4. Stigma e discriminazione: HIV come punizione e la qualità del sangue
4.1. La questione della qualità e la responsabilità dell’individuo 89
Durante la seconda fase di diffusione dell’HIV/AIDS (1991-2006), il virus e la malattia non godettero di una totale comprensione da parte della popolazione
Xueyi, CHEN, Tianjian, SHI, “Media effects on political confidence and trust in the People's
382
Republic of China in the post-Tiananmen period”, East Asia, 19, 2001, pp. 84-118.
Ya Jun, MENG, Ning Xiu, LI, Chao Jie, LIU, “Quality of life and hostile mentality trend of
383
generale. L’HIV/AIDS è una delle malattie più stigmatizzate a livello mondiale. In Cina i sieropositivi continuarono a subire abusi verbali e fisici, ostracismo e discriminazione, negazione di diritti quali il diritto alla salute, al lavoro e, più in generale, i diritti umani. Lo stigma che coinvolse i malati di AIDS aveva una 384
forte associazione con la modalità di trasmissione del virus, con la qualità morale e fisica dei sieropositivi e con un severo giudizio morale che veniva loro riservato dai media e dall’opinione pubblica. A livello individuale, l’HIV/AIDS venne 385
considerato come una punizione per un comportamento errato, deviato e immorale. L’essere sieropositivi divenne una responsabilità personale, la conseguenza di una scelta dell’individuo di seguire determinati comportamenti considerati socialmente inaccettabili. I malati di AIDS, in questo modo, erano 386
gli unici colpevoli del proprio cattivo stato di salute, così come del loro proprio isolamento. I sieropositivi subivano un doppio stigma: il primo dovuto al loro status di sieropositivi, il secondo dalla loro condotta morale. A questo, di fatto, si aggiunse un’ulteriore motivo di discriminazione: il fatto di appartenere a una categoria a rischio. A livello sociale, l’HIV/AIDS veniva associato a determinati gruppi e stereotipi. Ne conseguiva una tendenza alla generalizzazione che affibbiava a ogni “membro” dei suddetti gruppi lo status di potenziale sieropositivo. Questa associazione, tuttavia, era biunivoca: ogni individuo affetto da HIV/AIDS rientrava automaticamente in una categoria a rischio. Il generalizzare era 387
aggravato dalla rappresentazione mediatica che, generalmente, non garantiva una rappresentazione del singolo, ma unicamente del gruppo, decontestualizzando la narrazione dal background sociale, economico e personale. Conseguentemente, la popolazione generale associava il virus a categorie indistinte e responsabili del proprio destino. La mancanza del contesto socio-economico dei soggetti 388
considerati nella narrazione garantiva una de-responsabilizzazione e celava le cause più profonde e gravi dell’epidemia; prima, tra queste, la considerevole diseguaglianza che caratterizza il gigante asiatico a livello educativo, sociale ed
Chunbo, REN, Stacey J.T., HUST, Peng, ZHANG, “Chinese newspapers’ coverage of HIV…”, 2014.
384
Ibidem.
385
Dong, DONG, Tsan Kuo, CHANG, Dan, CHEN, “Reporting AIDS…”, 2008.
386
Yanhai, WAN, Ran, HU, Ran, GUO, “Discrimination against people with HIV and AIDS in
387
China”, The Equal Rights Review, 4, 2009, pp. 15-25. Johanna, HOOD, “Reproducing control and…”, 2013.
economico. Inoltre, le riforme economiche e i privilegi dati ad alcune aree della Cina non vennero mai prese in considerazione come potenziale causa della diffusione del virus. Di conseguenza, il Governo risultò innocente se non addirittura eroico nell’emanazione dei vari provvedimenti di cui si è discusso nella prima sezione del capitolo. La rappresentazione che vedeva i sieropositivi legati 389
a un particolare gruppo sociale veniva tipicamente utilizzata nelle storie di tossicodipendenti, omosessuali e lavoratori del sesso, tutte categorie che non rientrano negli standard sociali accettati dall’opinione pubblica o promossi dalla retorica di Partito. 390
Gli stereotipi che definivano l’HIV e l’AIDS dipendevano soprattutto dalla modalità di trasmissione del virus, dal livello educativo e di ricchezza e dalla provenienza. Per quanto riguarda le modalità di trasmissione, lo stigma era 391
strettamente connesso alla qualità morale e all’accettabilità. L’accettazione sociale si basava, generalmente, su un doppio standard: quanti avevano contratto il virus a causa di un comportamento immorale e deviato non erano degni della pietà o della compassione della popolazione generale. Di conseguenza, si diffuse l’idea 392
che le categorie a rischio quali lavoratori del sesso, tossicodipendenti e omosessuali non meritassero l’aiuto della comunità e del Governo. Al contrario, coloro i 393
quali erano stati infettati per errore godevano della pietà da parte dell’opinione pubblica. In questo caso, anche i media assumevano un atteggiamento diverso: comparvero storie di individui e della loro tragedia personale dando voce al singolo anziché procedere ad una sostanziale omologazione e stereotipizzazione. Nonostante il privilegio mediatico di cui godevano, questi soggetti soffrirono comunque per l’isolamento, la negazione di cure mediche e per la paura della popolazione generale nei loro confronti. 394
Nel rappresentare le categorie dell’AIDS, i media non si astennero dal fornire un severo giudizio morale e, in questo modo, formarono negativamente l’opinione
Haiqing, YU, “Governing and representing HIV/AIDS…”, 2012.
389
Ibidem.
390
Yanhai, WAN, Ran, HU, Ran, GUO, “Discrimination against people…”, 2009.
391
Chunbo, REN, Stacey J.T., HUST, Peng, ZHANG, “Chinese newspapers’ coverage of HIV…”, 2014.
392
Guomei, XIA, HIV/AIDS in China, 2004.
393
Yanhai, WAN, Ran, HU, Ran, GUO, “Discrimination against people…”, 2009.
pubblica cinese. Inoltre, l’enfasi sull’aspetto socio-culturale e morale della questione dell’HIV/AIDS portò la popolazione generale ad avere la convinzione di essere immuni in quanto non coinvolti in comportamenti a rischio. Questa 395
sicurezza inizialmente era data dal fatto che le notizie riguardanti il virus venissero riportante esclusivamente nella sezione di cronaca internazionale: l’HIV/AIDS era vista unicamente come una malattia straniera, in particolare dell’Africa sub- sahariana e dell’Occidente moralmente corrotto. La distanza geografica e morale rispetto alla Cina rappresentava una forma di sicurezza, ovvero la convinzione dell’impossibilità di contrarre il virus. La diffusione virale interna alla Cina 396
dimostrò invece l’erroneità di queste auto-indotte convinzioni. Tuttavia, la popolazione generale continuò a sentirsi protetta da un’immunità immaginaria (Hood, 2011), data dal fatto di non fare parte delle categorie a rischio. Se durante la prima fase la sicurezza era data dalla “cinesità” dell’individuo, ora venne garantita dall’appartenenza alla popolazione urbana e alla popolazione Han. 397
L’idea di inciviltà, arretratezza culturale e tecnologica venne traslata dalle popolazioni africane a quelle delle regioni della Cina centrale e occidentale. I contadini e gli abitanti delle aree rurali cominciarono a essere descritti con gli stessi termini che erano stati utilizzati per rappresentare le popolazioni di colore. Di conseguenza, si diffuse l’idea che l’HIV/AIDS fosse “una malattia 398
dei poveri”. La ricchezza divenne un fattore determinate per sancire quella 399
sensazione di immunità e distanza che caratterizzava la popolazione urbana. La questione della qualità risulta evidente anche nella fase presa in esame in questo capitolo: le aree rurali divennero sinonimo di bassa qualità fisica e le campagne subirono un processo di svalutazione: la vita dei contadini non venne più considerata ideale e spensierata come durante la Rivoluzione Culturale (1966-1976) ma, al contrario, le campagne vennero dipinte come un luogo senza futuro, un luogo di fame e miseria, dove la popolazione si aggrappa a qualsiasi
Johanna, HOOD, “HIV/AIDS health…”, 2011.
395
Ibidem.
396
Dong, DONG, Tsan Kuo, CHANG, Dan, CHEN, “Reporting AIDS…”, 2008.
397
Johanna, HOOD, “Distancing disease in the un-black…”, 2013.
398
Ya Jun, MENG, Ning Xiu, LI, Chao Jie, LIU, “Quality of life and hostile…”, 2008.
mezzo per ottenere denaro e arricchirsi. L’avarizia della classe contadina venne 400
identificata come causa del successo della blood economy, quindi della diffusione dell’HIV e del loro stesso stigma. Come già detto in precedenza, non venne mossa alcuna accusa al contesto di profonda disuguaglianza, alla lenta azione del Governo e a una sanità pubblica inefficace e dominata dal clientelismo.
Un ulteriore fattore che ha incrementato la distanza tra la popolazione generale e quella sieropositiva è dovuto all’incidenza di casi tra alcune minoranze etniche, soprattutto quelle residenti nello Yunnan e nelle aree limitrofe al Golden Triangle. 401
Il sistema cinese promuove da sempre la cultura Han come standard e la RPC ideò un progetto di costruzione nazionale sotto la leadership dell’etnia dominante, quella Han appunto. Questa promozione viene sottolineata da un sistema educativo e scolastico che tende a rispettare la cultura, le tradizioni e i canoni Han. A causa della continua promozione di questa etnia da parte del Governo, 402
gli Han si posizionano al primo posto nella scala di civilizzazione, modernità e valori morali, mentre le minoranze etniche vengono comunemente definite arretrate, immorali e non civilizzate. Le minoranze sono intimate a seguire l’esempio dell’etnia dominante e tra gli Han sussiste l’idea di superiorità morale, tecnologica e sociale. Ne consegue che gli appartenenti di alcune minoranze vogliono essere considerati e identificati come Han al fine di evitare lo stigma sociale che le affligge. Questa realtà si poté riscontrare anche nel caso dei sieropositivi: l’appartenenza a una minoranza etnica costituiva un’ulteriore ragione di discriminazione e isolamento. 403
Come già evidenziato per la fase precedente, la discriminazione dipende dalla qualità morale e fisica che la popolazione generale attribuisce alle categorie a rischio solitamente descritte come non civilizzate, deviate, povere e moralmente corrotte. Nonostante il Governo promuova numerose campagne anti-stigma, tuttavia il focus su determinati gruppi sociali che vengono costantemente associati
Chunbo, REN, Stacey J.T., HUST, Peng, ZHANG, “Chinese newspapers’ coverage of HIV…”, 2014.
400
J. T. F., LAU, H. Y., TSUI, “Discriminatory attitudes towards people living with HIV/AIDS and
401
associated factors: a population-based study in the Chinese general population”, Sexually Transmitted
Infections, 81:2, 2005, pp. 113-119.
Reza, HASMATH, “Shangri-la has forsaken us: China’s Ethnic minorities, identity and
402
Government repression”, Color Struck: essays on race and ethnicity in global perspective, Jiuliu O. Adekunle e Hettie V. Williams, (ed), Lanham, Maryland, University Press of America, 2010.
Ibidem.
al virus perpetua la stereotipizzazione e l’idea di distanza e immunità di cui la popolazione generale, in particolare quella urbana, si sente investita. 404
Da quanto detto, risulta evidente come gli elementi che caratterizzavano la narrazione dell’AIDS nella prima fase di diffusione del virus (1985-1990) abbiano continuato a determinare la retorica della seconda fase (1991-2006). La differenza sostanziale è data dai soggetti scelti come volto dell’HIV/AIDS: il virus non riguardò più esclusivamente le popolazioni africane e occidentali, ma anche tossicodipendenti, lavoratori del sesso e donatori di sangue cinesi. In questo frangente il we vs. other non coinvolgeva più l’intero popolo cinese, ma la popolazione Han urbana in contrapposizione a categorie a rischio specifiche.
La costante discriminazione si cui soffrono le categorie a rischio ha, inoltre, effetti negativi sulle iniziative di prevenzione e controllo dell’epidemia. Lo stigma, infatti, è una delle cause del continuo dilagare del virus: la paura di essere riconosciuto ed etichettato come sieropositivo o appartenente a una categoria a rischio impedisce che le persone effettuino i test o seguano la terapia antiretrovirale. L’ignoranza sul proprio stato e sulle norme igieniche da seguire 405
al fine di non contrarre il virus, insieme con l’apparente immunità della popolazione generale e la distanza geografica, permette un’incontrollata propagazione dell’HIV.