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San Pietro (fig. 21)

1551-1560 c.

Tempera su tavola, cm 98x34 Ubicazione sconosciuta

La tavoletta, certamente frammento di un polittico smembrato, passò all’incanto a Milano presso la casa d’asta Finarte nel novembre 1964 con un ragionevole riferimento alla scuola toscana del XVI secolo. Venne riconosciuta dal Castelnovi che la inserì prima nel catalogo del «Pancalino» (Castelnovi 1970) e poi in quello del suo primo seguace (Castelnovi 1987). Citato anche dalla critica successiva (Bartoletti 1988a; Fedozzi 1991; De Moro, Romero 1992), l’opera risulta ad oggi non rintracciabile.

Bibl.: Finarte 1964, p. 73 cat. 197.; Castelnovi 1970, p. 178 nota 39; Castelnovi 1987, p. 159

nota 34; Bartoletti 1988a, p. 791; Fedozzi 1991, p. 75 cat. 23; De Moro, Romero 1992, p. 175.

14. Giulio De Rossi

San Lorenzo e San Giovanni Battista in adorazione dell'Eucarestia (pala); Dio Padre, Gabriele arcangelo, Vergine annunziata (cimasa) (fig. 22)

1551-1560 c.

Tavola, cm 171x120

Vallebona (Imperia), chiesa di San Lorenzo

L’opera è conservata presso la chiesa parrocchiale di San Lorenzo a Vallebona da cui non ci sono motivi di dubitare che provenga vista anche la posizione privilegiata del santo titolare all’interno della raffigurazione, ma la sua attuale disposizione nel vano absidale non corrisponde certamente all’originale collocazione. L’edificio più antico fu radicalmente trasformato e ampliato nel corso del XVIII secolo (sulla chiesa cfr. Magoni Rossi 2005); verosimilmente allora il dipinto, già pala dell’altar maggiore o della cappella a sinistra dedicata a San Giovanni Battista, protagonista della scena insieme a San Lorenzo, venne spostato e sistemato nel coro.

Non per forza si dovrà ammettere, come è stato proposto (Ciliento, Pazzini Paglieri 1991), che la tavola costituisse lo scomparto centrale di un più ampio complesso. Confrontando l’opera con l’ancona di Bagnasco (cat. 19), probabilmente di poco successiva e ben conservatasi nel suo assetto originario, si noterà, infatti, come esse condividano, pur con le debite differenze, una struttura pressochè simile che si compone di una pala centrale (centinata a Bagnasco, a terminazione rettilinea a Vallebona) e di una cimasa (timpano triangolare in un caso, scomparto quadrangolare affiancato da volute nell’altro) inserite all’interno di una carpenteria lignea (monumentale e raffinata a Bagnasco, estremamente semplificata a Vallebona). Risulta mancante solo la predella.

Il dipinto fu segnalato per la prima volta da Bartoletti (1988a) con riferimento al «tardo seguace del Pancalino» intorno agli anni Sessanta-Settanta del secolo; d’accordo Ciliento e Pazzini Paglieri (1991) che definivano l’opera «semi-invisibile», riferendosi alla spessa coltre di sporco che tuttora ricopre la superficie pittorica impedendone una corretta lettura. Se Fedozzi (1991) si limitava a inserire la pala nel catalogo derossiano rilevando come fosse poco «agevole individuare un convincente termine di confronto», De Moro e Romero (1992) ne riconoscevano «un vero e proprio cardine in un percorso formativo giuliano ancora troppo vago e indefinito» postulando un intervento ideativo di Raffaello soprattutto per l’inserimento dell’«ariosa composizione della scena in un contesto naturalistico» (p. 44) e proponendo una datazione intorno agli anni 1549-1551, condivisa successivamente anche da Bartoletti (1999h).

87 cat. 37; De Moro, Romero 1992, pp. 40, 44, 94-96 cat. 6; Bartoletti 1999h, p. 392; Magoni Rossi 2005, p. 6.

15. Giulio De Rossi

Confratelli in adorazione della Croce (fig. 24)

1551-1560 c.

Tavola, cm 37x44 (cm 44x67 con la cornice)

Albenga (Savona), Museo Diocesano d’Arte Sacra (dall’oratorio della Santa Croce di Diano San Pietro)

L’opera, oggi esposta presso il Museo Diocesano di Albenga, proviene dall’oratorio della Santa Croce di Diano San Pietro, edificio del XVI secolo, tuttora esistente, eretto nelle immediate vicinanze della chiesa di San Pietro. La trasformazione in ricreatorio parrocchiale nel 1956 determinò una serie di distruzioni e depauperamenti del suo patrimonio artistico tanto da indurre la Soprintendenza a prelevare alcune delle opere ivi conservate, tra cui la tavoletta in oggetto, successivamente restaurate e, quindi, trasferite ad Albenga (sull’oratorio cfr. Abbo 1985 pp. 41-43).

Il dipinto, variamente indicato come generico frammento di un perduto polittico, come scomparto di predella o, più plausibilmente, come testata di cataletto, fu segnalato per la prima volta da Boggero (in Il Museo 1982) col riferimento alla produzione tarda dell’ignoto maestro soprannominato «Pancalino», il cui profilo era stato delineato da Castelnovi, ben rappresentata dalla pala con la Crocifissione della chiesa di San Michele arcangelo a Borello, anch’essa allora depositata presso il Museo di Albenga. L’attribuzione fu accettata senza riserve dalla critica e, in particolare, da Castelnovi (1987) che, accogliendo le considerazioni dello stesso Boggero, comprendeva l’opera nella produzione del primo seguace del maestro. Fu, infine, inserita nel catalogo di Raffaello De Rossi da Fedozzi (1991) e piuttosto in quello di Giulio da De Moro e Romero (1992), con una datazione unanime al sesto decennio.

Restauri: L. Müller, 1978.

Bibl.: F. Boggero in Il Museo 1982, p. 33 cat. 49; Abbo 1985, p. 43; Bernardini 1985, p. 115; Restauri 1986, p. 86; Castelnovi 1987, p. 159 nota 34; Bartoletti 1988a, p. 791; Fedozzi

1991, pp. 66-67 cat. 14; De Moro, Romero 1992, p. 104 cat. 10.

San Bernardo da Chiaravalle in trono, San Pietro, San Paolo (registro inferiore); Annunciazione, San Michele Arcangelo e San Giovanni Battista, Santo Stefano e San Nicola (registro superiore) (fig. 16)

1552

Tempera su tavola, cm 245x200

Evigno presso Diano Arentino (Imperia), chiesa di San Bernardo

Iscrizioni: «1552» (sul libro di San Pietro)

La pala occupa la parete absidale della chiesa di San Bernardo abate situata tra le borgate Villa di Là (o Borghetta) e Villa Costa di Evigno. L’edificio di culto costituisce dal 1986 una parrocchia unica insieme alla chiesa di Santa Margherita d’Antiochia di Diano Arentino, ma entrambe furono erette in singole parrocchiali già nel 1586 attraverso la loro separazione dalla chiesa matrice di San Michele arcangelo di Borello. L’antico oratorio di San Bernardo venne ampliato attraverso l’aggiunta di una navata laterale in un momento precedente, secondo Abbo (1990-1991, p. 40), alla sua costituzione in parrocchiale, quindi prima del 1586; in questo senso lo studioso indica il 1552, la data apposta sul nostro polittico, come un utile termine per collocare l’intervento strutturale. L’edificio visse una seconda fase di rinnovamento architettonico durante il XVII secolo, terminata entro il 1642, in seguito alla quale assunse l’assetto attuale. Fu allora, probabilmente, che il polittico, oggi sprovvisto di predella, venne sistemato nel coro (sulla chiesa cfr. Abbo 1990-1991, pp. 39-45).

Nel Sacro, e vago Giardinello è registrata in chiesa una «ben dipinta ancona» che possiamo facilmente identificare col nostro polittico nonostante si riporti che la figura del Santo titolare è affiancata da quelle di San Martino e Sant’Andrea, anziché dai Santi Pietro e Paolo. Il dipinto, spesso citato all’interno delle guide artistiche edite a partire dal secondo quarto del secolo scorso (La provincia 1934; Scialdoni s. d. [ma 1933]; E. e M. Berry 1963 [1931]; Lamboglia 1963; Ferrando 1977; Lamboglia 1986), fu inserito dal Castelnovi nel catalogo del «Pancalino», prima (1970), e in quello del suo primo seguace, poi (1987). Fedozzi (1991; 1999c; 2016) e De Moro (De Moro, Romero 1992, p. 47) attribuiscono l’opera al solo Raffaello, d’accordo Bartoletti (1999c, 1999h) mentre Romero (De Moro, Romero 1992, p. 102 cat. 9) la considera già prodotto di collaborazione tra padre e figlio.

Fonti manoscritte: Paneri 1624-1653 c., II, c. 581 r.

Bibl.: La Provincia 1934, p. 189; Berry [1931] 1963, p. 182; Scialdoni s. d. [ma 1933], p.

Ferrando 1977, p. 101; Bernardini 1985, p. 115; Lamboglia 1986, p. 184; Castelnovi 1987, p. 159 nota 34; Abbo 1990-1991, pp. 40, 42-43; Fedozzi 1991, pp. 27, 64 cat. 11; De Moro, Romero 1992, pp. 46-47, 75, 76 nota 196, 102-103 cat. 9; Bartoletti 1999c, p. 100; Bartoletti 1999h, p. 392; Fedozzi 1999c, p. 548; Fedozzi 2016, p. 219.

17. Raffaello e Giulio De Rossi

Madonna incoronata col Bambino e angeli, San Paolo, San Pietro (registro inferiore); San Giovanni Battista, Sant’Apollonia (registro superiore); Dio Padre e angeli (cimasa); Discesa agli Inferi, Resurrezione, Guardia al sepolcro (predella) (fig. 17)

1559

Tempera su tavola, cm 320x210

Casanova Lerrone (Savona), chiesa di Sant'Antonino martire

Iscrizioni: «1559» (sul libro di San Pietro)

Il polittico, oggi conservato nell’abside della nuova parrocchiale di Sant’Antonino a Casanova Lerrone costruita tra il 1603 e il 1618, doveva decorare in origine l’altare maggiore dell’antica chiesa o forse una cappella laterale dedicata alla Vergine vista l’assenza dell’effigie del martire titolare (Fedozzi 1991).

Già citato nella guida di Scialdoni (s. d. [ma 1993]) tra le opere degne di nota presenti in chiesa col tradizionale riferimento «ai fratelli Brera della scuola nizzarda» e un’improbabile datazione al 1484, il dipinto fu annoverato da Castelnovi (1987) nel catalogo del primo seguace del «Pancalino», autore, secondo lo studioso, della cimasa di Finalborgo e del polittico di Perti, d’accordo Bartoletti (1988a). Se Fedozzi (1991) lo attribuiva per lo più a Raffaello, postulando interventi di Giulio solo «marginali» (p. 27) e forse anche l’aiuto di un modesto collaboratore nel timpano (p. 73), De Moro (1992), invece, rintracciò nell’opera «il primo esempio concreto degli “standards” produttivi della bottega», un «oggetto d’alto livello qualitativo in cui la collaborazione generazionale, pur nettamente avvertibile, raggiunge fecondo quanto elevato grado di amalgama» (p. 47).

L’apertura nella parte inferiore dello scomparto centrale che consentiva originariamente l’inserimento di un tabernacolo fu tamponata e integrata con un brano di paesaggio in modo da accordarsi con lo sfondo laterale. Romero (De Moro, Romero 1992, p. 107 cat. 12, sulla base di una comunicazione orale di Armando Raimondo) suggeriva di riferire l’operazione alla mano del pittore F. Bialetti, impegnato alla realizzazione degli affreschi del presbiterio nel 1926, quando intervenne, in qualche modo, anche sul polittico.

Bibl.: Scialdoni s. d. [ma 1933], p. 163; Castelnovi 1987, p. 159 nota 34; Bartoletti 1988a,

p. 791; Fedozzi 1991, pp. 27, 50, 72-73 cat. 19; Fedozzi 1992, p. 23 nota 11; De Moro, Romero 1992, pp. 47, 76, 107-109 cat. 12; Bartoletti 1999h, p. 392; Fedozzi 1999c, p. 548; Fedozzi 2016, p 219.

18. Raffaello e Giulio De Rossi

Madonna incoronata col Bambino, San Giovannino e angeli (fig. 19)

Ante 1560

Tempera su tavola, cm 135x66 Ubicazione sconosciuta

Questa tavola, la cui ubicazione attuale è sconosciuta, è nota perché passata sul mercato antiquariale milanese nel 1994 presso la casa d’aste Finarte col curioso riferimento al Maestro di Palazzo Abatellis proposto da Mauro Natale sulla base di un confronto con un’opera di uguale soggetto conservata presso la Galleria regionale della Sicilia (Rolandi Ricci 2004-2005, p. 101, nota 3). Rolandi Ricci per primo ha incluso il dipinto nel catalogo di Raffaello De Rossi postulando un intervento del figlio Giulio «per le tinte “fredde” e gli incarnati “lattei”» (p. 101) e proponendo di identificarlo col pannello centrale del perduto polittico eseguito per l’altare della confraternita della Santa Croce nella chiesa parrocchiale di San Nicola di Bari di Diano Castello ricordato nel documento di commissione dell’ancona di Tovo come modello cui fedelmente attenersi (cat. 20). Confrontando la tavola con lo scomparto principale del polittico di Tovo, infatti, appare subito evidente la pressochè totale corrispondenza compositiva, nonostante alla tavola Finarte sia stata probabilmente ribassata la centina, con la conseguente perdita del brano con la colomba del Santo Spirito, e forse rifilato anche il lato inferiore.

Rolandi Ricci data il lacerto alla metà del sesto decennio per affinità col polittico di Evigno (1552).

Bibl.: Casa d’aste Finarte, asta del 18 ottobre 1994, cat. 58; Rolandi Ricci 2004-2005, pp.

45-46, 100-101 cat. 14.

19. Giulio De Rossi

Dio padre (cimasa); San Sebastiano, Ultima Cena, San Rocco (predella) (fig. 23)

1560-1565 c.

Tempera su tavola, cm 265x190 (cm 119x158 solo la pala; cm 108x20 solo la predella) Bagnasco (Cuneo), chiesa di Sant’Antonio abate

Il dipinto, oggi ben restaurato e conservato dal 1962 sulla parete della navata destra della chiesa di Sant’Antonio a Bagnasco, parrocchiale dal 1804, si trovava precedentemente nel vano absidale della stessa chiesa da cui venne rimosso in occasione del restauro dell’edificio. Visto il soggetto iconografico, la committenza si può facilmente individuare nella compagnia del Santissimo Sacramento fondata sull’altar maggiore della chiesa nel 1543 (Fedozzi 1992). Al di là di un riferimento a Gaudenzio e Defendente Ferrari proposto dal parroco Giuseppe Ponzo nel 1943 (cfr. Fedozzi 1992 p. 18) e ripreso anche in tempi molto successivi in guide della zona (Pollino 1974), il dipinto fu attribuito a Oddone Pascale da Tardito Amerio (1962) e ricondotto al catalogo di Raffaello De Rossi da Fedozzi (1992) che ne indicava una datazione circoscrivibile per motivi stilistici intorno alla metà del secolo, ma compresa certamente tra il 1543, anno di fondazione della Confraternita del Santissimo Sacramento, e il 1568, anno in cui la chiesa passò ai domenicani, evento dal quale il nostro dipinto sembra dimostrare una totale estraneità. L’opera venne ripresa in esame da Bartoletti che confermò il riferimento a Raffaello postdatandola, però, di circa un decennio, attorno al 1560 (Bartoletti 1999c; Bartoletti 1999h) e avvicinandola ai modi di Oddone Pascale e Pietro Dolce (Bartoletti 2002). Una datazione alla prima metà del sesto decennio è stata recentemente sostenuta da Fedozzi (2016) e Sista (in Rinascita 2019).

Bibl.: Tardito Amerio 1962, pp. 14-20; Pollino 1974, p. 54; Fedozzi 1992, pp. 17-18;

Bartoletti 1999c, p. 100; Bartoletti 1999h, p. 392; Bartoletti 2002 p. 70; Fedozzi 2016, p. 219; A. Sista in Rinascita 2019, p. 12.

20. Raffaello e Giulio De Rossi

Madonna col Bambino in gloria, Sant’Antonio abate, San Giovanni Evangelista (registro

inferiore); San Gerolamo e San Giacomo Maggiore, Santa Chiara d’Assisi e Santa

Caterina d’Alessandria (registro superiore); Dio Padre, Gabriele arcangelo, Vergine annunziata (cimasa); Tentazione di Sant’Antonio, Natività e Annunciazione ai pastori, Resurrezione di Drusiana (predella) (fig. 18)

Tempera su tavola, cm 311x211

Tovo presso Villa Faraldi (Imperia), chiesa di Sant'Antonio abate

Il 21 marzo 1560 «Magister Raffael de Rubeis habitator Diani» prometteva a Giovanni Ardoino di Jacopo e a Jacopo Ardoino di Pietro, massari dell’oratorio di Sant’Antonio abate di Tovo, di dipingere entro la festa di San Lorenzo, titolare della chiesa parrocchiale di Villa Faraldi da cui l’edificio dipendeva, un’ancona d’altare dedicata al Santo eremita. Nell’atto si specifica che l’opera dovesse eguagliare in dimensioni, forma, dorature e colori quella eseguita dallo stesso maestro per la casaccia della Santa Croce nella chiesa di San Nicola di Bari a Diano Castello, oggi perduta (cat. 60), ma il cui scomparto centrale potrebbe essere identificato con la pala passata sul mercato antiquario milanese nel 1994 (fig. 19; cat. 18). Il compenso veniva fissato in cinquantacinque scudi d’oro di cui diciotto saldati al momento dell’atto. Due quietanze di pagamento successive sono contenute come postscripta sullo stesso foglio: il 3 luglio 1561 Giulio «filius et publicus negociator dicti Magistri Raffaelis» dichiara alla presenza dei testimoni Giovanni Agostino Qualia e Giulio Foresta di aver ricevuto da Jacopo Ardoino la somma di dodici scudi, mentre il 26 gennaio dell’anno dopo ancora Giulio, in qualità di «procurator» di Raffaello, ne riscuote quindici dallo stesso massaro davanti a Pietro Giovanni Martino e Giovanni Giordano.

La tavola è tuttora conservata nella chiesa di Sant’Antonio a Tovo, la cui prima notizia nota si rintraccia proprio nel citato atto di commissione. Divenuta parrocchiale autonoma rispetto alla chiesa di San Lorenzo di Villa Faraldi dal 1587, l’edificio risulta in continuo rinnovamento tra gli ultimi decenni del Cinquecento e il secolo successivo fino al suo completo rifacimento avviato nel 1709. Probabilmente ad allora risale la collocazione dell’opera, in origine ancona dell’altar maggiore, nel vano absidale (sulla chiesa cfr. Kuthy 2013 pp. 88-101).

Il polittico, già ricordato nella relazione stilata dal segretario vescovile Giovanni Ambrogio Paneri in occasione della visita pastorale condotta negli anni Trenta del XVII secolo da monsignor Pier Francesco Costa («Sopra amena Collinetta, in mezo dell’habitatione, à dilettevol prospettiva di Mare, e della circondante campagna [...] dedicono Chiesa di molte devozioni questi fedeli al Pregio dell’eremo, Antonio Abbate [...] la cui figura alla destra di Nostra Signora, con quella di S. Giovanni Evangelista alla sinistra, vagamente delineata nell’Ancona in dinota pittura accrescono ogni giorno più devotione in quei animi prontissimi [...]»), fu segnalato dai coniugi Berry (1963 [1931]) quale opera poco interessante e di scarso livello artistico, probabilmente della fine del XVI secolo e comunque molto ritoccata, e

vagamente citato nella guida della provincia di Imperia del 1934 e da Lamboglia (1963; 1986; XV secolo). Castelnovi lo incluse dapprima entro la produzione dell’ultimo periodo del «Pancalino» (Castelnovi 1970), poi nel catalogo del suo primo seguace (Castelnovi 1987). Sia Fedozzi (1991) che De Moro e Romero (1992) vi riconobbero, infine, un’opera di collaborazione tra Raffaello e Giulio, dove appare prevalente l’intervento del più giovane maestro, colui che, non a caso, ne riscuote anche i pagamenti.

Documenti: ASI, notaio Giovanni Battista Seassaro, f. 8, n. 119, 21 marzo 1560, 3 luglio

1561, 26 gennaio 1562 (doc. XIII).

Fonti manoscritte: Paneri 1624-1653 c., II, c. 591 r.

Bibl.: La Provincia 1934, p. 189; Berry 1963 [1931], p. 186; Lamboglia 1963, p. 186;

Castelnovi 1970, p. 178 nota 39; Ferrando 1977, p. 312 («Pancalino»); Lamboglia 1986, p. 186; Castelnovi 1987, p. 159 nota 34; Bartoletti 1988a, p. 791; Bartoletti 1988b, p. 14; Fedozzi in Cervo s. d. [ma 1988], p. 77; Fedozzi 1990, p. 10; Fedozzi 1991, pp. 27, 68-69 cat. 16; De Moro, Romero 1992, pp. 49-50, 76, 116-118 cat. 15, 182; Bartoletti 1999f, p. 391; Bartoletti 1999h, p. 392; Fedozzi 1999c, p. 548; Fedozzi 2016, p. 219.

21. Raffaello e Giulio De Rossi

San Bartolomeo in gloria, San Pietro e San Paolo, San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista (registro inferiore); San Giorgio e San Sebastiano, Sant’Agata e Santa Caterina d’Alessandria (registro superiore); Dio Padre, Gabriele arcangelo, Vergine annunziata (cimasa); Conversione di San Paolo, Angeli musicanti, Martirio di San Bartolomeo (predella) (fig. 20)

1562

Tempera su tavola, 364 x 254 cm

San Bartolomeo al Mare (Imperia), chiesa di San Bartolomeo

Iscrizioni: «1562» (sul libro di San Bartolomeo)

Del polittico, datato 1562 sulle pagine del libro che San Bartolomeo tiene poggiato sul ginocchio con la mano sinistra, si conservano alcune importanti testimonianze documentarie. La prima in ordine cronologico è una quietanza di pagamento del 20 gennaio 1562 rogata a Diano Castello dal notaio Giovanni Battista Seassaro, in cui «Jiulius de Rubeis filius et procurator Dominis Raphaelis patris» dichiara di aver ricevuto dai massari della chiesa di San Bartolomeo, Benedetto Siccardo, Domenico Ordano, Giovanni Agostino Viale e

Bartolomeo Arimondo, tutti «de loco Cervi», quaranta scudi d’oro per «mercedis ipsius Magistri Raffaelis fabricationis picture seu ancone». Si ricorda, inoltre, che la commissione dell’opera è contenuta in un atto, non più rintracciabile, del notaio Nicolò Confredo. Il dipinto viene poi citato cinque anni dopo nell’atto di ordinazione a Raffaello e Giulio dell'ancona di San Paolo per la chiesa di Aurigo (cat. 24) in cui si prescrive che l’opera assuma quale modello «ancunne per ipsum Julium factam in ecclesia Sancti Bartholomei Ville Cervi», quindi l’ancona realizzata da Giulio (dal solo Giulio) nella chiesa di San Bartolomeo a Cervo.

L’opera, attualmente collocata nel vano absidale della chiesa di San Bartolomeo dell’omonimo comune, già parrocchiale dal 1505, doveva in origine adornarne l’altar maggiore. Dell’antico edificio, gravemente danneggiato durante il terremoto del 1887 e, quindi, ricostruito, si salvarono soltanto il campanile del XIV secolo e la zona absidale, frutto dei rifacimenti di primo Seicento (cfr. Fedozzi 2017).

Già registrata in un inventario dei beni della chiesa redatto il 30 luglio 1593, l’ancona fu descritta nel XVII secolo in occasione di una delle visite pastorali del vescovo Pier Francesco Costa («[...] suddetto santo, la cui Imagine in vaga pittura si dimostra depinta nel Choro, arrichito di sontuosa, e ben delineata Ancona, con la Figura del Titolare in mezzo di quelle di SS. Pietro, e Paolo Apostoli alla destra, Gio Batta e Gio Evangelista alla sinistra, con altri santi aletanti alla Divina contemplatione [...]»). Il polittico, già notato dai coniugi Berry (1963 [1931]) che ne riportavano la tradizionale attribuzione a Giovanni Cambiaso e una datazione all’inizio del XVI secolo, fu citato nella guida di Scialdoni (s. d. [ma 1933]) come «bel trittico d’autore ignoto» e pubblicato senza riferimenti nella guida della provincia di Imperia edita nel 1934. Segnalato da Grosso come «polittico di scuola genovese, forse di G. Cambiaso» (1951, p. 262), da Lamboglia (1963) come opera del XV secolo e da Ferrando (1977) con la corretta indicazione cronologica ma ascritto genericamente alla scuola ligure- nizzarda, fu finalmente annoverato dal Castelnovi, in un primo momento (1970), tra le opere dell’ultima fase del «Pancalino» e, successivamente (1987), tra quelle del suo primo seguace. Fedozzi (1991) e De Moro e Romero (1992) la classificarono, infine, come opera di collaborazione tra padre e figlio in cui prevale l’impronta di Giulio.

Lo spazio oggi tamponato da listelli di legno lasciato a vista in corrispondenza della zona inferiore del pannello principale e dello scomparto centrale della predella doveva ospitare in origine il ciborio, esattamente come avviene a Casanova Lerrone (cat. 17).

ASI, notaio Nicolò Rodini, scat. P-1, not. 4, c. 103, 8 dicembre 1567 (doc. XIX); ASI, notaio Paolo Giulio Arimondo, 1, n. 451, 30 luglio 1593 (Fedozzi 1991, p. 70, cat. 17).

Fonti manoscritte: Paneri 1624-1653 c., II, c. 616 v.

Bibl.: La provincia 1934, pp. 180, 189; Scialdoni s. d. [ma 1933], p. 194; Grosso 1951, p.

262; Capovilla 1955, p. 4; Berry [1931] 1963, pp. 183-184; Lamboglia 1963, p. 186; Castelnovi 1970, p. 178 nota 39; Ferrando 1977, p. 225; Bernardini 1985, p. 115; Lamboglia 1986 p. 186; Castelnovi 1987, p. 159 nota 34; Bartoletti 1988a, p. 791; Fedozzi in Cervo s. d. [ma 1988], p. 61; Fedozzi 1990, p. 10; Fedozzi 1991, pp. 26, 27, 51, 69-71 cat. 17; De Moro, Romero 1992, pp. 50, 76, 119-120 cat. 16; Bartoletti 1999f, p. 391; Bartoletti 1999h, p. 392; Fedozzi 1999c, p. 548; Fedozzi 2016, p. 219.

22. Giulio De Rossi

Madonna assunta e apostoli, San Pietro, San Paolo (registro inferiore); San Giovanni Battista, Sant’Antonio Abate (registro superiore); Trinità (cimasa); Angelo annunziante, Vergine Annunziata (volute) (fig. 25)

1563-1567

Tempera su tavola, cm 255x285

Leca presso Albenga (Savona), chiesa di Nostra Signora Assunta (dalla chiesa di Santa Maria del Bossero)

Il 18 ottobre 1563 «Julius De Rubeis filius et procurator Magistri Rafaelis pictoris de Diano» dichiara presso la casa del padre a Diano Castello di avere riscosso da Simone Capato, uno dei sindaci di Leca presso Albenga, cento lire in qualità di acconto per un’ancona già commissionata da questi e dai suoi soci a Raffaello e Giulio in atti del notaio Andrea De Marco di Albenga. A quattro anni dopo risale una seconda quietanza di pagamento che attesta che «magister Raphael de rubeis ac Iulius eiusdem magistri Raphaelis filius pictores de diano» hanno ricevuto da Pietro Vaccario, un altro dei sindaci della stessa località, cinquantasei lire come saldo delle quattrocento sessanta dovute per la realizzazione dell’ancona eseguita dai detti maestri per l’altare maggiore della chiesa di Santa Maria di Leca.

L’opera, priva di predella, occupa attualmente un altare laterale della tarda settecentesca parrocchiale di Nostra Signora Assunta, ma proviene dall’antica chiesa di Santa Maria del Bossero, a lungo ridotta in rovina e oggi in parte ricostruita (cfr. Lamboglia 1970, p. 100). Appena citato dai coniugi Berry (1963 [1931]), il polittico fu preso in considerazione da

Castelnovi (1987) tra le opere del «primo seguace del Pancalino» e successivamente inserita dalla critica, a partire da Fedozzi (1991) e De Moro e Romero (1992), nel catalogo dei De

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