• Non ci sono risultati.

Madonna col Bambino, San Paolo, San Giovanni Battista (registro inferiore); Santa Caterina d’Alessandria, Santa martire (registro superiore) (fig. 12)

1530-1540 c. Tavola

Ubicazione sconosciuta

Iscrizioni: «AVE MARIA GRATIA PLENA» (sull’alzata del gradino del trono della

Madonna)

Del dipinto, di cui attualmente non si conosce la localizzazione, si conservano due riproduzioni fotografiche in bianco e nero presso la Fototeca di Federico Zeri (n. scheda 45407), l’una scattata verosimilmente tra il 1900 e il 1940 circa sulla base dell’analisi tecnico-formale del materiale, l’altra tra il 1950 e il 1975 per le stesse motivazioni, entrambe contenute nel fascicolo «1. Genovesi vari» della busta «0471. Pittura italiana sec. XVI. Genova 1». L’attribuzione dell’opera a «Cristoforo Pancalino» era stata già proposta dallo storico dell’arte attraverso una nota autografa sul verso della fotografia. Dalla stessa fonte apprendiamo che nel 1975 il dipinto, in precedenza appartenuto alla collezione Del Drago (Roma), si trovava sul mercato antiquario romano.

Sulla base di una terza fotografia conservata presso un archivio privato, l’opera fu segnalata per la prima volta da Zanelli e da questi inserita nel catalogo di Raffaello De Rossi con un’indicazione cronologica vicina alla pala di Ventimiglia (1522 c.), quando «l’eloquio del pittore appare infatti qualificato da un profondo accostamento alla tradizione ligure non immune però da suggestioni, talvolta superficiali, originate dai modelli toscani sui quali inizialmente si educò». Lo stesso studioso segnalava tre anni dopo (2003) il passaggio del polittico sul mercato antiquario modenese con un improbabile riferimento a «Maestro veneto degli inizi del secolo XVI» (Nuova Adma Casa d’aste, Modena 18-19-20/10/2002, cat. 390), rilevando l’incongruenza tra le misure indicate nel catalogo di vendita (191x150 cm) e quelle da lui stesso già segnalate (158x127 cm; Zanelli 2000, p. 33 nota 16), ricavate da un appunto vergato sul verso della fotografia presso l’archivio privato.

Sebbene apprezzabile solo attraverso le testimonianze fotografiche, l’opera è da considerare un prodotto della bottega di Raffaello che potrebbe datarsi anche al quarto decennio visti i suoi punti di tangenza con un altro prodotto non autografo quale il polittico già nell’oratorio

di Sant’Eusebio a Perti datato 1538 (cat. 46).

Bibl.: Zanelli 2000, p. 32; Zanelli 2003a, p. 153 nota 28.

46. Raffaello De Rossi, bottega di

Sant'Eusebio di Vercelli in trono, San Sebastiano, San Bernardo da Chiaravalle (registro

inferiore); Dio Padre, Gabriele arcangelo, Vergine annunziata (registro superiore) (fig.

11) 1538

Tavola (pioppo), cm 210x140

Savona, Palazzo vescovile (dall’oratorio di Sant'Eusebio a Perti presso Finale Ligure)

Iscrizioni: «1538» (sul margine inferiore dello scomparto centrale); «OREM(U)S / DEUS

Q(UI) / BEATU(S)» (sul libro di Sant’Eusebio); «ORA PRO / NOB(IS)» (sul libro di San Bernardo)

Il polittico proviene dall’antico oratorio di Sant’Eusebio a Perti presso Finale, dove ancora lo videro i coniugi Berry (1963 [1931]). Passato successivamente nella vicina chiesa parrocchiale settecentesca, dove lo registrano Lamboglia e Silla (1978), venne da lì rimosso nel 1983 a causa dello stato di semiabbandono in cui versava allora l’edificio sacro e in quell’occasione restaurato (B. Ciliento in Opere 1984), passando in seguito dapprima nel Museo della cattedrale di Santa Maria Assunta a Savona e poi, a partire dagli anni Novanta, presso il Palazzo vescovile, dove stazionò per qualche tempo nei depositi (Fedozzi 1991) prima di essere esposto nella Sala del transito alla tribuna.

Inizialmente liquidato come «mediocre opera d’arte locale del principio del sec. XVI» (Lamboglia e Silla 1951; 1960; 1978) e ritenuto «non degno di particolare attenzione» (E. e M. Berry (1963 [1931]), il polittico fu riconsiderato solo nel 1970 da Castelnovi che lo annoverava tra le opere del «Pancalino», ambito di attribuzione accettato da Ciliento (in

Opere 1984) che pur sottolineava come l’artefice di un dipinto «intrinsecamente povero,

come il S. Eusebio» che mostra «una rappresentazione delle figure in modi assai ingenui (per non dire impacciati)» difficilmente si sarebbe potuto identificare con l’autore ben più raffinato di opere quali la pala di San Biagio, la Crocifissione di Albenga o il Sant’Agostino di Ventimiglia, prospettando, dunque, la partecipazione accanto ad un maestro, lo «pseudo- Pancalino», di uno o più collaboratori meno dotati, forse suoi allievi. Lo stesso Castelnovi accoglieva successivamente (1987) queste considerazioni, e quelle di Boggero (in Il Museo

1982), individuando nel nostro polittico la mano dello stesso collaboratore responsabile della cimasa dell’ancona di Finalborgo e di una piccola tavola con San Sebastiano tra San Rocco

e Santo vescovo oggi irreperibile (cat. 82), nonchè coautore dei polittici di Borgomaro,

Evigno, San Bartolomeo al Mare, Aurigo, Tovo, Leca, Casanova Lerrone, Portofino, Bassanico, del San Pietro passato all’asta Finarte nel 1964, dei Confratelli in adorazione

della Croce di Albenga e del ciborio già a Prelà.

Anche Fedozzi (1991), cogliendo lo scarto qualitativo, postulava un intervento diretto del maestro Raffaello «limitato però all’impostazione del dipinto e alla definizione di pochi particolari» e assegnava l’esecuzione ad un anonimo collaboratore che De Moro e Romero (1992) individuavano nel figlio Giulio. Per ammettere questa ipotesi i due studiosi erano però costretti a postdatare l’opera di almeno due decenni, proponendo una nuova interpretazione dell’iscrizione della data: 1558 anziché 1538. L’idea che Raffaello abbia lavorato all’opera con il figlio fu accettata nel catalogo della quadreria del Palazzo vescovile di Savona (La quadreria 1998) ma non la postdatazione.

L’opera va considerata quale prodotto di un mediocre collaboratore che lavora sotto il diretto controllo del maestro che non può essere identificato né con Giulio né con l’autore della cimasa dello smembrato polittico di San Biagio a Finalborgo, autografa di Raffaello.

Restauri: anni Sessanta del XX secolo (B. Ciliento in Opere 1984, p. 31); Soprintendenza

per i Beni Artistici e Storici della Liguria (Gianni Tognetti e Gianni Casale), 1983.

Bibl.: Lamboglia, Silla 1951, p. 54; Lamboglia, Silla 1960, p. 54; Berry 1963 [1931], p. 262;

Castelnovi 1970, p. 178 nota 39; Lamboglia, Silla 1978, p. 67; Barbero 1984, p. 3; B. Ciliento in Opere 1984, pp. 30-32; Castelnovi 1987, p. 159 nota 34; Bartoletti 1988a, p. 791; Fedozzi 1991, pp. 21, 50, 60-61 cat. 8; De Moro, Romero 1992, pp. 42 nota 75, 105-106 cat. 11; La Quadreria 1998, p. 45; Fedozzi 1999c, p. 548; A. Sista in Rinascita 2019, p. 13 nota 16.

47. Raffaello De Rossi, bottega di

San Gerolamo penitente (fig. 13)

1530-1540 c.

Tavola, cm 45,2x65 (cm 56x76 con la cornice)

Albenga (Savona), sacrestia della cattedrale di San Michele

segnalò per la prima volta (1987), passò temporaneamente al piano nobile del vescovado e, successivamente, dal novembre 1990, presso la Sala degli arazzi del Museo Diocesano per fare, infine, ritorno in sacrestia, dov’è tuttora custodito.

L’attribuzione avanzata da Castelnovi (1987) al «primo “Pancalino”» fu accolta da Bartoletti (1988a). Fedozzi lo riferì «al primo periodo del maestro Raffaello» (1991, p. 60), mentre De Moro e Romero sostennero che «se la tavola è uscita davvero dalla bottega dei De Rossi [...] possa essere attribuita soltanto alla mano di Orazio» (1992 p. 170).

Le piccole dimensioni dell’opera inducono a credere che si trattasse di un’immagine utilizzata a scopi di devozione privata. Più difficile pensare che si tratti dello scomparto di un polittico smembrato.

Bibl.: Castelnovi 1987, p. 159 nota 34; Bartoletti 1988a, p. 791; Fedozzi 1991, pp. 59-60 cat.

7; De Moro, Romero 1992, pp. 170-171 cat. 40.

48. Raffaello De Rossi, bottega di

San Gerolamo in preghiera

1530-1540 c. Tavola, cm 40x52 Collezione privata

La tavola, conservata in collezione privata e tuttora inedita in letteratura, è stata segnalata da Rolandi Ricci nell’ambito della sua tesi di laurea magistrale, su indicazione di Alessandro Giacobbe, col giusto riferimento a Raffaello De Rossi. Rolandi Ricci propone che l’opera sia uno scomparto di predella di un polittico smembrato databile tra il quarto e il quinto decennio del Cinquecento.

Restauri: 1974 (Rolandi Ricci 2004-2005, p. 86). Bibl.: Rolandi Ricci 2004-2005, pp. 86-87 cat. 10.

O

PERE DOCUMENTATE MA PERDUTE O MAI ESEGUITE

49. Raffaello De Rossi

Documenti correlati