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Il protocollo di Kyoto è un trattato internazionale che fissa le linee guida generali per la riduzione delle emissioni inquinanti in atmosfera con l’obiettivo di far fronte ai possibili futuri cambiamenti climatici. Indirettamente favorisce quindi lo sviluppo di FER.

Il protocollo è stato sottoscritto l’11 dicembre 1997 da più di 160 paesi ma è entrato in vigore solo nel 2005 dopo la ratifica da parte della Russia avvenuta nel dicembre 2004. Sarebbe infatti entrato in vigore solo quando almeno 55 nazioni fra quelle firmatarie avesse ratificato il tutto con l’ulteriore condizione che la somma delle emissioni di tali stati superasse il 55% di quelle totali.

Chi avesse ratificato il protocollo si impegnava a ridurre le emissioni di almeno il 5,2% rispetto alle emissioni del 1990 nel periodo compreso fra il 2008 e il 2012.

Tale riduzione è a prima vista estremamente esigua soprattutto se si pensa che tale obiettivo riguarderebbe solo circa 150 Mt l’anno sulle 6000 Mt immesse prima dell’entrata in vigore del protocollo. Pur essendo esigua come riduzione per molti paesi tale obiettivo risulterà estremamente difficile da raggiungere.

Le emissioni ritenute come inquinanti risultano esser:

• Biossido di carbonio (CO2)

• Metano (CH4)

• Protossido di azoto (N2O)

• Idrofluorocarburi (HFC)

• Per fluorocarburi (PFC)

• Esafluoro di zolfo (SF6)

Globalmente i paesi che hanno ratificato il protocollo immettono in atmosfera circa il 60% delle immissioni globali. Considerando che a questa quota va sommato un 32% relativo agli USA che non hanno aderito al protocollo rimane fuori un misero 8% da assegnare in gran parte ai paesi sottosviluppati.

Per raggiungere gli obiettivi previsti oltre a utilizzare il più possibile FER e aumentare l’efficienza degli usi finali dell’energia dovranno esser incentivati gli ampliamenti delle zone boschive comunemente denominate polmone verde in quanto oltre ad assorbire parte degli inquinanti immessi in atmosfera mette a disposizione degli impianti a biomasse ingenti quantitativi di combustibili ritenuti come rinnovabili.

Risulta inoltre fondamentale la cooperazione fra i vari stati aderenti al protocollo in modo tale da poter interscambiare soluzioni e eventuali innovazioni tecnologiche. Nel momento in cui un paese riduce le proprie emissioni queste verranno certificate tramite i cosiddetti crediti di emissione. Questi si possono ottenere percorrendo tre strade:

• Riduzione delle sostanze inquinati immesse in atmosfera tramite progetti attuati nel proprio paese

• Realizzazione di sistemi per la riduzione delle emissioni in paesi in via di sviluppo in modo tale da ridurre le emissioni e creare uno sviluppo economico sociale in quei paesi. Tali operazioni vanno sotto il nome di Clean development mechanism (CDM)

• Realizzazione di progetti atti a ridurre le emissioni in paesi dello stesso gruppo denominati Joint implementatin (JI)

Tali crediti sono oggetto poi di contrattazioni e vendita. Se infatti un paese riesce a ridurre le emissioni oltre il proprio obiettivo potrà vendere i crediti di emissione ad un altro che non riesce a raggiungerlo in modo tale da evitare le sanzioni previste in caso di inadempimento degli impegni presi. Tale meccanismo è denominato Emission trading

Per gli Stati inadempienti vengono emanate due tipologie di sanzione.

La prima riguarda l’incremento della riduzione delle emissioni da ottenere in corrispondenza della seconda fase di attuazione del protocollo (quella in discussione per il periodo successivo al 2012). Tale aumento riguarda la differenza fra gli obiettivi previsti e quelli raggiunti aumentata del 30%.

La seconda sanzione è invece decisamente stravagante dato che riguarda l’esclusione dalla partecipazione ad uno o più meccanismi flessibili.

Oltre quindi a punire lo Stato si contraddice il presupposto dei meccanismi flessibili secondo cui non conta dove la riduzione di emissioni è ottenuta. Se ne può comprendere il significato solo premettendo che nel dibattito pre Kyoto i meccanismi flessibili erano stati visti quasi come una sorta di scappatoia per gli Stati che non volevano rivedere i loro modelli industriali. Lo Stato sanzionato è così costretto ad operare riduzioni di emissioni in casa propria, senza ricorrere ai più economici progetti fuori dai confini nazionali.

Queste tipologie di sanzioni non sono però pecuniarie. A fronte di queste sanzioni decisamente blande ne esiste una notevolmente più convincente in ambito UE.

La CE ha emesso infatti la Direttiva CE 87/03 ai fini dell’attuazione del Protocollo, istituendo un mercato di emissioni regionale (area UE) e imponendo agli Stati membri l'allestimento di un piano nazionale con l'assegnazione di permessi di emissione ai singoli impianti di alcuni settori produttivi (trasformazione energetica, produzione metalli ferrosi, lavorazioni minerarie, cementifici, vetrerie, cartiere).

Gli operatori di questi impianti potranno a certe condizioni partecipare al mercato dei certificati di emissione, vendendo o acquistando certificati a seconda delle emissioni emesse.

Per ogni tonnellata in equivalente CO2 emessa in eccesso dagli operatori essi dovranno pagare una multa pari a 40 euro nel periodo 2005-2007 e una multa pari a 100 euro a tonnellata nei periodi successivi. Si tratta di una sanzione estremamente importante, soprattutto se pensiamo che il valore che si stima avrà una tonnellata di CO2 sul mercato dei permessi di emissione (di prossima apertura) dovrebbe essere tra gli 8 e i 10 euro.

La sanzione è pari circa a 4 o 5 volte il valore di mercato di un corrispondente certificato di emissione.

Questa sanzione, oltre a costituire uno stimolo ulteriore per gli Stati UE a dare attuazione agli obiettivi di riduzione, potrebbe avere importanti effetti anche sul mercato dei permessi.

Infatti, qualora un numero importante di operatori di Stati europei si dovessero ritrovare con emissioni superiori alle quote di emissione per essi stabiliti, sarebbero fortemente motivati a ricorrere in massa all’acquisto di permessi di emissione sul mercato e ne spingerebbero in alto il prezzo (il permesso di emissione sul mercato è più conveniente della multa se il prezzo resta sotto i 40 euro).

In definitiva, il grande peso dei paesi UE nell’attuazione del Protocollo di Kyoto, unito alla presenza della “multa europea” potrebbero far lievitare notevolmente il prezzo dei permessi di emissioni, ben al di sopra degli 8-10 euro a tonnellata stimati per la fase iniziale del mercato. La conseguenza potrebbe quindi essere un forte stimolo agli Stati alla riduzione delle emissioni, poichè il costo delle ristrutturazioni necessarie a livello di processi produttivi e modelli di consumo risulterebbe più basso del prezzo dei permessi di emissione, a causa degli effetti indotti dalla “multa europea”.

Questo possibile scenario è una piccola garanzia che ci fa sperare che alla fine almeno i Paesi UE riescano a raggiungere gli obiettivi di Kyoto.

La situazione italiana è già stata descritta nel preambolo. Per evitare ripetizioni verrà inserita quindi solo una descrizione estremamente sintetica. In Italia al 2009 le emissioni erano calate del 4,1% rispetto al 1990 con un abbattimento del 9% rispetto all’anno precedente. Il raggiungimento degli obiettivi previsti sembra quindi a portata di mano (per l’Italia la riduzione si attesta al 6.5%). C’è però la necessità di capire se tale riduzione è dovuta alla crisi economica o a un miglioramento della situazione energetica nazionale. Visti gli andamenti precedenti alla crisi la prima opzione è la più accreditata. Nel tempo che rimane da qui al 2012 sarà quindi necessario attuare politiche energetiche idonee per non ritrovarsi in situazioni spiacevoli una volta terminata la crisi.

Piano 20-20-20

Insieme al protocollo di Kyoto è stato introdotta, con la stipula di questo piano, una ulteriore spinta verso un maggiore utilizzo delle FER con l’obiettivo di ridurre le emissioni inquinanti migliorando la qualità ambientale e scongiurando futuri cambiamenti climatici.

Il piano 20-20-20 è stato approvato il marzo 2007 dagli sati membri dell’unione europea ed introduce i seguenti obiettivi:

• Aumento dell’efficienza energetica del 20% rispetto ai valori relativi al periodo di entrata in vigore del piano

• Aumento dell’utilizzo delle FER del 20%

• Riduzione delle emissioni inquinanti del 20% rispetto al 1990

Oltre a questi tre obiettivi il piano stabilisce il raggiungimento della soglia del 10% relativa all’utilizzo di biocarburanti nei trasporti.

Tali obiettivi dovrebbero esser pienamente raggiunti entro il 2020. Raggiungere tali obiettivi vorrebbe dire senza dubbio, oltre che migliorare la situazione ambientale, creare nuovi posti di lavoro soprattutto nel campo delle energie rinnovabili.

Direttiva 2009/28/CE “promozione dell’uso dell’energia da FER