• Non ci sono risultati.

Epilessia, Temperamento e Carattere: uno studio sperimentale con un gruppo di pazienti dell'U.O. di Neurologia dell'Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Epilessia, Temperamento e Carattere: uno studio sperimentale con un gruppo di pazienti dell'U.O. di Neurologia dell'Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana"

Copied!
92
0
0

Testo completo

(1)

Perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te (Battiato, 1996)

(2)

III

INDICE

INTRODUZIONE………V

CAPITOLO 1 - ASPETTI NEUROFISIOLOGICI DELL’EPILESSIA...……..1

1.1 Definizione dell’epilessia, delle crisi e delle sindromi epilettiche…………..2

1.2 Epidemiologia e mortalità nell’epilessia………...4

1.3 Classificazione……….5

1.3.1 Classificazione delle crisi epilettiche………...6

1.3.2 Classificazione delle sindromi epilettiche………9

1.3.3 Classificazione delle sindromi epilettiche in relazione alla prognosi..9

1.3.4 Classificazione eziologica dell’epilessia………10

1.4 Valutazione e diagnosi differenziale di epilessia………..11

1.5 Trattamento dell’epilessia……….17

CAPITOLO 2 - RIPERCUSSIONI SOCIALI E PSICOLOGICHE DELL’EPILESSIA SULLA QUALITÀ DELLA VITA DEL PAZIENTE……21

2.1 Stigma e credenze sull’epilessia come condizione screditante……….22

2.2 Natura e funzioni dello stigma nell’epilessia a livello sociale………..24

2.3 Teorie e credenze sull’epilessia……….26

2.4 Normative discriminatorie e interiorizzazione dello stigma verso l’epilessia……….31

(3)

IV

2.6 Effetti dello stigma percepito e attuato sulla qualità della vita degli epilettici,

sul loro adattamento e disadattamento alla malattia………....36

2.7 Le associazioni rivolte ai pazienti epilettici………..41

2.8 Le ripercussioni psicologiche dell’epilessia………..…………42

CAPITOLO 3 – LA RICERCA………...44

3.1 Gli obiettivi dello studio………44

3.2 I partecipanti………..45

3.3 Lo strumento………..47

3.3.1 Teoria dei tratti: il modello a 7 fattori di Cloninger….………..49

3.4 Analisi dei dati………...58

3.5 Analisi descrittiva del campione………...59

3.6 Analisi inferenziale del campione……….66

3.7 Discussione dei risultati……….70

CONCLUSIONI………..72

BIBLIOGRAFIA……….78 Ringraziamenti

(4)

V

INTRODUZIONE

“Penso che l’epilessia, detta anche morbo sacro, non ha nulla di divino e di più sacro delle altre malattie […] Coloro che hanno consacrato l’epilessia alla divinità, li considero persone della stessa specie degli stregoni, incantatori, ciarlatani, bigotti. Hanno ricoperto la loro ignoranza con il mantello della divinità”

(Ippocrate cit. in Roselli, 1996)

Sin dall’antichità, l’epilessia è stata accompagnata da svariati miti e leggende. In passato, così come nelle società primitive, si pensava che traesse origine da cause maligne della natura, oppure, che fosse associata con il peccato e con la possessione demoniaca. L’imprevedibilità e la drammaticità delle sue eclatanti manifestazioni sintomatiche – le crisi – costituivano uno spettacolo così terrificante per un osservatore sprovveduto, tanto da indurlo ad alleviare le pene delle persone affette attraverso rimedi sovrannaturali. Inoltre, a differenza di molte altre patologie, essa, fatta eccezione per le crisi, non esibisce segnali esterni della sua presenza.

In relazione all’inspiegabilità della sua comparsa, l’epilessia rappresentava l’espressione di una punizione divina e, come tale, veniva chiamata “Mal Sacro”; queste credenze risalgono al periodo del Medioevo, contrassegnato da una cultura religiosa incentrata sulla demonizzazione di figure quali il diavolo o le streghe. Prima ancora, i romani indicavano la crisi epilettica anche come “Morbus Comitialis”; quando uno dei presenti cadeva in preda a un attacco epilettico, le adunanze andavano interrotte, perché questo evento era considerato un presagio infausto nei confronti delle decisioni che dovevano essere prese durante l’assemblea (D’Amico, Cipulli & Giancristofaro, 2010).

(5)

VI

Anche in ambito psicologico e sociale, da sempre, l’imprevedibilità delle crisi epilettiche e la loro manifestazione di solito drammatica hanno alimentato paura tra la gente e senso di impotenza. Nella perdita di controllo che si accompagna ad esse, le persone durante la crisi erano viste come regredire allo stato primordiale, rappresentando così la debolezza umana, l’incertezza e l’eccentricità e, pertanto, costituendo un pericolo per la società. Non sorprende, quindi, come le credenze relative all’epilessia, radicate nella cultura da centinaia di anni, abbiano portato all’isolamento, all’istituzionalizzazione e a processi di stigmatizzazione delle persone che presentavano questa malattia, spesso considerate come folli. Anche Freud (1927), in un breve saggio dedicato allo scrittore russo Dostoevskij (uno dei molti personaggi illustri che furono afflitti dall’epilessia), solleva la possibilità dell’esistenza di un’ “epilessia affettiva” da contrapporre a quella organica.

Le prime case di ricovero per epilettici furono create a partire dal XIX secolo, la malattia era addirittura ritenuta contagiosa. In Italia il ricovero nei manicomi si è protratto fino ai primi anni Ottanta. Queste strutture diedero l’opportunità di studiare e osservare sistematicamente la patologia. Una certa attenzione venne posta al “temperamento epilettico” con la tendenza a riconoscere in ogni crimine e comportamento violento il risultato di un attacco epilettico (Lombroso, 1876). Comincia a profilarsi il concetto di “personalità epilettica” caratterizzata da egocentrismo, ipocondria, eccessiva religiosità, impulsività aggressiva e sessualità sfrenata.La prima metà del XIX secolo viene considerata epoca fondamentale per la diagnosi e la terapia dell’epilessia; in questo periodo, l’orientamento generale della medicina procede verso un’indagine anatomica ed è prevalentemente organicistica.

Ancora oggi, nel XXI secolo, una minoranza di persone continua a considerare l’epilessia come malattia mentale. Da numerose indagini riguardanti le conoscenze e gli atteggiamenti nei confronti dell’epilessia è emerso come,

(6)

VII

nell’immaginario collettivo, persistano pregiudizi e stereotipi negativi. Un esempio può essere rappresentato dalla falsa credenza che attribuisce una presunta responsabilità personale al malato circa l’insorgenza delle crisi. Se pensiamo, per esempio, all’opinione della gente comune riguardante che cos’è e, soprattutto, che cosa non è l’epilessia, notiamo che essa rimane sotto l’oscuro velo dello stigma. Inoltre, tuttora i film relativi a questo tema continuano a veicolare molti degli antichi miti, rafforzando i preconcetti e le credenze errate riguardanti questa condizione e diffondendo informazioni assolutamente sbagliate circa le caratteristiche delle crisi e il loro trattamento. Non c’è dubbio che una corretta informazione sulla malattia possa rappresentare una strategia efficace al fine di dissipare queste false conoscenze. L’implementazione di ricerche sperimentali volte ad approfondire l’esistenza di una possibile relazione tra epilessia e caratteristiche personologiche, può dissolvere l’ignoranza radicata nelle superstizioni, nonché rappresentare un invito ad esercitare la ragione contro le spiegazioni irrazionali.

Tra tutte le patologie neurologiche gravi, l’epilessia è tra le più diffuse, colpendo circa 50 milioni di individui in tutto il mondo, tanto che è riconosciuta e considerata come malattia sociale dalla World Health Organization (WHO, 2001; Banerjeea, Filippi & Hauser, 2009) proprio a causa della sua elevata incidenza. Si tratta di una malattia tutt’altro che facile da comprendere, caratterizzata da varie e complesse tipologie cliniche e da importanti ripercussioni sul benessere fisico, psicologico e sociale delle persone che ne sono affette, sulla loro qualità della vita e su quella dei loro familiari.

Per molto tempo i bisogni delle persone affette da epilessia non sono stati ascoltati, né sono stati presi in considerazione nell’ambito dei diritti civili, dell’educazione, della formazione professionale, dei servizi sociali e della salute. Le persone con epilessia hanno subìto numerose discriminazioni legali, alcune di esse sono state abbandonate solo di recente, mentre altre ancora sussistono

(7)

VIII

nonostante in molti Paesi l’epilessia sia ora considerata una disabilità tutelata legalmente (http://www.aice-epilessia.it/). In Italia esiste un organismo scientifico che si occupa della corretta gestione di questi pazienti e della loro tutela sociale e legale ed è la Lega Italiana Contro l’Epilessia (LICE).

Alla luce di quanto appena esposto sorgono spontanei degli interrogativi rispetto a questa patologia e alla sua eventuale relazione con tratti di personalità specifici. Tali quesiti hanno guidato la ricerca trattata in questo elaborato con la finalità di indagare la presenza di possibili aspetti temperamentali e caratteriali distintivi associati all’epilessia e alle sue diverse forme cliniche. Si cercherà di dare una risposta, seppur parziale, sulla base dei risultati emersi dallo studio esplorativo di tesi qui presentato. La raccolta dei dati inerenti ai pazienti è avvenuta mediante la somministrazione di un questionario self-report: il TCI (Temperament and Character Inventory, 1994). I partecipanti allo studio sono stati selezionati presso l’U.O. di Neurologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana. Lo studio ha previsto anche la presenza di un gruppo di controllo.

Il seguente lavoro di tesi si articola in tre capitoli: il primo è dedicato all’approfondimento degli aspetti fisiologici e organici che caratterizzano l’epilessia, con particolare riferimento alle modalità di classificazione del disturbo. Il secondo capitolo descrive le ripercussioni psicologiche e sociali della patologia focalizzandosi soprattutto sullo stigma e sulla qualità della vita dei pazienti affetti da epilessia. Nel terzo sono approfonditi gli obiettivi, le premesse metodologiche dello studio, le modalità di campionamento, di raccolta e analisi dei dati, nonché la discussione dei risultati emersi dalla ricerca.

(8)

1

CAPITOLO 1 – ASPETTI NEUROFISIOLOGICI

DELL’EPILESSIA

Il termine epilessia deriva dal verbo greco “epilambànein” che letteralmente significa prendere, cogliere di sorpresa, assalire all’improvviso, essere sopraffatti, richiamando così l’immagine della possessione demoniaca. L’attribuzione della malattia all’azione del sovrannaturale annullava, però, la possibilità di comprendere la vera causa del fenomeno. Gli aspetti curativi erano perciò appannaggio di maghi, guaritori o sacerdoti, nel pensiero primitivo, nonché di figure quali il medico filosofo o l’esorcista, in epoche successive; costoro rappresentavano una vera e propria casta medica, unico riferimento diagnostico e terapeutico.

Solo Ippocrate, conosciuto come il padre della medicina, rifiutò il carattere sovrannaturale dell’epilessia. Nel suo libro “La Malattia Sacra” (cit. in Roselli, 1996) si oppose alla tradizione precedente, indicando un approccio più scientifico, che rifiutava la presenza del divino nella malattia. Finalmente questo testo sottolinea le basi fisiologiche del disturbo e afferma che la sede di questa malattia risiede nella sofferenza del cervello, considerandola come malattia del cervello.

La prima metà del XIX secolo deve essere considerata fondamentale per la diagnosi e la terapia dell’epilessia. In questo periodo si comincia, dunque, a intravedere la nascita della Neurologia quale branca autonoma della Medicina. In tale contesto si pone l’opera di Jackson (cit. in Lenzi, Di Piero & Padovani, 2013) che evidenziò gli aspetti anatomo-patologici dell’epilessia. Dalla sua opera presero spunto tutte le successive ricerche in campo epilettologico, finalizzate a comprendere il significato fisiopatologico delle crisi.

(9)

2

Nel 1826 la scoperta dell’elettroencefalografia, cioè la possibilità di registrare l’attività elettrica cerebrale, portò a comprendere i segni patologici dei fenomeni epilettici e permise dunque di fornire una spiegazione patogenetica di tipo neurofisiologico dell’epilessia. Lennox e Gibbs (cit. in D’Amico, Cipulli & Giancristofaro, 2010) riuscirono, finalmente, a delineare la nosografia di tre sindromi epilettiche: il grande male, l’epilessia psicomotoria e il piccolo male.

1.1 – DEFINIZIONE DELL’EPILESSIA, DELLE CRISI E

DELLE SINDROMI EPILETTICHE

Non è ancora diffusamente accettata una definizione univoca di epilessia, ma la concettualizzazione fisiologica più precisa rimane ancora quella fornita nel XIX secolo da Jackson: “L’insorgenza episodica di una scarica improvvisa, eccessiva e rapida di una popolazione più o meno estesa di neuroni, che fanno parte della sostanza grigia dell’encefalo” (Cambier, Masson, Dehen & Masson, 2009, p. 83).

Più recentemente, l’International League Against Epilepsy (ILAE, http://www.ilae.org/) e l’International Bureau for Epilepsy (IBE, http://www.ibe-epilepsy.org/) sono giunti a una definizione congiunta per il termine epilessia: “Una disfunzione cerebrale caratterizzata da una predisposizione duratura a generare crisi epilettiche in presenza di conseguenze neurobiologiche, cognitive, psicologiche e sociali di questa condizione. La definizione di epilessia richiede il verificarsi di almeno una crisi epilettica” (Berg, Berkovic, Brodie, Buchhalter, Cross, van Emde et al., 2010, p. 676).

Lo stesso ente propone un’altra definizione di tipo operativo, con finalità epidemiologiche, alla luce dei limiti presenti nella definizione precedente; stabilisce che l’epilessia è una condizione caratterizzata dalla ricorrenza di

(10)

3

almeno due o più crisi epilettiche, non provocate da alcuna causa identificabile (Ferrarese, Appollonio, Cavaletti, Cortelli, Federico, Marciani et al., 2011). Solo l’occorrenza di crisi ed il ripetersi delle stesse, in assenza di condizione acuta sottostante, giustifica la diagnosi di epilessia.

Clinicamente, l’epilessia è una condizione caratterizzata dalla presenza di episodi accessuali: le crisi, che quindi sono il sintomo, che si ripetono in modo apparentemente spontaneo nel tempo, in assenza di fattori scatenanti. La presenza, infatti, di specifiche condizioni permette di inquadrare la crisi come provocata da una causa sottostante. Questa tipologia di crisi, che prende il nome di Crisi sintomatica acuta, insorge in stretta associazione temporale con un danno acuto strutturale, metabolico o tossico del Sistema Nervoso Centrale, presentando un modesto rischio di ricorrenza (3-10%). Il trattamento delle crisi provocate coincide con quello della causa sottostante e non necessita, pertanto, diun trattamento antiepilettico a lungo termine.

È necessario fare una distinzione tra il verificarsi di una crisi epilettica isolata e la predisposizione ad avere crisi ricorrenti che è, appunto, l’epilessia. Dato che le crisi epilettiche caratterizzano il quadro clinico dell’epilessia, proviamo di seguito a fornirne una definizione. Dal punto di vista fisiologico possiamo considerarle come una transitoria e improvvisa comparsa di segni e/o sintomi neurologici dovuti alla scarica ipersincrona ed eccessiva di popolazioni di neuroni cerebrali, più o meno circoscritte, che induce la generazione di scariche parossistiche (Fisher, Boas, Blume, Elger, Genton, Lee et al., 2005). Le manifestazioni cliniche e la fenomenologia della crisi epilettica dipendono, pertanto, dalle specifiche aree cerebrali coinvolte dalla scarica.

Una crisi epilettica può manifestarsi con una fenomenologia clinica stereotipata, a carattere intermittente, con o senza perdita della coscienza, con alterazione della percezione o delle funzioni psichiche, con disturbi del comportamento e delle emozioni, con alterazioni delle funzioni motorie e

(11)

4

sensoriali, sintomi autonomici, movimenti convulsivi, alterazioni della sensibilità o attraverso una diversa combinazione di questi fenomeni.

Con riferimento all’epilessia sono state, inoltre, identificate una serie di sindromi epilettiche. Con questo termine si fa riferimento a un complesso di segni e/o sintomi che, associati tra di loro, determinano un’entità unica e caratteristica.

1.2 – EPIDEMIOLOGIA E MORTALITÀ NELL’EPILESSIA

Nei paesi industrializzati l’incidenza dell’epilessia è compresa tra 24 a 53 casi l’anno su 100 000 abitanti (Lenzi, Di Piero & Padovani, 2013), la prevalenza è dello 0,5-1%; nei paesi in via di sviluppo l’incidenza è verosimilmente più elevata anche se non vi sono dati epidemiologici sicuri (Hart, 2012; Sander, 2003; http://www.lice.it/). L’epilessia in Italia colpisce circa 500 000 persone (D’Amico, Cipulli & Giancristofaro, 2010).

La malattia può insorgere a qualsiasi età, nell' 80% dei casi le crisi iniziano prima dei 20 anni, nell’infanzia e nell’adolescenza (http://www.aice-epilessia.it/). L’andamento dell’epilessia nell’arco della vita presenta una distribuzione bimodale, che tende pertanto a configurare una “U”, con tassi di incidenza età-specifici e due picchi, uno dalla nascita all’adolescenza e un secondo nell’anziano, queste risultano essere le fasce di età più colpite (Hart, 2012; Kotsopoulos, van Merode, Kessels et al., 2002). Più in particolare, l’incidenza dell’epilessia è più alta nel primo anno di vita, decresce e si riduce durante l’adolescenza, rimanendo relativamente stabile durante l’età adulta (il più basso tasso di incidenza è fra i 20 e i 40 anni), per poi crescere di nuovo nell’età avanzata dopo i 60 anni di età e diventando particolarmente elevata dopo gli 80 anni (Forsgren, Beghi, Oun et al., 2005; Jallon, 2002).

(12)

5

Riguardo al genere, alcuni studi riportano tassi maggiori d’incidenza per le prime crisi e per l’epilessia nel maschio piuttosto che nella femmina (rapporto maschi-femmine: 1,2-1,7).

Studi di popolazione indicano che le persone con epilessia hanno una maggiore mortalità rispetto a quelle non affette dalla malattia. La mortalità è maggiore nei due anni successivi alla prima crisi, in relazione all’eziologia. Rispetto alla popolazione generale, le cause di morte più frequenti nelle persone con epilessia sono i traumi, i suicidi, le polmoniti e le crisi stesse. Le cause specifiche, direttamente dipendenti dall’epilessia, sono rappresentate dallo Stato di male epilettico (SE), la mortalità attribuibile direttamente ad esso è pari al 2%, con una maggiore incidenza nella popolazione di età superiore ai 60 anni, e dalla SUDEP (Sudden Unexpected Death in Epilepsy: morte improvvisa e inspiegabile dei pazienti epilettici) che interessa una percentuale variabile di pazienti (5% o più), il cui rischio varia notevolmente a seconda della gravità dell’epilessia (Gaitatzis, Johnson, Chadwick, Shorvon & Sander, 2004; Shorvon & Tomson, 2011).

1.3 – CLASSIFICAZIONE

L’elaborazione di un sistema di classificazione delle crisi e delle sindromi epilettiche rappresenta uno strumento indispensabile per la creazione di un lessico condiviso. L’utilizzo di un vocabolario comune, rende possibile la comunicazione fra gli “addetti ai lavori” che si occupano di epilessia e consente un confronto in ambito scientifico dei dati e dei risultati che emergono dagli studi e dalle ricerche in tale settore disciplinare.

L’International League Against Epilepsy (ILAE) si è fatta portatrice nel corso degli anni di tale esigenza offrendo contributi significativi al processo di classificazione. Nel 1981 ha emanato la proposta di classificazione clinica ed

(13)

6

EEG delle crisi epilettiche e, nel 1989, la proposta di classificazione delle epilessie e delle sindromi epilettiche (ILAE, 1981; 1989).

Dagli anni ‘80 in poi, alcuni termini e concetti delle classificazioni ufficiali sono ormai considerati superati e fuorvianti e nuove condizioni epilettiche sono state individuate e definite grazie al contributo della genetica. Ma in particolare, è emersa recentemente l’esigenza di poter disporre di un sistema di classificazione delle epilessie più flessibile e continuamente aggiornabile, aderente alla descrizione degli eventi in ogni singolo paziente e che possa rappresentare lo schema diagnostico di base per lo sviluppo di ulteriori classificazioni orientate verso specifici obiettivi. Da qui la necessità di una classificazione aggiornata in relazione ai continui sviluppi dell’epilettologia nei suoi vari aspetti.

Il nuovo schema di classificazione si muove lungo 5 assi o livelli, che rappresentano sequenzialmente le varie fasi del processo diagnostico (Michelucci & Tassinari, 2002). Il 1° livello riporta la descrizione fenomenologica della sintomatologia ictale, indipendentemente da altri fattori come l’EEG e l’eziologia. Il 2° livello è quello della identificazione del tipo di crisi presentata dal paziente, mentre il 3° è dedicato alla diagnosi sindromica. Il 4° livello riguarda le eziologie; infine il 5° classifica gli esiti e le conseguenze della patologia epilettica, riportando il grado di compromissione causato da tale condizione.

1.3.1 – CLASSIFICAZIONE DELLE CRISI EPILETTICHE

Le crisi epilettiche presentano aspetti clinici assai diversi, sono eterogenee. Il merito dei clinici sta nell’avere riconosciuto l’unità esistente dietro tali aspetti polimorfi e nell’avere capito la base fisiopatologica di questa unicità.

(14)

7

Una corretta ed accurata identificazione e classificazione delle crisi rappresenta la condizione fondamentale al fine non solo di una corretta diagnosi sindromica, ma anche ai fini del trattamento, per una scelta corretta del farmaco anticomiziale. Esistono, infatti, farmaci che con il loro meccanismo d’azione possono addirittura peggiorare alcune forme di epilessia simulando una condizione di maggior gravità e falsa farmacoresistenza.

Le crisi epilettiche sono tradizionalmente distinte in autolimitate e continue (stati epilettici, SE) in relazione alla durata. Queste ultime vengono a loro volta suddivise in focali (il termine focale viene attualmente preferito al termine parziale) e generalizzate, sulla base della Classificazione Internazionale delle Crisi Epilettiche (ILAE, 1981; Engel, 2001; Hart, 2012) (vedi Schema 1.1), a seconda che la scarica neuronale responsabile dello scatenamento della crisi sia localizzata ad un solo emisfero o diffusa ad entrambi. Attualmente, approvate dall’ILAE (Berg et al., 2010), si sono introdotte alcune modifiche all’interno della terminologia utilizzata nella descrizione della patologia epilettica, in particolare in riferimento alla suddivisione delle crisi focali in semplici e complesse in rapporto allo stato di coscienza e ad una sua eventuale alterazione. Questi termini venivano usati, in passato, per definire l’assenza o la presenza di un disturbo di coscienza nel corso di una crisi focale. Tale suddivisione è stata abbandonata, pertanto l’uso di tali termini nella descrizione delle crisi focali ha perso di significato.

Tuttavia, sono stati introdotti dei descrittori delle crisi focali per facilitare la continuità con la precedente classificazione del 1981 e differenziare suddette crisi sempre sulla base dell’esistenza o meno di un’alterazione di coscienza (Ferrarese et al., 2011):

1- crisi senza alterazione di coscienza: con evidenti componenti motorie o autonomiche (secondo la precedente classificazione “crisi parziali

(15)

8

semplici”); esclusivamente con fenomeni soggettivi sensoriali o psichici (il passato concetto di “aura”);

2- crisi con alterazione di coscienza (le precedenti “crisi parziali complesse”);

3- crisi che evolvono verso crisi convulsive bilaterali: con componenti toniche, cloniche o toniche e cloniche (sostituisce il termine “crisi secondariamente generalizzate”).

Schema 1.1 Classificazione Internazionale delle Crisi Epilettiche

• Crisi generalizzate si suddividono in:

- Crisi a Tipo Assenza:

- Assenze tipiche (“piccolo male”) - Assenze atipiche

- Crisi miocloniche - Crisi cloniche - Crisi toniche

- Crisi tonico-cloniche (“grande male”) - Crisi atoniche

• Crisi parziali (focali) si suddividono in:

- Crisi parziali semplici (senza alterazione della coscienza) - Crisi parziali complesse (con alterazione della coscienza)

- Inizio come crisi parziale semplice che evolve verso una crisi parziale complessa

- Con perdita di coscienza fin dall'esordio della crisi - Crisi parziali secondariamente generalizzate

(16)

9

1.3.2

CLASSIFICAZIONE

DELLE

SINDROMI

EPILETTICHE

Le sindromi epilettiche sono classificate sulla base del tipo di crisi, del contesto clinico nel quale l’epilessia si inscrive (età di esordio, familiarità e antecedenti personali), delle caratteristiche neurofisiologiche e delle neuroimmagini (ILAE, 1989; Engel, 2001).

In base al tipo di crisi, le sindromi epilettiche si distinguono in: - Generalizzate, associate a crisi generalizzata.

- Focali, associate a crisi focali.

- Indeterminate, associate a crisi con caratteristiche non ben definibili (focali o generalizzate).

In base al tipo di eziologia, si distinguono in:

- Idiopatiche: non associate a lesione strutturale cerebrale e con una connotazione eziologica genetica reale o presunta sulla suscettibilità alle crisi. In questi casi è necessario indagare in modo specifico la familiarità in quanto sovente nell’epilessia idiopatica è presente una forte ereditarietà.

- Sintomatiche: associate a una o più lesioni cerebrali strutturali focali o diffuse ed accertabili.

- Criptogeniche: epilessie che si ritiene essere sintomatiche ma la cui causa non è identificabile con i mezzi diagnostici disponibili.

1.3.3

CLASSIFICAZIONE

DELLE

SINDROMI

EPILETTICHE IN RELAZIONE ALLA PROGNOSI

Da un punto di vista prognostico le sindromi epilettiche possono essere divise in quattro gruppi (Sander, 1993):

(17)

10

- Sindromi epilettiche a prognosi eccellente (20-30%): sono le epilessie ad evoluzione benigna, caratterizzate da una remissione spontanea età-correlata e non associate ad anomalie dello sviluppo psico-fisico. Il trattamento non è sempre necessario ma, se prescritto, sono sufficienti dosi modeste di farmaco per controllare immediatamente le crisi.

- Sindromi epilettiche a prognosi buona (30-40%): è il gruppo delle epilessie farmaco-sensibili in cui la remissione delle crisi, una volta ottenuta mediante idoneo trattamento, è permanente. In tali pazienti la terapia può essere sospesa dopo un certo intervallo di tempo.

- Sindromi epilettiche a prognosi incerta (10-20%): sono le epilessie farmaco-dipendenti che non sembrano guarire spontaneamente, in cui i diversi aggiustamenti terapeutici possono portare ad un controllo delle crisi e che tuttavia tendono a ripresentarsi con la sospensione della terapia.

- Sindromi epilettiche a prognosi infausta (<20%): sono le epilessie farmaco-resistenti, caratterizzate da cronicità e resistenza al trattamento. Appartengono a questo gruppo i pazienti maggiormente a rischio di Sudden Unexpected Death in Epilepsy (SUDEP).

1.3.4 – CLASSIFICAZIONE EZIOLOGICA DELL’EPILESSIA

Attualmente, nella classificazione dell’epilessia, viene posta maggiore enfasi all’eziopatogenesi della malattia rispetto alla sede e localizzazione; le cause, estremamente eterogenee, sembrano essere un aspetto primario ai fini della prognosi dell’epilessia.

Dal punto di vista eziologico si distinguono le seguenti forme di epilessia, la terminologia utilizzata in questa classificazione risente della revisione dell’ILAE (Berg et al., 2010):

(18)

11

1- Epilessia genetica: questa categoria sostituisce la precedente definizione di “epilessia idiopatica”; compare indipendentemente da ogni lesione cerebrale, quale diretta espressione di una reale o presunta predisposizione genetica di cui le crisi rappresentano la manifestazione, il sintomo principale del disturbo.

2- Epilessia strutturale/metabolica: questa categoria sostituisce la precedente definizione di “epilessia sintomatica”; è causata da una lesione strutturale diffusa o focale, fissa o evolutiva, documentabile a carico del SNC e in grado di incrementare il rischio di sviluppare epilessia.

3- Epilessia da causa ignota: la cui natura è ancora sconosciuta, potrebbe essere genetica o strutturale/metabolica, ma resta ancora da appurare; in passato definite “criptogeniche” e “indeterminate”. Si tratta di una forma di epilessia senza lesioni evidenti ma che non corrisponde ai criteri di epilessia idiopatica.

Mentre nell’epilessia idiopatica e sintomatica è possibile reperire una causa, nella terza forma questo non è possibile.

1.4 – VALUTAZIONE E DIAGNOSI DIFFERENZIALE DI

EPILESSIA

La diagnosi di epilessia si basa soprattutto sui dati clinici (ovvero la descrizione dettagliata delle crisi) e l’anamnesi ne rappresenta il principale strumento, consentendo di formulare una diagnosi corretta in circa la metà dei casi (Beghi, De Maria, Gobbi & Veneselli, 2006). Alcuni dati clinici possono essere forniti dal paziente stesso, altri solo da parte di un testimone che abbia assistito all’evento, dal momento che il paziente può non essere consapevole delle sue crisi. Ulteriori elementi da reperire, ai fini di un’attenta anamnesi epilettologica,

(19)

12

sono: la familiarità per epilessia, l’eventuale storia di sofferenza perinatale, l’acquisizione delle tappe dello sviluppo psicomotorio, l’eventuale occorrenza di convulsioni febbrili o traumi cranici.

Nella diagnosi di sospetta epilessia è importante confermare la valutazione clinica (ovvero stabilire se l’evento clinico sia riferibile ad una crisi epilettica), classificare la sindrome epilettica e determinare l’eventuale causa. Elementi utili da indagare per definire l’eziologia e il tipo di sindrome, oltre al tipo di crisi, sono: l’età di esordio, la storia familiare, il grado di sviluppo mentale e fisico e l’anamnesi psico-patologica.

Riportiamo di seguito lo Schema 1.2 del Protocollo diagnostico da seguire per la raccolta anamnestica dei dati:

Schema 1.2 Protocollo diagnostico

Anamnesi:

Obiettivo: ottenere il maggior numero di informazioni per - definire il tipo di crisi

- individuare gli eventuali fattori eziologici e/o scatenanti - definire il tipo di sindrome e la sua eziologia

- escludere eventi critici di natura non epilettica

La diagnosi differenziale ha lo scopo di escludere le manifestazioni parossistiche di natura diversa. Distinguere una crisi epilettica da un evento o condizione di natura non epilettica, non è sempre facile dato l’elevato numero di fenomeni clinici che possono condividerne alcune caratteristiche. A volte, infatti, può essere difficile fare una diagnosi corretta, poiché diverse condizioni possono simulare una crisi epilettica comportando una difficile diagnosi differenziale con l’epilessia. Viceversa, d’altra parte, il racconto di una crisi

(20)

13

epilettica può essere simile a quello di un evento non epilettico, mostrando una sintomatologia analoga che può essere associata ad altri disturbi.

Le patologie più importanti da porre in diagnosi differenziale con l’epilessia sono: le sincopi, le pseudocrisi o crisi psicogene, gli attacchi di panico, l’iperventilazione, l’emicrania (specialmente se preceduta dai sintomi dell’aura: aure emicraniche), l’ipoglicemia, gli attacchi ischemici transitori (TIA), l’amnesia globale transitoria, i disturbi del sonno e del movimento.

L’esame obiettivo neurologico è volto a dimostrare eventuali deficit cerebrali. Gli esami strumentali di routine usati ai fini della diagnosi devono comprendere l’esecuzione di una Risonanza Magnetica (RM) ad alto campo magnetico per determinare l’eventuale natura strutturale dell’epilessia e l’Elettroencefalogramma (EEG). Specifiche procedure di attivazione (l’iperventilazione, la stimolazione luminosa intermittente, la deprivazione di sonno), che determinano alterazioni epilettiformi, incrementano la sensibilità dell’esame. Esistono, infatti, molti fattori esterni che possono facilitare la comparsa, in un soggetto predisposto, di una crisi epilettica e questi fattori vanno evitati nei soggetti con epilessia, sebbene non vi siano ancora evidenze significative completamente riconosciute e del tutto condivise (vedi Schema 1.3).

Schema 1.3 Possibili fattori scatenanti una crisi epilettica

- Stress

- Privazione di sonno e affaticamento - Disturbo del ciclo sonno/veglia - Abuso o deprivazione di alcool - Uso di sostanze eccitanti

- Alterazioni metaboliche - Fattori tossici e farmaci

(21)

14

- Ciclo mestruale

- Stimolazioni luminose o acustiche o sensoriali in genere

Alterazioni elettroencefalografiche simili a quelle riscontrabili in pazienti epilettici possono emergere anche in altre condizioni patologiche e addirittura in soggetti normali. Inoltre, un EEG che risulti normale o che non registri anomalie specifiche non esclude totalmente la diagnosi di epilessia.

Oltre agli strumenti di indagine neurologica sopra citati possono essere effettuati ulteriori approfondimenti per esempio attraverso Risonanaza Magnetica Funzionale (fRM) e Tomografia a Emissione di Positroni (PET); si tratta di esami complementari, utilizzati esclusivamente in pazienti sottoposti a valutazione pre-chirurgica; tali esami non hanno quindi un ruolo diagnostico di routine ma sono impiegati nella valutazione del paziente candidato al trattamento chirurgico dell’epilessia; sono metodiche di Neuroimaging funzionale che possono contribuire alla localizzazione del focolaio epilettogeno in tali pazienti.

Sono, infine, impiegate anche analisi di laboratorio e di tipo genetico (vedi Schema 1.4).

Schema 1.4 Indagini strumentali

- Elettroencefalogramma - Indagini neuroradiologiche

- Indagini di laboratorio e genetiche

In aggiunta alla tradizionale valutazione di tipo neurologico è prevista anche una valutazione di tipo neuropsicologico finalizzata ad individuare la presenza di eventuali deficit cognitivi.

(22)

15

È buona prassi e pertanto si raccomanda di associare alla diagnosi di epilessia, soprattutto e principalmente per i casi di prima diagnosi e, laddove possibile, prima dell’inizio del trattamento farmacologico, anche una valutazione delle funzioni neuropsicologiche. Tale valutazione ha lo scopo di stabilire il livello di funzionamento di base del paziente con il quale confrontare un eventuale cambiamento legato sia a fattori inerenti la persona (per esempio l’età cronologica) sia relativi all’epilessia (per esempio tipo, gravità e frequenza delle crisi, effetti della terapia).

La valutazione neuropsicologica non è essenziale per la diagnosi di crisi epilettiche o di epilessia, ma può rivelarsi utile o anche necessaria in relazione a specifici eventi che intervengono nel corso della vita dei pazienti affetti. Nell’esecuzione di ciascuna valutazione, non si può prescindere dalle notizie che riguardano il tipo di crisi e di sindrome epilettica, la terapia in corso e il tipo di disturbi cognitivi eventualmente lamentati dal paziente.

Nell’adulto ha un ruolo rilevante, soprattutto, nella pianificazione della terapia chirurgica (valutazione pre-operatoria) dei pazienti epilettici farmacoresistenti candidati all’intervento e nel follow-up degli stessi.

I soggetti con epilessia presentano in modo maggiore rispetto alla popolazione generale una incidenza di disturbi di apprendimento e riduzione delle capacità intellettive e prestazionali, soprattutto a livello delle funzioni esecutive.Il disturbo più spesso lamentato è quello della memoria, che in molti casi è più propriamente un disturbo di memoria di lavoro di tipo verbale. Soprattutto nel corso del trattamento con farmaci antiepilettici è possibile il riscontro di tali disturbi di memoria e di attenzione. Di conseguenza, il confronto con la valutazione neuropsicologica di partenza può rivestire una notevole importanza, per tenere conto, nella valutazione di un disturbo soggettivo interferente e persistente, anche del possibile effetto dei FAE (Brunbech & Sabers, 2002).

(23)

16

La valutazione ha inoltre lo scopo di monitorare lo sviluppo delle principali funzioni neuropsicologiche (vedi Schema 1.5), per identificarne eventuali ritardi e/o arresti, in modo da poter intervenire tempestivamente per ridurre la disabilità.

L’esame neuropsicologico viene effettuato con un approccio specializzato o flessibile (Boncori, 2002): anziché sottoporre il paziente a una lunga batteria di test, si lascia all’esaminatore la decisione sul numero e sulla quantità, nonché sulla tempistica dei test da somministrare. Si raccomanda l’utilizzo di prove standardizzate, flessibili e di sensibilità diagnostica, con tempi di somministrazione relativamente brevi per il raggiungimento di tali obiettivi.

Schema 1.5 Obiettivi della valutazione neuropsicologica del paziente epilettico

Obiettivi della valutazione sono l’esplorazione di: - capacità cognitive e prestazionali

- funzioni verbali e del linguaggio - attenzione - memoria - funzioni frontali - funzioni visuo-spaziali - abilità prassico-costruttive -abilità percettive - disturbi di apprendimento - aspetti comportamentali - qualità della vita

Laddove necessario, l’assessment deve prevedere accurati approfondimenti di tipo psicopatologico relativi per esempio al tono dell'umore o ai disturbi

(24)

17

d’ansia, prendendo anche in considerazione la qualità della vita del paziente (Piazzini, Beghi, Turner & Ferraroni, 2008).

In genere, la valutazione neuropsicologica si articola in tre livelli:

1- valutazione di base o di primo livello (eseguita in tutti i casi di prima diagnosi, precede la prescrizione farmacologica);

2- valutazione approfondita (eseguita laddove, a seguito della valutazione di primo livello, sono state individuate specifiche aree deficitarie);

3- valutazione di completamento (eseguita se, a livello clinico anamnestico, emergono specifici deficit di funzionamento).

Nella fase iniziale della valutazione neuropsicologica viene analizzato il livello cognitivo globale, i test più spesso utilizzati a tal fine sono le matrici progressive di Raven nelle varie forme e le scale Wechsler (WAIS per adulti e WISC per bambini). Segue la valutazione d’idoneità a compiti specifici per cui può essere rilevante avere una stima delle risorse attentive e della memoria di lavoro del paziente. Ai fini della rilevazione di tali dati, sono comunemente adottate batterie computerizzate.

Pur essendo riconosciuto il ruolo dei test neuropsicologici in questo ambito, le metodiche da applicare non seguono protocolli standardizzati. Attualmente il gruppo di studio sulla neuropsicologia della LICE e dell’ILAE hanno proposto due protocolli, uno per l’età adulta e uno per la popolazione in età evolutiva, al fine di costruire batterie di test specifici nell’identificare i disturbi cognitivi più frequenti dei pazienti con epilessia (Zinnie & Polkey, 2000).

1.5 – TRATTAMENTO DELL’EPILESSIA

Il trattamento dell’epilessia si basa essenzialmente sull’utilizzo di farmaci antiepilettici (FAE, vedi Schema 1.6 per i farmaci maggiormente utilizzati) che devono essere utilizzati nel caso di una diagnosi di epilessia e in particolare

(25)

18

devono essere “cuciti” sulle necessità individuali del paziente, la scelta del farmaco è infatti determinata dal tipo di sindrome epilettica. Lo scopo del trattamento non è solo di ottenere il controllo delle crisi, ma anche di evitare gli effetti collaterali dei FAE, le conseguenze sociali dell’epilessia, portando a un globale miglioramento della qualità di vita del paziente, assicurandogli di poter svolgere una vita sociale il più possibile vicina alla normalità.

È importante scegliere la terapia più adatta al tipo di epilessia, considerando che alcuni FAE possono precipitare talune condizioni epilettiche. L’intento, quindi, è quello di scegliere il migliore farmaco antiepilettico in rapporto alla forma di epilessia, controllare la tollerabilità e l’aderenza alla terapia (essenziale è infatti la continuità del trattamento in quanto la brusca sospensione aggrava il rischio di crisi) e aggiustare la posologia.

La terapia si basa su farmaci, nessuno dei quali è privo di effetti secondari; gli effetti indesiderati dei principali farmaci antiepilettici prevedono: anemia, rash cutanei, instabilità posturale, astenia, sonnolenza, aumento ponderale, disturbi comportamentali, vertigini, impairment cognitivo, osteoporosi, atassia cerebellare, nistagmo, movimenti involontari, neuropatia, cefalea, calo ponderale, nausea, vomito, diarrea, tremore, alopecia, irritabilità.

Più in generale, tra gli effetti collaterali dei FAE, va posta particolare attenzione alle reazioni idiosincrasiche su base immunologica o di ipersensibilità che, seppur rare, sono potenzialmente gravi, e agli effetti collaterali dose-dipendente che risultano essere invece assai frequenti e sono per lo più gastrointestinali o del SNC. Questi effetti collaterali sono reversibili e tendono a scomparire con la riduzione del dosaggio. Si possono avere anche effetti collaterali a lungo termine, irreversibili, che non sono dose-correlati, sebbene siano più frequenti nei pazienti sottoposti a dosi elevate.

(26)

19

Schema 1.6 Farmaci antiepilettici attualmente in uso

- Acido valproico - Carbamazepina

- Benzodiazepine (Diazepam, Clobazam, Clonazepam) - Etosuccimide - Felbamato - Fenitoina - Fenobarbital - Gabapentin - Lacosamide - Lamotrigina - Levetiracetam - Oxcarbazepina - Pregabalin - Primidone - Rufinamide - Tiagabina - Topiramato - Vigabatrin - Zonisamide

L’efficacia di un FAE, in passato, era misurata esclusivamente sulla base della riduzione della frequenza delle crisi e sul tasso di pazienti liberi da crisi dopo trattamento. Negli ultimi anni è emerso, sempre più chiaramente, che l’assenza di crisi non è il predittore più importante della qualità della vita.

Dal punto di vista clinico si parla di:

- Epilessia attiva: se il paziente ha avuto almeno una crisi epilettica nei 5 anni precedenti.

(27)

20

- Epilessia farmaco-resistente o intrattabile: se le crisi persistono nonostante l’utilizzo dei FAE.

Per il trattamento e la terapia delle forme farmacoresistenti può essere presa in considerazione la possibilità di un intervento neurochirurgico, lì dove possibile per tipo e sede di lesione epilettogena. Nei pazienti farmacoresistenti non candidabili alla neurochirurgia o che rifiutano questo approccio, la stimolazione del nervo vago di sinistra, mediante apposito stimolatore elettrico, può rappresentare una possibilità sia nel bambino che nell’adulto. Un’altra possibilità nelle forme infantili è la dieta chetogenica, seppur non rappresenti un trattamento terapeutico di comprovata efficacia (Lenzi, Di Piero & Padovani, 2013).

Circa due terzi dei pazienti affetti da epilessia sono responsivi alla terapia farmacologica. La maggior parte delle epilessie (70%) vengono controllate in modo adeguato con l’utilizzo di un singolo farmaco (monoterapia). Negli altri casi si dovrà introdurre un secondo farmaco. Nel caso in cui siano necessari tre o più farmaci, la probabilità di ottenere un risultato soddisfacente con la sola terapia medica è bassa.

Ad eccezione del piccolo gruppo di pazienti con epilessia refrattaria, la prognosi a lungo termine dell’epilessia, riguardo al controllo delle crisi con un adeguato trattamento farmacologico, è buona. Infatti, la maggior parte dei pazienti riesce ad ottenere una remissione prolungata e molti possono sospendere con successo la terapia. La sospensione della terapia, da effettuarsi in modo lento e progressivo, può essere considerata dopo un periodo di almeno due anni libero da crisi, ma è sempre una decisione difficile, che deve essere affrontata valutando il rischio di recidiva delle crisi, in quanto la sospensione non è mai sicura, e pertanto è una decisione da prendere in accordo con il paziente.

(28)

21

CAPITOLO

2

– RIPERCUSSIONI SOCIALI E

PSICOLOGICHE DELL’EPILESSIA SULLA QUALITÀ

DELLA VITA DEL PAZIENTE

Per molte persone con epilessia la realtà sociale della loro condizione continua a essere associata allo stigma, vale a dire a quella perdita di status che deriva dall’essere in possesso di una caratteristica, per esempio di una condizione di salute, che è stata socialmente definita come diversa, indesiderabile e profondamente screditante (Goffman, 1963).

Un’ampia varietà di difetti e anomalie strutturali sono attribuite alla persona stigmatizzata, per esempio legate al fatto stesso di avere una patologia. Lo stigma, inoltre, porta a dei comportamenti diretti e indiretti di discriminazione da parte degli altri, che possono ridurre sostanzialmente le opportunità per coloro che ne sono vittime.

Uno dei processi cognitivi implicati nelle conseguenze dello stigma sull’identità personale, è costituito dalla profezia che si autoavvera, cioè quando il credere in qualcosa che non corrisponde a realtà fa sì che essa si avveri. Concretamente, in caso di epilessia, come conseguenza degli stereotipi prevalenti circa la malattia e delle teorie della gente comune, la persona affetta diventa consapevole del fatto che sarà svalutata e discriminata. Il paziente adotterà, quindi, strategie che consistono generalmente nel ritiro sociale e nel mantenere il segreto circa la propria condizione di malato. Lungi dall’essere soluzioni efficaci per affrontare questi potenziali o eventuali atteggiamenti negativi, esse finiscono con il causare conseguenze fortemente avverse per la loro qualità della vita e da qui, rafforzano la percezione di essere stigmatizzate.

L’epilessia viene esperita più che come malattia di un organo del corpo, come malattia “dell’intera persona”, con importanti conseguenze a livello

(29)

22

sociale, piuttosto che fisiologico. È ormai ampiamente riconosciuto come molti pazienti epilettici, a seguito di queste esperienze stigmatizzanti, provino profondi vissuti di colpa e di vergogna.

I processi di stigmatizzazione hanno avuto gravi implicazioni negative per le persone con epilessia, sulla loro identità personale, sulla qualità della loro vita e sulle loro relazioni interpersonali. A questo punto, sorge spontaneo chiedersi qual è il contributo dello stigma sulle conseguenze sfavorevoli dell’epilessia a livello psicologico e interpersonale?

Alla luce delle conseguenze negative associate allo stigma relativo all’epilessia, sarebbe importante intervenire a livello sociale sui pregiudizi e gli stereotipi riguardanti la malattia, la cui persistenza nel tempo affonda le sue radici prevalentemente nella mancanza di un’informazione adeguata.

2.1 – STIGMA E CREDENZE SULL’EPILESSIA COME

CONDIZIONE SCREDITANTE

La ricerca in epoche recenti si è occupata a lungo fondamentalmente degli aspetti neurobiologici dell’epilessia, senza considerare che le crisi che la caratterizzano si accompagnano, spesso, a numerose difficoltà psicologiche e sociali che, nella maggior parte dei casi, risultano più invalidanti delle crisi stesse. Ovviamente, essa non è l’unica malattia cronica a presentare tali difficoltà, tuttavia, è fuori dubbio che le credenze sull’epilessia, diffuse tra la gente, presentino una connotazione molto più negativa rispetto ad altre patologie croniche e che la discriminazione nei confronti delle persone con epilessia è ancora oggi molto frequente. Ma come mai nell’immaginario collettivo questa malattia ha una connotazione così negativa? Nel corso del tempo è cambiata la visione in merito a tale condizione?

(30)

23

L’epilessia è stata circondata da una radicata mitologia sin dall’antichità. Si tratta di miti e leggende riguardanti non solo le sue cause, ma anche i rimedi adottati per il suo trattamento e per “riportare la serenità” all’interno del contesto di vita del paziente.

Le manifestazioni della malattia, imprevedibili, talvolta drammatiche e quasi terrificanti, inducevano a credere che fossero segno di follia o presagio di un imminente evento negativo. Queste paure ancestrali e superstizioni radicate hanno avuto senza dubbio una profonda influenza sul modo in cui sono state trattate le persone con epilessia in tutto il mondo, tanto è vero che anche oggi questa malattia continua a essere oggetto di informazioni e credenze sbagliate.

Dato che, nel corso del tempo, le crisi si sono trasformate nel simbolo della debolezza umana e dell’imprevedibilità, esse sono diventate motivo di grande paura tra la gente. Nella perdita di controllo che le caratterizza, le crisi evocano un processo di degenerazione irrazionale, contribuendo così allo stigma delle persone che hanno questa malattia, alla loro esclusione sociale e alla loro discriminazione, definendo l’epilessia in termini di diversità e devianza.

Secondo il sociologo Durkheim (1964), tali credenze negative servono a demarcare i confini tra ciò che è normale e ciò che è deviante, implicando una sorta di terrore nei confronti del diverso. A tal proposito, troviamo la teoria secondo cui l’epilessia è una malattia contagiosa, insieme all’idea secondo cui la persona epilettica è pericolosa. È importante, inoltre, sottolineare come l’epilessia sia stata una delle poche patologie non psichiatriche per cui si è ricorso all’internamento e segregazione all’interno di strutture specializzate come i manicomi, volutamente distanti dal resto della comunità, per demarcare ulteriormente il confine tra la cosiddetta normalità e la loro diversità indesiderabile sebbene, nella perdita di controllo che le caratterizza, le crisi rappresentino un pericolo di gran lunga superiore per coloro che hanno l’epilessia, rispetto a coloro che non ce l’hanno.

(31)

24

In ogni caso, è importante aver presente che, ancora oggi nel XXI secolo, una minoranza di persone continua a considerare l’epilessia come una malattia mentale; è utile sottolineare come, nelle nazioni povere dal punto di vista economico, siano ancora oggi figure quali gli psichiatri ad occuparsi del suo trattamento.

2.2

NATURA

E

FUNZIONI

DELLO

STIGMA

NELL’EPILESSIA A LIVELLO SOCIALE

Nel tentativo di spiegare e comprendere meglio le credenze negative radicate socialmente rispetto all’epilessia, alcuni studiosi si sono occupati dei processi attraverso cui gruppi sociali che possiedono specifiche caratteristiche, considerate indesiderabili e diverse rispetto a quelle possedute dalla maggioranza della gente, ricevono una sorta di marchio che le contraddistingue. Le società tendono, infatti, a stigmatizzare l’intera categoria di persone “portatrice” di suddette caratteristiche, piuttosto che i singoli individui; questo marchio, una volta ricevuto, ha profonde e importanti conseguenze a vari livelli della vita dell’individuo, per esempio sul piano sociale vengono imposte e applicate regole e sanzioni verso coloro che ne sono vittima.

Il sociologo Goffman (1963) definisce questo processo con il termine di stigma, attributo che genera discredito e disprezzo da parte degli altri, indesiderabilità e, infine, rifiuto sociale. Oltre a ciò, secondo l’autore, chi è stigmatizzato possiede una caratteristica tale da imporsi all’attenzione degli altri, annullando il valore di tutte le sue ulteriori e rimanenti qualità personali e allontanando coloro con i quali la persona che la possiede viene a contatto, portandola così all’isolamento e alla separazione dagli altri.

(32)

25

Lo stigma si presenta quando la caratteristica oggetto di discriminazione è visibile agli altri, diventa più evidente nel tempo, interferisce nelle interazioni sociali, ha un origine congenita, ma anche accidentale o addirittura intenzionale e, infine, viene vista come un pericolo per gli altri. Non c’è dubbio che tutte queste dimensioni risultino essere presenti nell’epilessia, basta pensare al fatto che le crisi, ovvero le sue manifestazioni esteriori, possono essere difficili, se non impossibili da nascondere a seconda del tipo, possono diventare più salienti con il tempo, a seconda del decorso clinico e dell’efficacia dei trattamenti e sono distruttive, in quanto interferiscono con le interazioni sociali in maniera improvvisa e imprevedibile, di conseguenza vengono stigmatizzate. Il fatto stesso di avere una malattia cronica, automaticamente si accompagna a una perdita di valore sociale, anche quando il decorso della malattia è benigno ed è accompagnato da una scarsa perdita della funzionalità.

Tutto ciò non dovrebbe giustificare lo stigma il quale, rispetto all’epilessia, si accompagna a un potente stereotipo per cui le crisi sono generalizzate e tutti i pazienti hanno un’epilessia cronica e invalidante. Vengono così ignorate le diverse tipologie della malattia, insieme alla diversità delle crisi che si accompagnano ad esse.

Probabilmente, lo stigma a livello sociale ricopre e svolge importanti funzioni. Infatti, alcune caratteristiche diventano oggetto di stigma nella misura in cui rappresentano una sorta di pericolo dal quale la società cerca di mettersi al riparo. Più nello specifico, le persone con epilessia, durante le crisi perdono il controllo, di conseguenza possono mettere in atto atteggiamenti indecenti e scandalosi agli occhi della comunità. Secondo il sociologo Trostle (1997), le crisi sono viste come pericolose per le normali interazioni sociali e come trasgressive dei valori culturali, venendo meno a una serie di norme inerenti i comportamenti che si ritengono appropriati in pubblico e violando le regole che governano le interazioni sociali, in quanto rappresentano la debolezza e

(33)

26

l’imprevedibilità umana, creando ambiguità nelle relazioni interpersonali. Queste considerazioni suggeriscono che il processo di stigmatizzazione nell’epilessia è spesso scatenato da una crisi in pubblico.

Infine, è utile mettere in luce la natura temporale dello stigma e conseguentemente quello di identità sociale negativa, i quali variano nell’arco del tempo e da un gruppo sociale all’altro.

2.3 –

TEORIE E CREDENZE SULL’EPILESSIA

Negli ultimi decenni, si è assistito a un sorprendente e promettente avanzamento delle conoscenze inerenti sia la comprensione scientifica dell’epilessia, con la sua definizione clinica, sia il suo trattamento. Essa è oggi considerata come una condizione neurologica e numerosi studi epidemiologici su larga scala hanno tenuto conto di una visione molto più favorevole della sua prognosi, rispetto alla visione prevalente in passato. Ma nonostante il fiorire di teorie e ricerche scientifiche stimolanti, che avrebbero dovuto dissipare i vecchi miti, sembra che, in certa misura, l’eredità di concetti ormai sorpassati persista ancora tra la gente. A un’attenta analisi, il pregiudizio sociale non sembra migliorato, ma piuttosto un tipo di pregiudizio è stato sostituito da un altro. Secondo alcuni ricercatori (Hill, 1981), la permanenza di pregiudizi trae origine da alcune teorie dominanti nel mondo scientifico occidentale alla fine del XIX secolo. Alcune sottolineano l’esistenza di una relazione tra epilessia e comportamento criminale e violento, relazione che in seguito risulterà centrale nel concetto di personalità epilettica. Secondo questa concezione, infatti, le persone con epilessia, oltre alle crisi, presentano un insieme di tendenze, per meglio dire tratti di personalità, indesiderabili, come l’aggressività, un’eccessiva religiosità e una sessualità sfrenata; i malati sarebbero quindi matti e cattivi, soggetti a improvvisi e

(34)

27

imprevedibili attacchi di violenza, con probabili tendenze all’omicidio e senza dubbio caratterizzati da depravazione morale.

Troviamo infine la più recente teoria della nevrosi epilettica, che vede i problemi comportamentali e psicologici, spesso associati all’epilessia, come reazioni naturali alla sofferenza provata dalle persone che ne sono affette per far fronte alle esigenze della vita. Anche questa teoria, comunque, sottolineando le difficoltà a livello individuale, non ha fatto altro che spostare l’attenzione da importanti fattori sociali che possono causare gli eventuali problemi psicologici dei malati. Vero è che tutte queste teorie, come spesso accade, sono circolate tra i non esperti e sono state trasferite poi nelle caratteristiche distintive negative dell’epilessia diffuse tra la gente, come è stato dimostrato da numerose indagini riguardanti le conoscenze e gli atteggiamenti nei confronti dell’epilessia.

Per quanto riguarda le cause dell’epilessia, vediamo che l’opinione più diffusa riguarda la sua ereditarietà, l’epilessia in alcuni casi presenterebbe una base genetica: essa passerebbe di generazione in generazione, senza fine. All’origine di tale opinione sembra esserci la teoria ingenua secondo cui le crisi sono causate dalla presenza di “nervi deboli” e che tale debolezza si tramandi di madre in figlio.

Tra le altre credenze ricorrenti, sempre inerenti le cause, rintracciamo quella secondo cui l’epilessia sia legata e scatenata da particolari eventi di vita stressanti, alla conseguente stanchezza che ne deriverebbe, alla febbre o addirittura verrebbe scatenata da condizioni atmosferiche estreme, come per esempio un forte vento, o da violenti cambiamenti stagionali.

È importante puntualizzare, comunque, che in molti Paesi del mondo le credenze circa le cause dell’epilessia e lo scatenarsi delle crisi stesse sono l’esito di un complesso intrecciarsi di concetti bio-medico scientifici, della medicina popolare e, per molto tempo, della mitologia. Vediamo così che l’epilessia era considerata come l’espressione di eventi neurologici, ma anche di uno squilibrio

(35)

28

a livello corporeo; fa inoltre riferimento a cause psicologiche oltre che a cause fisiche.

Va precisato, in più, che le credenze riguardanti le cause di questa malattia spesso dipendono dal livello di scolarizzazione della gente. Sono inoltre proposti fattori dietetici, come mangiare cibi molto grassi o a elevate temperature, cibi piccanti, cioccolata e bevande alcoliche, mentre solo raramente oggi la gente fa riferimento alle cause spirituali dell’epilessia.

Si riscontrano anche interessanti credenze circa il decorso e il trattamento della malattia, per esempio emerge la consapevolezza diffusa tra i pazienti e i loro familiari che, sebbene il disturbo non possa essere eliminato, si potrebbe trarre un enorme vantaggio dall’assunzione regolare e prolungata dei farmaci. Tale credenza può avere un impatto notevole sull’aderenza al trattamento farmacologico. In aggiunta, va sottolineata l’importanza attribuita a una regolazione dell’umore e dello stile di vita, così come la necessità di evitare di affaticarsi con un sovraccarico di lavoro, di farsi prendere dalla rabbia,di evitare temperature troppo calde o troppo fredde, ma anche sottrarsi a rumori e luci lampeggianti. C’è da sottolineare il fatto che, tutte queste strategie comportamentali, sono viste come un’integrazione al trattamento farmacologico, insieme alle cure e al supporto familiare, nonché all’essere confortato psicologicamente.

È interessante approfondire anche le credenze inerenti alle conseguenze dell’epilessia. L’opinione diffusa è che l’epilessia causi ripercussioni negative sul corpo e sulla salute in generale, tali da rendere coloro che ne sono affettipiù suscettibili nello sviluppare altre malattie in quanto ritenuti fisicamente più deboli rispetto agli altri. Sul piano fisico, sono abbastanza diffuse le paure circa le possibili lesioni conseguenti alle crisi e il rischio di morte, ma le paure riguardano anche il possibile danno agli organi causato dal ripetersi delle crisi.

(36)

29

Le credenze sulle conseguenze dell’epilessia fanno riferimento anche ad uno stato di indebolimento a livello cognitivo e psicologico. Frequentemente sono messi in rilievo gli effetti negativi interni sia sul funzionamento intellettuale, sia sullo stato psicologico con conseguente deterioramento di tali funzioni. Le persone con epilessia sono in genere descritte come meno intelligenti e comunque con un declino delle loro funzioni intellettive successivo all’esordio delle crisi, qualche volta attribuite agli effetti collaterali dei farmaci. Spesso sono anche attribuiti alla malattia cambiamenti in negativo del carattere.

Un’altra credenza evidenziata riguarda la probabilità che l’epilessia porti a pregiudicare le prospettive occupazionali, avendo così un impatto negativo anche sul lavoro. In particolare, ciò che si tende a pensare è che l’imprevedibilità delle crisi rappresenti un rischio per il lavoro e un potenziale pericolo per l’incolumità del paziente. Quest’ultimo dovrebbe evitare di svolgere sia lavori a contatto con il pubblico, per evitare possibili imbarazzi, sia impieghi eccessivamente pesanti che potrebbero scatenare le crisi. In più, si tende a credere che le persone con epilessia siano in generale inaffidabili; come lavoratori sono “meno competenti”, per via della loro tendenza ad avere le crisi.

Infine, i loro stessi familiari, poiché risultano generalmente iperprotettivi, sono convinti del fatto che i pazienti epilettici non dovrebbero lavorare fuori casa. Dai dati ricavati dalle indagini emerge che ciò che la larga maggioranza degli intervistati pensa è che chi ha l’epilessia non dovrebbe fare lavori che non sono permessi dalle leggi.

Ulteriori credenze abbastanza diffuse hanno attinenza con il matrimonio e la mancanza di prospettive di questo tipo. In molti Paesi l’epilessia era vista in passato e, in parte, è vista anche oggi, come un impedimento nel fare e nel mantenere le amicizie e nel trovare un compagno/a, dal momento che “ogni persona cerca un partner sano”. La logica di questo ragionamento è rafforzata da un insieme di opinioni molto ricorrenti, secondo cui un partner con epilessia è

(37)

30

indubbiamente meno desiderabile, di conseguenza le sue prospettive di un legame sentimentale sono viste come pressoché inesistenti; inoltre si ritiene che alcuni matrimoni finiscano più facilmente con un divorzio a causa del peso della malattia sul partner.La convinzione frequenteè che una persona con epilessia è meno capace di contribuire pienamente e adeguatamente a un’ampia varietà di attività della vita quotidiana, anche quando non è affetto dalle crisi, per adempiere al proprio ruolo matrimoniale.

Lo stigma, inoltre, influenza negativamente le opportunità di istruzione, di formazione nonché le possibilità di un eventuale carriera a livello lavorativo. Sono molto pochi coloro che ottengono un titolo universitario o una specializzazione. Va precisato che la discriminazione nei loro confronti è un problema che riguarda un po’ tutte le nazioni.

Alla luce di queste credenze diffuse circa le conseguenze generali dell’epilessia viene spontaneo chiedersi se e quanto l’epilessia influenzi la qualità della vita di chi ne è affatto. A fare la differenza nella persistenza dei pregiudizi e delle discriminazioni, comunque, è il grado di contatto o la familiarità che si ha con la malattia. Sembra infatti che coloro che hanno un minimo di familiarità sono anche quelli che mostrano di avere nozioni molto più vicine alle attuali conoscenze mediche.

Altri fattori che sembrano spiegare un atteggiamento positivo, unito a una conoscenza non influenzata dagli stereotipi sono: l’essere donna, avere un’età media e appartenere a una classe sociale più elevata. In particolare, sembra che i più giovani e i più anziani siano anche quelli che mostrano una minore conoscenza di base e un atteggiamento più negativo (D’amico et al., 2010).

Infine, di fondamentale importanza risultano essere le opinioni delle figure professionali, soprattutto dei medici, in merito alla patologia. Tali figure rivestono, infatti, un ruolo fondamentale nella percezione che i loro pazienti

(38)

31

hanno di se stessi, con la capacità di ridurre il senso di disabilità percepito dai malati, nonché di esclusione sociale.

2.4

NORMATIVE

DISCRIMINATORIE

E

INTERIORIZZAZIONE

DELLO

STIGMA

VERSO

L’EPILESSIA

Storicamente si è potuto assistere all’applicazione di norme e/o sanzioni contro le persone con epilessia. Le prime leggi moderne prevedevano: la legge sulla sterilizzazione eugenetica, che includeva i malati di epilessia nella sua sfera di competenza; le leggi che impedivano e proibivano il matrimonio; la legge sull’istituzionalizzazione delle persone con epilessia; l’ostacolo che costituiva l’epilessia per l’immigrazione.

Oggi in molti Paesi sviluppati, l’epilessia è considerata una disabilità e, come gli altri disabili, anche le persone con questa malattia, godono di alcune protezioni a livello legale. Ciononostante, ancora oggi, sono comunque soggette a discriminazioni legali, in particolare per quanto concerne il lavoro e l’impiego dei pazienti epilettici in svariati ambiti, con la conseguenza di ostacoli che si frappongono ai fini della possibilità di carriera, e la guida. Per esempio sono attualmente presenti leggi che proibiscono la loro ammissione alle forze armate; tali restrizioni si basano sulla considerazione che gli ambiti in questione riguardano occupazioni in cui ci si assume delle responsabilità inerenti la salute e la sicurezza degli altri e le persone con epilessia non sono ritenute in grado di assumersi tali responsabilità.

La normativa prevede delle restrizioni piuttosto severe per loro anche nel caso della guida di un’automobile, che vanno dalla proibizione totale della guida, alla possibilità di avere la patente se dimostrano che c’è stata un’assoluta

(39)

32

assenza di crisi per dodici mesi. Tali limiti sussistono nonostante l’assenza di prove a dimostrazione del fatto che i tassi di incidenti automobilistici provocati dalle persone con epilessia siano più alti rispetto a quelli causati dagli altri soggetti.

Per concludere, per i malati di epilessia la malattia rimane una caratteristica della propria identità e un peso morale, fonte di discriminazione e, nello stesso tempo, di ansia e vergogna. Questo avviene anche perché atteggiamenti con una connotazione meno negativa a livello sociale non sono ancora del tutto interiorizzati dai malati stessi, i quali maturano aspettative relative alle interazioni con gli altri poco positive. È interessante notare come le persone che sono ben informate sulla propria malattia siano meno propense a riferire a sé sentimenti di stigmatizzazione. Quindi, garantire un aumento delle conoscenze sulla propria malattia e sui cambiamenti negli atteggiamenti della gente può costituire la base da cui partire per far sì che esse mettano da parte l’etichetta di “epilettico/a”, insieme alla percezione dello stigma.

Uno dei mezzi più efficaci attraverso cui gli stereotipi negativi riguardanti questa condizione influenzano le opinioni della società è costituito dalle pellicole cinematografiche. Fonte ricca di ispirazione per gli scrittori e gli artisti nel corso del tempo, l’epilessia è apparsa anche sugli schermi cinematografici, con personaggi spesso matti, cattivi o pericolosi, lunatici e idioti. Anche nel XXI secolo i film continuano a veicolare molti degli antichi miti che circondano questa malattia, trasmettendo informazioni assolutamente sbagliate inerenti le caratteristiche delle crisi e il loro trattamento.

Alla luce di quanto detto, emerge l’importanza di educare e informare sia le persone con epilessia sia quelle senza.

Riferimenti

Documenti correlati

211 del 30.04.2020, con il quale si è provveduto, a seguito delle azioni di sistematizzazione dell’organizzazione aziendale, alla declaratoria delle attività attribuite e/o

di richiedere alla Orienta Spa la proroga del contratto di somministrazione di lavoro temporaneo per profilo cosi’ come specificato nell’Allegato 1 al presente provvedimento di cui

L’Azienda quale Titolare del trattamento dei dati per le attività oggetto della presente convenzione nomina il Dipartimento Responsabile del trattamento dei dati (art. La durata

- il Piano Nazionale delle Cronicità, previsto dal patto della Salute 2014/2016, predisposto dal Ministero della Salute, recepito dalla Regione Puglia con DRG

“Regolamento per l’affidamento di incarichi a legali esterni per la rappresentanza in giudizio dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Meyer, per l’assistenza in

- con successiva deliberazione del Direttore Generale n. 173 del 05.04.2018 si è altresì provveduto ad ulteriori azioni di sistematizzazione dell’organizzazione aziendale ed

- le Leggi n. 2/2003 riguardante il tema delle assunzioni obbligatorie presso amministrazioni pubbliche per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata e

In particolare, questo software consente la visualizzazione, la ricostruzione 2D o 3D delle immagini cardiache, per una corretta valutazione qualitativa