle « opera-trici » con i dispositivi meccanici, eletopera-trici, idraulici che provvedono a caricare, trasferire, bloccare, scaricare, meglio ancora che le mani del-l'uomo (fase B).

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Il passaggio della funzione di guida dell'uomo alla macchina così si suole riassumere :

a) guida a ciclo o programma fisso:

macchine utensili a ciclo fisso (trapani regolati per avanzare, forare e ritirarsi; nastri trasportatori; macchine utensili comandate a camme);

macchine con messa in moto mediante l'introduzione del mate-riale da lavorare;

macchine utensili a programma (tornio automatico, macchine con lavorazioni successive attraverso le quali il pezzo passa in modo auto-matico ecc.);

b) guida manuale attraverso dati offerti dalla stessa macchina: macchine che danno la misura di una caratteristica, prima, durante o dopo la lavorazione. Esempio : peso, temperatura, forma, colore

(rettificatrice con misura del diametro; processi chimici con strumenti che danno la pressione, o la temperatura, o la densità ecc.) ;

macchina con dispositivo che segnala quando il valore della misura è in certo campo o raggiunge un certo limite, anche con fermata automatica (dispositivi nella lavorazione del monoblocco dei motori ecc.) ;

c) guida automatica, variabile in base al controllo della lavora-zione:

macchine con variazione di posizione o direzione secondo la misura (smistamento su trasportatori a rulli in varie direzioni di sequenze successive di prodotti a numero fisso; distribuzione del materiale in diversi silos fino a un raggiungimento di un determinato livello ecc.);

macchine con accantonamento e scarto secondo la misura (imbot-tigliatrice che apparta le bottiglie non completamente riempite ecc.; si tratta di macchine molto diffuse nell'ultimo stadio di lavorazione della produzione di serie);

macchine con identificazione e selezione; la macchina esamina il prodotto all'entrata e si adatta ad agire di conseguenza (macchina utensile che riceve due tipi di fusione e li lavora discriminatamente ; pro-cessi chimici misurati in funzione di alcune caratteristiche e funzioni in conformità ecc.;

macchine con correzione del funzionamento; si tratta delle mac-chine con controlli automatici (autoregolazione continua) di velocità, tem-peratura, pressione, flusso ecc. ;

d) guida automatica con regolazione basata sulla previsione del-l'andamento del processo:

si tratta qui del massimo livello raggiungibile con la tecnica moderna — la tecnica elettronica — con l'impiego di un calcolatore.

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C) Si modifica la rilevanza delle diverse qualifiche professionali. Per quanto riguarda più da vicino il lavoro, si apre un processo di dequalificazione professionale che favorisce l'immissione di ex conta-dini, donne e bambini e determina il costante deprezzamento del fattore lavoro medesimo. . . , , , „ • „ . , „

Il principio di meccanizzazione funziona m modo che le singole operazioni del processo di trasformazione della materia si distacchino dall'arte manuale del lavoratore e si trasferiscano su un piano di ogget-tività. Quest'ultimo — come s'è visto — è caratterizzato dall incontro tra scienza e tecnica e dal predominio del principio di razionalizzazione che, sia nel momento della parcellarizzazione del lavoro, sia nella prospettiva delle nuove sintesi unitarie del lavoro stesso, tende a ridurre i fattore lavoro a tutti i livelli ad una condizione prevalentemente obbedienziale. Quel principio poi non mancherà di esercitare una influenza determinante rispetto alla struttura stessa del mercato di lavoro e delle: professioni. Infatti all'uso delle macchine utensili polivalenti o generiche (torni, fresa, ecc), corrisponde l'epoca dell'operaio qualificato, che e destinato con la esperienza a diventare spedalizzato. Esso sta a rappresentare 1 unita lavorativa di base e conserva ancora notevoli possibilità di iniziativa, tato è vero che si escogiterà per la sua remunerazione tutta una serie di formule di salario a rendimento, il cosiddetto cottimo. Mano a mano che si passa invece all'uso di macchine complesse, l'operaio qualificato s troverà organizzato all'interno di un reparto, affidato alla direzione di un capo tecnico, e sarà sostituito, nel peso numerico che la sua categoria eserciterà all'interno della struttura del mercato di lavoro, dal manovale comune (9).

M I MPI rannnrfx) D U P O N T - T A R N A U D su L'évolution des techniques et les

consé-opera. segnalava la modificazione dei rapporti tra il lavoro di

- J S . " . ras. ^ j i ^ s s j r . j a j ' d f M s f i * .

mano d'opera indiretta. Nelle officine nenaun-, f f 70 «%1919 al 1954 la nercentuale degli operai e passata dal 93,5% ai /9,8/0, mentre queiia m e nt r e auella

1919 al 1904 la percentuale u s v ^ QUanto riguarda il rapporto tra gli

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tempo, possono riferirsi a contenuti di mestiere diversi dal 1925 al 1954 la percentuale degli operai specalizzati risultava salita dal 53,7% al 67,6%, quella dei

t C C n Ì 1 t o ' £ S £ ' B u « A O T f presentata alla Commissione Nazionale

Francesce* la mano d'opera giovanile nel 1957, forniva 1 ^ = t i da t l relativi alla

percentuale dei dirigenti nelle industrie giovani o m forte espansione

Industria chimica: 12,9%; petrolio e carburanti hquidi l7,2%, industrie meccaniche ed elettriche: 11,8%; industria tessile soltanto il 6,3%, m quella dei

CU0Ì Nef^solo' camporelle costruzioni elettriche, mentre gli operai effettivi

aumen-tavano di poco meno del 20%, dal 1949 al settembre 1956, il numero degli ingegneri, dirigenti e impiegati aumentava del 34% circa.

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Nella esperienza organizzativa che può prendere nome dalla « ca-tena » — questa infatti ne esprime con evidenza il principio, risultando, secondo una definizione ampiamente comprensiva, « un tipo di organiz-zazione del lavoro per cui le diverse operazioni, ridotte alla medesima durata, o a un multiplo o sottomultiplo semplice di tale durata, vengono eseguite senza interruzione fra loro e in un ordine costante nel tempo e nello spazio » (10) — mentre l'operaio perde una precisa identità pro-fessionale, prende rilievo (anche dal punto di vista della remunera-zione) l'obiettività del « posto » che definisce il contenuto e i caratteri della mansione o compito. Spiegava il Taylor che « fra i singoli elementi del sistema moderno a base scientifica, quello preminente è forse il prin-cipio di assegnare al lavoratore un compito ben definito (task). Il lavoro di ogni prestatore d'opera viene stabilito dalla direzione in tutti i suoi dettagli almeno il giorno prima e nella maggior parte dei casi ogni esecutore riceve complete istruzioni scritte che descrivono dettagliata-mente il compito che gli è affidato, come pure gli utensili di cui dovrà servirsi... Queste prescrizioni specificano non solo quello che si dovrà fare, ma come dovrà essere fatto e stabiliscono esattamente il tempo assegnato per l'esecuzione ». Infatti nella sua determinazione si appli-cherà il principio della one best ivay che consiste « nell'eliminare tutti i movimenti falsi, tutti i movimenti lenti e tutti i movimenti inutili... per quindi raccogliere in una unica serie i movimenti più rapidi e migliori così come i migliori utensili ».

Per cogliere il senso di questa organizzazione varrà riferire quanto rilevava il Dubreil sul significato strutturale dei moderni rapporti di produzione : il planning. « Si può ritenere che oggi, per migliaia di individui occupati nell'industria, i gesti che compiono minuto per minuto e per un periodo di tempo ben determinato sono già da tempo previsti a loro insaputa e non dal cieco destino del mondo classico, ma dallo spirito freddamente razionale dell'organizzazione industriale. Questi uomini possono ben credersi liberi, badare fuori dell'azienda ai loro impegni personali, ma per giorni e settimane a venire la parte più importante della loro vita è fissata in anticipo e senza che ne abbiano sentore nel quadro del planning. Non pensano neppure per un secondo a ciò che faranno nel tal giorno, alla tale ora, ma l'industria già lo sa. Essa possiede questo tempo che deve ancora venire; è scritto là, nel planning la cui esecuzione si svilupperà come meccanismo ben rego-lato... I gesti a ripetizione sono cose visibili, ma i prolungamenti ultimi del planning, vale a dire quelli che vengono a contatto con l'operatore cioè con l'uomo, vanno assai più lontano degli atti materiali. A questo punto, essi operano una vera distorsione dell'individuo ».

Così le categorie più o meno ristrette delle qualifiche si sfrangiano per coprire una più o meno razionale graduazione delle mansioni, organiz-zate nella unità produttiva.

In sintesi dunque l'evoluzione delle tecniche e dell'organizzazione della produzione nella moderna unità produttiva dell'impresa comporta

(10) ALAIN TOURAIN, L'évolution du travail ouvrier aux Usines Renault, CNRS, Paris, 1955.

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un processo di interscambio dell'uomo con la macchina che si riassume in quattro fondamentali momenti :

1) trasformazione costante dei rapporti fra operaio e macchina grazie al trasferimento di competenze dall'uomo alla macchina sino alle stesse competenze di controllo;

2) rinnovo costante delle sintesi organizzative sulla base della specializzazione e differenziazione delle funzioni e delle mansioni : le tre S. = standardizzazione, semplificazione, specializzazione;

3) alto grado di mobilità del mercato di lavoro;

4) modificazione della struttura della piramide delle professioni del lavoro dipendente per l'ampliamento del campo del lavoro di « con-cetto » o di « concepimento » rispetto al campo del lavoro di esecuzione.

Tale processo esige, da un punto di vista soggettivo, un altissimo grado di duttilità della struttura del fattore lavoro.

Diminuiscono relativamente gli addetti alla produzione materiale, aumentano i cosiddetti « improduttivi » e acquista rilevanza, relativa-mente sempre maggiore1, la categoria degli impiegati. Si aprono già le prospettive dell'automazione. « L'abilità manuale tanto specializzata, da consentire il trasferimento da una occupazione ad un'altra — avver-tirà nei « Princìpi di economia » il Marshall — diviene un fattore sempre meno importante nella produzione ».

« Anche quando la razionalizzazione conduce all'automatismo — rileva ancora Hessen — il lavoro perde il suo primitivo carattere di lavoro muscolare e diventa lavoro del sistema nervoso centrale. Quello che prima si compiva con l'aiuto dei muscoli, si trasferisce ora alle macchine, e all'operaio rimane il compito di servirsi delle macchine per mantenere un certo ritmo, tanto che lo obbliga ad una crescente tensione dell'attenzione. Assumono così la più grande importanza elementi che si contrappongono alla distruzione e alla dissipazione della personalità dell'operaio » (11).

Giova precisare però che « il restringersi del campo del lavoro di esecuzione a vantaggio di quello del lavoro di concetto (meglio ancora di " concepimento ") configura un evento che non può essere semplice-mente fatto coincidere né con la scomparsa dell'operaio qualificato di produzione, né col riassorbimento delle mansioni non qualificate di pro-duzione a vantaggio degli impieghi tecnici altamente qualificati, prospet-tive queste ambedue parziali e relaprospet-tive, partendo dalle quali si scontrano detrattori e sostenitori della macchina ».

Questa evoluzione porta in realtà, da un sistema di lavoro incentrato sull'utensile, in cui la macchina richiede l'abilità di un operaio, ad un altro sistema che tende ad incardinarsi sull'insieme meccanico-operativo che funziona senza intervento diretto dell'uomo.

Ogni fase dell'evoluzione però non conosce confini netti di esauri-mento e partecipa contemporaneamente dell'antico e del nuovo sistema di lavoro, in quanto rappresenta relativamente alla fase precedente un

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duplice progresso, nel senso che porta avanti la distruzione del vecchio sistema, e perciò stesso crea le condizioni di sviluppo del nuovo.

Dal punto di vista professionale d'altra parte l'evoluzione può essere concepita, secondo una prospettiva più conclusiva, come un passaggio da un « sistema professionale » ad un « sistema tecnico » del lavoro.

Durante la prima fase della meccanizzazione la categoria dominante nell'industria, quella degli operai qualificati addetti al vero e proprio pro-cesso di fabbricazione, possiede un mestiere e con esso una autonomia professionale, una vera trincea grazie alla quale l'operaio è capace di imprimere al suo comportamento, ai suoi atteggiamenti sul lavoro, le stigmate di una peculiare e specifica personalità.

E' la sua abilità, la rapidità dei suoi riflessi, la sua sensibilità visiva, uditiva, tattile, la sua adattabilità all'andamento della macchina o del-l'utensile, unitamente alla sua intelligenza tecnica, che fanno sostanzial-mente la sua qualificazione professionale. Dal momento che la sua energia fisica, i suoi organi sensoriali, il suo ritmo di lavoro, la rapidità delle sue reazioni sono costantemente e direttamente messe in gioco nella defi-nizione stessa della sua attività professionale, il suo « compito » possiede per lui una certa autonomia, onde la qualificazione professionale ne risulta peculiarmente segnata.

iSe invece ci si riferisce ora all'ultima fase della evoluzione delineata si constata che l'operaio non interviene più direttamente nell'intimo del processo produttivo « stricto sensu ». Egli sorveglia, registra, controlla, la sua mansione non si definisce più in base al rapporto che corre tra l'uomo, la materia, gli utensili o le macchine, ma in base ad un certo « ruolo » nel quadro di un insieme produttivo complesso, dominato dalla componente « organizzazione generale ».

E' questo ciò che si indica da taluno (12) coll'espressione di « siste-ma tecnico ».

Nel « sistema tecnico » l'aspetto professionale è riassorbito ali in-terno della realtà globale unitaria del rapporto di lavoro. Il ritmo e i caratteri del lavoro non sono più definiti dalla natura dei prodotti fab-bricati, delle macchine utilizzate, o del motore usato, ma dalle diverse e varie forme della « organizzazione del lavoro ».

La qualificazione professionale dell'operaio di produzione pertanto sarà ora data soprattutto dalla sua capacità di integrarsi nel gruppo sociale e si definirà come responsabilità. A questo stadio la qualifica stessa di operaio non è più identificabile con riferimento al contenuto tecno-logico e, in genere, alle condizioni tecniche del lavoro, ma piuttosto alle « condizioni sociali » di esso. E' possibile che ad una stessa situazione tecnica corrispondano, secondo le circostanze sociali, la struttura del mercato del lavoro, le circostanze culturali ideologiche, i regimi istituzio-nali e tecnici dell'impresa, l'atteggiamento del soggetto interessato, defi-nizioni dei gradi professionali o delle gerarchie professionali assoluta-mente diverse. L'operaio ridotto a funzioni di sorvegliante può essere costretto a compiti semplici che non comportano alcuna comprensione dei problemi tecnici della produzione: al contrario però può essere anche chiamato a collaborare con i tecnici, addestrato e guidato da questi.

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L'operaio può assolvere in modo meccanico alla sua mansione, o al con-trario in forma singola o associata sviluppare iniziative sul piano stesso dell'organizzazione dell'impresa e talvolta precorrere i tecnici stessi sulla via delle innovazioni. Queste diverse eventualità naturalmente sono con-nesse alla dialettica che presiede alle relazioni industriali.

I cosiddetti condizionamenti professionali perdono di importanza dun-que ai fini di una compiuta valorizzazione del lavoro, ed il rapporto tra uomo (possessore di certe capacità) ed il lavoro (situazione isolata o iso-labile in cui le capacità si esercitano) fa luogo tendenzialmente al rap-porto tra due realtà complesse : il lavoro, inteso come fatto organizzativo unitario e l'uomo come entità non riducibile a pura unità matematica isolata, sibbene definibile sul lavoro da tutto l'insieme dei ruoli sociali della sua personalità.

D) Si annuncia l'automazione con i suoi riflessi sociali.

L'automazione — si sarà già avvertito — non esprime rispetto alla meccanizzazione un'idea originale, essa rappresenta soltanto una speci-ficazione del processo comportando un concetto dal contenuto tecnologico il più ampio possibile (13). Si entra nella fase che prende il suo nome quando si procede alla armonizzazione di una serie di operazioni, con-nesse le une alle altre, abbinandole collegandole in rapporti di interdi-pendenza in modo da ottenere una produzione automatica e continua.

« Secondo alcuni autori, l'automazione può essere praticamente con-siderata come l'abbinamento della meccanizzazione e del controllo auto-matico dell'operatrice. Sistemi, o meglio dispositivi di controllo nel senso convenzionale sono stati da lungo tempo impiegati da tutti i costruttori per regolare determinate funzioni o cicli operativi. Tra questi possiamo citare le camme, le sagome, i pezzi campione, gli arresti di fine corsa, 1 microinterruttori, i sistemi idraulici tarati ecc.

Il concetto di controllo automatico è legato a quello di programma-zione poiché è in funprogramma-zione di questa che una macchina utensile può essere predisposta in modo da compiere automaticamente una determinata sequenza di operazioni. Perciò, tutte le operatrici a ciclo automatico obbe-discono ad un programma prestabilito. Il programma può essere più o meno complesso (si possono infatti controllare le sole fasi di avvicina-mento rapido dell'utensile, il successivo avanzaavvicina-mento di lavoro e la ritrazione rapida con ritorno alla posizione di partenza, come pure altre funzioni ugualmente importanti come la variazione di velocita e di

avan-zamento e la ripetizione consecutiva del ciclo) ed essere di natura mec-canica (come nei torni automatici comandati da camme), elettromagnetica o addirittura elettronica, nel quale caso il passaggio da una sequenza di operazioni ad un'altra non richiede che il riposizionamento di una serie di contatti o selettori. La programmazione può, naturalmente, essere

adat-(13) Naturalmente anche per l'automazione si danno stadi diversi, dalla lavora-zione automatica ad un gruppo automatico in cui pm macchine sono umte per un processo di lavorazione conclusivo, ad un reparto automatico, ad una azienda intera-mente automatizzata; questi stadi possono essere compresenti nei diversi settori.

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