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LA VALUTAZIONE DELLA RAZIONALIZZAZIONE

Nel documento La razionalizzazione del mondo in Max Weber (pagine 85-115)

a) Il concetto di progresso

L’analisi che Weber propone del processo di razionalizzazione del mondo occidentale non costituisce minimamente una filosofia della storia che rintracci, nel divenire storico, un processo unitario e necessario di perfezionamento48.

L’intento di Weber è semplicemente quello di isolare, in una realtà multiforme, infinita e disordinata, alcuni elementi che, per motivi contingenti che vanno studiati empiricamente, hanno assunto un ruolo decisivo nel plasmare la vita dell’uomo moderno. Un buon punto di partenza per mettere in luce il rifiuto di un certo modo filosofico di interpretare la storia è fornito dalla riflessione e dalla critica weberiana del concetto di progresso, che nelle filosofie della storia occupa un posto centrale, svolta soprattutto nel saggio Il senso della ‘avalutatività’ delle scienze sociologiche ed economiche. Weber sostiene qui che il concetto di

48 Molti interpreti hanno sottolineato la mancanza nelle opere dello studioso tedesco di una filosofia della storia e la profonda distanza tra l’idea di razionalità della storia quale è presente in Hegel, o in altri autori, e la riflessione weberiana sulla razionalizzazione, anche se non sono mancate letture evoluzionistiche di Weber (si veda a proposito Lo sviluppo del razionalismo

occidentale di Wolfgang Schluchter). Per quanto riguarda la mancanza di una filosofia della storia

in Weber risulta molto chiara un’osservazione di Pietro Rossi che, nel saggio La teoria della

razionalità in Max Weber, scrive che “Weber ha sempre rifiutato una concezione della storia come

progresso incessante verso una maggiore razionalità, non meno che una concezione apocalittica e catastrofica del genere di quella che ha trovato la sua espressione, all’indomani della sconfitta tedesca, nella profezia spengleriana di un imminente ‘tramonto dell’Occidente’”; in Weber il riconoscimento dell’ambiguità della modernità non significa un suo rifiuto o un ritorno al passato, né una fuga estetizzante, ma un’accettazione coraggiosa del “destino del proprio tempo”.

progresso non è un concetto scientifico, che trovi cioè il suo posto tra gli strumenti concettuali di una scienza empirica, in quanto ambiguo e valutativo: “che cosa vuol dire propriamente la designazione di un processo come ‘progresso razionale’? Si ripete anche qui la commistione di ‘progresso’ nel senso: 1) di un mero ‘progredire’ nella differenziazione; 2) di una progressiva razionalità tecnica dei mezzi; 3) e infine di un incremento di valore” [Sas 286]. Definire il processo di razionalizzazione in termini di progresso non è inoltre possibile per quella pluralità di significati che esso assume e che può rendere un eventuale incremento della razionalità in un senso un regresso dal punto di vista di un’altra forma di razionalità. L’ambiguità del concetto di progresso è però più profonda ed indipendente dall’applicazione a questo particolare fenomeno storico, in quanto comprende, nel suo uso abituale, due piani assolutamente indipendenti, cioè quello della constatazione di un mutamento storico (l’incremento di differenziazione o di razionalità tecnica) e della sua valutazione positiva (incremento di valore). Quest’ultimo ambito, oltre a non coincidere col primo, in modo tale che non si possa immediatamente attribuire un incremento di valore a un eventuale progresso nell’altro senso, che può al contrario essere rifiutato in base ai propri valori, è estraneo alla scienza empirica che secondo Weber deve essere avalutativa e deve quindi rifiutare concetti valutativi come quello di progresso49.

Restringendosi al primo piano, quello dell’analisi empirica della realtà storica, è possibile delimitare un concetto di progresso accettabile dal punto di vista della

49 In questo capitolo accenneremo in più occasioni a questi temi legati alla riflessione weberiana sull’avalutatività della scienza, che saranno trattati più approfonditamente nel capitolo VII.

scienza avalutativa: “se però nel caso particolare vale il principio che la regola x è il mezzo (possiamo assumere il solo) per raggiungere l’effetto y – ciò che costituisce una questione empirica, poiché si tratta della semplice inversione della proposizione causale ‘a x segue y’ - e se ora questo principio viene consapevolmente assunto da certi uomini per l’orientamento del proprio agire in vista dell’effetto y – il che è pure oggetto di constatazione empirica – allora il loro agire risulta orientato in modo ‘tecnicamente corretto’. Se il comportamento umano (di qualsiasi specie) è orientato in qualche punto particolare in modo tecnicamente ‘più corretto’ di prima, in tal caso si ha un ‘progresso tecnico- empirico’” [Sas 287]. L’unico significato preciso e avalutativo che può essere attribuito al termine progresso riguarda quindi la correttezza tecnica e l’incremento della razionalità rispetto allo scopo oggettivamente corretta. Si tratta di una netta restrizione del significato di progresso, sia perché applicato ad un ambito circoscritto di fenomeni e a particolare modo di considerarli, cioè all’ambito di validità interpretativa della razionalità rispetto allo scopo, sia perché tale tipo di razionalità è sempre vincolato alla precisa definizione di uno scopo ed è tale solo se si presuppone lo scopo: “vi sono così, in questo senso – ben inteso, dato un certo scopo preciso – concetti di correttezza ‘tecnica’ e di progresso ‘tecnico’ determinabili in modo preciso per quanto riguarda i mezzi” [Sas 287-8]. Ciò che va sottolineato, in quest’ultima citazione, è l’inciso che ricorda il ruolo decisivo svolto dalla definizione precisa dello scopo per determinare un incremento di razionalità rispetto allo scopo, cioè un progresso tecnico, che non è più tale se prendiamo come riferimento altri scopi. E’ quindi possibile parlare di progresso tecnico in tutti i casi in cui l’analisi di un fenomeno reale è basata sulle

categorie di razionalità rispetto allo scopo e razionalità corretta e l’analisi empirica rileva un incremento di tali forme di razionalità: “si può in particolare […] parlare in maniera abbastanza precisa di ‘progresso’ nel campo specifico chiamato di solito ‘tecnica’, ma altrettanto se ne può parlare nel campo della tecnica commerciale o anche di quella giuridica, se si assume qui come punto di partenza uno stato, determinato in modo preciso, di una formazione concreta”. Facendo certe supposizioni, cioè assumendo arbitrariamente come dati di fatto o punti di partenza numerosi elementi a proposito delle caratteristiche di un ordinamento economico e della natura e dell’importanza dei bisogni materiali da soddisfare, “c’è anche un progresso ‘economico’ verso un optimum relativo di copertura del fabbisogno sulla base di certe possibilità date di procurarsi i mezzi. Ma c’è soltanto sulla base di questi presupposti e di queste limitazioni” [Sas 288]. Il concetto di progresso così limitato risulta molto distante dai significati che tradizionalmente gli si attribuiscono e la sua assunzione nel vocabolario delle scienze storico-sociali, con questo valore ristretto e scientificamente legittimo, è secondo Weber un problema di opportunità metodologica in cui vanno confrontate la fecondità euristica ed esplicativa di tale concetto e le ambiguità che esso contiene per la varietà di significati e le implicazioni valutative di cui è carico nell’uso tradizionale. La conclusione di Weber è a favore dell’eliminazione di questo termine dal vocabolario delle scienze storico-sociali e della scienza in generale, in quanto fuorviante, per i significati valutativi che si tende ad attribuirgli, anche se usato in modo rigorosamente scientifico: “dopo quanto si è detto, ritengo l’impiego dello stesso termine ‘progresso’ inopportuno, anche nell’ambito limitato della sua applicabilità empiricamente incontestabile” [Sas

292]. In modo particolare il termine progresso sembra inevitabilmente suggerire che ciò che costituisce oggettivamente un incremento della razionalità rispetto allo scopo e corretta, o che può essere definito progresso secondo altri criteri (come quelli quantitativi del progredire delle differenziazioni), sia da valutare positivamente e risulti quindi anche un incremento di valore rispetto alla situazione precedente. In questo modo il termine progresso proietta verso un piano estraneo all’ambito empirico in cui Weber si vuole muovere e sul quale solamente sono possibili conclusioni oggettive. La tendenza a trarre conclusioni valutative dall’analisi empirica dei fenomeni è per Weber uno dei grandi errori da cui le discipline scientifiche, ed in particolare le scienze storico-sociali, devono astenersi e che viene invece costantemente compiuto. Discutendo di uno dei significati assunti dal termine progresso, cioè dell’aumento di differenziazione, e di un ambito, quello dei valori50, in cui storicamente assistiamo a un tale progresso,

Weber scrive che “se si debba designare una differenziazione progressiva come ‘progresso’ è di per sé una questione di opportunità terminologica. Ma se si debba valutarla come ‘progresso’ nel senso di una crescente ‘ricchezza interiore’, non può in ogni caso essere deciso da alcuna disciplina empirica. Infatti non spetta a queste stabilire se le nuove possibilità di sentimento che si vengono sviluppando […] debbano venir riconosciute come ‘valori’” [Sas 278-9].

Un campo in cui risulta immediata la distinzione tra analisi empirica e progresso tecnico da un lato e valutazione e progresso in senso valutativo dall’altro è quello della storia dell’arte, che Weber considera nell’introdurre la sua

50 Quest’incremento della differenziazione nel piano dei valori costituisce una delle prospettive da cui Weber presenta il tema del politeismo dei valori, che sarà trattato nel capitolo VIII.

riflessione sul concetto di progresso. Scrive Weber a questo proposito: “per la storia dell’arte non c’è naturalmente un ‘progresso’ dell’arte nel senso della valutazione estetica di opere d’arte come opere riuscite in maniera dotata di senso; poiché questa valutazione non può venire compiuta con i mezzi di un’analisi empirica, e si colloca del tutto al di là del suo compito”. Come abbiamo visto in generale, anche in questo caso specifico è possibile delimitare un concetto di progresso che abbia legittimità nel campo di una disciplina empirica come deve essere, secondo Weber, la storia dell’arte, la quale “non ‘valuta’ esteticamente, finché rimane una storia empirica dell’arte”: “proprio essa può impiegare un concetto di ‘progresso’ puramente tecnico, razionale e quindi preciso, […] che si limita esclusivamente alla constatazione degli strumenti tecnici che una determinata volontà artistica usa per una data intenzione”; “il progresso ‘tecnico’”, continua Weber, “correttamente inteso, è addirittura il dominio della storia dell’arte, poiché proprio esso – e la sua influenza sulla volontà artistica – è ciò che si può accertare empiricamente, ossia senza far ricorso a una valutazione estetica, nel corso dello sviluppo dell’arte”, concludendo che “allorché la considerazione storica e sociologica dell’arte ha posto in luce queste condizioni sostanziali, tecniche o sociali o psicologiche, del nuovo stile, essa ha esaurito il suo compito puramente empirico” [Sas 280-281]. Questo genere di analisi empirica può avvalersi di un concetto di progresso quando rileva un incremento storico delle possibilità espressive dovuto a innovazioni tecniche o a un perfezionamento dei mezzi tecnici stessi. L’esempio della storia dell’arte ci permette di sottolineare l’elemento decisivo del rifiuto da parte di Weber del concetto tradizionale di progresso, il suo carattere valutativo che lo rende

scientificamente illegittimo: in questo concetto si mescolano due piani assolutamente indipendenti, quello della constatazione empirica di una progresso tecnico e quello di una sua interpretazione come incremento di valore. Al contrario “la distinzione completa della sfera dei valori dalla realtà empirica emerge in maniera caratteristica dal fatto che l’impiego di una determinata tecnica, per quanto ‘progredita’, non dice nulla in merito al valore estetico dell’opera d’arte” [Sas 284]. Se il progresso, in senso tecnico, è un concetto essenziale della storia empirica dell’arte, anche se potrebbe essere espresso con una terminologia meno ingannevole, è invece estraneo e irrilevante per la valutazione estetica delle medesime opere artistiche.

Lo stesso ragionamento viene proposto da Weber a proposito di un tema che ci interessa più da vicino, quello dello stato moderno, che costituisce un elemento centrale della razionalizzazione occidentale. Come abbiamo visto nel capitolo precedente lo stato moderno, con la sua amministrazione burocratica, costituisce per Weber un indubbio progresso tecnico, in quanto superiore, rispetto a tutte le altre forme storiche di organizzazione politica, come mezzo per il raggiungimento di fini un tempo irraggiungibile da parte del potere politico. La superiorità tecnica dello stato moderno è per Weber una constatazione a cui arriva un’analisi empirica e storica che non costituisce però, e non deve costituire, una valutazione positiva di tale forma politica, una sua trasposizione dal piano dell’essere del divenire storico a quello del dover essere51: “la sua moderna forma razionale di

51 Analogamente a quanto notato per la razionalità della storia, anche a proposito del fenomeno dello stato razionale molto interpreti hanno richiamato l’attenzione sulla distanza che separa la trattazione dello stato in termini di razionalità in Hegel e in Weber; si veda per esempio il saggio di Pietro Rossi Max Weber: razionalità e razionalizzazione.

esercizio ha reso possibile, in numerosi campi, delle prestazioni che senza dubbio nessun agire associato di altra specie avrebbe potuto eseguire, neppure in modo approssimativo. Non poteva non accadere da ciò che si traesse la conseguenza che lo stato dovrebbe anche essere – soprattutto nelle valutazioni che si muovono nell’ambito della ‘politica’ – il ‘valore’ ultimo, e che ogni agire sociale dovrebbe, in ultima analisi, venire commisurato agli interessi della sua esistenza. Ma anche questo costituisce una trasposizione, del tutto indebita, di fatti appartenenti alla sfera dell’essere in norme della sfera della valutazione – pur prescindendo qui dalla mancanza di precisione delle conseguenze tratte da quella valutazione” [Sas 302]. Anche in questo caso il riconoscimento di un progresso tecnico non può tradursi in una sua valutazione sia perché questo passaggio è illegittimo per la scienza avalutativa sia perché, in ogni caso, tale progresso potrebbe essere giudicato come un incremento di valore solo da un determinato punto di vista, che accetti i valori e i fini che il progresso tecnico serve, mentre risulterebbe eticamente, politicamente o religiosamente condannabile se questi fini sono contrari ai valori che stanno alla base della proprio visione del mondo: “l’incremento della razionalità soggettiva e della ‘correttezza’ tecnico-oggettiva dell’agire in quanto tale può costituire, al di sopra di una certa soglia […] una minaccia per i beni importanti (per esempio per i beni importanti dal punto di vista etico o religioso)” [Sas 291]. La stessa conclusione vale naturalmente anche per l’altro grande fenomeno della razionalizzazione occidentale, il capitalismo razionale: “i processi di razionalizzazione economica, per quanto siano senza dubbio ‘tecnicamente corretti’, non sono in alcun modo legittimati di fronte al foro della valutazione in virtù solamente di questa loro qualità. Ciò vale per tutti i

processi di razionalizzazione, nessuno escluso […]. Coloro che si oppongono a tali processi di razionalizzazione non sono affatto necessariamente dei pazzi. Piuttosto, ogni qual volta si voglia valutare, si deve prendere in considerazione l’influenza dei processi di razionalizzazione tecnica sulle modificazioni dell’insieme delle condizioni di vita, esterne e interne. Sempre, e senza eccezione, il concetto di progresso legittimo nelle nostre discipline riguarda l’aspetto ‘tecnico’, il quale vuol dire – come si è accennato – il ‘mezzo’ necessario per uno scopo dato in modo preciso. Esso non si innalza mai fino alla sfera delle valutazioni ‘ultime’” [Sas 292].

b) L’ambiguità della valutazione weberiana

Se dunque, in quanto scienziato sociale, Weber cerca di rimanere fedele al principio della avalutatività, possiamo spostarci sul piano delle opinioni personali espresse dallo studioso tedesco per cercare qui la sua valutazione del processo di razionalizzazione del mondo occidentale. La posizione di Weber a questo proposito è sicuramente ambigua e unisce ammirazione per le possibilità aperte dal progresso tecnico nei vari campi, economico, politico o tecnologico, e preoccupazione per i suoi esiti inquietanti dal punto di vista etico. Troviamo quindi in Weber sia osservazioni che sembrano attribuire alla civiltà occidentale un valore superiore sia il riconoscimento dell’irrazionalità etica del mondo razionalizzato dell’Occidente moderno e previsioni pessimistiche sul suo futuro. Un chiaro esempio del primo tipo di affermazioni è una frase, che già abbiamo

citato in apertura del capitolo precedente, tratta dalla premessa alla Sociologia delle religioni, i cui studi comparativi vogliono proprio mettere in luce le peculiarità dello sviluppo storico del razionalismo occidentale: “quale concatenazione di circostanze ha fatto sì che proprio sul terreno dell’Occidente, e soltanto qui, comparissero fenomeni di civiltà che tuttavia si svolgevano secondo una direzione di significato e validità universali (almeno secondo l’opinione tra noi diffusa)?” [Premessa a Sr, in Ep 33]. La centralità che Weber assegna alla civiltà occidentale, a cui viene appunto attribuito un valore universale, è in parte dovuta al senso di appartenenza di Weber verso questo mondo, la sua storia e i suoi valori52, i quali condizionano inevitabilmente, come Weber afferma esplicitamente, il punto di vista con cui uno studioso si pone nei confronti dell’oggetto delle sue ricerche e la delimitazione di ciò che è interessante e degno di essere spiegato. Si tratta del tema, centrale nella riflessione metodologica di Weber, della relazione ai valori della scienza, a cui qui accenniamo solamente: lo scienziato, qualunque sia il suo campo disciplinare, si trova di fronte a una realtà infinita e irriducibile, dalla quale deve circoscrivere l’oggetto necessariamente limitato e parziale della sua indagine, scegliendo i fenomeni e gli elementi che, dal proprio punto di vista personale, risultano più importanti e interessanti. Si tratta di una scelta che ha alla base considerazioni soggettive e valutative ma che non intacca, secondo Weber, l’avalutatività della scienza e l’oggettività delle sue conclusioni: sintetizzando la questione in maniera molto schematica si può dire

52 Nella prolusione Lo stato nazionale e la politica economica tedesca del 1895, raccolta nel volume Scritti politici, Weber afferma: “io sono un membro della classe borghese, mi sento tale e sono stato educato alle sue idee e ai suoi ideali” [Sp I 23].

che per Weber il punto di arrivo di un’indagine scientifica, naturalmente quando questa è corretta, è valido per tutti, compresi coloro che non condividono i valori che stavano alla base della delimitazione dell’oggetto di tale indagine, per i quali la conclusione non sarà falsa ma poco interessante o indifferente. Tornando alla questione del significato e della validità universali attribuiti da Weber ad alcuni fenomeni della razionalismo occidentale, ci si può chiedere se questa affermazione possa rientrare in questo schema e valere come conclusione oggettiva di una scienza avalutativa. Possiamo qui parafrasare l’impostazione weberiana del tema del progresso e dire che, se è forse possibile delimitare un significato ristretto di questa frase che sia scientificamente legittimo e avalutativo (la constatazione empirica dell’influenza e della diffusione a livello mondiale che hanno avuto fenomeni nati nel mondo occidentale, come il capitalismo razionale o la scienza razionale), essa ha un tono valutativo ed è quindi illegittima dal punto di vista della scienza avalutativa; essa costituisce invece la dichiarazione di un punto di vista soggettivo e personale, come indica tra l’altro l’inciso che si riferisce alla “opinione da noi diffusa”.

L’ambiguità e la complessità della valutazione weberiana risiede nel fatto che questa affermazione sul valore universale della civiltà occidentale non si accompagna a una sua valutazione complessivamente positiva: Weber non la presenta come il culmine o il fine del divenire storico o una forma superiore sotto ogni punto di vista, ma ne sottolinea invece i limiti e gli aspetti materialmente irrazionali. Come abbiamo visto, uno dei significati del concetto di razionalità che definisce il razionalismo proprio dell’Occidente moderno è quello di razionalità formale, caratterizzato da un’impersonalità che rende tale forma di razionalità

inaccessibile alle regolamentazioni etiche e quindi irrazionale da questo punto di vista. Un esempio è dato da alcune considerazione fatte da Weber, nel contesto della Sociologia delle religioni, sulla struttura formalmente razionale dell’economia moderna e sui possibili rapporti tra forme dell’economia e etiche religiose; queste osservazioni possono essere immediatamente estese anche alle altre sfere formalmente razionalizzate del mondo moderno, a partire dall’amministrazione burocratica e dal potere legale-razionale, caratterizzati dalla stessa impersonalità: “il denaro è la cosa più astratta e più ‘impersonale’ che esista nella vita degli uomini. Perciò il cosmo della moderna economia capitalistica razionale è diventato, quanto più segue le sue leggi immanenti, inaccessibile a qualsiasi tipo di relazione con un’etica religiosa della fratellanza – e ciò in misura

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