CAPITOLO 5. CONTINUO E DISCRETO, GEOMETRIA E ARITMETICA
4. La rottura dell'aritmogeometria
Come si è detto al primo paragrafo di questo capitolo, la scoperta dell'incommensurabilità imponeva di rinunciare ad almeno uno dei concetti cardine della matematica pitagorica: o all'indivisibilità della monade, o alla corrispondenza tra aritmetica e geometria. Non era infatti possibile conciliare entrambi, contemporaneamente e senza contraddizione, con l'esistenza di grandezze incommensurabili. Rinunciare all'indivisibilità della monade, tuttavia, era fortemente problematico, dal momento che il concetto di numero, inteso come numero naturale, si era profondamente radicato nella mentalità matematica greca, e mancava la percezione stessa dell'esistenza di altri possibili modi intendere il numero.
Per mantenere un sistema coerente, dunque, occorreva prendere atto del fatto che l'aritmetica e la geometria andavano pensate come essenzialmente indipendenti l'una dall'altra. Il legame originario tra i due versanti della matematica doveva essere sciolto, o perlomeno fortemente allentato: la geometria diventava indiscussamente il regno del continuo e dell'irrazionale, mentre l'aritmetica restava fondamentalmente discreta.
In effetti, esaminando i testi di argomento matematico a nostra disposizione, notiamo che a seguito della scoperta dell'incommensurabilità vi fu una progressiva ma chiara presa di coscienza del fatto che molte realtà geometriche non trovano corrispettivo nell'aritmetica.
Di conseguenza, i due mondi andavano pensati come indipendenti: della sovrapposizione originaria rimase solamente qualche traccia, qualche richiamo prevalentemente formale, come avviene ad esempio nella prima definizione degli Elementi. Nei tre capitoli conclusivi della mia tesi mi propongo, tra le altre cose, di mostrare, in tre autori particolarmente significativi, fino a che punto sia maturata la consapevolezza che la realtà geometrica andava pensata come altra rispetto a quella aritmetica, e come siano stati poi intesi i rapporti tra le due realtà.
Ritengo che siano estremamente significative alcune parole di Proclo, nelle quali risulta evidente come aritmetica e geometria si fossero, nel tempo, nettamente distinte:
La geometria […] occupa il secondo posto dopo l'aritmetica per il fatto che da questa è completata e determinata – in effetti tutto ciò che in essa è razionale e conoscibile è determinato da rapporti aritmetici177.
Il dominio della geometria, che ospitava al suo interno anche ciò che era irrazionale e inconoscibile, era dunque più vasto di quello dell'aritmetica. Quest'ultima, invece, restava limitata ai numeri interi, ed era quindi in grado di esprimere solo quantità razionali:
Dovunque c'è numero, lì c'è anche il commensurabile; e dove c'è il commensurabile, lì c'è anche numero178.
L'esistenza, nelle figure geometriche, di rapporti interi diventava di fatto un caso particolare. Alle due discipline corrispondevano principi diversi:
Il principio che ogni rapporto è razionale appartiene alla sola aritmetica, e per nulla alla geometria; infatti in questa ci sono anche rapporti irrazionali. E ancora il principio che gli gnomoni dei quadrati terminano col minimo quadrato è proprio dell'aritmetica; perché in geometria il minimo assoluto non esiste179.
Chiaramente, l'infinita divisibilità si può ritrovare solo nelle grandezze geometriche, che vanno pensate come continue. In aritmetica, invece, qualsiasi valore è sempre riconducibile ad una sommatoria di unità, le quali sono, come si è più volte precisato, indivisibili.
Dal momento che l'aritmetica rimane essenzialmente discreta, essa non è in grado di rendere conto di alcune realtà geometriche: la diagonale del quadrato, ad esempio, appartiene a pieno titolo al dominio dell'essere, tuttavia, in ambito aritmetico, ad essa non corrisponde nulla: il λόγoς pitagorico che esprime la sua misura rispetto al lato, semplicemente non esiste. Si impone dunque di distinguere in maniera netta tra grandezza e
misura. La prima appartiene solamente alla geometria, ed è indipendente dal numero: essa è
infatti una proprietà pura dell'ente geometrico. La seconda, invece, necessita del concetto di numero, ed è sempre essenzialmente relativa: un segmento si misura solo rispetto ad un altro. Va da sé che, in qualsiasi segmento, è sempre possibile parlare di grandezza, ma non
177 Ivi, par. 48. 178 Ivi, par. 61.
179 Ivi, par. 60. Il secondo principio cui si riferisce Proclo è quello per cui si possono costruire i numeri quadrati disponendo in successivi gnomoni i punti-unità.
sempre è possibile riferirsi alla sua misura; nel quadrato, per rifarsi sempre allo stesso esempio, sia il lato che la diagonale hanno una grandezza, di cui non possono essere privati, e tuttavia, rispetto al lato, la misura della diagonale non esiste: abbiamo un segmento dotato di misura ma non di grandezza.
Vorrei infine osservare come la stessa incommensurabilità si manifesti in modo diverso nell'aritmetica e nella geometria. Ciò è evidente, ad esempio, nel caso del quadrato. Da un lato, infatti, abbiamo l'evidenza che non esiste un λόγoς pitagorico che, moltiplicato per se stesso, restituisce due. Dall'altro, invece, riscontriamo che non esiste un segmento in grado di misurare assieme la diagonale e il lato del quadrato. Si tratta di due fatti legati tra loro, e tuttavia essenzialmente diversi. Otto Neugebauer è del parere che la prima osservazione sia stata condotta anteriormente, e quindi in maniera logicamente indipendente dalla seconda180.
Nel secondo capitolo ho presentato due possibili dimostrazioni dell'incommensurabilità nel quadrato: osservandole da vicino può essere constatata l'indipendenza del piano geometrico da quello aritmetico. La prima dimostrazione, basata sull'ἀνθυφαίρεσις, è una prova puramente geometrica, in cui il numero non riveste alcun ruolo. Ciò che viene dimostrato è appunto la verità, squisitamente geometrica, che non esiste alcun segmento, per quanto piccolo, che possa essere contenuto esattamente tanto nel lato quanto nella diagonale. La seconda prova, simmetrica alla precedente, è puramente aritmetica: ciò che si dimostra è infatti l'impossibilità di trovare due numeri m ed n tali che 2m2 = n2, e solo questo. L'impossibilità di esprimere lato
diagonale con un λόγoς pitagorico
del tipo m
n è una conseguenza, appunto, di quanto dimostrato.