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La razionalizzazione del mondo in Max Weber

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Academic year: 2021

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INDICE

LEGENDA 5

INTRODUZIONE 7

CAPITOLO I – LE CATEGORIE DELLA RAZIONALITA’

a) Razionalità rispetto allo scopo e razionalità rispetto al valore 15 b) La razionalità rispetto allo scopo come tipo ideale 21 c) Razionalità oggettivamente e soggettivamente corretta 27 d) Razionalità formale e razionalità materiale 37

CAPITOLO II – IL PROCESSO STORICO DI RAZIONALIZZAZIONE

a) Il razionalismo occidentale moderno 41

b) La genesi dello spirito del capitalismo 49

c) Il carattere indiretto del legame tra etica protestante e capitalismo 58 d) La razionalità dell’agire economico capitalistico 62 e) Il capitalismo moderno e lo stato razionale 67

f) La burocrazia specializzata 74

CAPITOLO III – LA VALUTAZIONE DELLA RAZIONALIZZAZIONE

a) Il concetto di progresso 85

b) L’ambiguità della valutazione weberiana 93

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d) I limiti della burocrazia specializzata 105

e) La critica del socialismo 111

CAPITOLO IV – LA RAZIONALIZZAZIONE RELIGIOSA

a) La sociologia delle religioni weberiana 115

b) La demagicizzazione del mondo 122

c) L’unificazione del senso del mondo 130

d) Il problema dell’irrazionalità etica del mondo 137 e) L’emancipazione delle sfere mondane dalla religione 145

CAPITOLO V – LA RAZIONALIZZAZIONE INTELLETTUALE

a) Il compimento del disincanto del mondo 155

b) La scienza empirica come fenomeno costitutivo della modernità 164

c) Il rapporto tra scienza e religione 169

d) La scienza e il problema del senso del mondo 180

CAPITOLO VI – IL SENSO DELLA SCIENZA

a) I presupposti della scienza 185

b) Il senso della scienza come professione 194

CAPITOLO VII – L’AVALUTATIVITA’ DELLA SCIENZA

a) Il principio dell’avalutatività della scienza 206

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c) La distinzione logica tra conoscenza e valutazione 220 d) Il dovere di separare chiaramente i due piani 226 e) La critica scientifica dei giudizi di valori 234

CAPITOLO VIII – LA SFERA DELLE VALUTAZIONI

a) Il politeismo dei valori 245

b) Etica dei principi ed etica della responsabilità 260

c) La lotta politica 265

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LEGENDA

Nel seguente lavoro saranno citati passi tratti dalle opere di Max Weber elencate qui sotto; le citazioni saranno seguite da un riferimento tra parentesi quadra che indica il testo di provenienza (secondo le sigle qui riportate) e la pagina dell’edizione di riferimento indicata in Bibliografia. Anche per le opere di altri autori citate l’edizione a cui si è fatto riferimento è indicata in Bibliografia.

Csc Alcune categorie della sociologia comprendente Ek Teorie ‘energetiche’ della cultura

Ep L’etica protestante e lo spirito del capitalismo

Inter Sr Intermezzo – Teoria dei gradi e delle direzioni di rifiuto religioso del mondo in Sociologia delle religioni

Intro Sr Introduzione a L’etica economica delle religioni universali in Sociologia delle religioni

Ose L’‘oggettività’ conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale PaB La politica come professione

PeG Parlamento e governo

RuK Roscher e Knies e i problemi logici dell’economia politica di indirizzo storico

Sas Il senso della ‘avalutatività’ delle scienze sociologiche ed economiche Se Storia economica: linee di una storia universale dell’economia e della

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Sls I In polemica con Eduard Meyer, in Studi intorno alla logica delle scienze della cultura

Sls II Possibilità oggettiva e causazione adeguata nella considerazione causale della storia, in Studi intorno alla logica delle scienze della cultura Sp I Lo Stato nazionale e la politica economica tedesca in Scritti politici Sp II Sulla burocrazia, in Scritti politici

Sp III Tra due leggi, in Scritti politici Sp VII Il socialismo, in Scritti politici Sr Sociologia delle religioni

Su Rudolf Stammler e il ‘superamento’ della concezione materialistica della storia, in Saggi sul metodo delle scienze storico-sociali

WaB La scienza come professione

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INTRODUZIONE

In questo lavoro cercheremo di rintracciare, nell’opera di Max Weber, una interpretazione complessiva della modernità e una visione scientifica del mondo, in un senso che verrà ora precisato. Sono temi che non costituiscono l’oggetto esplicito di singoli scritti weberiani, ma che possono essere estrapolati dalle opere dello studioso tedesco, che consistono spesso, soprattutto per quanto pubblicato da Weber durante la propria vita, in brevi saggi o articoli legati a specifiche controversie, e presentati secondo un percorso unitario. Non sarà qui presa in esame l’opera complessiva di Weber, ma solo gli scritti che si collocano tra la ripresa dell’attività scientifica dopo la lunga inattività dovuta alla malattia che lo colpì negli ultimi anni dell’Ottocento e la morte avvenuta nel 1920. Questi scritti costituiscono sicuramente la parte più rilevante dell’opera weberiana e possono essere letti come un complesso unitario in cui alcuni temi dominanti vengono man mano sviluppati e approfonditi. Le singole opere utilizzate e citate verranno indicate di volta in volta nel corso del lavoro; ricordiamo qui quelle che hanno costituito i punti di riferimento principali: il saggio L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904-5), L’introduzione a L’etica economica delle religioni universali e L’intermezzo – Teoria dei gradi e delle direzioni di rifiuto religioso del mondo nella Sociologia delle religioni (raccolta di testi pubblicata nel 1920-21), i saggi L’‘oggettività’ conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale (1904) e Il senso della ‘avalutatività’ delle scienze sociologiche ed economiche (1917) all’interno dei cosiddetti saggi metodologici, le due conferenze La scienza come professione (1917) e La politica come professione

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(1919) e alcune sezioni di Economia e società (pubblicata postuma e rimasta incompiuta).

I due temi, tra loro strettamente intrecciati, che seguiremo nel loro sviluppo concettuale in queste ed altre opere consistono nell’interpretazione del mondo moderno che Weber propone, sia nel senso di analisi storico-sociologica che di valutazione, e in una visione del mondo che può essere definita scientifica per la forte connessione che essa presenta con una specifica idea di scienza. Poiché il mondo moderno è descritto da Weber come mondo razionalizzato in un senso peculiare, il lavoro si aprirà con un capitolo introduttivo in cui verranno analizzati i significati che lo studioso tedesco attribuisce al termine razionalità e il modo in cui esso viene utilizzato. Razionalità non costituisce per Weber un concetto metafisicamente connotato, ma assume significati più pratici, legati a certe modalità dell’agire dell’uomo piuttosto che a una sua qualità essenziale, e soprattutto non unitari: un agire può essere descritto ed interpretato come razionale in sensi diversi e da diversi punti di vista, che possono divergere fino a far sì che ciò che è razionale da una certa prospettiva sia irrazionale da un’altra. In questo modo Weber delimita, all’interno del concetto di razionalità, una serie di categorie e di forme di razionalità, che portano in particolare alle due coppie di razionalità rispetto allo scopo e rispetto al valore e di razionalità formale e materiale. Nel capitolo I verranno inoltre richiamati ulteriori usi del termine razionalità presenti nelle opere di Weber, che legano l’agire razionale al calcolo e all’impersonalità, e, pur non essendo sviluppati fino alla definizione di specifiche categorie concettuali, risultano comunque decisivi nell’analisi del processo storico

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di razionalizzazione che lo studioso tedesco pone alla base del mondo occidentale moderno.

L’analisi proposta da Weber di questo processo storico sarà esposta nel secondo capitolo, dopo aver ricordato che il termine razionalizzazione assume la stessa pluralità di significati di quello di razionalità, cosicché possono avvenire razionalizzazioni in molte direzioni tra loro antitetiche, che costituiscono, le une dal punto di vista delle altre, una perdita di razionalità. Il mondo occidentale non è quindi l’unico a conoscere uno sviluppo storico descrivibile con il concetto di razionalizzazione, ma ha subito nel corso della sua storia una razionalizzazione in una direzione peculiare, riconducibile soprattutto alla categoria di razionalità formale, che ha portato a fenomeni sociali, economici e intellettuali specifici. In modo particolare il mondo razionalizzato dell’Occidente moderno è caratterizzato, nell’analisi weberiana, da una specifica struttura economica, il capitalismo razionale, e statale, basata sulla burocrazia specializzata. Spiegare la genesi di questi fenomeni e descriverne le caratteristiche peculiari è secondo Weber uno degli scopi principali della ricerca storica e sociologica, a cui lo studioso tedesco ha contribuito soprattutto ponendosi il problema, essenziale ma circoscritto, della nascita della mentalità economica che caratterizza il capitalismo moderno, ricondotta, come è noto, all’etica protestante.

Il successo che i fenomeni del capitalismo e dello stato razionali hanno ottenuto è ricondotto da Weber alla loro superiorità tecnica rispetto ad ogni altra forma di organizzazione economica o statale; questa superiorità non può però essere estesa dal piano tecnico dei mezzi più efficaci in vista di dati scopi a quello del valore e non permette quindi di descrivere questi fenomeni col concetto

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tradizionale di progresso. Ciò che Weber contesta al concetto di progresso è soprattutto il suo significato valutativo, che lo esclude dal piano dell’analisi storico-sociologica che lo studioso tedesco vuole proporre e che, per essere scientifica, deve rimanere avalutativa. Nelle opere di Weber è comunque possibile rintracciare una valutazione dei fenomeni caratteristici del mondo moderno, più o meno nettamente riconosciuta come tale e separata dall’analisi scientifica. Si tratta di una valutazione ambigua, che unisce il riconoscimento e l’ammirazione per le possibilità tecniche aperte da quei fenomeni al richiamo sui loro limiti, a partire dall’impersonalità che li caratterizza e li rende difficilmente accessibili ad una regolamentazione etica. Capitalismo razionale e burocrazia specializzata minacciano così, per la loro superiorità tecnica e per l’indispensabilità che hanno raggiunto nel mondo moderno, di dare vita a una gabbia d’acciaio e a una società pietrificata che non lascerebbe più spazio alla libertà individuale. Questi temi saranno sviluppati nel capitolo III.

Nella sua analisi del processo di razionalizzazione svoltosi nel mondo occidentale, Weber dedica una attenzione ai fenomeni inerenti la sfera religiosa che non si limita al famoso nesso rilevato tra etica protestante e genesi dello spirito del capitalismo. I fenomeni di razionalizzazione della sfera religiosa, che costituiscono il tema del quarto capitolo, sono inquadrati da Weber all’interno di uno schema di base, che parte dal passaggio dalla magia primitiva alle grandi religioni monoteistiche le quali tendono a una visione del mondo razionale, nel senso di unitaria e coerente. Questo processo, in cui la dimensione del divino prima distribuita su tutte le cose si riunisce progressivamente in un dio unitario e trascendente, viene caratterizzato come disincanto del mondo e rimozione della

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magia da esso, all’interno del quale si colloca anche il protestantesimo e la sua influenza sullo sviluppo del capitalismo. Il senso che queste forme di religiosità attribuiscono o ricercano nel mondo è però costantemente negato dall’esperienza, che restituisce al contrario un mondo eticamente irrazionale e irriducibile a questo bisogno di senso. Questo contrasto porta da un lato a una serie di tentativi di soluzione all’interno della dimensione religiosa che, partendo da una svalutazione del mondo e dalla promessa di una sua futura redenzione, si possono muovere verso il rifiuto del mondo o la sua trasformazione; d’altro canto quel contrasto tra istanze religiose ed esperienza porta alla rottura dell’unità della visione del mondo e all’emergere di una serie di sfere autonome, tra cui quella economica e politica, che si razionalizzano indipendentemente e spesso in opposizione alla sfera religiosa.

La principale di queste sfere, quella in cui il contrasto con le istanze religiose si fa più profondo, è individuata da Weber nella sfera della conoscenza intellettuale del mondo che, facendosi carico della mancanza di senso che il mondo rivela all’esperienza, ne porta a compimento il disincanto. Il processo di razionalizzazione all’interno di questa sfera, che sarà esaminato nel capitolo V, porta a un terzo fenomeno che caratterizza il mondo moderno insieme al capitalismo e allo stato razionali, la scienza empirica. Viene così introdotto il secondo tema di questo lavoro, dato dalla delimitazione, all’interno dell’opera weberiana, di una visione del mondo basata sulle conoscenze scientifiche e sugli schemi concettuali offerti da tale genere di sapere. Questa visione scientifica del mondo è naturalmente determinata dall’idea di scienza presente in Weber, che sarà analizzata nei capitoli conclusivi del lavoro. Il suo punto di partenza è

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comunque costituito dall’accettazione della mancanza di senso del mondo che la mette in profonda antitesi con la visione religiosa del mondo, la quale, nell’impossibilità di rintracciare un senso nell’ambito mondano, lo proietta in una dimensione trascendente in cui la scienza non può legittimamente sconfinare e che costituisce, dal punto di vista di quest’ultima, un sacrificio dell’intelletto.

Il primo aspetto che verrà trattato, nel capitolo VI, per stabilire l’idea weberiana di conoscenza scientifica è quello del senso della scienza, posto con forza dalla mancanza di senso propria del mondo restituito dalla conoscenza empirica. Altri aspetti della scienza che ne rendono problematico il senso sono rintracciati da Weber nella specializzazione sempre più estrema della ricerca scientifica, che costringe l’individuo a concentrarsi su problemi molto circoscritti per produrre qualcosa di scientificamente valido, e nella provvisorietà di ogni conoscenza scientifica, destinata ad invecchiare ed essere superata dal progresso della scienza. Il senso e il valore della conoscenza scientifica in generale e della scienza come professione sono ancorati da Weber all’accettazione di una serie di presupposti, a partire dal riconoscimento del valore della verità scientifica e della sua valutazione come degna di essere conosciuta. Tali presupposti, che fondano il valore della scienza, non sono però oggettivi o scientificamente dimostrabili e la loro accettazione è una questione ideologica, che esce dai confini della scienza avalutativa.

Il principale tema da analizzare per ricostruire l’idea di scienza presente in Weber e stabilire in che senso possiamo parlare di una visione scientifica del mondo è appunto quello dell’avalutatività della scienza, al centro del settimo capitolo. Questo principio prevede la separazione tra il piano della conoscenza

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empirica e quello dei valori e delle valutazioni, la cui validità non può mai essere stabilita con i criteri della scienza. La distinzione tra i piani del conoscere e del valutare è presentata da Weber sia come principio logico-metodologico, che definisce cos’è la scienza e quale mondo essa restituisce (insensato in quanto la dimensione del senso si colloca sul piano soggettivo delle valutazioni), sia come dovere dello scienziato di professione. Questi deve separare con chiarezza i due generi di discorso per salvaguardare la dignità e la legittimità di entrambi; in modo particolare l’impossibilità di dimostrare scientificamente la validità delle prese di posizione valutative non implica minimamente la negazione della loro importanza, ma solo le colloca su di un piano in cui risultano decisive la scelta e la responsabilità personale piuttosto che l’oggettività scientifica. Esse, non derivando dall’indagine scientifica, non fanno quindi parte di quella visione scientifica del mondo che verrà rintracciata nel pensiero di Weber, la quale scaturisce dall’accettazione dei presupposti della scienza e dell’insensatezza del mondo empirico. Conoscere e valutare, pur costituendo due piani separati, sono messi in relazione da Weber in vari modi, e la visione scientifica del mondo ha delle ripercussioni anche sul piano delle valutazioni. In modo particolare Weber elabora l’idea di una critica scientifica delle posizioni valutative, che, senza valutarle, ne metta in luce gli assiomi di base, le conseguenze logiche e pratiche, il vero significato di ciò che viene voluto che spesso rimane nascosto a se stessi e ai propri avversari. Inoltre la visione scientifica del mondo, pur non estendendosi nel piano valutativo, tranne che per l’assunzione dei presupposti della scienza, ha delle ripercussioni su di esso, in quanto impone di farsi carico delle conoscenza specifiche che la scienza raggiunge e dell’idea generale di mondo completamente

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disincantato, in cui non si può più aspirare alla validità oggettiva dei propri valori, che vanno invece difesi nella loro lotta con altri valori. E’ questo, secondo Weber, il destino dell’uomo moderno che ha mangiato dall’albero della conoscenza, al quale lo studioso tedesco non vuole sottrarsi operando il sacrificio dell’intelletto. In quest’ottica possiamo dire che la scienza, senza contraddire il principio dell’avalutatività, senza offrire risposte alle questioni valutative, delinea comunque lo schema all’interno del quale tali questioni e tali risposte possono essere poste e cercate, una volta assunta la validità della conoscenza scientifica. Questo schema è riassunto da Weber con l’espressione politeismo dei valori che indica la fine dell’illusione dell’oggettività dei valori e l’esistenza di una pluralità di valori tra loro in contrasto tra cui bisogna scegliere individualmente. Il capitolo conclusivo sarà quindi dedicato a un’esposizione introduttiva della riflessione weberiana sul piano valutativo dell’etica e della politica, che esce da quella che abbiamo chiamato visione scientifica del mondo, ma mostra come quest’ultima delimiti lo schema entro il quale porre le stesse questioni valutative che la scienza non può risolvere legittimamente con i propri mezzi.

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CAPITOLO I – LE CATEGORIE DELLA RAZIONALITA’

a) Razionalità rispetto allo scopo e razionalità rispetto al valore

Il termine razionalità non indica per Max Weber un concetto univoco e viene usato con significati diversi e accompagnato da vari aggettivi che lo specificano: spesso troviamo infatti non semplicemente la parola razionalità ma espressioni come razionalità formale e materiale o razionalità rispetto allo scopo e rispetto al valore, in cui questo concetto assume significati diversi che sono in alcuni casi parzialmente sovrapponibili e in altri esplicitamente antitetici, in quanto “ciò che è ‘razionale’ da un punto di vista può essere ‘irrazionale’ se considerato da un altro” [Premessa a Sr, in Ep, 46]. Questo capitolo preliminare è dedicato all’esposizione delle diverse categorie di razionalità sviluppate ed utilizzate da Weber, per introdurre la pluralità di significati che assume anche il termine razionalizzazione, che sta al centro di questo lavoro; analogamente a quanto detto per la razionalità, anche a proposito del termine razionalizzazione Weber rileva che “con questa parola si possono intendere cose estremamente diverse, come chiarirà ripetutamente il discorso successivo” [Premessa a Sr, in Ep 46].

La principale distinzione nella categoria di razionalità sviluppata esplicitamente da Weber, e che prelude a sua volta a un’ulteriore pluralità di possibili razionalità, è quella tra razionalità rispetto allo scopo e razionalità rispetto al valore, Zweckrationalität e Wertrationalität. Anche se la categoria di

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razionalità rispetto allo scopo è utilizzata da Weber in molti scritti precedenti, ci rivolgiamo ai capitoli iniziali della grande opera postuma Economia e società1, dove, all’interno dell’esposizione delle categorie fondamentali della sua sociologia, Weber definisce esplicitamente e contrappone le due forme di razionalità, inserendole in una considerazione più ampia delle possibili tipologie di agire umano. Ogni agire, e in particolare l’agire sociale che è oggetto della sociologia, “può essere determinato: 1) in modo razionale rispetto allo scopo – da aspettative dell’atteggiamento di oggetti del mondo esterno e di altri uomini, impiegando tali aspettative come ‘condizioni’ o come ‘mezzi’ per scopi voluti e considerati razionalmente, in qualità di conseguenze; 2) in modo razionale rispetto al valore – dalla credenza consapevole nell’incondizionato valore in sé – etico, estetico, religioso, o altrimenti interpretabile – di un determinato comportamento in quanto tale, prescindendo dalla sua conseguenza; 3) affettivamente – da affetti e da stati attuali del sentire; 4) tradizionalmente – da un’abitudine acquisita” [WuG I 22]. Si deve subito aggiungere che Weber, in linea con la sua impostazione metodologica basata sulla definizione e l’utilizzo di tipi-ideali che schematizzano la realtà ma non vogliono e non devono sostituirsi all’infinita varietà e gradualità di questa, non si propone qui “di fornire una classificazione esauriente dei tipi dell’agire”, in quanto le quattro tipologie dell’agire “sono tipi concettualmente puri – creati per scopi sociologici – ai quali l’agire reale si avvicina più o meno, o dei quali, ancor più frequentemente, risulta mescolato” [WuG I 23]. La scelta di questo brano per introdurre le categorie di razionalità

1 Wirtschaft und Gesellschaft, alla quale Weber lavorava dal 1914, è stata pubblicata postuma nel 1922, a cura della moglie Marianne.

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rispetto allo scopo e al valore permette inoltre fin da subito di evidenziare una caratteristica comune alla maggior parte degli usi che Weber fa del termine razionalità: questo concetto, nelle sue varie forme, interessa allo studioso tedesco non tanto nei suoi possibili significati teoretici, come essenza dell’uomo o via per la verità, che anzi sono lontani dall’impostazione weberiana2, ma nel suo aspetto pratico legato all’agire dell’uomo, al senso che gli può essere attribuito e al successo che può conseguire.

Agire razionale rispetto allo scopo, cioè un comportamento che, fissato uno scopo, sceglie i mezzi che risultano maggiormente idonei a realizzarlo, e agire razionale rispetto al valore, in cui il criterio principale che guida le azioni è la coerenza con un valore, indipendentemente dalle conseguenze pratiche, sono quindi due tipi ideali che stanno idealmente in una rapporto di esclusione reciproca, anche se nell’agire empirico possono essere variamente mescolati: “dal punto di vista della razionalità rispetto allo scopo la razionalità rispetto al valore è sempre irrazionale – e lo è quanto più eleva a valore assoluto il valore in vista del quale è orientato l’agire; e ciò poiché essa tiene tanto minor conto delle conseguenze dell’agire, quanto più assume come incondizionato il suo valore in sé (la pura intenzione, la bellezza, il bene assoluto, l’assoluta conformità al dovere). Ma l’assoluta razionalità rispetto allo scopo è anche soltanto un caso limite, di

2 Potremmo esprimere questa lontananza, che andrà precisata nelle pagine successive, parafrasando il giudizio che Weber esprime in diversi contesti sul problema filosofico della libertà del volere, che è discusso in stretta connessione con la categoria di razionalità rispetto allo scopo: il tema della libertà va mantenuto, all’interno delle scienze storico sociali, sul terreno empirico, mentre “ogni inserimento del problema filosofico della ‘libertà’ nella metodica della storia eliminerebbe il suo carattere di scienza empirica, proprio come l’inserimento di miracoli nelle sue serie causali” [Sls I 103]

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carattere essenzialmente costruttivo” [WuG I 23]. Se ci si chiede qual è il motivo profondo di diversità tra le due categorie, può sembrare a prima vista che l’elemento che le contraddistingue è il maggior peso che nella razionalità rispetto al valore assume un elemento intrinsecamente irrazionale come è per Weber il valore3: in questo tipo di agire l’aspetto razionale (cioè quello che può essere definito, almeno per ora, l’aspetto intersoggettivo, la cui validità può essere riconosciuta da tutti, compresi coloro che non condividono il valore in questione) sta nella coerenza al valore e il senso ultimo dell’azione nell’affermare la sua validità assoluta e indipendente da qualsiasi condizione empirica che renda quel valore realizzabile oppure completamente utopico; l’agire razionale rispetto al valore è quindi in una connessione immediata con questo elemento irrazionale.

Nell’agire razionale rispetto allo scopo, invece, gli elementi razionali, condivisibili intersoggettivamente e su cui è possibile impostare una discussione oggettiva, sono più numerosi e centrali: infatti “agisce in maniera razionale rispetto allo scopo colui che orienta il suo agire in base allo scopo, ai mezzi e alla conseguenze concomitanti, misurando razionalmente i mezzi in rapporto agli scopi, gli scopi in rapporto alle conseguenze, ed infine anche i diversi scopi possibili in rapporto reciproco” [WuG I 23]. Sono tutti elementi che sono riconducibili a una determinazione empirica e quindi oggettiva: la scienza empirica può infatti mostrare, secondo Weber, quali sono i mezzi più adatti per realizzare uno scopo dato, quali sono le conseguenze concomitanti del mezzo

3 L’impossibilità di scegliere razionalmente tra i valori e quindi l’irriducibile soggettività di questi sta alla base del concetto weberiana di politeismo dei valori su cui torneremo diffusamente nel capitolo VIII.

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usato e della realizzazione di quello scopo e, infine, con che probabilità quello scopo è realizzabile nelle condizioni reali empiricamente determinabili4. La razionalità di questo tipo di agire si attua quindi nell’ambito dei mezzi e rende più indiretto e mediato il rapporto tra l’azione e l’elemento irrazionale che, però, rimane sempre alla base di essa: infatti, come scrive Weber ne Il senso della ‘avalutatività’ delle scienze sociologiche ed economiche5, “ci si può naturalmente mettere d'accordo, prima di una discussione, sul fatto che una determinata misura pratica [...] debba essere il ‘presupposto’ della discussione stessa, e che si debba quindi discutere semplicemente dei mezzi necessari per attuarla. Ciò è anzi spesso opportuno. Ma una siffatta intenzione pratica, presupposta di comune accordo, non la si chiama un ‘fatto’, bensì uno ‘scopo stabilito a priori’” [Sas 257]. Un’azione può essere definita più o meno razionale a seconda della sua idoneità alla realizzazione di un determinato scopo, il quale deve essere assunto come valido in sé, cioè secondo una valutazione soggettiva non dimostrabile, oppure ricondotto a uno scopo ulteriore e risultare allora razionale come mezzo per quest’ultimo; in questo modo si innesca però un regresso che porta alla fine a scopi che “non possono più essere interpretati come ‘mezzi’ razionali in vista di altri scopi, ma devono venir assunti soltanto come orientamenti teleologici non più interpretabili razionalmente” dell’agire umano [Csc 186].

4 Accenniamo qui alla riflessione sulla possibilità e sui limiti di una discussione oggettiva sui valori, che costituisce un altro fondamentale tema weberiano e sul quale torneremo nel capitolo VII.

5 Il saggio Der Sinn der “Wertfreiheit” der soziologischen und ökonomischen Wissenschaften è stato pubblicato nel 1917 e costituisce la rielaborazione di un contributo scritto da Weber nel 1913 per una discussione interna alla commissione del Verein für Sozialpolitik in vista di un dibattito, tenutosi all’inizio del 1914, sui giudizi di valore.

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Analogamente all’agire razionale rispetto al valore, ma solo in modo meno immediato, anche l’agire razionale rispetto allo scopo si basa dunque su un elemento soggettivo non riconducibile a nessuna dimensione di razionalità, cioè la convinzione della validità rispettivamente dello scopo ultimo dell’azione e del valore che la guida. La razionalità di un’azione è sempre relativa, non solo perché può essere considerata razionale da un punto di vista, poniamo quello della sua coerenza a un valore, ma irrazionale da un altro, quello della sua realizzabilità; ma più in generale qualsiasi azione cessa di essere razionale non appena ci spostiamo sul piano della validità dei valori e degli scopi ultimi che stanno a fondamento. Inoltre, il fatto che si riferiscano entrambe ad elementi valutativi rende la razionalità rispetto allo scopo e al valore due categorie generiche al cui interno possono trovare spazio una grande pluralità di razionalità specifiche, tante quanti sono i valori che possono guidare l’agire. Possiamo approfondire questa relazione alla sfera dell’irrazionalità per cogliere la differenza tra le due forme di agire razionale, riconducendola alla famosa distinzione weberiana tra etica della responsabilità ed etica dell’intenzione, cioè tra due schemi di valutazione etica di un’azione che si basano rispettivamente sull’assunzione della responsabilità del risultato e delle conseguenze della propria azione e sulla coerenza ideale a un valore6. La razionalità rispetto allo scopo può essere descritta in termini di responsabilità, poiché chi agisce in questo modo commisura lo scopo con i mezzi più adatti a realizzarlo e con le sue conseguenze, prefiggendosi la sua realizzazione e non una ideale adesione ad esso. La razionalità rispetto al valore, a

6 Non approfondiamo qui il significato delle due categorie di etica della responsabilità ed etica dell’intenzione, su cui torneremo più dettagliatamente nel capitolo VIII.

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sua volta, si avvicina all’etica dell’intenzione, in cui ciò che conta è la coerenza ideale al valore, la fedeltà ad esso, indipendentemente dalle conseguenze pratiche. E’ proprio questa indifferenza alle conseguenze pratiche dell’azione e alla effettiva realizzabilità del valore che rende un agire tanto più irrazionale rispetto allo scopo quanto più è razionale rispetto al valore, cioè quanto più assume come incondizionatamente valido il suo valore in sé; sul piano della riflessione etica ciò può rendere un’azione tanto più valida rispetto a una delle due etiche quanto meno lo è rispetto all’altra.

b) La razionalità rispetto allo scopo come tipo ideale

Nel delineare le categorie di agire Weber attribuisce ad esse, nella loro purezza di tipi ideali, diversi gradi di intelligibilità: la comprensione a cui Weber mira, in quella che appunto egli definisce sociologia comprendente, riguarda non solo il contesto causale in cui un’azione è inserita, ma soprattutto il suo senso intenzionato, cioè il significato che colui che agisce attribuisce alla propria azione; in modo particolare la sociologia indaga l’agire sociale, cioè quell’agire che è basato, nel suo senso intenzionato, sull’agire di altre persone, in quanto condizione o obiettivo della propria azione7. Non tutte le azioni sono però ugualmente intelligibili in questa direzione: per esempio, il senso intenzionato

7 In apertura della prima parte di Economia e società, dedicata alla definizione dei concetti sociologici fondamentali, Weber scrive che “per agire ‘sociale si deve intendere un agire che sia riferito – secondo il suo senso, intenzionato dall’agente o dagli agenti – all’atteggiamento di altri individui, e orientato nel suo corso in base a questo” [WuG I 4].

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dell’agire tradizionale è meno comprensibile rispetto a quello razionale e l’agire affettivo, cioè basato su passioni e sentimenti non riconducibili a uno schema razionale, lo è in misura ancora minore. Anche all’interno della famiglia dell’agire razionale esistono delle differenze e “il massimo grado di ‘evidenza’ è posseduto dall’interpretazione razionale rispetto allo scopo” [Csc 185]. E’ utile qui precisare che evidenza dell’interpretazione non significa per Weber validità empirica: un’azione può essere, per esempio, interpretabile nel senso della razionalità rispetto allo scopo e risultare così all’interprete intelligibile nel massimo grado, senza che questo significhi necessariamente che colui che agisce abbia dato questo senso alla propria azione, che può al contrario derivare dall’imitazione inconsapevole o dalla tradizione. Per questo motivo le interpretazioni dotate di senso sono ipotesi di imputazione causale che fanno verificate.

Perché all’agire razionale rispetto allo scopo spetta questo grado massimo di evidenza? “Il suo fondamento apparirà subito consistere nella circostanza che la relazione tra ‘mezzi’ e ‘scopo’ è una relazione razionale, accessibile in misura specifica alla considerazione causale generalizzante nel senso della ‘legalità’”, cioè che può essere inserita “in un complesso di regole empiriche che indichino quale effetto ci si può attendere da un determinato comportamento” [RuK 120]. Dato lo scopo, cioè quel fondamento irrazionale a cui anche l’agire razionale rispetto allo scopo si riconduce, ci muoviamo in un terreno razionale, cioè oggettivo e impersonale: l’idoneità di un mezzo in vista di quel fine, le conseguenze concomitanti inevitabili o probabili, l’esistenza di mezzi necessari al raggiungimento dello scopo, l’eventuale impossibilità di realizzarlo sono tutte questioni che possono essere determinate, secondo Weber, in maniera oggettiva,

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basandosi sui dati empirici, utilizzando il sapere nomologico della scienza e ottenendo, a meno di errori, conclusioni valide per tutti coloro che si pongono sul terreno della razionalità scientifica8.

Questo grado superiore di intelligibilità fa della categoria di razionalità rispetto allo scopo lo strumento principale dell’indagine empirica delle scienze storico-sociali e culturali, così come viene impostata teoricamente e attuata da Weber. Egli non sostiene infatti “che sia per noi intelligibile soltanto l’agire razionale rispetto allo scopo: noi ‘comprendiamo’ anche il corso tipico degli affetti e le loro conseguenza tipiche per il comportamento” [Csc 185], così come l’agire tradizionale o, come limite estremo, l’agire di un pazzo, ma con un grado di evidenza minore e utilizzando lo strumento della razionalità rispetto allo scopo. Il metodo proposta da Weber consiste nel determinare, date le circostanze in cui si è verificata l’azione reale e dato lo scopo che si voleva raggiungere, quale sarebbe stato l’agire puramente razionale rispetto allo scopo, cioè determinato solo dalla scelta dei mezzi più idonei; successivamente “noi confrontiamo l’agire effettivo con quello che consideriamo ‘teleologico’, cioè con l’agire razionale secondo le regole generali causali dell’esperienza, alfine di accertare in tal modo un motivo razionale che può aver guidato colui che agisce […] oppure al fine di rendere comprensibile perché un motivo a noi noto di chi agisce avrebbe avuto, in seguito alla scelta dei mezzi, un risultato diverso da quello che egli soggettivamente si aspettava” [RuK 122]. Questa comparazione permette di valutare il peso relativo che hanno avuto scelte razionali rispetto allo scopo, elementi irrazionali impulsivi

8 Abbiamo così toccato alcuni dei temi principali delle riflessioni metodologiche di Weber, che qui non approfondiamo, ma che saranno ripresi nel capitolo VII.

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o superstiziosi ed errori nella valutazione dei mezzi, determinando quanto l’agire reale può essere considerato razionale rispetto allo scopo ed imputandolo causalmente a fattori irrazionali che possono averlo condeterminato: “soltanto in questa maniera diventa allora possibile l’imputazione causale delle deviazioni rispetto a tale corso agli elementi irrazionali che le hanno determinate. La costruzione di una agire rigorosamente razionale rispetto allo scopo serve quindi alla sociologia, in tali casi – per la sua evidente intelligibilità e per l’univocità che è connessa al suo carattere razionale – come un tipo (‘tipo ideale’) per intendere l’agire reale, influenzato da elementi irrazionali di ogni specie (affetti, errori, ecc.) quale ‘deviazione’ dal corso che avrebbe luogo nel caso di un atteggiamento puramente razionale” [WuG I 6]. In sintesi, “ciò che è razionale rispetto allo scopo serve […] in qualità di tipo ideale, proprio per poter determinare la portata di ciò che è irrazionale rispetto allo scopo” [Csc 188] 9.

I passi appena citati mostrano chiaramente come la centralità della categoria di razionalità rispetto allo scopo abbia un valore esclusivamente metodologico e non significhi l’affermazione di una preminenza di questa tipologia dell’agire, né in senso quantitativo (gli uomini agiscono per lo più in modo razionale rispetto

9 Il passo seguente risulta molto chiaro a proposito: “ogni spiegazione di processi ‘irrazionali’ […] richiede prima di tutto che sia determinato il modo in cui si sarebbe agito nel caso-limite tipico-ideale di un’assoluta razionalità rispetto allo scopo e di un’assoluta razionalità oggettivamente corretta. Infatti, soltanto quando si perviene a determinarlo, si può compiere […] l’imputazione causale del processo alle sue componenti oggettivamente o soggettivamente irrazionali” [Csc 191]. La categoria di razionalità oggettivamente corretta è sviluppata nel saggio da cui è tratta questa citazione (Alcune categorie della sociologia comprendente), ma non è ripresa esplicitamente in

Economia e società, da cui siamo partiti; essa verrà ripresa poco più avanti in questo capitolo,

insieme alla distinzione tra soggettivamente e oggettivamente irrazionale (o razionale) che ne deriva.

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allo scopo) né valutativo (l’agire razionale rispetto allo scopo ha un valore maggiore); non significa quindi il disconoscimento del fatto che l’agire può essere e spesso è non interpretabile in modo razionale rispetto allo scopo, perché alla sua base stanno motivi o un senso intenzionato che non rientrano in questa categoria10. Inoltre, l’aver definito l’agire puramente razionale rispetto allo scopo come tipo ideale per interpretare un’azione reale significa negare, in linea con il

10 In Studi intorno alla logica delle scienze della cultura Weber riconosce che “l’agire dell’uomo non sia interpretabile così razionalmente, e che non soltanto ‘pregiudizi’ irrazionali, insufficienze concettuali ed errori di fatto, ma anche il ‘temperamento’, le ‘disposizioni interiori’ vengano a intorbidare la sua ‘libertà’”[Sls I 105-6]. Questo brano, oltre a chiarire quanto stiamo dicendo, consente di accennare a un sviluppo della riflessione di Weber sul tema della razionalità che qui non può essere approfondito: il legame tra agire razionale rispetto allo scopo e agire libero, in polemica con la concezione, variamente articolata, secondo cui la libertà umana si riconduce a un agire irrazionale e immotivato in quanto non vincolato alle leggi naturali. Questo tema viene sviluppato da Weber negli Studi intorno alla logica delle scienze della cultura e soprattutto nel saggio Roscher e Knies e i problemi logici dell’economia politica di indirizzo storico. In quest’ultimo scritto Weber discute l’impostazione metodologica di una serie di autori (Rocher, Knies, Wundt, Münsterberg, Simmel, Gottl, Croce) rintracciando in molti di essi una concezione della libertà come irrazionalità e spontaneità non vincolata che, pur subendo articolazioni diversificate, si riconduce al modello kantiano di causalità mediante la libertà. Weber prende le distanze da queste posizioni soprattutto perché conducono all’affermazione di una irriducibile irrazionalità dell’agire umano, contrapposto alla razionalità come prevedibilità dei fenomeni naturali, e mettono in discussione la possibilità di interpretarlo (se non tramite forme irrazionali di immedesimazione simpatetica). Weber difende al contrario una concezione della libertà che la lega all’agire razionale, sottolineando “quanto di erroneo vi sia nell’assunzione che la ‘libertà’ del volere, comunque intesa, sia identica con l’‘irrazionalità’ dell’agire, o che questa sia condizionata da quella. Una specifica ‘imprevedibilità’ […] è privilegio del … pazzo. E invece noi accompagniamo con il più alto grado di ‘sentimento della libertà’ in senso empirico proprio quelle azioni che siamo consapevoli di aver compiuto razionalmente, cioè in assenza di una ‘coercizione’ fisica e psichica, di ‘affetti’ passionali e di turbamenti ‘accidentali’ della chiarezza del giudizio, e nelle quali perseguiamo uno ‘scopo’ che ci è chiaramente cosciente mediante i ‘mezzi’ più adeguati secondo la misura della nostra conoscenza, cioè secondo regole di esperienza” [Sls I 104-5].

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significato che nella metodologia weberiana assume la categoria di tipo ideale, che esso catturi la vera essenza di quell’azione; infatti “soltanto in rari casi […], ed anche allora in misura approssimativa l’agire reale procede in modo analogo a quello in cui viene costituito nel tipo ideale” [WuG I 9] ed è proprio in questa distanza che si colloca la comprensione del fenomeno reale. Precisazioni di questo tipo possono essere fatte anche a proposito di livelli più generali di quello dell’azione individuale; in particolare l’importanza della nozione di scopo nell’indagine storica non significa disconoscere che lo sviluppo storico può essere non voluto o può portare a fenomeni o istituzioni che, all’apparenza razionali rispetto allo scopo, non lo sono a proposito del senso intenzionale attribuito dagli uomini che è alla base della sociologia comprendente11. L’utilizzo della categoria

di razionalità rispetto allo scopo ha quindi un significato pratico e dipende dalla sua forza euristica per le scienze storico-sociali: “in quanto tale, e soltanto per questo motivo di opportunità metodologica, il metodo della sociologia ‘comprendente’ risulta ‘razionalistico’. Questo procedimento deve naturalmente essere inteso non come un pregiudizio razionalistico della sociologia, ma soltanto come uno strumento metodico – e non deve essere frainteso trasformandolo in una credenza nel predominio di fatto dell’elemento razionale nella vita. Infatti nulla viene asserito intorno alla misura in cui le considerazioni razionali rispetto allo scopo determinano nella realtà l’agire di fatto oppure no” [WuG I 6]12. Si tratta di

11 Weber sottolinea come vi sono complessi di agire di comunità che pur senza un ordinamento razionale rispetto allo scopo procedono di fatto come se vi fosse stato un ordinamento del genere; ne sono esempi gli scambi di denaro, il mercato o le comunità linguistiche [Csc 215-6].

12 Il valore esclusivamente metodologico è ribadito nel seguente passo, che sintetizza molte delle osservazioni fatte: “si stabilisce anzitutto, per motivi di opportunità, come senza l’influenza da

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un altro aspetto di quella caratteristica dell’uso weberiano del termine razionalità che abbiamo già notato, cioè il suo muoversi su di un piano pratico più che teoretico.

c) Razionalità oggettivamente e soggettivamente corretta

La categoria di razionalità rispetto allo scopo, che abbiamo analizzato a partire da Economia e società, è definita da Weber già in Alcune categorie della sociologia comprendente13, dove però non è affiancata dalla categoria di razionalità rispetto al valore ma da quella di razionalità oggettivamente corretta (Richtigkeitsrationalität). Per introdurre quest’ultima forma di razionalità possiamo mettere in luce un aspetto della razionalità rispetto allo scopo che fino ad ora non è stato ricordato esplicitamente, cioè la sua connotazione soggettiva. La razionalità rispetto allo scopo può essere definita soggettiva da un duplice punto di vista: da un lato perché l’agire razionale rispetto allo scopo di cui si occupa la sociologia è un agire sociale ed è in quanto tale orientato in base ad aspettative che colui che agisce nutre sul comportamento altrui o sul funzionamento di determinati strumenti, e ciò in misura crescente quanto più l’agire è razionale rispetto allo scopo, cioè mira al successo pratico e al raggiungimento dello scopo stesso; inoltre la sociologia weberiana, in quanto

parte di affetti irrazionali si sarebbe svolto l’agire, e quindi vengono inserite come elementi ‘disturbanti’ quelle componenti irrazionali” [WuG I 6].

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sociologia comprendente, mira alla comprensione del senso intenzionato dell’agire, cioè al senso che soggettivamente colui che agisce attribuisce alla propria azione. Un agire è razionale rispetto allo scopo non quando la scelta dei mezzi rispecchia la correttezza oggettiva (assumendo per ora questa categoria senza ulteriori spiegazioni), ma quando colui che agisce considera nella scelta dei mezzi solo il criterio dell’idoneità e sceglie i mezzi che considera, secondo l’esperienza empirica a lui accessibile, corretti, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo giudizio sia o meno oggettivamente corretto.

Ciò ci porta a considerare la distinzione tra razionalità soggettivamente corretta, cioè la razionalità rispetto allo scopo, e razionalità oggettivamente corretta, che dobbiamo ora discutere. Tra queste due categorie può sussistere una semplice distinzione ma anche una contrapposizione: nel primo caso la differenza riguarda il diverso punto di vista con cui si considera uno stesso fenomeno, che risulta oggettivamente corretto dal punto di vista dell’esattezza dei mezzi utilizzati e soggettivamente corretto dal punto di vista del senso intenzionato (è il caso in cui i mezzi corretti sono stati consapevolmente scelti in quanto tali); nel secondo caso ciò che è soggettivamente razionale può risultare oggettivamente irrazionale e viceversa. Iniziamo però dal vedere come, in Alcune categorie della sociologia comprendente, Weber presenta la categoria di razionalità corretta. Anche in questo testo Weber abbozza una classificazione dei possibili tipi di agire dal punto di vista della sociologia. Riportiamo qui solo i primi due punti di questo elenco, che risulta articolato in sei tipi non sempre chiaramente esplicitati14 e la cui analisi

14 Diversi interpreti di Weber hanno rilevato la mancanza di chiarezza che in alcuni punti complica questo saggio del 1913, in cui Weber inizia a mettere a fuoco alcune delle categorie fondamentali

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approfondita non interessa in questa sede: “per la sociologia ‘in’ e ‘per’ un uomo esistono, legati da passaggi sempre graduali, i seguenti tipi di agire: 1) il tipo oggettivamente corretto, realizzato più o meno approssimativamente; 2) il tipo orientato in modo (soggettivamente) razionale rispetto allo scopo” [Csc 195]. E’ importante notare che in questo elenco delle possibili tipologie di agire manca la razionalità rispetto al valore, anche se nel corso dello stesso saggio Weber accenna ad essa, pur senza arrivare a definirla esplicitamente: dopo aver rilevato che la razionalità rispetto allo scopo si basa sulle aspettative di colui che agisce verso il comportamento di altre persone, Weber precisa che “nel caso-limite se ne può prescindere del tutto; e l’agire orientato nel suo senso a terze persone può essere orientato semplicemente in base al ‘valore’ soggettivamente creduto del suo contenuto di senso in quanto tale (‘dovere’ o altro che sia), e può quindi orientarsi non già in base ad aspettative , ma in base a valori” [Csc 203]. Poiché sono qui abbozzate anche le diversità tra razionalità rispetto allo scopo e razionalità rispetto al valore possiamo utilizzare questo brano per precisare quanto detto nelle pagine precedenti: se la razionalità rispetto allo scopo si basa sulle

della sociologia comprendente, che in parte saranno ridefinite e ripensate negli anni successivi (si veda per esempio Pietro Rossi, La teoria della razionalità di Max Weber). Per completezza riportiamo in questa nota il brano nel suo complesso: “per la sociologia ‘in’ e ‘per’ un uomo esistono, legati da passaggi sempre graduali, i seguenti tipi di agire: 1) il tipo oggettivamente corretto, realizzato più o meno approssimativamente; 2) il tipo orientato in modo (soggettivamente) razionale rispetto allo scopo; 3) il tipo orientato in maniera più o meno consapevole o mancata, e in maniera più o meno precisa, razionalmente rispetto allo scopo; 4) il tipo non razionale rispetto allo scopo, ma in una connessione intelligibile dotata di senso; 5) l’atteggiamento motivato in una connessione più o meno intelligibile per quanto riguarda il senso, ma interrotta o condeterminata in misura più o meno forte da elementi inintelligibili; 6) e infine i dati di fatto psichici o fisici del tutto inintelligibili” [Csc 195].

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aspettative di una risposta determinata da parte delle altre persone alle proprie azioni, in quanto elemento indispensabile per la realizzazione di uno scopo nell’ambito dell’agire sociale, la razionalità rispetto al valore prescinde da queste aspettative e afferma il valore dell’azione in quanto tale.

Nell’analizzare un comportamento soggettivamente razionale rispetto allo scopo il ricercatore può considerare il “tipo che tale agire ‘dovrebbe’ assumere se dovesse corrispondere a ciò che è ‘valido’ (per il ricercatore stesso), vale a dire al ‘tipo oggettivamente corretto’” [Csc 192] e stabilire quindi in che misura la scelta dei mezzi soggettivamente ritenuti più idonei sia corretta. Naturalmente si apre qui il problema dell’oggettività delle scienza storico-sociali e del tipo di verità a cui possono aspirare, che costituisce uno dei punti centrali della riflessione metodologiche di Weber e del dibattito più ampio in cui essa si inserisce15. In questo capitolo introduttivo, preliminare all’analisi del tema del processo storico di razionalizzazione, non è necessario sviluppare questo problema, che sarà ripresa più avanti16. Qui basta ricordare che per Weber la questione dei mezzi necessari per raggiungere un dato scopo e dell’idoneità di un certo mezzo per quello scopo è suscettibile di una determinazione scientifica e oggettiva, in quanto “la proposizione ‘x è il solo mezzo per y’ è la semplice inversione della proposizione ‘a x segue y’” [Sas 276], cioè di una proposizione causale dimostrabile empiricamente. Si tratta di quello spazio accessibile alla

15 “Noi abbiamo finora presupposto, […], che vi sia di fatto un modo incondizionatamente valido di conoscenza, cioè di ordinamento concettuale della realtà empirica, nel campo delle scienze sociali. Questa assunzione diventa però ora problematica, in quanto dobbiamo discutere che cosa può significare nel nostra campo la ‘validità’ oggettiva della verità alla quale tendiamo” [Ose 23]. 16 Il problema dell’oggettività delle scienza storico-sociali sarà trattato nel capitolo VII.

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determinazione scientifica che già abbiamo trovato nella razionalità rispetto allo scopo e che vale, per essere rigorosi, più per la razionalità oggettivamente corretta che per la razionalità rispetto allo scopo considerata in senso soggettivo; quest’ultima può invece risultare, dal confronto con la prima, basata su conclusioni corrette oppure su erronee, a cui soggettivamente si attribuisce empirica.

La razionalità oggettivamente corretta può quindi servire come tipo ideale, costruito astrattamente a partire da un agire reale orientato soggettivamente in base allo scopo, per determinare quanto esso sia oggettivamente razionale e quanto invece oggettivamente irrazionale. Weber scrive, a proposito del ruolo che le varie forma di razionalità hanno nella sociologia, che “la razionalità oggettivamente corretta serve a essa come tipo ideale rispetto all’agire empirico, la razionalità rispetto allo scopo come tipo ideale nei confronti di ciò che è psicologicamente intelligibile in maniera dotata di senso, e l’agire intelligibile in maniera dotata di senso come tipo ideale nei confronti dell’agire motivato in modo non intelligibile; attraverso la comparazione con il tipo ideale è possibile stabilire gli elementi irrazionali (nel senso di volta in volta diverso del termine) che sono causalmente rilevanti ai fini dell’imputazione causale” [Csc 196]. E’ così definita una scala gerarchica tra i diversi tipi di razionalità, ma solo dal punto di vista della loro intelligibilità relativa: come in Economia e società, in cui le quattro tipologie di agire sono ordinate secondo il grado di accessibilità ad esse da parte della considerazione empirica, anche in questo caso Weber afferma che “la coincidenza con il ‘tipo oggettivamente corretto’ rappresenta la connessione causale ‘più intelligibile’” [Csc 193]. In nessuno dei due casi si afferma però

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qualcosa sul valore delle diverse tipologie di agire o sulla loro correttezza al di là del piano tecnico dei mezzi, che non rappresenta per nulla un criterio eticamente ovvio. La propensione della sociologia per i tipi ideali più razionali risponde esclusivamente a motivi pratici di ordine metodologico e alla loro fecondità euristica che permette di analizzare anche le componenti non razionali dell’agire: “l’impiego del ‘tipo oggettivamente corretto’ è in linea di principio, considerato dal punto di vista logico, soltanto un caso di formazione di tipi ideali, sebbene sia spesso un caso quanto mai importante” [Csc 198-9]; non è però l’unico caso e in relazione a particolari oggetti o interessi conoscitivi tipi ideali meno razionali possono risultare più adatti. Infine, per attenuare ulteriormente la schematicità che può risultare dal brano citato poco sopra, ricordiamo che le forme di agire che Weber definisce sono forme tipico-ideali, costruite forzando unilateralmente ora l’uno ora l’altro aspetto di una realtà che si presenta sempre sfumata e in cui i tipi ideali si incontrano raramente nella loro purezza ma variamenti intrecciati17.

La distinzione tra razionalità soggettivamente corretta e razionalità oggettivamente corretta può portare, quando non c’è un uso dei mezzi corretti in base a una ponderazione consapevole, a due diverse situazioni, in cui l’azione può essere definita razionale da una dei due punti di vista ma non dall’altro: a questo proposito Weber scrive che la sociologia “sa bene che non ogni agire ‘razionale oggettivamente corretto’ è stato condizionato soggettivamente in maniera

17 Particolarmente chiarificante sul rapporto che Weber instaura tra le costruzioni astratte e i fenomeni reali è un’espressione che torna di continuo nelle opere dello studioso tedesco e in modo particolare in Economia e società, dove lo sforzo di definire categorie astratte e tipologie complete è più sviluppato e reso autonomo dalla loro immediata applicazione a casi empirici precisi: dopo aver definito con precisione i diversi tipi di un fenomeno che si possono delineare da un punto di vista tipico-ideale Weber aggiunge spesso che nella realtà i confini sono invece sempre fluidi.

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razionale rispetto allo scopo” [Csc 195] e che “al ricercatore un certo agire, che egli deve spiegare, può apparire razionale rispetto allo scopo al massimo grado, e tuttavia essere orientato in base a assunzioni, da parte di colui che agisce, che ai suoi occhi sono affatto prive di validità” [Csc 192]18. Tra gli esempi che Weber fa del primo caso, cioè di una agire oggettivamente razionale ma soggettivamente irrazionale, c’è l’applicazione delle regole di calcolo matematiche, in cui può avvenire che “non già con l’aiuto di considerazioni razionali, bensì attraverso controprove empiriche imparate (imposte) si constata che si è calcolato ‘correttamente’ in base all’intesa” [Csc 236], cioè che i mezzi corretti di calcolo siano applicati non perché ritenuti consapevolmente tali ma meccanicamente e in quanto accettati socialmente. Questo semplice esempio, a cui si può contrapporre specularmente quello dell’applicazione soggettivamente razionale di regole di

18 Ne Il senso della ‘avalutatività’ delle scienze sociologiche ed economiche) Weber afferma molto chiaramente che “un atteggiamento soggettivamente ‘razionale’ non è identico ad un agire razionalmente ‘corretto’, che impieghi cioè oggettivamente mezzi corretti in base alla conoscenza scientifica” [Sas 286]. Questo passo è molto utile anche per chiarire quale è per Weber il criterio della correttezza oggettiva, cioè la conoscenza scientifica. Prescindendo per ora dalla problematicità dell’oggettività scientifica, va notato che nel caso della razionalità oggettivamente corretta siamo di fronte a una categoria che ha una relazione più stretta con un significato teoretico di razionalità. Citiamo un altro brano molto chiaro tratto da Alcune categorie della sociologia

comprendente: “da un lato sta una razionalità relativamente ampia, ma inosservata (‘non

ammessa’), di un atteggiamento in apparenza del tutto irrazionale rispetto allo scopo: esso risulta intelligibile in virtù di quella sua razionalità. Dall’altro lato c’è il fatto, che si può riscontrare cento volte (specialmente nella storia della civiltà), che fenomeni in apparenza condizionati in modo direttamente razionale rispetto allo scopo furono in verità provocati storicamente da motivi del tutto irrazionali, e in seguito sono sopravvissuti ‘adattati’ e si sono talvolta diffusi universalmente, poiché le mutate condizioni di vita facevano loro acquisire un alto grado di ‘razionalità oggettivamente corretta’ di carattere tecnico” [Csc 194].

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calcolo ritenute valide ma erronee19, ci permette di sottolineare il carattere più teoretico della categoria di razionalità oggettivamente corretta, che si riferisce non tanto a intenzioni soggettive o al successo pratico, ma a concetti come quello di oggettività e verità scientifica. Può essere interessante considerare anche un altro caso di agire oggettivamente irrazionale a cui Weber applica la categoria di razionalità soggettiva, sia perché chiarisce il valore che lo studioso tedesco dà a queste categorie, sia perché si tratta di un tema che incontreremo di nuovo, cioè quello della magia: le pratiche magiche, ad esempio per la guarigione di malattie, potevano, in passato, essere considerate razionali rispetti allo scopo, in quanto cercavano di raggiungere uno scopo con i mezzi ritenuti da tutti corretti e comprovati dai successi precedenti20.

19 Un esempio portato da Weber riguarda il fatto che “i banchieri fiorentini del Medioevo, ignorando il sistema numerico arabo, di regola ‘si sbagliassero’ […]. Ma non possiamo in ogni caso affermare che a quel tempo le moltiplicazioni elementari non fossero ancora ‘esatte’, nello stesso modo in cui la loro ‘esattezza’ oggi non potrebbe essere messa in questione qualora una statistica sul numero dei casi in cui sono stati di fatto compiuti calcoli ‘inesatti’ nel corso di un anno dovesse dare un risultato ‘sfavorevole’: poiché esso sarebbe ‘sfavorevole’ non già rispetto alla validità delle moltiplicazioni, ma semmai per una critica della nostra capacità di calcolare a mente in modo ‘corretto’, condotta dal punto di vista e sul presupposto della sua validità” [RuK 60].

20 Weber osserva a questo proposito come la magia, in cui le pratiche di guarigione venivano inserite in una spiegazione soggettivamente razionale della loro efficacia, poteva comprensibilmente apparire più razionale delle pratiche che utilizzavano mezzi più corretti dal punto di vista oggettivo, come ad esempio particolari piante medicinali, ma la cui efficacia si basava sulla pura esperienza e non poteva essere minimamente spiegata razionalmente: “la magia è stata ‘razionalizzata’ in maniera sistematica al pari della fisica. La prima terapia deliberatamente ‘razionale’ ha comportato quasi ovunque un disprezzo per la cura dei sintomi empirci con erbe e bevande provate solo empiricamente, a favore dello sforzo di scacciare la ‘causa’ (presunta) ‘vera e propria’ (magica o demoniaca) della malattia. Essa aveva perciò formalmente la medesima struttura razionale che rivestono parecchi dei più importanti progressi della terapia moderna. Ma

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Il nesso tra razionalità soggettiva rispetto allo scopo e razionalità corretta è però più complesso; se da un lato la categoria di razionalità soggettiva, interpretata in maniera ampia, può sembrare applicabile a qualsiasi agire in cui si cerchi di raggiungere uno scopo e si scelgano i mezzi ritenuti più idonei, dall’altro Weber ne propone normalmente un significato più circoscritto in cui il legame con la razionalità corretta deve essere apprezzabile: la sociologia “presuppone, come tipo ideale valido una volta per sempre, che le chances medie oggettivamente esistenti siano pure tenute in conto soggettivamente, in maniera approssimativa, da coloro che agiscono razionalmente rispetto allo scopo” [Csc 205]. Se per Weber la magia poteva essere considerata razionale rispetto allo scopo in una fase molto antica e primitiva della storia dell’umanità, e se quindi la possiamo indagare utilizzando quella categoria quando ci riferiamo a tali periodi storici, non poteva più esserlo successivamente, quando forme in vari sensi più razionali di pensiero avevano scalzato la visione magica del mondo che, se permane, lo fa come visione specificamente irrazionale. Questo esempio ci permette di rilevare un’altra caratteristica della riflessione weberiana sulla razionalità, cioè il fatto che il carattere razionale di un’azione e il senso di questa razionalità varia storicamente e che, come vedremo ripetutamente a proposito del processo di razionalizzazione, un agire che in una data epoca può essere considerato razionale, in riferimento alla visione del mondo storicamente definita in cui si inserisce, può risultare irrazionale in un’epoca diversa in cui i mezzi prima ritenuti corretti sono sostituibili da altri oggettivamente più idonei. Un altro vincolo verso la razionalità

noi non potremmo valutare quelle terapie magiche di sacerdoti come un ‘progresso’, in antitesi a quell’empiria, verso un agire ‘corretto’” [Sas 287].

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oggettiva che un’azione deve rispettare per poter essere definita razionale rispetto allo scopo consiste nel basarsi, nella scelta dei mezzi più idonei alla realizzazione di uno scopo, sulla considerazione di regole generali empiriche del corso degli avvenimenti, cioè su considerazioni che, come abbiamo accennato, costituiscono l’inversione di una proposizione di causa-effetto: in Roscher e Knies e i problemi logici dell’economia politica di indirizzo storico21 Weber afferma che “senza la fede nell’affidabilità delle regole empiriche non potrebbe esserci nessun agire fondato sulla ponderazione dei mezzi necessari in vista dell’effetto che ci si propone” [RuK 121] e che “senza regole ‘empiriche’ del corso degli avvenimenti […] non vi è alcun agire ‘razionale’ [RuK 72]; ciò significa che non può esserci teleologia, cioè agire razionale rispetto allo scopo, senza causalità. Un agire che, per la realizzazione di uno scopo, propende per mezzi di carattere magico, superstizioso o soprannaturale, anche se soggettivamente ritenuti i mezzi necessari o più idonei, può difficilmente rientrare sotto la categoria di razionalità rispetto allo scopo; ma anche in questo caso soprattutto per motivi di carattere euristico, cioè perché non è questa la categoria più idonea per afferrare il senso di quell’azione.

21 Roscher und Knies und die logischen Probleme der historischen Nationalökonomie costituisce il primo è più ampio saggio metodologico di Weber, pubblicato in tre parti tra il 1903 e il 1906.

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d) Razionalità formale e razionalità materiale

Passiamo ora a un’altra coppia concettuale che Weber delimita all’interno della sfera della razionalità, cioè alla distinzione tra razionalità formale e razionalità materiale, che ha un ruolo centrale nella riflessione sul processo storico di razionalizzazione. Queste due forme di razionalità, che sono introdotte da Weber a proposito dell’agire economico come termini antitetici (“infatti razionalità formale e razionalità materiale sono qui in conflitto tra loro” [Inter Sr 533]), possono essere ricondotte in buona parte alla distinzione tra razionalità rispetto allo scopo e rispetto al valore: scrive infatti Weber in Economia e società che “con razionalità formale di un agire economico si deve qui designare la misura del calcolo tecnicamente possibile e realmente applicato da esso. Con razionalità materiale si deve invece designare il grado in cui l’approvvigionamento di determinato gruppi umani (quale che sia il loro ambito) con determinati beni, mediante uno specifico agire orientato economicamente, viene a configurarsi dal punto di vista di determinati postulati valutativi – di qualsiasi genere – da cui esso è stato, è o potrebbe essere considerato” [WuG I 80]. La razionalità formale è quindi definita, in modo particolare in ambito economico ma anche in altri contesti, sulla base del concetto di calcolo, che appartiene alla sfera dei mezzi e si rivela essere il mezzo più idoneo per gli scopi acquisitivi di certe forme economiche: “un agire economico deve essere definito formalmente ‘razionale’ nella misura in cui lo ‘sforzo economico’ essenziale ad ogni economia razionale può esprimersi, e viene espresso, in considerazioni numeriche, cioè di ‘calcolo’” [WuG I 80]. Mentre “questo concetto risulta univoco […] almeno nel senso che

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la forma monetaria rappresenta il massimo grado di questa calcolabilità formale”, “il concetto di razionalità materiale assume significati quanto mai differenti. Esso esprime semplicemente questo elemento comune – che l’analisi non si accontenta del fatto, constatabile in modo (relativamente) univoco, che viene compiuto un calcolo razionale rispetto allo scopo, con mezzi tecnici il più possibile adeguati; ma fa invece valere esigenze etiche, politiche, utilitarie, edonistiche, di ceto, di eguaglianza o di qualsiasi altra specie, misurando in base ad esse razionalmente rispetto al valore, o razionalmente rispetto ad uno scopo materiale, i risultati dell’agire economico […]. In linea di principio, i criteri valutativi che rivestono carattere razionale in questo senso sono innumerevoli” [WuG I 80-81].

Oltre alle categorie specifiche di razionalità che Weber definisce esplicitamente, e che abbiamo analizzato fino a qui, possono essere fatte alcune considerazioni generali sull’uso dei termini razionalità e razionalizzazione, che torneranno molto utili parlando di quest’ultimo concetto. Innanzitutto Weber associa spesso alla razionalità, almeno in certe sue forme, significati vicini a quello di calcolabilità e impersonalità, come abbiamo iniziato ad intravedere a proposito della razionalità formale. Calcolo e impersonalità sono infatti elementi propria della razionalità formale, ma che possiamo trovare anche attribuiti a usi del termine razionalità non precisati da nessuna determinazione. L’elemento della calcolabilità non riguarda sola la razionalità economica o forme pratiche di razionalità scientifica in cui il calcolo numerico ha un peso decisivo, ma riguarda più in generale la possibilità di prevedere l’esito di certe situazione e di conseguenza orientare il proprio agire in base a queste previsioni e al possibile sfruttamento di esse: “ogni ordine militare, ogni legge penale, ogni espressione

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