CAPITOLO 6. IL NUMERO IN ARISTOTELE
2. Razionale e irrazionale, aritmetica e geometria
Ritengo interessante esaminare, a questo punto della trattazione, in che modo Aristotele abbia inteso i rapporti tra il punto e l'unità, tra la geometria e l'aritmetica. Si ricorderà infatti che lo spazio geometrico era stato esplicitamente e consapevolmente pensato come continuo: i suoi rapporti con l'aritmetica saranno, di conseguenza, perlomeno problematici.
189 ARISTOTELE, Metafisica, Δ 27, 1024 a 11-16.
Esistono, nell'opera di Aristotele, alcuni passaggi nei quali l'originario legame tra punto ed unità viene richiamato, in sostanziale continuità con la teoria pitagorica. Nel Libro Δ della Metafisica leggiamo ad esempio:
Ciò che è indivisibile secondo la quantità e in quanto quantità, e che è indivisibile in tutte le dimensioni e non ha posizione, si chiama unità; invece, ciò che è indivisibile in tutte le dimensioni si chiama punto191.
È questo un chiaro richiamo alla teoria per cui il punto e l'unità sono concettualmente identici, salvo per il fatto che il primo è dotato di posizione. E tuttavia, Aristotele è ben consapevole del fatto che questa identificazione non è più possibile; d'altra parte, esaminando le sue parole con attenzione ci si accorge che in esse non c'è contraddizione: il punto inesteso è indivisibile tanto quanto l'unità pitagorica, dal momento che inestensione e indivisibilità sono due concetti indipendenti.
Ci sono numerosi passaggi che testimoniano come invece Aristotele avesse ben presente la differenza sostanziale che intercorre tra l'oggetto dell'aritmetica e quello della geometria. Leggiamo ad esempio:
Una quantità è (1) una pluralità se è numerabile; (2) è invece una grandezza se è misurabile. (1) Si chiama pluralità ciò che può dividersi in parti non continue; (2) si chiama invece grandezza ciò che può dividersi in parti continue192.
Viene qui chiaramente messa a fuoco la sostanziale dicotomia tra pluralità e grandezza, tra numerare e misurare. Si può numerare solo con elementi discreti, e misurare solo se ci si riferisce ad un qualcosa di continuo. Dunque, il punto e l'unità, costitutivi di due realtà diverse, la prima continua e la seconda discreta, di fatto non sono più in alcun modo assimilabili. Infatti:
I punti hanno come proprietà la contiguità, le unità la consecutività193.
191 ARISTOTELE, Metafisica, Δ 6, 1016 b 24-26.
192 Ivi, Δ 13, 1020 a 8-11.
193 ARISTOTELE, Fisica, V, 227 a 29-30. Il significato che rivestono per Aristotele i termini “contiguo” e
Se l'oggetto dell'aritmetica non ha più necessità di trovare corrispondenza in quello della geometria, allora è anche naturale che il legame tra le due si allenti. Si era osservato nello scorso capitolo che una delle soluzioni alle aporie causate dalla scoperta dell'incommensurabilità stava nello scindere il legame tra le due metà della matematica: in Aristotele si può osservare come questa scissione sia ormai avvenuta, e non dia più alcun tipo di problema. In particolare, l'aritmetica viene pensata come anteriore alla geometria:
Le scienze che presuppongono un minor numero di princìpi sono più esatte di quelle che presuppongono, altresì, l'aggiunta di <ulteriori princìpi>, come ad esempio l'aritmetica rispetto alla geometria194.
Quanto più gli oggetti della nostra conoscenza sono anteriori nell'ordine della definizione e sono semplici, tanto più la conoscenza è esatta: infatti l'esattezza altro non è che la semplicità. Di conseguenza, la scienza il cui oggetto prescinde dalla grandezza spaziale è più esatta di quella il cui oggetto include anche la grandezza spaziale, ed esatta in massimo grado è la scienza che astrae dal movimento195.
L'anteriorità dell'aritmetica ha dunque una doppia giustificazione. In primo luogo, essa si basa su un numero minore di principi e di premesse rispetto alla geometria, in secondo luogo essa ha a che fare con oggetti che presentano un maggior grado di astrazione dal sensibile, essendo privi di grandezza spaziale. Vale qui la pena ricordare le parole di Proclo, già citate nel primo capitolo:
L'unità è senza posizione in quanto è immateriale e fuori di ogni dimensione e luogo. Posizione ha invece il punto, in quanto appare nei recessi dell'immaginazione, ed è quindi materializzato196.
Lo spazio geometrico, per quanto astratto e puramente razionale, mantiene sempre in qualche modo un legame con lo spazio fisico, del quale è immagine; ciò non avviene con il numero, che non sembra trovare alcun corrispettivo nella materia. Un'altra giustificazione dell'anteriorità dell'aritmetica si può trovare osservando le definizioni tradizionali di punto e di unità: il punto è infatti definito come un'unità avente posizione. Si nota subito che questa
194 ARISTOTELE, Metafisica, A 2 982 a 25-28.
195 Ivi, M 3, 1078 a 9-12.
definizione, avendo necessità di una determinazione aggiuntiva, è più complessa di quella di unità, e la presuppone197.
È tuttavia fondamentale tener presente che l'anteriorità dell'aritmetica non implica che da essa sia deducibile la geometria:
In realtà numero e grandezza hanno frontiere invalicabili, perché rappresentano i domini del discontinuo e del continuo198.
Con la scissione del legame tra aritmetica e geometria trovano una soluzione le aporie generate dalla scoperta dell'incommensurabilità: se non è più necessario che le realtà esistenti nell'una trovino un corrispettivo nell'altra, allora l'irrazionale può essere un fatto puramente geometrico, senza che questo generi alcuna contraddizione. E infatti, a livello geometrico l'irrazionale viene tranquillamente accettato, ed è addirittura presentato come un fatto normale, che non fa alcuna meraviglia, ma è al contrario scontato per chi si occupa di matematica:
Di nulla un geometra si meraviglierebbe di più che se la diagonale fosse commensurabile al lato199.
Si vede dunque che in Aristotele tutte le difficoltà e le riserve che c'erano state inizialmente ad accettare l'incommensurabilità vengono meno. Il filosofo dà anche una spiegazione del fenomeno:
Con due misure si misurano la diagonale, e così il lato e tutte le grandezze200.
Non è dunque vero che non è possibile misurare la diagonale del quadrato: essa semplicemente richiede un'unità di misura diversa rispetto al lato. Si tratta di due grandezze entrambe perfettamente misurabili, ma su due diverse scale 201.
197 Cfr. E. CATTANEI,Enti matematici e metafisica, cit., p. 205.
198 G. CAMBIANO, Figura e Numero, in AA.VV., Il sapere degli antichi, a cura di M. Vegetti, Boringhieri,
Torino 1985, p. 95.
199 ARISTOTELE, Metafisica, A 2 983 a 19-21.
200 Ivi, I 1, 1053 a 17-18.
201 Cfr. J.E. ANNAS, Interpretazione dei Libri M-N della Metafisica di Aristotele. La Filosofia della matematica in
Platone e Aristotele, Vita e pensiero, Milano 1992 (orig. J. E. ANNAS, Aristotele's Metaphysics, Books M
Diverso è il discorso che va fatto per l'aritmetica. Come si ricorderà, sono commensurabili due valori che possono essere misurati dalla stessa unità. Si è visto anche che il numero è un insieme di unità: queste ultime costituiscono quindi la misura “obbligatoria” di qualsiasi numero. Pertanto, nell'universo dell'aritmetica l'incommensurabilità non si dà mai, proprio per la natura del numero stesso: anche due numeri primi fra loro, infatti, sono commensurabili con l'unità, e pertanto sono sempre commensurabili anche tra loro. Di ciò, Aristotele è ben consapevole, e scrive:
Il numero è commensurabile, e a ciò che è incommensurabile il numero non si può riferire202.
Si delineano quindi due ambiti ben distinti, indipendenti, non comunicanti: la geometria, dove regna il continuo e dove l'irrazionale è di casa, e l'aritmetica, la quale può tranquillamente rimanere legata al discreto, così com'era stata fin dalla sua origine.
La grande tragedia della matematica antica, cioè la scoperta di grandezze geometriche incommensurabili e quindi dell'irrazionale matematico, non sfiora la semplice simmetria degli arithmoi intesi come numeri interi positivi203.