• Non ci sono risultati.

Una riflessione sulle interpretazioni contemporanee Chantal Jaquet

Agli occhi degli odierni storici della filosofia Spinoza si presenta sovente come un modello di razionalismo assoluto, perché non ammette nulla che non sia comprensibile e intelligibile. È questo che lo distingue, secondo Mar- tial Gueroult, «dagli altri tre grandi del razionalismo classico»1, Descartes,

Malebranche, Leibniz. L’uomo ha accesso al sapere assoluto perché il suo in- telletto è parte dell’intelletto di Dio. Egli quindi conosce come Dio, o, più esattamente, quando concepisce un’idea vera, è Dio che la concepisce in quan- to si esplica attraverso la sua mente2. Non ci può essere il minimo divario tra

l’intelletto umano e quello divino, per cui non è tanto la possibilità di forma- re idee vere quanto la possibilità di formare idee false ad essere problemati- ca. Poiché in Dio la potenza di pensare è uguale alla potenza di agire, nulla in natura può sfuggire alla comprensione razionale. Alexandre Matheron, a sua volta, sostiene parimenti che la dottrina di Spinoza poggia sul principio dell’intelligibilità totale del reale. Questo principio, «sotto una forma o un’al- tra, è il leitmotiv dell’Etica: tutto è intelligibile, da un estremo all’altro e senza alcun residuo»3. La visione contemporanea di uno Spinoza razionalista duro e

puro non è limitata alla filosofia francese. Essa è ampiamente condivisa dagli studiosi d’oltre Atlantico, come Michael della Rocca, che sostiene l’esistenza ante litteram di un principio di ragion sufficiente in Spinoza e che considera finanche che «il suo modello di un razionalismo estremo ed estremamente coerente è una sfida per tutti i filosofi»4.

1 Cfr. M. Gueroult, Spinoza. Dieu, Paris, Aubier Éditions Montaigne, 1968, pp. 9 et sequitur.

2 B. Spinoza, Etica. Dimostrata con Metodo Geometrico, a cura di E. Giancotti, seconda edizione, Milano, Editori

Riuniti, 1995, Parte seconda, proposizione XI, corollario p. 132 (dalla prossima citazione indichiamo l’Etica con la sigla E, seguita dal numero della parte e della proposizione e dalla pagina dell’edizione a cura di E. Giancotti).

3 Cfr. A. Matheron, Individu et communauté chez Spinoza, Paris, les Éditions de Minuit, 1969.

4 «His model of an extreme and extremely consistent rationalism is a challenge for all philosophers» (M. della

114

Ragione, razionalità e razionalizzazione in età moderna e contemporanea

Questo principio di intelligibilità totale del reale che caratterizza il pensiero di Spinoza secondo un buon numero di interpreti contemporanei sembra tut- tavia battuto in breccia da certe considerazioni a proposito della ragione, che gettano un velo d’ombra sulla sua capacità di penetrare davvero nelle cose e accedere alla loro natura profonda. Se, a differenza di Descartes, Spinoza non ammette niente di incomprensibile, non ostenta il razionalismo trionfante che gli viene attribuito e fa confessione di ignoranza in varie occasioni. La celebre frase «nessuno ha determinato quale sia il potere del Corpo»5, che ha profon-

damente segnato Gilles Deleuze, invita a temperare gli ardori dei sostenitori di una intelligibilità totale del reale e a interrogarsi sui limiti del razionalismo dell’autore dell’Etica. Certo, Spinoza lascia intendere che la potenza del corpo non è ininitelligibile di diritto e che l’ignoranza non è necessariamente definiti- va: infatti egli precisa che «[n]essuno […], fino adesso, ha conosciuto la struttura del Corpo tanto accuratamente da poter spiegare tutte le sue funzioni […]»6.

Ma, sia essa temporanea o definitiva, l’incapacità di determinare ciò che può il corpo mette in evidenza la differenza tra l’intelletto umano e l’intelletto divi- no. La parte non è il tutto ed è importante sapere fino a dove si estende la sua capacità di pensare. Se c’è necessariamente un’idea di ogni cosa in Dio7, non si

potrebbe affermare in maniera ugualmente categorica che c’è un’idea di ogni cosa nell’uomo. Non è dunque inutile tornare sul principio di intelligibilità in- tegrale del reale, che è diventato una doxa negli studi spinoziani contempora- nei, nell’ottica di valutarne la pertinenza e la portata. Non è certo che la ragione sia così univoca, come pare, in Dio e nell’uomo e che sia possibile parlare di un razionalismo spinoziano portato all’estremo, poiché la sua unità e la sua asso- lutezza sono problematiche. È importante dunque focalizzarsi sugli equivoci della ragione, poi analizzare i suoi paradossi, al fine di vedere se è possibile risolverli e ridefinire su nuove basi la sua natura e la sua potenza effettive. 1. Gli equivoci della ragione

È opportuno innanzittuo notare che il termine ratio in Spinoza non è uni- voco e che, in ragione dei suoi molteplici significati, dà adito a confusione.

5 E, III, prop. II, scolio, trad. it. cit., p. 175. 6 Ibid. [corsivo nostro].

Chantal Jaquet, Spinoza: un razionalismo assoluto? Una riflessione sulle interpretazioni contemporanee

In primo luogo, ratio rinvia alla causa di una cosa e al principio che spiega tanto la sua esistenza quanto la sua non esistenza. È in questo senso che Spi- noza scrive nella prima parte dell’Etica: «[d]i ciascuna cosa si deve assegnare una causa, o ragione [causa, seu ratio], tanto perché esiste, quanto perché non esiste»8. In secondo luogo, la ragione designa parimenti il principio grazie al

quale si conoscono le cose. Essa possiede dunque fin dall’inizio un senso on- tologico e un senso gnoseologico. Questo duplice significato, peraltro classico, non è un grosso problema e non introduce una dualità poiché l’ordine del conoscere si coniuga con l’ordine dell’essere e poiché la concatenazione delle idee e la concatenazione delle cose procedono di pari passo.

Invece, nella sua dimensione conoscitiva, la parola ragione in Spinoza può essere fonte di ambiguità, giacché il suo significato e il suo raggio d’estensione variano nel corso della sua produzione. Spinoza infatti ridefinisce la natura e lo statuto della ragione dal Breve Trattato all’Etica. È dunque necessario pren- dere in considerazione questa evoluzione dottrinale al fine di circoscrivere meglio la forma e le figure del razionalismo spinoziano.

Mentre nel Trattato dell’emendazione dell’intelletto il riferimento espresso alla ragione è totalmente assente dall’esposizione dei quattro modi di perce- zione, nel Breve trattato la ragione figura esplicitamente. Tuttavia, il suo nome non identifica un genere di conoscenza, come sarà il caso nell’Etica ed essa è paradossalmente collocata tra i modi di conoscenza che appartengono alla sfera della credenza (geloof). La credenza è una forma di convinzione dovuta a certe ragioni e dipende da prove che conducono l’intelletto ad ammettere che fuori di esso la cosa esiste, e in tal o talaltro modo, come esso la percepisce9.

Distinta dall’opinione incline all’errore, essa non ci fa tuttavia vedere le cose e non ce ne dà il godimento, come fa la conoscenza chiara.

È quanto emerge nel paragrafo 2 del secondo capitolo della seconda parte del Breve trattato, dove Spinoza illustra i nomi attribuiti alle diverse cono- scenze:

Chiamiamo la seconda convinzione poiché le cose che comprendiamo solo mediante la ragio- ne non sono viste da noi, ma ci sono note solo per una convinzione intellettuale che ciò debba essere così e non altrimenti. Ma conoscenza chiara chiamiamo quella che non deriva da con- vinzioni di ragioni, ma da un sentire e da un godere la cosa stessa, e supera di molto le altre10.

8 Ivi, I, prop. XI, altrimenti, p. 94.

9 Cfr. B. Spinoza, Breve trattato su Dio, l’uomo e il suo bene/Korte Verhandeling van God, de Mensch en deszelvs Welstand, a cura di F. Mignini, L’Aquila, Japadre, 1986, parte II, capitolo IV, § 1, nota, pp. 216-217.

116

Ragione, razionalità e razionalizzazione in età moderna e contemporanea

Detto altrimenti, sebbene la credenza sia vera, la ragione è un modo di co- noscenza che resta in una certa maniera esterno alle cose, poiché essa non ci offre ciò che esse sono ma soltanto ciò che è necessario che siano11. Essa è ben

meno perfetta della conoscenza chiara nella quale gli oggetti si manifestano in se stessi in maniera immediata sicché l’anima, che si unisce a essi, ne fruisce non in modo derivato ma diretto12. Spinoza precisa finanche che «la convin-

zione [prodotta dalla ragione] è buona solo perché essa è la via alla conoscenza chiara, esortandoci alle cose che sono veramente degne di amore; sicché l’ulti- mo fine che cerchiamo e il più nobile che conosciamo è la vera conoscenza»13.

La ragione ha dunque prima di tutto una funzione propedeutica, essa conduce verso la gioia del vero, ma non è ancora essa stessa conoscenza vera nel senso forte del termine, perché essa resta sul piano della credenza.

Nelle opere della maturità si delinea un’evoluzione, giacché la ragione non è più espressamente correlata alla credenza vera. Nel Trattato teologico- politico essa è definita come una percezione dell’intelletto che si fonda su una deduzione a partire da assiomi intellettuali conosciuti per sé ed è di- stinta dall’esperienza che si basa su fatti constatati dai sensi14. In quest’opera

Spinoza fa valere la coppia ragione ed esperienza sul piano cognitivo, senza esporre una teoria della conoscenza in debita forma, poiché non è questo il suo obiettivo. Egli non fa mai riferimento ai quattro modi di percepire del Trattato sull’emendazione dell’intelletto né ai tre modi del Breve trattato né ai tre generi dell’Etica. La ragione assume un senso molto ampio e designa una potenza di pensare e di agire conformemente a idee vere in generale. Essa regola allo stesso tempo la conoscenza e il comportamento abbraccian- do sotto la sua giurisdizione il saper pensare e il saper agire. Spinoza usa di frequente i sintagmi «ragione vera» e «sana ragione» che rimandano a un duplice uso teorico e pratico. La ragione vera si distingue al contempo dall’esperienza e dall’opinione, mentre la sana ragione si contrappone agli appetiti e ai desideri ciechi.

11 Cfr. ivi, II, IV, 2, pp. 218-219. 12 Cfr. ivi, II, XXII, 1, pp. 316-317. 13 Ivi, II, IV, 9, pp. 222-223.

14 Cfr. B. Spinoza, Trattato teologico-politico, testo latino a fronte, a cura di A. Dini, Milano, Bompiani, 2001, cap.

V, pp. 222-223: «Se qualcuno vuole persuadere o dissuadere gli uomini di qualcosa che non è per sé noto, costui allora, perché essi lo accolgano, deve dedurre la cosa che gli sta a cuore da ciò che è comunemente ammesso e convincerli con l’esperienza o con la ragione, vale a dire: deve dedurre o dalle cose che essi hanno esperimentato per mezzo dei sensi verificarsi in natura, oppure dagli assiomi intellettuali per sé noti» [dalla prossima citazione il Trattato teologico-politico verrà indicato con la sigla TTP].

Chantal Jaquet, Spinoza: un razionalismo assoluto? Una riflessione sulle interpretazioni contemporanee

Questo significato del concetto, che associa il razionale e il ragionevole, lo speculativo e il prescrittivo, non ha nulla di specifico; esso è prossimo dell’ac- cezione corrente del termine nell’età classica ed è probabile che Spinoza la impieghi nel testo al fine di essere compreso da un pubblico vasto e di conqui- stare i cristiani “liberali” alla sua apologia della libertà di pensare. Per questo non ha alcuna necessità di soffermarsi sulle distinzioni sottili tra ragione e conoscenza chiara o scienza intuitiva e di esporre in modo particolareggiato le sue proprie concezioni. Le forme della razionalità spinoziana sono dunque molteplici e si adattano all’oggetto e al pubblico che l’autore contempla. I loro contorni si modificano in funzione del fine perseguito e della strategia di co- municazione del vero. La definizione della ragione non è dunque immedia- tamente unitaria e può intendersi in un senso ampio e in un senso ristretto.

Il senso ampio del concetto fa posto a un senso più stretto e propriamente tecnico nell’Etica, dove la teoria della conoscenza è profondamente riformula- ta. La tripartizione opinione, credenza, conoscenza chiara, così come la bipar- tizione ragione ed esperienza, sono abbandonate a favore della concezione dei tre modi di formazione delle idee. Sebbene includa sempre una dimensione al contempo teorica e pratica, la ragione è limitata al secondo genere di cono- scenza fondato sulle nozioni comuni e si distingue al contempo dall’imma- ginazione e dalla scienza intuitiva. La variazione non è puramente nominale. La ragione cambia statuto con la scoperta delle nozioni comuni, che sono a fondamento del ragionamento e che esprimono le proprietà condivise da tutti i corpi o soltanto da alcuni di essi15.

Sebbene non ci permetta di cogliere le essenze delle cose e impressioni meno la nostra mente rispetto alla scienza intuitiva16, la ragione non dipende

più da una forma di credenza vera, come nel Breve trattato, ma essa è chiara- mente una conoscenza vera17. Le nozioni comuni, infatti, sono idee adeguate

che noi non formiamo per mezzo di una deduzione derivata. Esse sono date a tutti gli uomini ed esprimono le cose in cui convengono i corpi18. Esse sono

correlate alla percezione delle proprietà comuni dei corpi e delle affezioni per cui essi convengono. I corpi sono dunque ben immediatamente presenti e per- 15 Cfr. E, II, prop. XXXVII-XXXIX, trad. it. cit., pp. 152-153.

16 Cfr. ivi, V, prop. XXXVI, scolio, p. 313.

17 Cfr. ivi, II, prop. XLII e dim., p. 157: «La conoscenza del secondo e del terzo genere e non quella del primo gene-

re ci insegna a distinguere il vero dal falso. Dimostrazione. Questa Proposizione è di per sé evidente, Chi sa, infat- ti, distinguere tra vero e falso, deve avere un’idea adeguata del vero e del falso, cioè (per lo Scolio 2 della Prop. 40

di questa parte) deve conoscere il vero e il falso mediante il secondo o il terzo genere di conoscenza» [corsivo nostro]. 18 Cfr. ivi, II, prop. XXXVIII, corollario, p. 153.

118

Ragione, razionalità e razionalizzazione in età moderna e contemporanea

cepiti attraverso ciò che hanno in comune, sebbene non siano colti nella loro essenza di cose singolari. La ragione ci fa così fruire delle cose e non stabilisce più un rapporto indiretto e un po’ esterno con esse come nel Breve trattato.

Ma se la ragione in senso stretto rinvia al secondo genere di conoscenza, essa è distinta non soltanto dall’immaginazione e dal suo corteo di idee inade- guate, ma parimenti dalla scienza intuitiva, anch’essa fonte di idee adeguate. Vuol dire questo a rigore che il terzo genere di conoscenza non sia razionale? Tutt’altro. Le conoscenze del secondo e del terzo genere non fanno riferimento a facoltà distinte della mente, ma a modi di generazione delle idee adeguate in base al loro procedere da nozioni che rimandano a proprietà comuni dei corpi presenti tanto nella parte quanto nel tutto o dall’idea di certi attributi di Dio all’essenza delle cose19. Mentre il primo genere di conoscenza o immagi-

nazione costituisce in tal modo una parte eponima della mente, quella che è costituita da idee inadeguate, il secondo e il terzo genere dipendono entrambi dalla parte costituita da idee adeguate, cioè l’intelletto. La differenza non è minimamente una divergenza, poiché se lo sforzo di comprendere le cose con il terzo genere non può nascere dal primo genere, esso nasce per contro dal secondo20. C’è dunque una continuità tra i due e non un salto dal razionale

all’irrazionale. Non c’è equivoco a riguardo. La scienza intuitiva non ha nulla da condividere con una visione mistica e si fonda anch’essa su quegli occhi della mente che sono le dimostrazioni. Se essa implica una visione intellet- tuale sinottica che abbraccia le cose uno intuitu, essa non esclude una forma di deduzione poiché implica il cogliere l’essenza delle cose a partire da quella degli attributi di Dio. Con la conoscenza del terzo genere si ha a che fare con una razionalità che eccede la ragione in senso stretto, pur avendo la sua ori- gina in essa.

Le forme della razionalità non si riducono dunque alla ragione stricto sensu e conviene essere prudenti quando si parla del razionalismo assoluto di Spi- noza, come se si avesse a che fare con una prospettiva unica e unitaria. Non soltanto il senso e il raggio di estensione del concetto variano da un’opera all’altra, ma nel seno della sola Etica il razionalismo presenta dei gradi e si rivela più o meno assoluto a seconda che si conoscano le cose con il secondo o con il terzo genere di conoscenza. Occorre pertanto distinguere il raziona- lismo della ragione, meno perfetto, dal razionalismo della scienza intuitiva. 19 Cfr. ivi, II, prop. XL, scolio 2, p. 156.

Chantal Jaquet, Spinoza: un razionalismo assoluto? Una riflessione sulle interpretazioni contemporanee

2. I paradossi di una ragione assiologica

Ma al di là di questi equivoci che possono essere facilmente dissipati da chiunque sia attento al contesto e alla cronologia delle opere, il razionalismo assoluto che gli interpreti contemporanei attribuiscono a Spinoza cozza con- tro paradossi legati alla distinzione problematica tra l’ordine ontologico delle ragioni e l’ordine assiologico della nostra ragione. Infatti, nel pensiero di Spi- noza si delinea una tensione tra la ragione umana e ciò che si potrebbe deno- minare la ragione delle cose, vale a dire l’insieme delle cause e degli effetti che governano l’ordine dell’intera natura.

Da un lato, Spinoza «[…] in assoluto […] ammett[e] che tutto è determinato ad esistere e ad operare in un certo e determinato modo [certa, ac determinata

ratione] dalle leggi universali della natura»21. Egli afferma così l’esistenza di

una ragione delle cose che rinvia alla causa che le produce seguendo leggi uni- versali. La ragione delle cose è il principio del determinismo causale sul quale si fonda la razionalità del conoscere. L’ordine logico segue l’ordine ontologico, come dimostra la proposizione VII della seconda parte dell’Etica: «[l]’ordine e la connessione delle idee è lo stesso che l’ordine e la connessione delle cose»22.

Se essere e conoscere non rimandano che a una sola e medesima sostanza espressa sotto attributi diversi, la ragione umana deve sposare la ragione delle cose e conformarsi interamente a essa.

Dall’altro lato, Spinoza lascia intendere che la ragione umana obbedisce ad altre ragioni rispetto alla ragione delle cose e che c’è una discrepanza, e addirittura una torsione, tra loro. È quel che emerge dal paragrafo 423 del XVI

capitolo del Trattato teologico-politico, nel quale si dimostra che il diritto di natura non vieta alcunché salvo ciò che nessuno desidera né può fare. Alcuni potrebbero restarne sorpresi e considerare che questo diritto naturale che non esclude né odio né collera né astuzia è assurdo, irragionevole, o addirittura irrazionale. Contro ogni attesa, Spinoza ribatte che

[…] ciò non fa meraviglia, perché la natura non è racchiusa [intercluditur] entro le leggi della ragione umana [legibus humanæ rationis], le quali hanno di mira soltanto il vero utile e la conservazione degli uomini, ma si estende a infinite altre leggi, che riguardano l’ordine eterno

21 TTP, IV, trad. it. cit., pp. 172-173. 22 E, II, prop. VII, trad. it. cit., p. 127.

23 L’autrice fa riferimento alla partizione in paragrafi dell’edizione critica del Tractatus theologico-politicus curata

da P.-F. Moreau: Spinoza, Œuvres III. Traité théologico-politique, texte établi par F. Akkerman; trad. et notes par J. Lagrée et P.-F. Moreau, Paris, PUF, 1999, p. 509 [NdT].

120

Ragione, razionalità e razionalizzazione in età moderna e contemporanea

di tutta la natura, di cui l’uomo è una piccolissima parte: dalla sola necessità di questo ordine tutti gli individui sono determinati in un certo modo ad esistere e ad operare. Quindi, tutto ciò che in natura a noi sembra ridicolo, assurdo o cattivo, deriva dal fatto che conosciamo le cose solo in parte e ignoriamo per la massima parte l’ordine e la coerenza di tutta la natura, e dal fatto che vogliamo che tutte le cose siano governate come torna comodo alla nostra ragione [ex usu nostræ rationis], mentre, tuttavia, ciò che la ragione indica come male, non è male rispetto all’ordine e alle leggi della natura universale [legum universæ naturæ], bensì unicamente rispetto alle leggi della sola nostra natura [solius nostræ naturæ legum]24.

È chiaro qui che la ragione procede a ritroso rispetto all’ordine della natura e sembra persino contraddirlo quando dichiara cattivo ciò che non lo è. Come capire lo scarto e la differenza di prospettiva tra ciò che Spinoza chiama «leggi della natura universale» e le «leggi della sola nostra natura»? Non c’è qualcosa di irrazionale nella ragione umana quando fa uso di categorie come l’assurdo, il ridicolo o il cattivo, che sono estranee alla Natura nella sua interezza? La