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Religioni e rapporti intergenerazionali

Nel documento RELIGIONI PER LA CITTADINANZA (pagine 58-61)

relig ioni p er l a ci ttadina nza

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Cogliendo al volo quest’ultima affermazione, ci spostiamo verso una domanda che va più in profondità: che cosa è importante trasmettere? In famiglia, un modo potente per trasmettere i significati è il comportamento, spesso più indicativo delle parole. I genitori, infatti, si comportano in un certo modo e i figli ripetono ciò che vedono fare. In campo religioso può essere il caso di coppie che sono credenti nella maniera in cui hanno imparato a loro volta dai propri genitori, e mostrano ai loro figli quel comportamento in modo che anche loro lo ripetano. È questa, di solito, la modalità attraverso cui viene trasmessa la religione popolare, attenta a certi comportamenti visibili più che ai testi sacri o a una ricerca interiore. Tuttavia, continua il nostro ospite, un aspetto importante del comportamento è il modo in cui viene attuato. Questo significa che lo si può tramandare in modalità differenti, capaci anche di cambiare i significati ad esso attribuiti.

Come folgorato da queste parole, un giovane ragazzo arabo pone ai presenti un quesito: «Io sono un musulmano praticante. Se mi sposo con una cristiana, anche lei praticante, e abbiamo dei figli, che religione trasmetteremo loro? Come possiamo fare?». La domanda suscita un ventaglio di reazioni, da quella netta di chi dice «non devono sposarsi»! (nonostante non ci sia alcun impedimento per un uomo musulmano a sposare una donna delle “religioni del Libro”), a repliche più moderate, come quella di un cinquantenne tunisino che ritiene si possano sposare, pur mantenendo al tempo stesso un’opinione radicata nella propria visione di fede: «Non devi obbligarla, ma convincerla piano piano» ad accettare di insegnare l’islam ai figli. Si giunge a posizioni estremamente più aperte, derivanti dall’esperienza di chi ha conosciuto famiglie dove si è verificata questa situazione.

In questo senso, un corsista arabo da anni residente in Italia racconta che «una coppia di miei amici ha fatto scegliere ai propri figli». Infine, è proprio il sociologo a riporre al centro il tema con una sollecitazione: cosa devono cercare allora questi genitori? Quella che segue immediatamente è la risposta a segno di qualcuno: «Il bene dei figli!».

Arriviamo così a un altro nodo centrale del nostro incontro: si può trasmettere ai figli una religiosità che ponga al centro le loro esigenze? Cioè un tipo di religiosità dove quello che conta non è la trasmissione del comportamento visibile, ma l’esigenza di intraprendere una ricerca personale sulla fede? Conviene premettere l’intervento di un detenuto italiano: suggestionato dall’intervento di un compagno arabo sul “viaggio santo” per approfondire la propria fede, conferma che il viaggio nella religiosità lo si possa iniziare anche a un’età più avanzata, perché «ci si può trovare in un momento di smarrimento e si sente il bisogno di stare meglio. Tante volte ci si attacca allora alla preghiera perché c’è necessità di qualcuno che ti sostenga, e in questo caso non c’entra l’età ma il bisogno».

Si tratta di un’affermazione ben inserita a questo punto, perché fa toccare con mano l’aspetto della ricerca personale, la “fede scoperta” in alternativa alla “fede ricevuta”. Luca Barbari aggiunge un

altro interessante punto di vista, riflettendo sull’intreccio sempre più stretto tra popoli e culture negli spazi della vita comune e l’effetto che avrà sulle nuove generazioni:

«Può darsi che i nostri figli penseranno di vivere bene la religione loro insegnata, ma secondo modalità differenti dalle nostre».

Ci proponiamo a questo punto di portare la classe a riflettere su un ultimo passaggio: dalla trasmissione, che non può ridursi solo a inculcare la fede in modo quasi meccanico (in arabo si chiama talqin) ma deve includere il rispetto per la ricerca dei figli, all’atteggiamento di chi “prende sul serio” la fede dell’Altro. Proseguendo le considerazioni di Barbari, il sociologo Bontempi nota che le religioni interagiscono sempre più nella vita quotidiana, e questo cambia profondamente i caratteri del dialogo interreligioso.

Oggi le interazioni tra persone di fedi differenti possono essere «una possibilità per chiunque vive là fuori (la società fuori dal carcere), ma lo sono ancora di più qui dentro, dove voi avete la fortuna di trovarvi intorno a un tavolo e confrontarvi su questioni molto personali, ma che hanno anche un’importanza per la vita di tutti». Le interazioni tra religioni possono così essere terreno nel quale prende forma un dialogo interreligioso non tanto attraverso il confronto delle risposte, ma soprattutto tramite la condivisione della ricerca, delle questioni di fondo, della riflessione su come ciascuno ascolta l’altro e sulla risonanza che da lui arriva rispetto alle proprie domande. Richiamando quella ricerca personale di cui si è appena parlato, “prendere sul serio” la religione dell’altro non è sincretismo, ma apprendimento all’ascolto e a stare insieme, sapendo riconoscere nello sforzo di ricerca di chi è “diversamente credente” un aiuto ad andare in profondità nella propria fede, nel proprio viaggio.

di ari o di un p er co rs o

«Altresì dichiariamo - fermamente - che le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue».

Cita così il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato congiuntamente, lo scorso 4 febbraio 2019, da papa Francesco e dal Grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyeb. Approfittando di questo evento di portata storica, introduciamo i presenti al tema di oggi, che tocca un problema molto delicato della dimensione umana: il rapporto tra religione e violenza. Nonostante si tratti di un argomento affrontato in due momenti diversi, prima in Area Pedagogica (AP) poi in Alta Sicurezza (AS), per facilitare la comprensione gli interventi dei presenti saranno qui disposti come si trattasse di un unico incontro, specificando l’Area di provenienza di volta in volta.

L’obiettivo che ci proponiamo è quello di ragionare insieme a partire da due interrogativi intersecati:

da dove nasce la violenza e qual è il suo rapporto con la religione? A guidarci nella riflessione c’è Maria Inglese, psichiatra, che lavora da otto anni nel carcere di Parma. Per gettare un colpo d’occhio e dare subito un’idea di quanto sia pervasiva la questione della violenza nella vita dei popoli, diamo uno sguardo alle situazioni di conflitto in questo 2019: in Africa 30 Stati coinvolti,

Nel documento RELIGIONI PER LA CITTADINANZA (pagine 58-61)