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CAPITOLO 2 RIPERCUSSIONI SOCIALI E PSICOLOGICHE

2.5 Qualità della vita e psicopatologia nei pazienti con epilessia

Nei precedenti paragrafi ci siamo soffermati sulle credenze negative diffuse tra la gente, ma soprattutto abbiamo esaminato i processi attraverso cui le persone con epilessia sono stigmatizzate a livello sociale; abbiamo anche esaminato le funzioni che svolge a livello sociale lo stigma.

Qui di seguito verranno analizzate le ripercussioni che lo stigma ha sulle persone malate e sulla qualità della loro vita, soffermandoci sui correlati psicopatologici della malattia, come per esempio comportamenti aggressivi, depressione, ansia e sintomi psicotici.

A tal proposito, emergono diverse prospettive: nella prima, lo stigma interviene come una variabile che si inserisce tra la malattia neurologica e le sue conseguenze a livello psicologico e relazionale; nella seconda prospettiva, più tradizionale, è l’epilessia di per sé a determinare livelli più o meno gravi di psicopatologia; infine nella terza prospettiva, si tende a pensare che i vari correlati comportamentali, emotivi e di personalità dell’epilessia siano il risultato del processo di adattamento alla malattia.

Volendo dare una definizione di Qualità della vita (QdL), possiamo dire che ad oggi non c’è ancora unanimità riguardo la definizione di tale costrutto. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la QdL rappresenta: “la percezione che ciascuna persona ha della propria posizione nella vita, nel contesto dei sistemi culturali e di valori nei quali è inserito e in relazione alle proprie finalità, aspettative, standard ed interessi. Si tratta di un concetto ampio influenzato in modo complesso dalla salute fisica, dallo stato psicologico, dal livello di indipendenza e dalle relazioni con fenomeni rilevanti del proprio contesto” (WHO, 1994).

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Questa definizione sottolinea la concezione secondo cui la qualità della vita si riferisce ad una valutazione soggettiva, con implicazioni sia positive che negative e che è inserita in un determinato contesto culturale, sociale e ambientale. La qualità della vita riflette la percezione degli individui di veder soddisfatti i propri bisogni e di non vedere negate loro le opportunità di raggiungere la felicità e di sentirsi realizzati, indipendentemente dallo stato di salute fisico e dalle condizioni sociali ed economiche.

La diagnosi di epilessia opera un’importante trasformazione in chi ne è affetto: non si è più una persona, ma un/a “epilettico/a”, con conseguenti implicazioni sfavorevoli a livello di identità personale, fonte di notevole stress, dato il significato attribuito a questa parola.

L’accettazione passiva, da parte delle persone epilettiche, di “etichette” che vengono loro attribuite dalla società, che stanno ad indicare la loro condizione come una diversità indesiderata, determinando rifiuto sociale e costituendo un elemento permanente per un potenziale stigma, sembra svolgere una funzione di adattamento alla propria condizione. Questo può dar luogo a un insieme di comportamenti volti principalmente a celare e nascondere la propria malattia.

È importante precisare, comunque, che non tutte le persone con epilessia accettano passivamente di essere etichettate come epilettici; in ogni caso, la diagnosi avrà degli effetti negativi a livello di autostima solo quando la svalutazione sociale della propria condizione sarà da loro accettata. Infatti, una cosa è essere definiti devianti, un’altra è riconoscere questa definizione come legittima.

Diversamente da coloro la cui diversità è immediatamente visibile o evidente, per le persone con epilessia il problema cruciale diventa la gestione dell’informazione, vale a dire, la scelta di che cosa svelare della propria condizione di malato e a chi. E così, ben consapevoli dello stigma potenziale

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dovuto al loro stato, spesso impiegano complesse procedure di controllo dell’informazione.

La segretezza diviene una chiave significativa di adattamento per molte di queste persone e gli sforzi messi in atto per mantenerla sono proporzionali all’intensità dello stigma percepito. Tali sforzi implicano una precisa pianificazione per evitare situazioni ad alto rischio, che potrebbero condurre a svelare il loro stato di salute, nonché lo sviluppo di strategie per coprire l’innegabilità dell’epilessia. D’altro canto, la tendenza dei malati a ridurre la visibilità della loro condizione è comprensibile se pensiamo che la visibilità e il controllo delle crisi sono in stretta relazione con le difficoltà che i malati incontrano nelle interazioni interpersonali.

Spesso i pazienti si chiedono se saranno considerati epilettici per sempre. La risposta a questa domanda sembra essere positiva, se consideriamo che in generale lo stigma, per definizione, è indistruttibile e irreversibile; quindi queste persone continuano a vivere con l’etichetta di “epilettico”anche quando sono in una fase di progressivo miglioramento e remissione da molto tempo.

La maggior parte degli studi sull’epilessia si sono focalizzati sull’indagine dei correlati psicopatologici del disturbo. Si pensa, infatti, che diversi fattori che caratterizzano l’epilessia, come per esempio le alterazioni neurologiche e l’uso di medicinali possano contribuire allo sviluppo di psicopatologia, costituendo la causa primaria nella sua eziologia.

Alcuni studiosi sono dell’idea che la psicopatologia nei pazienti con epilessia sembra essere in parte attribuibile all’epilessia stessa, in quanto condizione cronica, come dimostrato dal fatto che sono stati riscontrati maggiori disturbi comportamentali in pazienti con epilessia cronica rispetto a pazienti con nuova diagnosi di epilessia.

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2.6 – EFFETTI DELLO STIGMA PERCEPITO E ATTUATO

SULLA QUALITÀ DELLA VITA DEGLI EPILETTICI, SUL

LORO ADATTAMENTO E DISADATTAMENTO ALLA

MALATTIA

Scambler (1989) ha osservato che sebbene molte persone con epilessia siano convinte del fatto che esista un pregiudizio nei confronti della loro condizione, di fatto poche riescono a fornire un esempio di una situazione in cui sono state oggetto di pregiudizio. Su questa base è stata sviluppata una distinzione teorica tra “stigma percepito” e “stigma messo in atto”.

Lo stigma percepito si riferisce alla vergogna associata all’essere epilettico; lo stigma messo in atto è la paura di fare un’esperienza reale di discriminazione, dovuta al fatto stesso di essere epilettici ed è quindi correlato al vissuto soggettivo dell’individuo. Ne segue che, spesso, la paura di fare un’esperienza di discriminazione, sulla base di credenze errate o pregiudizi diffusi tra la gente, può causare comportamenti che confermano effettivamente queste credenze.

Le preoccupazioni circa lo stigma possono dar luogo a problemi di adattamento, riduzione dell’autostima e ripercussioni negative sulla qualità della vita. Di conseguenza, ci si aspetta che una riduzione dello stigma possa comportare un miglioramento nella qualità della vita di queste persone.

Come è stato già detto in precedenza, non tutte le persone si sentono stigmatizzate dall’epilessia; molto dipende dalle esperienze personali e da quanto viene appreso negli ambienti sociali e del lavoro. L’istruzione sembra giocare un ruolo importante nel contrastare gli effetti dello stigma dal momento che le persone più istruite ne soffrono meno.

Le persone con epilessia adottano delle strategie di coping o di adattamento per affrontare lo stigma. Alcune strategie, però, come il ritiro sociale e

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mantenere il segreto circa la propria malattia, presentano conseguenze fortemente negative per la qualità della vita e possono rafforzare la percezione di essere stigmatizzati.

Tuttavia, questi processi interni sono insufficienti a spiegare l’esperienza dello stigma, con la conseguente discriminazione da parte degli altri e i suoi effetti deleteri sulla qualità della vita; senza dubbio lo stigma può essere considerato tra le cause principali di disturbi psicologici nelle persone che lo subiscono, dal momento che esse sono sottoposte a un grave stato di stress.

Le ricerche sull’argomento hanno messo in evidenza l’esistenza di differenze sostanziali nello stigma percepito a seconda della cultura di appartenenza dei malati. Tali differenze sono probabilmente dovute a diversità nelle credenze diffuse a livello socio-culturale, nei sistemi dei servizi sanitari, nella quantità di cure elargite, nei sistemi delle pari opportunità e nella protezione legale di cui godono le persone malate.

Lo stigma è risultato associato con un basso livello di autostima, un maggior senso di impotenza, di ansia, depressione, una sintomatologia psicosomatica, uno scarso senso di soddisfazione circa la propria vita e una scarsa autoefficacia.

Storicamente, l’epilessia è stata stigmatizzata come la patologia medica per eccellenza e anche nel mondo contemporaneo, il suo stigma rimane reale e grave, tanto da compromettere la qualità della vita di coloro che ne soffrono; dalle ricerche è emerso un aumento dei livelli di psicopatologia e, viceversa, una riduzione delle interazioni sociali nelle persone che presentano questa patologia, in associazione allo stigma. Non c’è dubbio, quindi, che la relazione tra stigma e psicopatologia è chiaramente supportata dai risultati della ricerca scientifica.

Ciononostante, non tutti reagiscono negativamente alla diagnosi di epilessia; alcuni, infatti, si adattano alla loro condizione in modo efficace. Ciò che sembra differenziare il gruppo “degli adattati” dal gruppo dei cosiddetti

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“disadattati”, sembra risiedere nel grado di controllo che le persone riescono ad esercitare nella gestione della propria condizione. I “disadattati” si sentono oppressi dall’epilessia, vedendola come un limite o addirittura come motivo di esclusione sia sul piano personale che sociale, dal momento che influisce negativamente sulla loro educazione, sulla possibilità di trovare un’occupazione, di sposarsi e avere una vita familiare, ostacolandone quindi la felicità.

Va precisato, comunque, che alcune variabili cliniche, tra cui la frequenza delle crisi e l’età d’esordio della malattia sono spesso associate con la percezione dello stigma: più le crisi sono frequenti e maggiore è l’età di insorgenza, più si sente il peso dello stigma, più alta è la probabilità che i pazienti sperimentino ansia e depressione, più essi tendono a pensare che l’epilessia possa influenzare negativamente la loro vita quotidiana, oltre che il loro livello di soddisfazione. Quindi, la relazione tra percezioni dello stigma e qualità della vita risulta essere complessivamente forte.

L’importanza dello stigma nel determinare la qualità della vita del paziente epilettico è testimoniata dalla “Campagna Globale contro l’Epilessia”, promossa nel 1997 dalla World Health Organization, in associazione con l’International League Against Epilepsy, con lo scopo di rendere certi la diagnosi, il trattamento, la prevenzione e l’accettabilità sociale dell’epilessia (Iudice & Murri, 2006).

Volendoci soffermare sulle modalità con cui le persone epilettiche reagiscono alla malattia, modalità che possono risultare disfunzionali, oppure favorire la qualità della vita, si può notare che le cause dei problemi psicosociali di adattamento all’epilessia possono essere ricondotte a quattro principali categorie:

- l’ansia e le preoccupazioni dovute all’imprevedibilità e alla mancanza di controllo associate alla diagnosi;

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- lo stigma percepito e la discriminazione associate all’etichetta diagnostica di epilessia;

- un aumento dell’impatto di eventi stressanti propri della condizione di epilessia;

- tutte quelle conseguenze riguardanti la salute, derivanti dalla negazione della propria condizione.

Esaminando più nel dettaglio le precedenti categorie emerge che, anzitutto, nonostante le recenti scoperte in campo farmaceutico abbiano reso le crisi epilettiche maggiormente controllabili, esiste ancora un’intensa componente di imprevedibilità nella loro cura, rimanendo per molti individui ancora incontrollabili.

Un’importante conseguenza di ciò è rappresentata dal fatto che la propria vita appare espropriata della capacità di prevedere gli eventi futuri e di controllare il proprio comportamento. Ciò può aumentare i livelli di ansia e paura in generale, così come attivare paure molto più specifiche che sono collegate a particolari situazioni, come per esempio la paura di avere una crisi in un luogo pubblico e di trovarsi in una condizione imbarazzante, la paura di provocarsi dei danni fisici, di andare incontro a forti stati emotivi, l’angoscia relativa alla perdita del lavoro e, infine, anche la paura della morte.

Chi pensa di avere scarso controllo sulle crisi va maggiormente incontro al rischio di comportamenti che sono espressione di disadattamento in diversi ambiti della vita e del funzionamento psicosociale.

Come già ampiamente detto sopra, l’epilessia è stata spesso considerata come una delle condizioni mediche più stigmatizzanti; tra i suoi attributi maggiormente screditanti sono comprese tendenze criminali, devianza sessuale, deficit cognitivi e immoralità.Le conseguenze di queste percezioni discriminanti sono numerose e spesso appaiono evidenti nella negazione di benefici comunemente concessia coloro che non ne sono affetti.

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Infine, la percezione di essere discriminati può provocare sentimenti di rifiuto sociale, senso di svalutazione da parte degli altri che, spesso, fa sentire le persone isolate socialmente, portando al ritiro in sé, alla depressione, a uno stato di frustrazione, di vergogna e senso di colpa.

Passando a esaminare gli eventi stressanti scatenati dall’epilessia, vediamo che essi includono un’ampia gamma di situazioni come per esempio la necessità di seguire una terapia medica rigida, l’aumento della perdita di memoria, l’impossibilita di ottenere la patente di guida, nonché numerose limitazioni imposte in svariati ambiti della vita quotidiana.

A queste situazioni che presentano un’ elevata valenza negativa, dobbiamo aggiungere la frustrazione provata quando i pazienti pensano che i farmaci sono inefficaci nel curare le crisi e che, nello stesso tempo, possono avere pericolosi effetti collaterali.

Un’ulteriore categoria di situazioni stressanti è quella inerente il timore del pregiudizio nei propri confronti, l’iperprotettività da parte di parenti e amici, la dipendenza dagli altri, il rifiuto da parte della società, le restrizioni imposte sul consumo di alcol, la paura per i propri figli che potrebbero avere una predisposizione alla malattia e la paura di avere attività sessuali.

A sostegno del ruolo giocato dagli eventi stressanti sulla salute psicologica delle persone con epilessia, alcuni studi hanno riscontrato che maggiore è il numero di eventi stressanti (inclusa una diminuzione dello status economico), maggiore è il livello di psicopatologia, così come è maggiore la depressione.

Una tendenza abbastanza diffusa tra le persone con epilessia è la negazione delle implicazioni connesse con la malattia. Questa negazione si manifesta in reazioni poco perspicaci e ambigue, le quali appaiono evidenti attraverso attività come: non aderire alle prescrizioni mediche, mettersi alla guida anche quando le crisi non sono pienamente sotto controllo, bere alcolici e, infine, essere insistenti sul posto di lavoro per assumere mansioni pericolose.

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In particolare si è riscontrato un dato ancora più allarmante, ovvero il fatto che la negazione della malattia da parte dei pazienti è spesso associata alla mortalità precoce, derivante da crisi non controllate.

In sintesi, vivere con una malattia cronica come l’epilessia, può indurre nelle persone reazioni diverse e molteplici che, alle volte, sono d’aiuto, altre, invece, si rivelano inefficaci e addirittura dannose. In questi casi, continuare nei propri tentativi individuali di risoluzione dei problemi può rivelarsi controproducente, mentre sarebbe molto più auspicabile accettare l’idea di rivolgersi al personale specializzato per ottenere un aiuto reale e valido.

2.7

– LE ASSOCIAZIONI RIVOLTE AI PAZIENTI

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