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IL SENSO DELLA SCIENZA

Nel documento La razionalizzazione del mondo in Max Weber (pagine 185-200)

a) I presupposti della scienza

Nei capitoli precedenti abbiamo visto in quale quadro storico Weber colloca la scienza moderna, intesa sempre come termine generale che comprende le scienze naturali e le scienze umane. Anche se non abbiamo ancora analizzato compiutamente quali caratteristiche sono proprie, secondo Weber, di questa peculiare forma di razionalismo intellettuale, possiamo iniziare a chiederci quale valore viene ad essa attribuito dallo studioso tedesco. Naturalmente si tratta di una questione che si situa sul piano delle valutazioni soggettive e non può quindi essere risolta con gli strumenti della scienza stessa e in maniera oggettiva. Weber pone la questione in questi termini, che già abbiamo incontrato parlando della possibilità e dell’opportunità di descrivere come progresso il processo di razionalizzazione che ha portato al capitalismo razionale e allo stato moderno: “questo processo di disincantamento, proseguito per millenni nella cultura occidentale, e in generale questo ‘progresso’, del quale la scienza costituisce un elemento e una forza motrice, ha un qualche senso che vada al di là del piano puramente pratico e tecnico?” [WaB 20]. La questione del valore e del senso della scienza empirica, e più in generale del processo di disincantamento del mondo in cui essa è inserita, non è quindi posta sul piano pratico in cui la scienza si presenta indubbiamente come un progresso, nel senso tecnico e legittimo del termine; il problema è piuttosto se e sulla base di quali ideali questo progresso tecnico può

essere valutato come fornito di senso e di valore, e quali possono essere il senso e il valore del sapere scientifico in sé, indipendentemente (o oltre o nonostante) le sue ripercussioni pratiche. Weber considera quindi la questione della valutazione del sapere empirico e del processo di razionalizzazione della visione del mondo dal punto di vista della scienza come Beruf, come professione e vocazione, più che da quello della scienza come tecnica: “ha il ‘progresso’ in quanto tale un senso riconoscibile che vada al di là del piano tecnico, in modo che porsi al suo servizio possa diventare una professione dotata di senso? La questione dev'essere posta. Ma non si tratta più soltanto della questione della vocazione alla scienza, cioè del problema: che cosa significa la scienza come professione per colui che si dedica ad essa? Bensì anche di un altro problema: che cos'è la professione della scienza nella vita complessiva dell'umanità? E qual è il suo valore?” [WaB 21]. Si tratta di domande che, dato il principio weberiano della avalutatività della scienza, che tratteremo più nel dettaglio nel prossimo capitolo, trovano una risposta solo sul piano delle valutazioni soggettive, e una risposta positiva solo sulla base di certi valori la cui validità non è determinabile dalla scienza empirica: nel saggio Roscher e Knies e i problemi logici dell’economia politica di indirizzo storico, parlando del concetto di sviluppo culturale utilizzato da Wundt per indicare l’accresciuta capacità di cogliere le conoscenze valide offerta dalla scienza, Weber rileva che “questa presunta considerazione ‘psicologica’ di carattere empirico non costituisce affatto un’analisi empirica ‘priva di presupposti’ nel senso dell’assenza di valutazioni, ma rappresenta una valutazione dello ‘sviluppo culturale’ dal punto di vista di un ‘valore’ già assunto come valido: il valore della conoscenza ‘corretta’. […] Questo valore – a cui è ancorato il senso di tutto il nostro

conoscere scientifico – non si comprende però ‘empiricamente’ di per sé” [RuK 61]84.

Perché la scienza empirica possa essere considerata fornita di senso e di valore in sé, prescindendo quindi dalle sue applicazioni tecniche, dobbiamo innanzitutto considerare come fornito di valore il tipo specifico di conoscenza a cui essa giunge. Il valore di questa conoscenza, a cui è ancorato il senso della scienza stessa, non è però qualcosa che può essere dimostrato, ma un presupposto valutativo della scienza: chi, in base ai propri ideali e alla propria visione del mondo, condivide il presupposto del valore della ‘conoscenza corretta’ riterrà il sapere empirico fornito di senso, al contrario di chi invece nega quel presupposto, che non è scontato né tanto meno un dato di fatto. La questione dei presupposti della scienza, cioè di quegli elementi che fondano il sapere empirico ma non sono dimostrabili scientificamente, è essenziale all’interno della riflessione sviluppata da Weber sul senso della scienza, in quanto esso può sussistere solo per chi accetta preliminarmente questi presupposti: “nessuna scienza è assolutamente priva di presupposti, e nessuna può fondare il proprio valore per chi rifiuta questi presupposti” [WaB 40]. Con il tema dei presupposti tocchiamo quindi quell’elemento irrazionale, in quanto valutativo, che sta alla base del sapere razionale come di ogni altro fenomeno di razionalizzazione. Per la scienza come professione possiamo quindi riproporre le considerazioni viste a proposito del concetto di vocazione professionale tipico dell’ethos economico del capitalismo

84 Il tema del valore della verità costituisce un esempio di riferimento specifico di Weber alla riflessione di Nietzsche, come nota Löwith, che, nel saggio Max Weber e Karl Marx, scrive che la questione del senso della scienza “è in fondo quella medesima posta da Nietzsche per la filosofia, quando cercava il senso e il valore della ‘verità’”(pag. 24).

moderno nato nell’ambito dell’etica protestante, a proposito del quale Weber parlava di un “elemento irrazionale che è insito in questo come in ogni concetto di ‘vocazione’” [Ep 101]85. E’ opportuno ricordare fin da ora, prima di sviluppare

il tema dei presupposti della scienza, che il riconoscere questi come altri elementi valutativi e quindi irrazionali all’interno del fenomeno della scienza empirica non significa per Weber disconoscere l’oggettività dei risultati a cui il sapere empirico porta, se l’indagine è condotta correttamente: come vedremo più dettagliatamente nel prossimo capitolo, il fatto che elementi valutativi entrino a vario titolo nel lavoro scientifico non significa che i suoi risultati siano relativi e validi solo per chi condivide questi elementi valutativi; una conoscenza scientifica deve valere per chiunque in quanto conoscenza corretta, mentre ciò che cambia è il grado di interesse verso questa conoscenza, che può essere nullo per chi non condivide certi presupposti e non ritiene quindi quella conoscenza degna di essere conosciuta. “Verità scientifica”, scrive Weber in questo senso, “è soltanto ciò che esige di valere per tutti coloro che vogliono la verità” [Ose 52].

Il primo presupposto della scienza è quindi questa assunzione del valore della conoscenza scientifica, non nel senso della sua validità come conoscenza corretta, ma nel senso di essere degna di venir conosciuta: “a chi non consideri fornita di valore questa verità – e la fede nel valore della verità scientifica è il prodotto di determinate civiltà, non già qualcosa di dato per natura – non abbiamo nulla da offrire con gli strumenti della nostra scienza” [Ose 85-6]. “Si presuppone […] che

85 A questo proposito un confronto tra la riflessione di Weber sulla scienza come vocazione e sulla professione dello scienziato, che analizzeremo più avanti in questo capitolo, e quella sull’ethos economico del capitalismo delle origini potrebbe essere interessante e rivelare molti parallelismi tra la descrizione delle due mentalità

il risultato del lavoro scientifico sia importante nel senso di essere ‘degno di essere conosciuto’. E qui hanno chiaramente la loro radice tutti i nostri problemi. Infatti questo presupposto non può essere a sua volta dimostrato con i mezzi della scienza. Può soltanto essere interpretato nel suo senso ultimo, che si dovrà poi respingere oppure accogliere a seconda della propria presa di posizione ultima di fronte alla vita” [WaB 26-7]. Questo presupposto può essere formulato sia per quanto riguarda il sapere empirico nel suo complesso, e consiste allora nell’attribuire valore al tipo di conoscenza che questo può dare con i propri strumenti, oppure in relazione a una specifica indagine scientifica; in questo caso ciò che è presupposto, in primo luogo dal ricercatore che svolge l’indagine, è che il suo oggetto sia degno di essere conosciuto. Sviluppando questo tema a proposito delle singole discipline scientifiche, Weber scrive che “le scienze naturali come per esempio la fisica, la chimica, l'astronomia, presuppongono come ovvio il fatto che le leggi ultime dell'accadere cosmico – costruibili, fin dove arriva la scienza – siano degne di essere conosciute. Non soltanto perché con queste nozioni si possono raggiungere successi tecnici, ma – se esse devono costituire una ‘professione’ - ‘per se stesse’. Questo presupposto non è però assolutamente dimostrabile; e meno che mai si può dimostrare se il mondo che esse descrivono sia degno di esistere, se cioè abbia un ‘senso’, e se abbia un senso esistere in esso. Queste esse non se lo chiedono” [WaB 27].

Le scienze naturali presuppongono quindi, secondo Weber, che le cosiddette leggi naturali siano degne di essere conosciute e che la loro indagine possa diventare oggetto di una professione dotata di senso. Un problema collegato a questo, ma indipendente, consiste poi nello stabilire se il mondo descritto da

queste leggi, cioè il cosmo della causalità universale che, come abbiamo visto, respinge le istanze di senso dell’uomo, sia fornito di senso oppure sia insensato e se sia quindi sensato vivere in esso; l’esistenza di questo senso non è infatti un presupposto della scienza, in quanto si può ritenere fornita di valore l’indagine del cosmo della causalità universale anche con la consapevolezza della sua mancanza di senso, ma piuttosto un problema aperto dal sapere empirico, che si colloca però sul piano separato della valutazione. Troviamo lo stesso schema di ragionamento anche a proposito di quelle che possiamo chiamare scienze pratiche, in cui il fine non è puramente conoscitivo, o più in generale a proposito dei risvolti tecnici e delle applicazioni della scienza. Un esempio del primo caso è dato dalla medicina: “il ‘presupposto’ generale dell'esercizio della medicina è – in parole povere – che si attribuisca valore positivo al compito della conservazione della vita in quanto tale e della riduzione al minimo della sofferenza in quanto tale. E ciò è problematico”, in quanto “se la vita sia degna di essere vissuta, e quando, la medicina non se lo chiede” [WaB 27] e non costituisce una questione risolubile scientificamente. Il problema dei presupposti, che devono essere preliminarmente accettati per poter ritenere la scienza fornita di senso, si ripresenta poi per le applicazione della scienza in generale, cioè per quel piano tecnico in cui il sapere empirico può senz’altro essere descritto in termini di progresso (ricordando però il significato limitato che questo termine assume legittimamente): “tutte le scienze ci danno una risposta alla domanda: che cosa dobbiamo fare se vogliamo dominare tecnicamente la vita? Se però dobbiamo e vogliamo dominarla tecnicamente, e se

ciò abbia, in ultima analisi, propriamente senso, esse lo lasciano del tutto da parte, oppure lo presuppongono per i loro scopi” [WaB 27-8]86.

Il tema dei presupposti della scienza e del suo senso in relazione ad essi assume poi una connotazione particolare per quanto riguarda le scienze culturali o umane, cioè per quelle scienze che indagano fenomeni legati all’uomo e alla sua attività creatrice, sulle quali Weber, dati i suoi interessi disciplinari, si concentra maggiormente anche nelle cosiddette riflessioni metodologiche. Il fatto che un oggetto culturale, la cui stessa esistenza dipende dall’uomo, sia o meno degno di essere conosciuto e indagato scientificamente sembra in un certo senso affine al problema se abbia o meno valore, se sia degno di esistere, più di quanto avvenga per le scienze naturali, i cui fenomeni esistono come dati di fatto indipendentemente dalla volontà umana e dalla decisione di indagarli. I due problemi sono però diversi e costituiscono rispettivamente un presupposto di una indagine scientifica e una valutazione soggettiva. Ciò significa che le scienze della cultura assumono come esistenti di fatto i loro oggetti, senza valutare la loro esistenza o dover rispondere preliminarmente alla domanda sul loro senso; per esempio, “il fatto che vi siano opere d’arte costituisce, per l’estetica, un dato di fatto” ed “essa non si chiede quindi se debbano esservi opere d’arte”. In generale le scienze della cultura “ci insegnano a comprendere i fenomeni della cultura – politici, artistici, letterari e sociali – in base alle condizioni del loro sorgere. Ma non offrono di per sé una risposta alla questione se questi fenomeni culturali

86 Se volgiamo applicare a questo tema le categorie di razionalità analizzate nel primo capitolo possiamo dire che il dominio tecnico del mondo può sicuramente essere descritto in termini di razionalità rispetto allo scopo, ma risulta per molti aspetti materialmente irrazionale.

fossero e siano degni di sussistere; e neppure rispondono all’altra questione se valga la pena conoscerli” [WaB 28]; quest’ultimo è anche qui un presupposto dell’interesse ma non del valore conoscitivo di un’indagine scientifica. La questione si presenta però più complessa, in quanto secondo Weber gli oggetti delle scienze della cultura non sussistono come dati di fatto ma la loro creazione è un momento preliminare della stessa indagine scientifica:

“la realtà empirica è per noi ‘cultura’ in quanto, e nella misura in cui, la poniamo in relazione con idee di valore; essa abbraccia quegli elementi della realtà che diventano per noi significativi in base a quella relazione, e soltanto questi elementi. Una minima parte della realtà individuale di volta in volta considerata è investita dal nostro interesse condizionato da quelle idee di valore; essa soltanto ha significato per noi, e lo ha in quanto mostra relazioni che sono per noi importanti in virtù della loro connessione con idee di valore. Esclusivamente in questo caso, infatti, essa è per noi degna di venir conosciuta nella sua specificità. Ciò che ha significato per noi non può naturalmente essere inferito attraverso alcuna indagine del dato empirico che sia condotta ‘senza presupposti’; al contrario, la sua determinazione è il presupposto per stabilire che qualcosa diventa oggetto dell’indagine” [Ose 41-42].

Il tema della relazione ai valori, indispensabile nelle scienze della cultura per la delimitazione, e quindi, in un certo senso, la creazione del proprio oggetto a partire da una realtà empirica che si presenta come un’infinità priva di senso,

verrà approfondito in seguito; per ora ci basta notare che gli interessi conoscitivi e i valori che guidano questa operazione costituiscono dei presupposti specifici delle indagini delle scienze umane e quindi del fatto che le loro conclusioni siano giudicate degne di essere conosciute. Anche in questo caso il valore conoscitivo, nel senso di conoscenza corretta, di queste indagini è per Weber indipendente da questi presupposti e dall’accettazione di quei valori; l’avalutatività e l’oggettività delle scienze umane non sono messe in discussione da questo specifico ruolo che in esse giocano elementi valutativi. Anche su questo punto torneremo in seguito. Continuiamo invece a sviluppare il tema dei presupposti della scienza. Possiamo riconsiderare sotto questo aspetto quanto detto nel capitolo precedente a proposito del mondo completamente disincantato delineato dalla scienza empirica. Il fatto che nei fenomeni della realtà empirica non agiscano forze misteriose ma che al contrario essi siano spiegabili in maniera razionale (indipendentemente dal fatto che essi siano stati già spiegati in tale modo) è infatti un principio generale indimostrabile, che costituisce un presupposto della scienza e determina la direzione della sua indagine. Come abbiamo visto Weber scrive a questo proposito che “la crescente intellettualizzazione e razionalizzazione non significa una crescente conoscenza generale delle condizioni di vita alle quali si sottostà. Essa significa qualcosa di diverso: la coscienza o la fede che, se soltanto si volesse, si potrebbe in ogni momento venirne a conoscenza, cioè che non sono in gioco, in linea di principio, delle forze misteriose e imprevedibili, ma che si può – in linea di principio – dominare tutte le cose mediante un calcolo razionale. Ma ciò significa il disincantamento del mondo” [WaB 20]. Questo principio, la cui assunzione è descritta da Weber in termini di fede, può poi essere riformulato in

una maniera più forte come validità universale della causalità, come il principio che tutti i fenomeni sottostanno a una determinazione causale e devono essere spiegati in questa direzione (anche quando la spiegazione risulta di fatto troppo complicata per essere accessibile); anche in questo caso Weber ricorda che “la validità universale del ‘determinismo’ rimane un puro e semplice a priori” [RuK 66]. Queste ed altre osservazioni sui presupposti della scienza sembrano avere delle ripercussioni anche sul tema dell’oggettività della conoscenza scientifica, cioè del suo valore di verità.

b) Il senso della scienza come professione

Per ora tralasciamo questo problema, soffermandoci invece sulla conclusione che Weber trae dalla riflessioni sui presupposti della scienza: se la scienza sia o meno fornita di senso, se le conoscenze a cui porta siano degne di essere conosciute, se infine la scienza costituisca una professione dotata di senso sono tutte questioni valutative che non possono essere risolte in maniera oggettiva, ma che riceveranno risposte diverse a seconda dei valori in cui si crede, i quali porteranno ad accettare oppure a rifiutare i presupposti senza i quali la scienza non può avere senso. “Se in questa condizione la scienza sia degna di diventare una ‘professione’ per qualcuno, e se essa fornisca una ‘professione’ oggettivamente fornita di valore – ciò è di nuovo un giudizio di valore”; “personalmente”, conclude Weber, “io rispondo in modo affermativo già con il mio proprio lavoro” [WaB 38-9]. Quest’ultima questione, se la scienza sia fornita

di valore come professione, assume poi tono particolari legati a ciò che Weber intende per professione dello scienziato e per le caratteristiche che questa professione ha assunto nel mondo contemporaneo. Quanto più la professione dello scienziato, cioè dell’uomo che si dedica alla ricerca scientifica come professione abbracciata per una specifica vocazione, assunse le sue caratteristiche attuali, “quanto più il servizio dei beni di cultura era trasformato in un compito sacro, in una ‘professione’, tanto più doveva diventare una corsa ancor più priva di senso verso fini privi di valore e, inoltre, del tutto contraddittori in se stessi e antagonistici tra loro” [Inter Sr 557]. Innanzitutto dobbiamo ricordare che Weber pone il problema del senso della scienza come professione considerando la ‘scienza pura’, finalizzata cioè all’acquisizione disinteressata di conoscenze specifiche e non ai possibili vantaggi pratici che queste possono portare:

“l’esercizio della scienza può essere posto al servizio di interessi clinici, tecnici, economici, politici o di altri interessi ‘pratici’; allora il suo valore presuppone, ai fini della valutazione, proprio il valore di quegli interessi che essa serve, e questo è perciò un a priori. Ma allora, considerato da un punto di vista puramente empirico, il ‘valore’ della ‘scienza pura’ diventa del tutto problematico. E infatti, considerato nella prospettiva della psicologia empirica, il valore della scienza esercitata ‘per amore di se stessa’ è stato contestato non solo praticamente da certi punti di vista religiosi e anche da quello della ‘ragion di stato’, ma anche in linea di principio, sulla base di un’affermazione radicale di valori puramente ‘vitalistici’ oppure, al contrario sulla base di una radicale negazione della vita. In questa

contestazione non vi è alcuna contraddizione logica, o c’è soltanto quando si disconosca il fatto che in questo modo si pongono semplicemente al di sopra del valore della verità scientifica altri valori” [RuK 61-62].

Il valore della conoscenza scientifica può naturalmente essere ancorato esclusivamente al fine del dominio tecnico del mondo, negando quindi un valore autonomo alla ‘scienza pura’; non è questa però la posizione di Weber, che aggiunge:

“non è affatto certo che, sottoponendo ogni progresso del lavoro scientifico al criterio di valore del ‘dominio’ pratico del mondo esterno, si servano in modo durevole gli interessi della scienza, persino nel senso di questo stesso criterio. Non è affatto un caso che non già il patriarca di questo punto di vista di teoria della scienza, cioè Bacone, ma altri pensatori orientati, a

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