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CAPITOLO 2 RIPERCUSSIONI SOCIALI E PSICOLOGICHE

2.3 Teorie e credenze sull’epilessia

Negli ultimi decenni, si è assistito a un sorprendente e promettente avanzamento delle conoscenze inerenti sia la comprensione scientifica dell’epilessia, con la sua definizione clinica, sia il suo trattamento. Essa è oggi considerata come una condizione neurologica e numerosi studi epidemiologici su larga scala hanno tenuto conto di una visione molto più favorevole della sua prognosi, rispetto alla visione prevalente in passato. Ma nonostante il fiorire di teorie e ricerche scientifiche stimolanti, che avrebbero dovuto dissipare i vecchi miti, sembra che, in certa misura, l’eredità di concetti ormai sorpassati persista ancora tra la gente. A un’attenta analisi, il pregiudizio sociale non sembra migliorato, ma piuttosto un tipo di pregiudizio è stato sostituito da un altro. Secondo alcuni ricercatori (Hill, 1981), la permanenza di pregiudizi trae origine da alcune teorie dominanti nel mondo scientifico occidentale alla fine del XIX secolo. Alcune sottolineano l’esistenza di una relazione tra epilessia e comportamento criminale e violento, relazione che in seguito risulterà centrale nel concetto di personalità epilettica. Secondo questa concezione, infatti, le persone con epilessia, oltre alle crisi, presentano un insieme di tendenze, per meglio dire tratti di personalità, indesiderabili, come l’aggressività, un’eccessiva religiosità e una sessualità sfrenata; i malati sarebbero quindi matti e cattivi, soggetti a improvvisi e

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imprevedibili attacchi di violenza, con probabili tendenze all’omicidio e senza dubbio caratterizzati da depravazione morale.

Troviamo infine la più recente teoria della nevrosi epilettica, che vede i problemi comportamentali e psicologici, spesso associati all’epilessia, come reazioni naturali alla sofferenza provata dalle persone che ne sono affette per far fronte alle esigenze della vita. Anche questa teoria, comunque, sottolineando le difficoltà a livello individuale, non ha fatto altro che spostare l’attenzione da importanti fattori sociali che possono causare gli eventuali problemi psicologici dei malati. Vero è che tutte queste teorie, come spesso accade, sono circolate tra i non esperti e sono state trasferite poi nelle caratteristiche distintive negative dell’epilessia diffuse tra la gente, come è stato dimostrato da numerose indagini riguardanti le conoscenze e gli atteggiamenti nei confronti dell’epilessia.

Per quanto riguarda le cause dell’epilessia, vediamo che l’opinione più diffusa riguarda la sua ereditarietà, l’epilessia in alcuni casi presenterebbe una base genetica: essa passerebbe di generazione in generazione, senza fine. All’origine di tale opinione sembra esserci la teoria ingenua secondo cui le crisi sono causate dalla presenza di “nervi deboli” e che tale debolezza si tramandi di madre in figlio.

Tra le altre credenze ricorrenti, sempre inerenti le cause, rintracciamo quella secondo cui l’epilessia sia legata e scatenata da particolari eventi di vita stressanti, alla conseguente stanchezza che ne deriverebbe, alla febbre o addirittura verrebbe scatenata da condizioni atmosferiche estreme, come per esempio un forte vento, o da violenti cambiamenti stagionali.

È importante puntualizzare, comunque, che in molti Paesi del mondo le credenze circa le cause dell’epilessia e lo scatenarsi delle crisi stesse sono l’esito di un complesso intrecciarsi di concetti bio-medico scientifici, della medicina popolare e, per molto tempo, della mitologia. Vediamo così che l’epilessia era considerata come l’espressione di eventi neurologici, ma anche di uno squilibrio

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a livello corporeo; fa inoltre riferimento a cause psicologiche oltre che a cause fisiche.

Va precisato, in più, che le credenze riguardanti le cause di questa malattia spesso dipendono dal livello di scolarizzazione della gente. Sono inoltre proposti fattori dietetici, come mangiare cibi molto grassi o a elevate temperature, cibi piccanti, cioccolata e bevande alcoliche, mentre solo raramente oggi la gente fa riferimento alle cause spirituali dell’epilessia.

Si riscontrano anche interessanti credenze circa il decorso e il trattamento della malattia, per esempio emerge la consapevolezza diffusa tra i pazienti e i loro familiari che, sebbene il disturbo non possa essere eliminato, si potrebbe trarre un enorme vantaggio dall’assunzione regolare e prolungata dei farmaci. Tale credenza può avere un impatto notevole sull’aderenza al trattamento farmacologico. In aggiunta, va sottolineata l’importanza attribuita a una regolazione dell’umore e dello stile di vita, così come la necessità di evitare di affaticarsi con un sovraccarico di lavoro, di farsi prendere dalla rabbia,di evitare temperature troppo calde o troppo fredde, ma anche sottrarsi a rumori e luci lampeggianti. C’è da sottolineare il fatto che, tutte queste strategie comportamentali, sono viste come un’integrazione al trattamento farmacologico, insieme alle cure e al supporto familiare, nonché all’essere confortato psicologicamente.

È interessante approfondire anche le credenze inerenti alle conseguenze dell’epilessia. L’opinione diffusa è che l’epilessia causi ripercussioni negative sul corpo e sulla salute in generale, tali da rendere coloro che ne sono affettipiù suscettibili nello sviluppare altre malattie in quanto ritenuti fisicamente più deboli rispetto agli altri. Sul piano fisico, sono abbastanza diffuse le paure circa le possibili lesioni conseguenti alle crisi e il rischio di morte, ma le paure riguardano anche il possibile danno agli organi causato dal ripetersi delle crisi.

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Le credenze sulle conseguenze dell’epilessia fanno riferimento anche ad uno stato di indebolimento a livello cognitivo e psicologico. Frequentemente sono messi in rilievo gli effetti negativi interni sia sul funzionamento intellettuale, sia sullo stato psicologico con conseguente deterioramento di tali funzioni. Le persone con epilessia sono in genere descritte come meno intelligenti e comunque con un declino delle loro funzioni intellettive successivo all’esordio delle crisi, qualche volta attribuite agli effetti collaterali dei farmaci. Spesso sono anche attribuiti alla malattia cambiamenti in negativo del carattere.

Un’altra credenza evidenziata riguarda la probabilità che l’epilessia porti a pregiudicare le prospettive occupazionali, avendo così un impatto negativo anche sul lavoro. In particolare, ciò che si tende a pensare è che l’imprevedibilità delle crisi rappresenti un rischio per il lavoro e un potenziale pericolo per l’incolumità del paziente. Quest’ultimo dovrebbe evitare di svolgere sia lavori a contatto con il pubblico, per evitare possibili imbarazzi, sia impieghi eccessivamente pesanti che potrebbero scatenare le crisi. In più, si tende a credere che le persone con epilessia siano in generale inaffidabili; come lavoratori sono “meno competenti”, per via della loro tendenza ad avere le crisi.

Infine, i loro stessi familiari, poiché risultano generalmente iperprotettivi, sono convinti del fatto che i pazienti epilettici non dovrebbero lavorare fuori casa. Dai dati ricavati dalle indagini emerge che ciò che la larga maggioranza degli intervistati pensa è che chi ha l’epilessia non dovrebbe fare lavori che non sono permessi dalle leggi.

Ulteriori credenze abbastanza diffuse hanno attinenza con il matrimonio e la mancanza di prospettive di questo tipo. In molti Paesi l’epilessia era vista in passato e, in parte, è vista anche oggi, come un impedimento nel fare e nel mantenere le amicizie e nel trovare un compagno/a, dal momento che “ogni persona cerca un partner sano”. La logica di questo ragionamento è rafforzata da un insieme di opinioni molto ricorrenti, secondo cui un partner con epilessia è

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indubbiamente meno desiderabile, di conseguenza le sue prospettive di un legame sentimentale sono viste come pressoché inesistenti; inoltre si ritiene che alcuni matrimoni finiscano più facilmente con un divorzio a causa del peso della malattia sul partner.La convinzione frequenteè che una persona con epilessia è meno capace di contribuire pienamente e adeguatamente a un’ampia varietà di attività della vita quotidiana, anche quando non è affetto dalle crisi, per adempiere al proprio ruolo matrimoniale.

Lo stigma, inoltre, influenza negativamente le opportunità di istruzione, di formazione nonché le possibilità di un eventuale carriera a livello lavorativo. Sono molto pochi coloro che ottengono un titolo universitario o una specializzazione. Va precisato che la discriminazione nei loro confronti è un problema che riguarda un po’ tutte le nazioni.

Alla luce di queste credenze diffuse circa le conseguenze generali dell’epilessia viene spontaneo chiedersi se e quanto l’epilessia influenzi la qualità della vita di chi ne è affatto. A fare la differenza nella persistenza dei pregiudizi e delle discriminazioni, comunque, è il grado di contatto o la familiarità che si ha con la malattia. Sembra infatti che coloro che hanno un minimo di familiarità sono anche quelli che mostrano di avere nozioni molto più vicine alle attuali conoscenze mediche.

Altri fattori che sembrano spiegare un atteggiamento positivo, unito a una conoscenza non influenzata dagli stereotipi sono: l’essere donna, avere un’età media e appartenere a una classe sociale più elevata. In particolare, sembra che i più giovani e i più anziani siano anche quelli che mostrano una minore conoscenza di base e un atteggiamento più negativo (D’amico et al., 2010).

Infine, di fondamentale importanza risultano essere le opinioni delle figure professionali, soprattutto dei medici, in merito alla patologia. Tali figure rivestono, infatti, un ruolo fondamentale nella percezione che i loro pazienti

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hanno di se stessi, con la capacità di ridurre il senso di disabilità percepito dai malati, nonché di esclusione sociale.

2.4

NORMATIVE

DISCRIMINATORIE

E

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