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Ratio e sensus in Tommaso Campanella Fabio Seller

Negli anni ’90 del Cinquecento, Campanella compone tre trattati concer- nenti le arti del discorso – la Retorica, la Dialettica e la Poetica – i quali, in- sieme alla Storiografia, redatta dopo il 1613, e alla Grammatica, posteriore al 1618, confluiranno nello scritto intitolato Philosophia rationalis1. L’attribu-

to “rationalis” assume in tale contesto un preciso significato qualificativo di quelle discipline che fungono, ciascuna a suo modo, da strumenti propri delle attività pertinenti alla ratio. Si tratta – specifica Campanella nell’esordio del- la Dialectica – di artes, il cui oggetto precipuo è costituito dall’ens rationale, piuttosto che dall’ens reale, di pertinenza della scientia2. Ciascuna delle sud-

dette arti si rivela strumento indispensabile in campi differenziati dell’attività raziocinativa umana; così, se la logica (o dialettica) si configura come instru- mentum principe del metaphisicus, retorica e poetica lo saranno del legislato- re, mentre la grammatica coinvolge l’intera comunità degli uomini. La phi- losophia realis, pertanto, illustra le applicazioni della ratio umana e, per così dire, il suo raggio d’azione, ma non intraprende in alcuna sua parte l’indagine relativa alla definizione della ragione stessa. A tale compito sono deputati altri scritti del corpus campanelliano, e segnatamente il capitolo quinto della pars prima della ponderosa Metafisica, al quale vanno aggiunte alcune riflessioni sviluppate nel trattato Del senso delle cose e la magia.

1 La Philosophia rationalis sarà stampata solo più tardi, durante il periodo parigino: ad opera degli editori Dubray

vedranno la luce, a distanza di un anno, la Logica (1637) e le quattro parti rimanenti (1638). Cfr. L. Firpo, Biblio-

grafia degli scritti di Tommaso Campanella, Torino, Bocca, 1940, pp. 116-119. Sull’origine dell’opera, lo stesso

Campanella fornisce una sintetica notizia nel Syntagma de libris propriis; cfr. T. Campanella, Sintagma dei miei li-

bri e sul corretto metodo di apprendere, a cura di G. Ernst, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2007, p. 54: «Preterea

scipsi Neapoli in castro Ovi, Philosophiam rationalem in quatuor partes, et addidi quintam in Arce nova, videli- cet Logicam, Rhetoricam, Poëticam, Historiographiam, et Grammaticam […]; atque has artes iuxta propria prin- cipia, ex nostra Metaphysica, per naturam et scripturam faciliores, breviores et resolutiores puto me perfecisse».

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Ragione, razionalità e razionalizzazione in età moderna e contemporanea

La formulazione di un’accurata ed originale definizione della ragione, in- tesa come facoltà discorsiva deputata alla conoscenza del mondo, si scandisce attorno a due nuclei essenziali, rappresentati dal serrato confronto polemico con la filosofia aristotelica, e dall’accoglimento dei principi fondamentali di quel sensismo (o sensualismo), che tanto entusiasmo aveva suscitato nel gio- vane Campanella. Muovendosi sulle orme del “dilettevole” maestro cosen- tino, lo Stilese elabora un’articolata teoria delle facoltà dell’uomo, in cui la ragione si rivela intimamente connessa alla naturale capacità, insita in tutti gli enti del creato, di sentire di sentire3.

La ratio diventa, nella disamina campanelliana, l’oggetto di un’indagine gnoseologica che si propone come revisione e insieme superamento dei con- fini imposti dalla filosofia aristotelica (e peripatetica in generale) al dominio della sensibilità, col risultato di assottigliare, fino quasi a farli scomparire, i margini di una netta demarcazione rispetto alla facoltà raziocinativa. Pren- dendo le mosse dallo stesso testo aristotelico, insistendo su alcuni passi in esso contenuti ma non ulteriormente sviluppati, a loro volta contaminati con concetti desunti dalla gnoseologia dei Padri della Chiesa, Campanella perviene alla formulazione di una diversa concezione del sensus, non più inteso aristotelicamente come mera passività. L’idea centrale di questa nuo- va concezione è imperniata sulla convinzione per cui l’atto stesso del senti- re non si esaurisce in mero accoglimento delle impressioni esercitate dagli oggetti esterni sugli organi sensori, ma ad esso si accompagna sempre una percezione della passione, in virtù della quale il soggetto senziente è par- tecipe con un certo grado di attività. La sintesi di questa combinazione di attività e ricezione è, appunto, la sensazione, la quale si risolve in una sorta di perceptio passionis della contrarietà o della similitudine della cosa sentita in relazione al soggetto senziente. Sentire non è se non il riflesso di un prin- cipio di più vasta portata, operante nell’intera natura, per cui contrarietas e amicitia determinano la reciproca attrazione o repulsione tra le cose, ga- rantendo loro la possibilità della conservazione del proprio essere; privati di questo principio dialettico che agisce spontaneamente tra tutte le cose e ne stabilisce i rapporti, l’universo si ridurrebbe a un ammasso caotico, in cui i

3 L’analisi delle facoltà umane era stata sviluppata da Telesio nel libro VIII del suo scritto principale. Su ciò si

vedano L. De Franco, Filosofia e scienza in Calabria nei secoli XVI e XVII, Cosenza, Edizioni Periferia, 1988, pp. 105-114; M. Á. Granada, “Spiritus” and “anima a Deo immissa” in Telesio, in Bernardino Telesio and the Natural

Fabio Seller, Ratio e sensus in Tommaso Campanella

fenomeni di azione e reazione, di generazione e corruzione perderebbero la propria giustificazione4.

Che il senso sia – come si è accennato – qualcosa di più della mera pas- sività, è illustrato da Campanella attraverso il ricorso ad esempi tratti dagli stati di coscienza, i quali mostrano chiaramente che non ogni patimento è sensazione: è facile constatare che nella condizione di sonno, se si subisce una sollecitazione dall’esterno, come la puntura di un insetto, la si patisce non di- versamente da quanto avverrebbe nello stato di veglia, con la significativa dif- ferenza che nel primo caso lo stimolo non viene percepito. Analogamente, chi è in preda all’ira o rapito in uno stato di estasi sembra non percepire stimoli anche forti, come la puntura di uno spillo, sebbene il dolore che si manifeste- rà successivamente rivela un reale patimento da parte del corpo; questi casi forniscono la prova del principio per cui la sensazione non può essere, come sosteneva Aristotele, «pura potenza passiva, e non atto di nulla maniera», ma è piuttosto da intendersi come immutationis perceptio5.

Un ulteriore correttivo alla teoria aristotelica si rivela nella stretta con- nessione istituita tra il sentire e l’intendere. La singola sensazione, scaturita dall’unione della res sensibilis con l’anima senziente, è la sapientia, termine che in questo contesto perde i tradizionali connotati di facoltà superiore di ordine spirituale affine alla saggezza, per assumere un significato proprio isti- tuito sulla base della capacità, da parte dell’anima, di cogliere il sapor rei6. La

sapienza così intesa si differenzia dalla scientia in quanto solo a quest’ultima compete la conoscenza dell’intero, mentre la prima si configura come una facoltà capace di cogliere soltanto la parte. Il processo che conduce dalla par-

4 T. Campanella, Metafisica, a cura di G. di Napoli, Bologna, Zanichelli, 1967 [=Metaph.], vol. I, l. I, cap. IV, art.

2, p. (122) 123: «[…] non propterea erit immutatio intentionalis et non realis, quia realiter alterata non sentiunt: non enim sensus est ipsa passio nobis, sicut peripateticis, sed perceptio passionis, immo actus est iudicantis de passione percepta. At Aristoteli est assimilatio sentientis cum sensibili […]. In nostra quoque philosophia omnis passio est simul quodammodo sensatio, vel quodammodo sentienti causa, quoniam res omnes contrariae seipsas mutuo ad necem persequuntur et fugiunt, et expellunt, ergo et contrarium quodammodo sentiunt, et simile. Proptereaque necesse est quodammodo sensum eis inesse». [le pagine indicate si riferiscono, rispettivamente, al testo latino e alla traduzione italiana, da me rivista in alcuni punti].

5 Metaph., l. I, cap. V, art. 1, p. 134 (135): «Licet ostenderimus sensum esse passionem realem contra Peripateticos,

haud tamen nunc consentimus eis, quod sit passio. Videtur enim nobis passionis potius esse perceptio. Neque enim quandocumque patimur, sentimus. Dormientes enim pulicis morsum non sentimus, et tamen illum pati- mur, non secus ac vigilantes; et studio nimis attentis, vix sentimus quae nos tangunt. Et qui extasi rapiuntur, aut ira, aliave passione vehementer, puncti acubus, nihil sentiunt; sed post extasim dolent. Ergo non sola immutatio est sensus, sed immutationis perceptio». Si veda anche T. Campanella, De senso delle cose e della magia, a cura di G. Ernst, Roma-Bari, Laterza, 2007 [=Senso], l. II, cap. 14, p. 79.

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Ragione, razionalità e razionalizzazione in età moderna e contemporanea

ticolarità della conoscenza alla scienza dell’intero è «un certo tipo di discorso sensibile» (discursus quidam sensitivus), al quale fa da pandant un discorso “mentale”; è proprio sulla distinzione tra questi due tipi di discursus che si delinea una teoria della ratio come facoltà propria ed esclusiva dell’uomo.

Il secondo libro del trattato Del senso delle cose contiene una chiara esposi- zione della reductio delle differenti facoltà conoscitive al sensus, e in partico- lare al tatto. Non solo ogni sensazione, ma anche la reminiscenza, la memoria e l’immaginazione vengono spiegati attraverso il ricorso al passaggio dal noto all’ignoto, in cui il fattore di congiunzione è costituito dalla similitudine. È appunto questo trascorrere tra le res in virtù della somiglianza che si instaura tra esse a denotare ciò che Campanella definisce discursus7. In questo modo

si formano anche i concetti universali, come risultato di una naturale appren- sione unitaria di cose simili, designate con un unico nome comune. La facoltà deputata a quest’ultima operazione è l’intelligenza:

Dunque, dal momento che tutte le cose si toccano tra loro, e quelle che non si toccano son simili a quelle toccate, tutte si sentono per presenza o per similitudine, e sentire mediante il simile è discorso, risentire è memoria, sentire molti simili come un’unica cosa è intelligenza8. Il percorso attraverso cui le singole sensazioni sono condotte all’interno del soggetto senziente è assicurato dallo spiritus, concetto ripreso dalla tradi- zione medica pneumatica e ampiamente utilizzato negli scritti telesiani, dai quali è mutuato. È lo spirito – presente, in modi differenziati, in tutti gli enti dell’universo fisico – a fungere da veicolo di trasmissione delle sensazioni lun- go i nervi, fino a giungere alla testa, sede della “università dello spirito”, dove si realizza il giudizio volto a vagliare l’opportunità di accogliere o fuggire la cosa sentita9.

Similitudo e convenientia acquistano il ruolo di termini chiave della gno- seologia campanelliana: il primo indica la modalità con la quale dalla singola sensazione semplice e particolare si perviene alla conoscenza del complesso e dell’universale; il secondo esprime il criterio di giudizio sulla base del quale il soggetto senziente valuta l’interazione con l’ambiente e il mondo esterno, fi- nalizzata alla preservazione della propria esistenza. Questi processi non sono appannaggio dell’uomo o, più in generale, degli esseri aristotelicamente con- cepiti come animati, ma si estendono a tutti gli enti fisici; pertanto – conclude 7 Senso, l. II, cap. 11, p. 72.

8 Ivi, p. 73. 9 Ivi, p. 77.

Fabio Seller, Ratio e sensus in Tommaso Campanella

Campanella – la conoscenza per similitudine «è discorrere e sentire per altro, e nelli animali e in tutte cose tale modo di patire e sentire ritrovasi»10.

Se, dunque, lo Stilese accoglie il pansensismo del maestro cosentino e fa dipendere dalla basilare sensibilità ogni tipo di conoscenza da parte degli enti, resta da chiarificare come a partire da tali premesse si configuri la ragione e quali caratteri la contrassegnino. Un primo passo verso la comprensione della natura e dei modi della ratio è costituito dalla già citata differenziazione tra il sentire, che assume come oggetto una cosa presente, e quella particola- re estensione della sensibilità costituita dall’intendere, che si rivolge invece a cose non presenti. Per fare chiarezza su questo elemento cardine della sua gnoseologia, Campanella si serve di un esempio eloquente, grazie al quale si coglie la continuità tra sentire e intendere, che riflette quella tra conoscenza del particolare e dell’universale:

Quando veggio Pietro lungi un miglio dico: “quello è animale”, perché si muove, e l’universale sento, non il particolare; e poi, più avvicinato, dico “è uomo”; e poi più, dico: “è monaco”; e poi più, dico: “è fra Pietro”. Dunque, l’intendere è senso lontano e confuso, e il senso è intendere vicino11. Il discorso campanelliano insiste dunque sulla natura confusa dell’univer- sale, che, pertanto, non può essere considerato l’oggetto proprio della scientia, sebbene lo diventi per un intelletto limitato come quello umano. Ciò che si acquisisce in generalità nella conoscenza universale si perde in ricchezza di dettagli; all’uomo, i cui limiti conoscitivi gli impediscono di avere un’appren- sione di tutti gli individui, non resta che affidarsi alla connaturata opacità dell’universale per realizzare un sapere vero su un ampio dominio di fenome- ni. Sarebbe quindi «gran stultizia» ritenere che «la scienza consista nel sapere gli universali», e se ciò si verifica per l’uomo è solo la conseguenza di un suo “mancamento”. La vera sapienza è dominio esclusivo di Dio, il quale, diversa- mente dagli uomini, «sa le minutissime particolarità d’ogni cosa»12.

Il panpsichismo di Campanella reca in sé un notevole corollario: se si ri- conosce – come molti autorevoli filosofi hanno ammesso – che gli animali bruti sono dotati di senso, non si possono negar loro le facoltà superiori, come la memoria, la reminiscenza e lo stesso discursus, i quali – lo si è visto – tutti scaturiscono da operazioni effettuate a partire dai sensi. Questo passaggio in particolare segna il punto di distacco della gnoseologia dello Stilese rispetto 10 Ivi, cap. 21, p. 90.

11 Ivi, cap. 22, p. 91. 12 Ibid.

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Ragione, razionalità e razionalizzazione in età moderna e contemporanea

alla tradizione aristotelica. Mentre lo Stagirita aveva dichiarato inequivocabil- mente una netta demarcazione tra noeîn e aisthánesthai, precisando, contro le dottrine di alcuni predecessori, che sono dotati di sensazione tutti gli animali, mentre il pensiero è dominio esclusivo di pochi, Campanella rifiuta una netta demarcazione tra le due funzioni13. Nella Metaphysica campanelliana il di-

scorrere da un oggetto ad un altro o dal particolare all’universale è equiparato ad un vero e proprio sillogizzare. La ragione sillogizzante non differisce, rea-

liter, dal senso e dalla fantasia14. Si è detto che la sensazione restituisce sempre

un dato particolare, mai l’universale; inizialmente, quindi, ciò che lo spirito senziente percepisce è un dato particolare e non l’oggetto nella sua totalità, perché quest’ultimo è ottenuto mediante un giudizio di somiglianza. Conte- stando i rigidi limiti imposti da Aristotele alle funzioni conoscitive dell’ani- ma, Campanella riconosce già nel percorso che conduce dal particolare alla considerazione dell’intero un procedimento per syllogismum. Che poi il sillo- gismo così inteso appartenga anche agli animali bruti è provato dal compito che in essi assolve la memoria, di cui sono dotati, vale a dire l’apprendimento di esperienze passate in vista di azioni future. È infatti la memoria a garantire la possibilità di ricercare un nutrimento sulla scorta dell’utilità che esso ha ri- velato nel passato. Ma – osserva Campanella – è un sillogismo quello che, as- sumendo come premessa un’esperienza trascorsa, si rivela adatto a giudicare sui vantaggi di un’azione futura. Questa prudentia, che appartiene per natura a tutti gli animali, dipende dalla memoria, sebbene la memoria da sola non basti a spiegare perché, ad esempio, un animale, avendo sperimentato l’utilità di un determinato nutrimento per la propria sussistenza, riesca a riconosce- re tale convenienza anche nel futuro; per giungere a questo tipo di risultato, infatti, è necessario il ricorso a un sillogismo che, confrontando l’esperienza attuale con quella depositata in memoria servendosi di un criterio di somi- glianza, conclude sulla bontà del nuovo oggetto percepito15. Non è pertanto

13 Cfr., Aristotele, De an., III, 3, 427b6-8.

14 Metaph., l. I, cap. V, art. 6, p. (165) 166: «Rationem vero a sensu et phantasia non differre realiter in fundamento,

sed operationem eiusdem animae, palam fit ex dictis. Non enim totam rem sentimus, sed particulam. Ex modica autem immutatione sensus iudicat de toto obiecto immutante. Non enim alius iudicat simile non agnitum, nisi quia agnovit illud in simili: hoc autem sensus est, qui vires totius ignis non iudicat nisi per concludentem syllo- gismum».

15 Ivi, p. (166) 167: «Item, omne animal habens memoriam, habet prudentiam […]. Memoria enim teste Aristotele

ad hoc data est illis, ut ex praeteritis discant agere in futuro. Nisi enim herba, utilem esse, postquam gustarunt, memoria tenerent, illam non repeterent. Ex praeteritis autem futura nosse, est syllogismus; quoniam in simili simile discunt. Ergo imperite Aristoteles animalibus dat prudentiam, quibus negat rationem».

Fabio Seller, Ratio e sensus in Tommaso Campanella

arbitrario riconoscere una certa ratio anche agli animali, posta l’equivalenza tra il ratiocinari e il sentire aliquid, con la precisazione che il primo termine si riferisce a un sentire non in sé, ma in suo simili. La sensazione diretta di una cosa corrisponde al sapere, laddove lo scire è discorsivo e comporta sempre una sorta di moto conoscitivo dal simile al simile16.

Considerata la comune origine delle facoltà conoscitive nella sensazione, Campanella rende ragione della maggior perfezione dell’uomo rispetto agli altri animali (e, a fortiori, a tutti gli enti del mondo fisico), ribadendo che il criterio di tale distinzione non insiste su una differenza essenziale, quan- to piuttosto su una migliore costituzione rispetto al generale funzionamento dei meccanismi del sensus e del discursus. Il tratto distintivo dell’uomo viene individuato nella presenza in esso di uno spirito più puro e della maggior ca- pienza delle celle cerebrali che lo accolgono all’apice del suo percorso. Sin qui, gli animali si differenziano dall’uomo soltanto per una sorta di estensione di quei processi che, in ogni caso, accomunano entrambi. A testimonianza della sua tesi, lo Stilese riporta una serie di esempi molto istruttivi, tratti dal com- portamento animale:

Il cane, quando vede il bastone, teme le bastonate, perché ne inferisce di poterne venir percos- so oggi come ieri; inoltre, inseguendo una lepre, esso dice: questo percorso è lungo, e quindi passa a quello più breve, tagliando la strada alla lepre. Il granchio, sapendo che le sue zampe sono trattenute da coperchietti testacei della conchiglia, se tenta di cibarsi delle carni di essa, inserisce una pietruzza tra i coperchietti affinché non si chiudano; solo i protervi negheranno i sillogismi delle api, delle formiche, dei ragni, quando tessono le tele e le allestiscono, e pren- dono le mosche17.

Una capacità manifestata dagli animali e che desta un certo stupore è il comportamento anomalo da essi assunto in prossimità di un cambiamento atmosferico o dello scoppio di una guerra. Sarebbe scorretto spiegare tali at- teggiamenti ricorrendo al vago concetto di “istinto”; piuttosto, ciò che si rea- lizza è un vero e proprio sillogismo, mediante il quale «da una precedente pas- sione essi argomentano sul futuro»18. Se ne deve concludere che gli animali, al

16 Ibid.: «[…] ostendimus quod ratiocitari est sentire aliquid non in se, sed in suo simili: in se enim est sapere,

in simili scire: omnis autem scientia discursiva ex praecedenti fit cognitione; quaecumque ergo in praecedenti cognitione alia rursus cognoscunt, discursiva sunt […]».

17 Ibid.: «[…] canis cum videt baculum, timet verbera, quia syllogizat se posse verberari hodie, sicut nudiuster-

tius. Praeterea persequens leporem, dixit: haec via est longa, et transit ad breviorem; et intersecat leporis cursum. Cancer pernoscens conchilii testaceis operculis suos teneri pedes, si quando eius carnibus vesci aggreditur, im- mittit calculum inter opercula, ne possit concludi; syllogismos apum, et formicarum, et aranearum, dum telas texunt, et armant, et muscas venantur, non nisi protervi negabunt».

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pari dell’uomo, possiedono, oltre all’anima sensitiva, anche quella razionale, a meno di non voler interpretare questi risultati sulla base dell’acquisizione di anime precedentemente appartenute a esseri umani, ipotizzando, quindi, una trasmigrazione delle anime, dottrina che Campanella rigetta risolutamente19.

La capacità di sillogizzare propria degli animali non è confinata a percezio- ni singolari, dato che anche essi, al pari dell’uomo, sono in grado di astrarre concetti universali, sebbene inevitabilmente più confusi dei particolari. An- che in questo caso, Campanella illustra la sua tesi con eloquenti esempi:

Il cavallo sa che ogni orzo è buono per lui, e tanto più questo concreto orzo; altrimenti si cibe-