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NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

1.

Premessa

Negli ultimi anni la pubblica amministrazione in generale è stata oggetto di un ampio ed ambizioso progetto riformatore che ha sostanzialmente pre-so il via con l’approvazione della l. n. 124/2015, recante Deleghe al Governo in

materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.

Tra gli obiettivi dichiarati della riforma vi è, almeno per ciò che interessa in questa sede, una rinnovata attenzione per l’adozione di (nuove) forme di lavoro che consentano in particolare una più ampia promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti pubbli-ci (art. 14, su cui infra).

Invero, le pubbliche amministrazioni da tempo hanno accesso a quella par-ticolare forma di esecuzione della prestazione lavorativa da remoto che è il telelavoro, introdotto per il settore pubblico per la prima volta dalla c.d.

legge Bassanini-ter (art. 4, l. n. 191/1998) «allo scopo di razionalizzare

l’organizzazione del lavoro e di realizzare economie di gestione attraverso l’impiego flessibile delle risorse umane». Obiettivo, questo, in grado di inci-dere in maniera decisiva sulla modernizzazione dell’organizzazione del lavo-ro e dei servizi degli uffici pubblici italiani, andando dunque oltre alla sem-plice (seppur rilevante) tematica della conciliazione dei tempi di vita e lavoro dei dipendenti, cui invece sembra confinata la visione odierna.

Diversamente dal settore privato, dunque, il telelavoro ha nel settore pubblico una precisa fonte di regolazione primaria, attuata attraverso l’emanazione di un ulteriore atto (il d.P.R. n. 70/1999) e la stipula di un suc-cessivo Accordo quadro nazionale per il telelavoro nella Pubblica Ammini-strazione firmato in data 23 marzo 2000 tra l’Aran (l’agenzia di rappresen-tanza per la negoziazione collettiva della pubblica amministrazione) e le or-ganizzazioni sindacali di settore.

Tutto ciò lascerebbe immaginare una più ampia diffusione di tale modalità di lavoro rispetto a quanto avvenuto nel settore privato. Al contrario – al di

là di alcune buone pratiche censite nei primi anni Duemila dal Dipartimento della funzione pubblica – poche sono state le sperimentazioni di suc-cesso e rilevanti quanto ad obiettivi raggiunti, tanto da spingere di recente il legislatore ad intervenire nuovamente e più volte sul tema (da ultimo, d.l. n. 179/2012), obbligando le amministrazioni pubbliche a redigere entro il me-se di marzo di ciascun anno un piano di attuazione del telelavoro, da pub-blicarsi, per rispondere alla consueta logica di trasparenza, sui siti web di ri-ferimento. Logica di trasparenza che però non consente, ad oggi, un com-plessivo monitoraggio ed una conseguente valutazione della attuazione di tali disposizioni in termini di successo e concreta modernizzazione dei ser-vizi e della organizzazione del lavoro nella PA.

Risale infatti al lontano 2004 un (probabilmente unico) rapporto organico sull’attuazione del telelavoro nel settore pubblico; rapporto che comunque evidenziava alcune best practices diffuse in alcune amministrazioni pubbliche che avevano permesso miglioramenti organizzativi ed efficientamento dei servizi ai cittadini.

Un esempio di successo cui riferirsi può essere il caso della Agenzia del Ter-ritorio che attraverso lo schema Office to Office è riuscita a far fronte alle ca-renze di organico di alcuni uffici sommate all’ingente carico di lavoro, affi-dando lo “smaltimento” del notevole arretrato accumulato nel tempo a col-leghi che vi lavoravano a distanza, presso altre sedi meno cariche di lavoro. Richiamando considerazioni da svolgersi in altra sede del presente lavoro, una siffatta organizzazione non sarebbe consentita dalle norme appena en-trate in vigore in materia di lavoro agile, in quanto escludono (nel privato) forme di lavoro agile in hub aziendali o comunque altre sedi della stessa or-ganizzazione (parte II); in questo senso, l’unica strada percorribile risulta ancora essere il “vecchio” telelavoro.

È su questo sfondo che il legislatore del 2015 ha inteso intervenire con una tipica norma-incentivo che ponesse le basi per un rilancio del telelavoro e per l’introduzione di «nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa» (art. 14, l. n. 124/2015). Per mezzo di tale ultima previsione, alquanto generica, il legislatore si è voluto ricollegare alla discus-sione, allora già in atto, relativamente alla regolamentazione per legge di quella nuova modalità di lavoro, variamente definita smart working o lavoro agile, che è oggi disciplinata dalla l. n. 81/2017.

2.

L’articolo 14 della legge n. 124/2015

L’art. 14 della legge delega di riforma della pubblica amministrazione vin-cola ciascuna amministrazione ad introdurre misure organizzative volte a fissare obiettivi annuali per: a) l’attuazione del telelavoro, così richiamando implicitamente le norme citate pocanzi; b) la «sperimenta-zione, anche al fine di tutelare le cure parentali, di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa», perifrasi che, si è detto poco sopra, allude evidentemente alle forme di smart working o lavo-ro agile che già costituivano prassi diffusa nell’ambito del settore privato. Gli obiettivi annuali fissati dovranno garantire l’accesso alle modalità di lavoro “da remoto” ad almeno il 10% dei dipendenti di ciascuna am-ministrazione nell’arco temporale di un triennio.

Segue poi una serie di ulteriori disposizioni di dettaglio, ed in particolare: 1. il principio di parità di trattamento e di non discriminazione

dei lavoratori in regime di telelavoro o lavoro agile;

2. l’adozione delle misure organizzative, così come il raggiungi-mento degli obiettivi posti dallo stesso articolo, costituirà oggetto di valutazione delle performance individuali e della intera amministrazione di appartenenza;

3. le amministrazioni adeguano i propri sistemi di monitorag-gio e controllo interno, individuando idonei indicatori per la mi-surazione del grado di efficacia ed efficienza del sistema adottato nell’ottica sia della qualità dei servizi erogati che della idoneità di tali misure allo scopo prefissato, ovvero la migliore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti pubblici, prevedendo anche eventuali forme di consultazione dei cittadini.

Il terzo comma del medesimo articolo dispone invece che siano adot-tati, tramite direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Conferenza unificata per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Pro-vince autonome di Trento e Bolzano, indirizzi per l’attuazione di tali obiettivi e linee guida che definiscano regole comuni per la necessa-ria ri-organizzazione del lavoro in questa ottica di flessibilità spazio-temporale. Direttiva approvata in sede di Conferenza unificata nella seduta del 25 maggio 2017 (per una analisi de contenuti si veda infra). Da notare è che l’art. 14, dal punto di vista cronologico, precede l’entrata in vigore della l. n. 81/2017, il cui art. 18, comma 4 (come anticipato supra, parte II), estende l’applicazione del suo capo II (Lavoro agile) alla PA. Lo stesso comma richiama, peraltro, la direttiva da adottarsi ai sensi dell’art. 14 della l. n. 124/2015 a garanzia di un sostanziale raccordo tra i diversi inter-venti normativi.

La rubrica dell’art. 14 (Promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche) evidenzia in maniera limpida quale sia l’obiettivo perseguito dal legislatore, che però la l. n. 81/2017 integra (art. 18, comma 1) con il fine di incrementare i livelli di competitività. Con ciò si supera dunque il solo concetto della concilia-zione dei tempi di vita e di lavoro, incentivando forme flessibili di organiz-zazione dello svolgimento della prestazione lavorativa nell’ottica della ri-cerca di incrementi di competitività e produttività degli uffici pubbli-ci. Fine ultimo, questo, che – in ragione della estensione operata dal legislatore del 2017 – ben può essere riferito anche alla PA.

Nelle more della adozione delle linee guida, la struttura della Presi-denza del Consiglio dei Ministri ha provveduto a siglare un protocollo in materia di lavoro agile con le organizzazioni sindacali di settore, esercitando così la propria autonomia negoziale sulla falsa riga di quanto re-gistrato negli ultimi anni nel settore privato.

3.