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LA RAZIONALIZZAZIONE INTELLETTUALE

Nel documento La razionalizzazione del mondo in Max Weber (pagine 155-185)

a) Il compimento del disincanto del mondo

Rimane quindi da analizzare il processo con cui la sfera intellettuale si rende autonoma e entra in contrasto con la sfera religiosa, sottraendosi alla sua legalità omnicomprensiva e razionalizzandosi in una sua specifica direzione. Considerando le varie sfere mondane che si sottraggono alla legalità della religione e alla visione religiosa del mondo e intraprendono un processo di razionalizzazione secondo una legalità propria Weber afferma:

“certamente, la tensione di maggior rilievo e più fondamentale diventa alla fine la consapevole tensione della religiosità nei confronti del dominio del conoscere concettuale. Nell’ambito della magia e dell’immagine puramente magica del mondo vi è un’unità ancora integra […]. Un ampio riconoscimento reciproco è possibile anche nei riguardi della speculazione puramente metafisica, sebbene di solito questa conduca facilmente nello scetticismo. Non di rado, perciò, la religiosità ritenne l’indagine puramente empirica, anche quella della scienza razionale, più conciliabile con i propri interessi che non la filosofia: ciò vale soprattutto per il Protestantesimo ascetico. Ma ovunque un conoscere empirico ha realizzato coerentemente il disincantamento del mondo e la sua trasformazione in un meccanismo causale, là si presenta definitivamente la tensione verso le pretese del

postulato etico secondo cui il mondo sarebbe un cosmo ordinato da Dio, e perciò in cosmo orientato in modo fornito di senso etico” [Inter Sr 551].

In questo brano vediamo già che, nella ricostruzione weberiana, l’esito del processo di razionalizzazione della visione intellettuale del mondo, è la scienza empirica nel suo significato moderno, sempre ricordando che non si tratta, qui come altrove, del culmine di uno sviluppo necessario né di un fenomeno che ha un valore intrinseco superiore. Con questo esito, il cui significato rimane da analizzare e che costituisce la forma di razionalismo intellettuale peculiare del mondo occidentale moderno, la tensione tra religione e sfera intellettuale resasi autonoma si fa massima, in quanto “il cosmo della causalità naturale e il cosmo postulato della causalità della compensazione etica si contrapponevano in un’antitesi inconciliabile” [Inter Sr 556].

Lo schema dell’analisi di Weber è qui simile a quello che abbiamo visto a proposito delle altre sfere mondane che si rendono autonome da quella religiosa, come, in particolare, la sfera della politica e dell’economia: da una visione del mondo definita in termini religiosi e comprendente tutti gli aspetti del mondo e della vita umana, il cui significato e la cui regolamentazione erano ricondotti al senso unitario del cosmo postulato dalla religione, si passa ad una pluralità di sfere che rifiutano quella regolamentazione religiosa e negano il cosmo fornito di senso unitario della religione. In questo modo le sfere mondane, che si razionalizzano autonomamente, creano degli ordinamenti e delle visioni del mondo non più riconducibili al cosmo religioso e in modo particolare al cosmo della religiosità della fratellanza universale. E’ importante sottolineare il punto di

partenza di questo schema, delineato in senso tipico-ideale, cioè il cosmo unitario della visione religiosa del mondo, al cui interno trova posto anche la regolamentazione delle sfere mondane, a meno che queste non siano radicalmente rifiutate. E’ vero che in questo caso la religione, esclusi i momenti rivoluzionari legati alla grandi profezie carismatiche, opera solitamente in termini tradizionalistici, garantendo l’agire tradizionale in ambito economico o politico che assume il carattere di immutabilità di ciò che è sacro, e che il processo di razionalizzazione si attua con l’emanciparsi dell’economia e della sfera politica dalla religione; in ogni caso risultano comunque decisivi sia il punto di partenza, delineato in termini religiosi, del processo di razionalizzazione secondo una legalità autonoma sia i fenomeni di razionalizzazione all’interno dell’ambito religioso, come mostra in maniera evidente l’analisi weberiana del nesso tra etica protestante e capitalismo.

Queste osservazioni risultano ancora più decisive a proposito della razionalizzazione della sfera intellettuale, in quanto qui i nessi e la continuità tra l’ambito religioso e quello resosi autonomo da esso sono più stretti. Innanzitutto perché in entrambi i casi ci muoviamo sullo stesso piano, quello della visione del mondo, dell’indagine del suo senso e dei suoi meccanismi; al contrario la sfera economica o politica si muovono in un ambito essenzialmente marginale se non irrilevante dal punto di vista strettamente religioso che si rende autonomo dalla tutela che la religione, trasformandosi da profezia extraquotidiana in istituzione continuativa, tenta di mantenere su di esso. In secondo luogo, come abbiamo visto nel capitolo precedente, la razionalizzazione della visione del mondo inizia con il passaggio dalla visione magica al cosmo sempre più coerente delle religioni.

Quella che potremmo chiamare razionalizzazione laica della visione del mondo continua questo processo iniziato in ambito religioso, prima parallelamente e in una connessione di condizionamento reciproco con la razionalizzazione religiosa (basti pensare al richiamo continuo di Weber all’importanza dei rapporti tra clero e intellettuali laici per la direzione della razionalizzazione di una religione), poi in contrasto con essa, in quanto alla fine rifiuta il postulato del senso unitario del mondo costantemente messo in discussione dall’esperienza della realtà empirica.

Nel brano citato poco sopra l’esito della razionalizzazione della visione del mondo, che apre la tensione inconciliabile con il cosmo postulato dalla religione e dall’etica religiosa, è descritto in termini di disincantamento del mondo, il quale costituisce, come abbiamo visto nel capitolo precedente, uno dei criteri fondamentali della razionalizzazione di una religione. Scrive infatti Weber che “ovunque un conoscere empirico ha realizzato coerentemente il disincantamento del mondo e la sua trasformazione in un meccanismo causale, là si presenta definitivamente la tensione verso le pretese del postulato etico secondo cui il mondo sarebbe un cosmo ordinato da Dio, e perciò in cosmo orientato in modo fornito di senso etico. Infatti la considerazione empirica del mondo, soprattutto quella orientata in senso matematico, sviluppa in linea di principio il rifiuto di ogni forma di considerazione che voglia cercare un ‘senso’ all’accadere intra- mondano in genere” [Inter Sr 551]. Tralasciando per ora il problema del rapporto tra sapere empirico e attribuzione di un senso alla realtà, quello che qui ci interessa è la descrizione della scienza empirica, in quanto esito della razionalizzazione intellettuale della visione del mondo, in termini di disincantamento del mondo realizzato in maniera coerente e completa; esso

sviluppa quindi l’allontanamento della magia al di là del limite a cui si era fermata la religione razionalizzata. Il mondo completamente disincantato del sapere empirico è il mondo della causalità, costantemente incontrata nell’esperienza ma soprattutto postulata come principio universale76, un mondo da cui sono eliminate tutte le forze extramondane e trascendenti, siano esse l’azione degli spiriti della visione magica o l’intervento miracoloso del Dio trascendente nel corso dei fenomeni naturali. La visione disincantata della scienza empirica ammette come legittimo solo ciò che è accessibile all’indagine empirica e quindi al riscontro diretto, creando un mondo da cui sono eliminati tutti i fenomeni non riconducibili ad una spiegazione naturale e quindi magici in un senso più o meno sublimato. “E sebbene la scienza, che creava questo cosmo, non sembrasse in grado di dare una spiegazione sicura dei propri postulati ultimi, tuttavia pretendeva – in nome dell’‘onestà intellettuale’ – di essere l’unica forma possibile di considerazione concettuale del mondo” [Inter Sr 556]. Proprio a causa di questo postulato e del dovere intellettuale di non cercare facili spiegazioni miracolose, il sapere empirico esclude ogni possibile senso del cosmo che definisce e dal proprio ambito di

76 Uno degli aspetti più interessanti della cosiddetta riflessione metodologica di Weber consiste nell’analisi dei presupposti della scienza, cioè di quegli elementi valutativi o comunque indimostrabili assunti dalla scienza e la cui accettazione è indispensabile per attribuire valore alla stessa conoscenza scientifica. Tra questi la validità universale della causalità (riferendosi alla quale Weber scrive che “la validità universale del ‘determinismo’ rimane un puro e semplice a priori” [RuK 66]) costituisce sicuramente uno dei principali presupposti della scienza empirica nelle sue varie tappe storiche. Il tema dei presupposti della scienza sarà sviluppato nel prossimo capitolo; qui vi accenniamo per indicare fin dall’inizio come la visione del mondo che scaturisce dalla razionalizzazione della sfera intellettuale, e che consiste soprattutto nell’accettazione esclusiva di ciò che è riscontrabile empiricamente, contiene come suo presupposto indimostrabile il principio che tutto sia spiegabile in termini naturali, senza il ricorso a un piano trascendente ed extramondano, cioè che tutto sia spiegabile in termini causali.

indagine, in quanto l’esperienza nega costantemente il senso attribuito dall’uomo al mondo77. In questo modo “i processi del mondo si fanno ‘disincantati’, perdono il loro senso magico, si limitano ad ‘essere’ e ad ‘apparire’ in luogo di ‘significare’” [WuG II 199].

Il disincantamento completo del mondo operato dalla scienza empirica, in quanto esito del processo di razionalizzazione della visione del mondo, consiste quindi nella negazione di ogni tipo di spiegazione che faccia appello a un dimensione extramondana, a favore della spiegazione causale dei fenomeni del mondo. Non ne risulta però un cosmo in cui tutto è spiegato in termini causali ma il principio per cui tutto può e deve essere spiegato in questo modo, anche e soprattutto ciò che non ha ancora ricevuto una tale spiegazione. In questo senso il principio di causalità universale è secondo Weber un postulato della scienza empirica, non una nozione che può essere raggiunta con gli strumenti concettuali della scienza stessa, e la corrispondente visione del mondo non implica la conoscenza della spiegazione scientifica dei vari fenomeni ma la fede nella possibilità o nell’esistenza di una tale spiegazione, anche se riservata ai soli specialisti. Nella conferenza sulla Scienza come professione78 Weber, dopo aver invitato a rendersi “conto, in primo luogo, di ciò che propriamente significa, dal

77 Proponendo questo primo accenno alla questione del rapporto tra scienza e senso del mondo e alla risposta data da Weber, che esclude appunto il senso dal cosmo del sapere empirico, dobbiamo però ricordare che ciò non significa una negazione assoluta della legittimità della ricerca e dell’attribuzione di un senso al mondo, che vengono spostate su un piano diverso da quello della scienza empirica, cioè sul piano valutativo della lotta tra i valori. Su questi temi torneremo in seguito.

78 La conferenza Wissenshaft als Beruf, il cui testo fu pubblicato nel 1919, fu tenuta da Weber a Monaco nel novembre 1917, all’interno di un ciclo di conferenze organizzato dal Freistudentische Bund sul lavoro intellettuale come professione.

punto di vista pratico, questa razionalizzazione intellettualistica ad opera della scienza e della tecnica orientata scientificamente” sostiene che “la crescente intellettualizzazione e razionalizzazione non significa una crescente conoscenza generale delle condizioni di vita alle quali si sottostà. Essa significa qualcosa di diverso: la coscienza o la fede che, se soltanto si volesse, si potrebbe in ogni momento venirne a conoscenza, cioè che non sono in gioco, in linea di principio, delle forze misteriose e imprevedibili, ma che si può – in linea di principio – dominare tutte le cose mediante un calcolo razionale. Ma ciò significa il disincantamento del mondo” [WaB 19-20].

In termini analoghi si esprime Weber in un passo del saggio Alcune categorie della sociologia comprendente

“non accade neppure universalmente che l’agire dell’uomo ‘civilizzato’ proceda in modo soggettivamente più razionale rispetto allo scopo. Ciò avviene piuttosto in maniera diversa nelle singole sfere dell’agire: ma questo è un problema a sé. Ciò che dà alla situazione dell’uomo ‘civilizzato’ la sua specifica nota ‘razionale’ sotto questo rispetto, a differenza di quella del ‘selvaggio’, è piuttosto: 1) la fede generalmente acquisita nel fatto che le condizioni della sua vita quotidiana – siano esse il tram o l’ascensore o il denaro o l’esercito o la medicina ecc. – hanno una natura in linea di principio razionale, cioè sono prodotti umani accessibili alla conoscenza, alla creazione e al controllo razionale […]; 2) la fiducia nel fatto che esse funzionano razionalmente, cioè secondo regole note, e non già irrazionalmente, come i poteri che il selvaggio vuole influenzare attraverso

il suo stregone, e quindi – almeno in linea di principio – nella possibilità di ‘far conto’ su di esse, di ‘calcolare’ il loro comportamento, di orientare il proprio agire in base ad aspettative univoche stabilite in virtù di esse” [Csc 238-9].

Questo brano risulta molto interessante proprio perché riconduce il tema della razionalizzazione della visione intellettuale del mondo e del disincantamento che essa produce alle forme di razionalità specifiche del mondo occidentale moderno. Anche se l’agire dell’uomo moderno non risulta di fatto più soggettivamente razionale, la sua visione del mondo può essere definita, in un senso specifico, razionale, in quanto si basa sullo stesso tipo di indagine empirica che sta alla base della razionalità oggettivamente corretta e in parte della razionalità rispetto allo scopo: come questa ricerca i mezzi più adatti in base alle prove empiriche che essi danno della loro correttezza, così quella visione del mondo accetta solo le spiegazioni che derivano dall’analisi empirica e resistono ad ulteriori indagini empiriche. Il brano citato considerava poi questo principio generale ristretto all’ambito della vita quotidiana e delle sue condizioni materiali, che risultano quindi accessibili alla conoscenza razionale e non connotate magicamente o comunque in senso trascendentale, funzionanti secondo regole generali e quindi calcolabili, cioè razionali secondo un altro dei principali significati di razionalità che abbiamo incontrato.

La razionalizzazione della visione del mondo e il disincantamento del mondo sono quindi presentati da Weber come fede in un principio generale, che non si traduce necessariamente in conoscenza effettiva delle spiegazioni causali

proposte dalla scienza empirica. Anzi, “delle condizioni economiche e sociali della propria esistenza il ‘selvaggio’ conosce infinitamente di più dell’uomo ‘civilizzato’, nel senso corrente del termine”; a quest’ultimo la base razionale della propria esistenza rimane “più nascosta di quanto al ‘selvaggio’ rimanga nascosto il senso delle procedure magiche del suo stregone. La razionalizzazione non provoca affatto una universalizzazione del sapere relativo alle condizioni e alle connessioni dell’agire in comunità; ma per lo più accade proprio il contrario” [Csc 238]. L’esempio scelto da Weber è quello dei viaggiatori che utilizzano il tram, cioè una realizzazione tecnica legata alla razionalizzazione intellettuale che ha dato la scienza empirica, senza sapere come esso funziona, ma con la consapevolezza che alla base del suo funzionamento sta un sapere empirico accessibile in via di principio e posseduto dagli specialisti: “chiunque di noi viaggi in tram non ha la minima idea – a meno che non sia un fisico di professione – di come esso fa a mettersi in movimento; e neppure ha bisogno di saperlo. Gli basta poter ‘fare assegnamento’ sul modo di comportarsi della vettura tranviaria, ed egli orienta il suo comportamento in base a esso”. In antitesi con questa situazione è possibile dire che “il selvaggio ha una conoscenza incomparabilmente migliore dei propri utensili” [WaB 19-20], anche se essi sono meno razionali e se la loro efficacia è ricondotta a influenze magiche.

b) La scienza empirica come fenomeno costitutivo della modernità

Anche se siamo partiti direttamente dalla scienza empirica, che costituisce l’esito ultimo della razionalizzazione intellettuale occidentale, essa è presentato da Weber come punto di arrivo di un complesso processo storico che può essere descritto in termini di razionalizzazione, con le stesse delimitazioni ricordate nei capitolo precedenti a proposito di altri fenomeni di razionalizzazione. A tale proposito Weber scrive che “il progresso scientifico è una frazione, e invero la frazione più importante, di quel processo di intellettualizzazione al quale sottostiamo da secoli” [WaB 19]. Analogamente al capitalismo razionale e allo stato burocratico anche la scienza moderna costituisce un fenomeno tipico e costitutivo del mondo occidentale moderno, un risultato del suo specifico razionalismo: “solo in Occidente la ‘scienza’ ha raggiunto, nel suo sviluppo, quello stadio a cui, oggi, riconosciamo ‘validità’. Anche altrove “c’erano scienze ma mancavano di elementi decisivi della scienza occidentale moderna scaturiti dall’antichità greca (base matematica, dimostrazione razionale, concetti razionali), romana (concetti giuridici razionali) e dal Rinascimento (esperimento razionale)” [Premessa a Sr, in Ep 33-34]. In quanto peculiare del mondo occidentale moderno la scienza empirica andrebbe indagata storicamente per quanto riguarda la sua genesi, avvenuta solo qui e in una determinata epoca. Nelle opere di Weber troviamo alcune considerazioni a questo proposito, anche se questo tema non viene trattato con l’estensione e la profondità del problema analogo della genesi del peculiare razionalismo economico che caratterizza l’Occidente moderno. Nel brano appena citato troviamo, sia pur esposto in modo estremamente schematico,

un accenno di storia della scienza occidentale moderna, che la ancora in modo particolare all’antichità, soprattutto greca, e al Rinascimento, che si aggiungono quindi alla Riforma protestante quali momenti decisivi della genesi del razionalismo peculiare del mondo occidentale moderno. Per quanto riguarda il contributo dato in questo senso dal Rinascimento, Weber lo individua soprattutto nell’introduzione dell’utilizzo sistematico dell’esperimento, che sarebbe poi passato nella scienza sperimentale moderna: accanto al concetto astratto, prodotto del razionalismo greco e primo grande strumento della scienza moderna, “si presentava, come prodotto dell’età del Rinascimento, il secondo grande strumento del lavoro scientifico, l’esperimento razionale, come mezzo di un’esperienza controllata in maniera affidabile, senza il quale la scienza empirica moderna sarebbe impossibile. Anche in precedenza si era fatto ricorso all’esperimento […]. Ma aver innalzato l’esperimento a principio della ricerca in quanto tale è un contributo proprio del Rinascimento”; dagli sperimentatori rinascimentali, quali Leonardo o gli sperimentatori della musica, “l’esperimento passò nella scienza soprattutto a opera di Galilei, e nella teoria a opera di Bacone” [WaB 23].

Possiamo approfittare di queste osservazioni per spendere qualche altra parola sul ruolo che Weber attribuisce al Rinascimento come momento fondativo della modernità occidentale, soprattutto in relazione al ruolo decisivo che egli attribuisce alla Riforma protestante. Nella genesi del capitalismo moderno, cioè di quel fenomeno che secondo Weber maggiormente caratterizza il mondo occidentale moderno, o almeno il fenomeno sul quale lo studioso tedesco ha ritenuto indispensabile soffermarsi con maggior attenzione nell’analizzare il

razionalismo occidentale, il Rinascimento riveste un ruolo sicuramente marginale e irrilevante rispetto alla Riforma; scrive infatti Weber:

“nei suoi confronti appare ben poca cosa anche tutto quello che il Rinascimento ha fatto per il capitalismo. I suoi artisti si sono occupati di problemi tecnici ed erano sperimentatori di prim’ordine. Dall’arte e dall’attività mineraria l’esperimento venne poi trasferito nella scienza. Il Rinascimento ha condizionato ampiamente la politica dei principi come visione del mondo, però non ha trasformato l’anima degli uomini come le innovazioni della Riforma. Quasi tutte le grandi scoperte scientifiche del XVI secolo e all’inizio ancora del XVII secolo si sono sviluppate sul terreno del cattolicesimo: Copernico era cattolico, e così Lutero e Melantone ebbero un atteggiamento di rifiuto nei confronti delle sue scoperte. In generale, non si possono identificare senz’altro progresso scientifico e protestantesimo. La chiesa cattolica ha ostacolato a tratti il progresso scientifico, ma anche le sette ascetiche del protestantesimo poco volevano saperne di scienza pura, a meno che non venisse incontro alle esigenze reali della vita quotidiana. Per contro, il fatto di aver portato la scienza al servizio della tecnica e dell’economia è una realizzazione specifica del protestantesimo” [Se 319- 20].

Abbiamo riportato per intero questo brano tratto dalla Storia economica sia perché risponde alla domanda sul ruolo attribuito al Rinascimento nella genesi del mondo occidentale moderno, rintracciato soprattutto in campo politico (cioè in quel

processo che avrebbe portato allo stato razionale moderno) e in relazione alla scienza sperimentale, sia perché approfondisce l’analisi che peso relativo di Rinascimento e Riforma a proposito del progresso scientifico.

In quanto elemento essenziale del razionalismo occidentale, cioè di quel fenomeno multiforme che ha portato anche al capitalismo moderno e allo stato burocratico, la scienza moderna è collegata, nel suo sviluppo storico, a questi altri

Nel documento La razionalizzazione del mondo in Max Weber (pagine 155-185)

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