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III. La quantificazione vaga nel parlato italiano e tedesco

3.3 Quanto e quando quantifichiamo

Come già precedentemente spiegato (cfr. Capitolo II), sappiamo che la capacità di approssimare quantità numeriche è innata nell’essere umano e si attiva precocemente, molto prima che si acquisiscano capacità di calcolo avanzato e che si abbia la capacità di associare a delle quantità dei numeri grafici o addirittura dei suoni che ne compongano le parole numeriche, ovvero in fase preverbale. Essa costituisce la sorgente attraverso cui

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percepiamo, discriminiamo e calcoliamo la realtà che ci circonda (Lemer et al. 2003). Le parole numeriche che successivamente apprendiamo consentono lo sviluppo della capacità di calcolo e divengono bagaglio lessicale, all’interno del quale le parole-numero sono usate come oggetti simbolici che sottostanno alle proprietà di qualsiasi parola. In quanto tali, esse possono essere usate in modo vago ed approssimato come ogni altra parola. Sappiamo che il linguaggio è vago e che, al di là di questa caratteristica intrinseca e sistemica dei codici linguistici, l’essere umano propende molto spesso per la formulazione vaga di concetti che potrebbero essere espressi anche in modo più preciso, ovvero mette in atto procedimenti ai quali in questo studio mi riferisco con il termine vaghezza intenzionale. L’umana propensione ad interpretare la realtà secondo processi di stima, di confronti tra grandezze, di approssimazione e di misurazione non è la ragione alla base dell’uso di quantificatori vaghi nel parlato, poiché esso dipende piuttosto dalla generica propensione all’approssimazione nella comunicazione, causata da esigenze di economia, di flessibilità denotativa, di ammorbidimento del grado di assertività, eccetera. È però ipotizzabile che essa incida sulla frequenza d’uso dei quantificatori, che costituiscono una considerevole porzione della totalità di espressioni di vaghezza che usiamo quotidianamente. Osservando la proporzione d’uso dei quantificatori rispetto al totale di tutte le possibili espressioni linguistiche di vaghezza, ovvero chiedendoci quante delle espressioni usate dai parlanti per rendere un enunciato vago, impreciso, approssimato e mitigato (cfr. Capitolo I) sono costruzioni basate su concetti quantitativi, si ricava infatti un dato rilevante: sia in italiano che in tedesco, circa il 36% delle espressioni di vaghezza sono quantificatori. In altre parole, un’espressione di vaghezza su tre è un quantificatore. Una così elevata frequenza di strategie quantificanti è la spia di una certa preferenza nell’organizzazione mentale di concetti numerici (Dehaene/Mehler 1992: 20). Usiamo quantificatori anche per esprimere concetti non espressamente cardinali, perché tendiamo ad organizzare mentalmente la realtà che ci circonda secondo grandezze, rendendo scalari anche aspetti che non sono descrivibili secondo un principio di cardinalità (28).

(28) ich bin e bissele ketzerisch (it.) sono un po’ eretico

Fornire dati quantitativi in merito alla frequenza di un certo tipo di espressioni nel parlato, apre una questione molto importante relativa ai criteri di segmentazione delle unità nell’ambito della comunicazione orale. Per dare un’idea dell’incidenza di

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quantificatori nel parlato, mi sono basata sull’unità di tempo, ovvero misurando il numero di quantificatori per minuto in italiano ed in tedesco. Dal momento che l’analisi è stata condotta su durate di registrazioni identiche e su contesti comunicativi estremamente comparabili, usare un criterio di questo tipo può garantire risultati affidabili in merito alla frequenza di espressioni di quantificazione nelle due lingue. I risultati mostrano frequenze più elevate in tedesco che in italiano. In particolare, un parlante nativo dell’italiano si esprime attraverso un quantificatore ogni quattro minuti; un parlante nativo del tedesco lo fa ogni due minuti circa. La frequenza molto più elevata di quantificatori vaghi in tedesco rispetto all’italiano conferma la generale tendenza nell’uso di espressioni di vaghezza in queste due lingue. Infatti, da uno studio condotto sulle espressioni di vaghezza in italiano ed in tedesco, che costituisce il punto di partenza dell’analisi esposta in questa tesi, il numero totale di queste espressioni è notevolmente maggiore in tedesco, ma c’è una diversa distribuzione rispetto all’italiano a seconda del tipo di contesto comunicativo (Voghera/Collu in stampa).37 L’italiano mostra una drastica diminuzione d’uso quando si passa da contesti più interattivi e spontanei a contesti più formali e monologici; in tedesco la frequenza decresce in modo molto meno evidente, ma c’è comunque una frequenza più elevata in contesti del tutto spontanei ed interattivi, ovvero nel tipo di scambio comunicativo definito ‘libero’ per la mia analisi (cfr. Paragrafo 3.1.1). Questa tendenza osservata nelle espressioni di vaghezza, si riconferma nell’uso di quantificatori vaghi. Il Grafico 1 mostra, infatti, un netto calo nell’uso dei quantificatori quando si passa dallo scambio libero agli altri tipi di contesti; tuttavia, non ci sono particolari differenze tra il tipo di scambio legato ed il monologo. In tedesco si evidenzia una progressiva diminuzione d’uso nei tre tipi di scambi, che però è più graduale.

37 Tuttavia, non è stato ancora possibile osservare se la differenza di quantità d’uso tra le due lingue

è in qualche modo controbilanciata in italiano dall’uso di gesti (Vincze/Poggi/D’Errico 2012), non fornendo i due corpora usati (VoLIP per l’italiano e FOLK per il tedesco) registrazioni video.

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Grafico 1: percentuale quantificatori vaghi per tipo di scambio comunicativo in italiano e in tedesco.

Questo dato contrasta con quanto osservato da Koester (2007), che ha analizzato l’uso di alcune espressioni di vaghezza nel parlato inglese. I suoi risultati hanno evidenziato una maggiore frequenza d’uso di queste espressioni in contesti unidirezionali, ovvero un risultato opposto a quello riscontrato in Voghera/Collu (in stampa) e nella presente ricerca. È lecito supporre che tale incongruenza sia legata ai contesti comunicativi presi in considerazione, dal momento che nel caso di Koester (2007), si tratta di conversazioni in ambito lavorativo, in cui cioè, i partecipanti sono colleghi di lavoro che condividono un forte bagaglio contestuale, che consente un maggiore uso di riferimenti vaghi, ricostruibili dagli interlocutori facilmente; le conversazioni meno interattive prese in esame nel mio caso spesso si svolgono, invece, tra interlocutori che non si conoscono personalmente, e che di conseguenza condividono molte meno conoscenze ed esperienze, per cui necessitano di maggiore esplicitazione durante le conversazioni. Un ulteriore elemento a favore del maggior utilizzo di espressioni vaghe rilevato da Koester (2007) in contesti unidirezionali deriva dal tipo di relazione che esiste tra i parlanti in quei casi, che è di asimmetrica e subordinazione per i dipendenti rispetto a chi rivolge a questi ultimi le direttive sul lavoro da svolgere: in questi casi, Koester (2007) ha rilevato infatti molti usi che hanno funzione di protezione per la faccia dei parlanti, agendo sul piano della politeness per ammorbidire ordini, richieste, eccetera.

0,0 10,0 20,0 30,0 40,0 50,0 60,0

Scambio libero Scambio legato Monologo

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