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La responsabilità dei consulenti finanziari Le decisioni dell’ACF e la

Le decisioni dell’ACF e la responsabilità solidale dei soggetti abilitati

L’articolo 5 della legge n. 1 del 2 gennaio 1991, ha istituito, nell’ordinamento italiano, la figura del promotore finanziario, definito nel TUF come «la persona fisica che, in qualità di agente collegato ai sensi della Dir. 2004/39/CE, esercita professionalmente l’offerta fuori sede come dipendente, agente o mandatario. L’attività di promotore finanziario è svolta esclusivamente nell’interesse di un

208 Cass. Civ., Sez. III, 23 marzo 2017, n. 7410.

209 Tuttavia, il comune sentire in Italia è che il rischio per le imprese di investimento di essere

ritenute responsabili - ex post - nei procedimenti civili intentati dai clienti non costituisce di per sé un incentivo sufficiente a comportarsi correttamente: Rossi Filippo – Garavelli Marco, Italy, in

A bank’s duty of care, a cura di Bush Danny, Van Dam Cees, Oxford and Portland, Oregon, 2017,

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solo soggetto» (art. 31, co. 1, d.lgs. n. 58/1998). Tale disposizione – mediante il richiamo alla nozione di “agente collegato” di cui all’articolo 23, co. 1, MiFID – identifica il promotore finanziario quale unica figura professionale abilitata a promuovere e collocare prodotti finanziari di investimento al di fuori della sede di un istituto di credito, di una società di intermediazione mobiliare (SIM) o di una società di gestione del risparmio (SGR) per cui presta la propria attività. Siffatta norma puntualizza altresì che le imprese di investimento, le SGR, le società di gestione armonizzate, le Sicav, gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco previsto dall’articolo 107 TUB e le banche, nello svolgimento delle offerte fuori sede, siano tenuti ad avvalersi della loro attività. L’articolo 78 del Regolamento Intermediari ne precisa ulteriormente la portata.

Il rapporto di lavoro in forza del quale il promotore presta la propria opera nei confronti dei soggetti abilitati può tanto consistere in un rapporto di lavoro subordinato o di agenzia, quanto può essere riconducibile allo schema del mandato. Al riguardo, rilevano i termini dell’accordo negoziale ed è pacifico che, anche in caso di mancanza del controllo gerarchico proprio di un rapporto di lavoro subordinato, grava sull’intermediario finanziario un’adeguata attività di controllo e monitoraggio dell’operato dei promotori di cui sia avvale. Questi ultimi sono tenuti ad agire nel rispetto dei limiti dell’incarico ricevuto, nonché con l’osservanza delle regole proprie dell’attività dei soggetti abilitati nel cui interesse prestano la propria opera. I promotori sono vincolati inoltre al rispetto dei principi sanciti dal TUF e specificati all’interno delle prescrizioni regolamentari della Consob.

Il promotore finanziario – divenuto “consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede” in seguito alla modifica intervenuta con la legge n. 208 del 28 dicembre 2015 – svolge come funzione principale quella di consentire, ai soggetti abilitati, l’offerta e la prestazione di servizi di investimento al di fuori delle proprie sedi. Senza dubbio, trattasi di un importante vantaggio, in grado,

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anzitutto, di comprimere i costi mediante l’utilizzo di collaboratori esterni per la raccolta di ordini della clientela.

Ai fini dell’esercizio di tale professione occorre l’iscrizione all’Albo unico nazionale. Nella legge 30 dicembre 2018, n. 145 – recante il bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021 (c.d. Legge di bilancio 2019) –, è possibile rinvenire alcune novità idonee ad incidere sull’ambito regolamentare bancario e finanziario. Tra le tante, si ricorda la modifica dell’articolo 10, co. 5, d.lgs. 3 agosto 2017, n. 139, relativa all’albo unico dei consulenti finanziari. Con essa è stato sancito che i consulenti che, alla data del 31 ottobre 2007, prestavano attività di consulenza in materia di investimenti senza essere ancora iscritti alle nuove sezioni dell’albo, sono autorizzati a continuare a prestare il proprio servizio, «in ogni caso non oltre centottanta giorni dalla data di presentazione della domanda di iscrizione, qualora questa sia stata presentata entro il 30 novembre 2018, o la data di decisione dell’Organismo sulla stessa domanda». Ciò a condizione che non siano detenute somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza dei propri clienti.

L’attenzione costante verso tale categoria professionale origina dalla constatazione del rapporto fiduciario che i consulenti finanziari hanno con la propria clientela. In forza di tale rapporto, essi riescono a venire a conoscenza delle specifiche situazioni finanziarie e dei relativi obiettivi di investimento, necessari per garantire l’adeguatezza del servizio offerto e del prodotto finanziario consigliato rispetto allo specifico profilo del singolo investitore. Il tema della responsabilità del consulente finanziario nei confronti del proprio cliente e della conseguente eventuale responsabilità solidale del soggetto abilitato210 è stato oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali, sia di

210 Art. 1, lett. r), TUF: «“Soggetti abilitati”: le Sim, le imprese di investimento UE con succursale

in Italia, le imprese di paesi terzi autorizzate in Italia, le Sgr, le società di gestione UE con succursale in Italia, le Sicav, le Sicaf, i GEFIA UE con succursale in Italia, i GEFIA non UE

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merito, che di legittimità. Seppure l'alea delle diverse decisioni rimanga insormontabile, è possibile constatare che, tendenzialmente, la giurisprudenza sia stata concorde nel qualificare la responsabilità da inadempimento perpetrata dal consulente quale ipotesi di responsabilità contrattuale, così da favorire il soggetto debole mediante la duplice previsione di un ampio termine prescrizionale e di un regime di inversione dell’onere della prova.

I giudici italiani si sono ritrovati, in più occasioni, a doversi pronunciare circa la specifica ipotesi di illecito perpetrato ai danni di un investitore da parte di un consulente finanziario dipendente di un istituto di credito. L’art. 31, co. 3, TUF dispone al riguardo che «il soggetto abilitato che conferisce l'incarico è responsabile in solido dei danni arrecati a terzi dal consulente finanziario abilitato all'offerta fuori sede, anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale». Con tale disposizione viene data applicazione, nel settore finanziario, alla medesima disciplina già prevista, in ambito civilistico, dall’articolo 2049 c. c., in forza del quale i padroni e i committenti rispondono dei danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi, nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti. Allo stesso modo, il soggetto abilitato, per cui il consulente finanziario presta la propria opera, è responsabile solidalmente dei danni in qualsiasi forma arrecati al cliente oppure a terzi soggetti. Tale responsabilità è affermata in conseguenza della correlazione tra l’illecito compiuto dal consulente e il conferimento del relativo incarico da parte del soggetto abilitato, il cui espletamento abbia reso possibile, ovvero anche solo agevolato, la condotta illecita211.

autorizzati in Italia, i GEFIA non UE autorizzati in uno Stato dell’UE diverso dall’Italia con succursale in Italia, nonché gli intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del T.U. bancario, le banche italiane e le banche UE con succursale in Italia autorizzate all’esercizio dei servizi o delle attività di investimento».

211 Al riguardo, ex multis, Cass. 19 luglio 2002, n. 10580; Cass. 20 marzo 1999, n. 2574; Cass. 10

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Affinché possa configurarsi la responsabilità indiretta del datore di lavoro per il fatto dannoso commesso da un proprio dipendente, ai sensi dell’articolo 2049 c. c., è necessaria l'esistenza di un nesso di "occasionalità necessaria" tra l'illecito e il rapporto di lavoro che vincola i due soggetti, «nel senso che le mansioni affidate al dipendente abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno al terzo» (Cass. Civ., sez. III, 12 marzo 2008, n. 6632). In tale ottica non può essere esclusa la sussistenza del rapporto di occasionalità necessaria tra l'attività del dipendente e l'evento lesivo, al verificarsi di un eventuale abuso compiuto da quest'ultimo o di una riscontrata illegittimità del relativo operato, qualora la condotta del dipendente medesimo si innesti, comunque, nel meccanismo dell'attività complessiva del responsabile. In tale ampiezza di protezione, il riferimento della condotta del dipendente al proprio datore può venire meno solo quando egli agisca come semplice privato, per un fine strettamente personale ed egoistico. Di conseguenza, affinché possa essere configurata la responsabilità del datore di lavoro, occorre che si tratti di un comportamento colposo o doloso posto in essere da un soggetto che si trovi in rapporto di dipendenza con lo stesso, ovvero di subordinazione tale da renderlo soggetto al relativo potere di organizzazione. È dunque rilevante che si accerti che l'espletamento delle mansioni inerenti il servizio e il fatto produttivo del danno siano legati da un nesso di occasionalità necessaria212, idoneo quanto

212 Per i Giudici di legittimità, la responsabilità dell’intermediario trova la sua ragion d’essere

per un verso nel fatto che l’agire del promotore è uno degli strumenti dei quali l’intermediario si avvale nell’organizzazione della propria impresa, traendone benefici cui è ragionevole far corrispondere i rischi. Trova infatti applicazione, in quest’ambito, quel concetto di «necessaria occasionalità» di creazione giurisprudenziale che si presta ad essere utilizzato come strumento elastico, idoneo a recepire quelle tendenze oggettivistiche della responsabilità civile. È chiaro che l’obiettivo è da individuare nell’esigenza di offrire una più adeguata garanzia ai destinatari delle offerte fuori sede rivolte dall’intermediario per il tramite del promotore, giacché appunto per le caratteristiche di questo genere di offerte può essere più facilmente sorpresa la buona fede dei clienti. Il nesso di «necessaria occasionalità» è dunque ravvisabile tutte le volte in cui il comportamento del promotore rientri nel quadro delle attività funzionali all’esercizio delle incombenze di cui è investito: Greco Fernando, La responsabilità del soggetto abilitato nell’illecito del

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meno ad averne agevolato in modo decisivo la realizzazione213. Tale ultimo

aspetto appare particolarmente rilevante.

Tali principi trovano un’applicazione particolarmente accentuata riguardo ad ipotesi nelle quali venga in considerazione l'attività finanziaria e, in generale, ogni attività volta a una prudente e sana raccolta e gestione del risparmio. Con tale garanzia, il legislatore ha inteso responsabilizzare l’intermediario rispetto ai comportamenti di soggetti – quali i consulenti – che egli stesso sceglie, nel cui interesse essi operano e sui quali nessuno più di lui è concretamente in grado di esercitare efficaci forme di controllo.

Ai fini della prova, l’investitore è tenuto semplicemente ad allegare l’inadempimento delle obbligazioni specificamente poste a carico della controparte, nonché a fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra tale danno e l’inadempimento, anche sulla base di mere presunzioni214. Si ricordi,

promotore finanziario: il punto fermo della Corte di Cassazione, in Responsabilità civile e previdenza, n.

1, 2013.

213 «In tema di fatto illecito, con riferimento alla responsabilità dei padroni e committenti, ai fini

dell'applicabilità della norma di cui all'art. 2049 c.c. non è richiesto l'accertamento del nesso di causalità tra l'opera dell'ausiliario e l'obbligo del debitore, nonché della sussistenza di un rapporto di subordinazione tra l'autore dell'illecito ed il proprio datore di lavoro e del collegamento dell'illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente. È infatti sufficiente, per il detto fine, un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che l'incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso, anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purché sempre nell'ambito dell'incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro. (Nella specie, era stata chiesta alla compagnia di assicurazioni la restituzione delle somme pagate per la polizza vita stipulata con l'agente di zona, dichiarata falsa dalla società: la S.C., ritenendo, sulla base dell'enunciato principio, che l'art. 2049 c.c. sia applicabile ogni volta che sussiste una relazione qualificata tra l'attività del "padrone" o del "committente" ed il comportamento dell'ausiliario, come nel contratto di agenzia, ha confermato la sentenza della corte di merito che aveva accolto la domanda)»: Cass. Civ., Sez. III, 24 gennaio 2007, n. 1516/07.

214 «Se è vero, infatti, che grava sugli investitori l’onere della prova del danno sofferto per il fatto

illecito del promotore e del nesso di causalità tra l’illecito ed il danno (cfr., tra le altre, Cass. n. 6708/10, in motivazione), è pur indubitabile che, nel caso di specie, sia la condotta ascritta al promotore finanziario in sede penale che la correlata violazione da parte sua degli obblighi di diligenza e di informazione - particolarmente stringenti - imposti dalla normativa di settore costituiscono elementi gravi precisi e concordanti, su cui fondare la prova presuntiva della sussistenza di conseguenze pregiudizievoli per il patrimonio degli investitori e della derivazione causale di queste conseguenze dagli illeciti attribuiti al promotore finanziario»:

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d’altra parte, che la norma di cui all’articolo 2049 c.c. non concede ai responsabili prova liberatoria. La sola prova concessa all’institore è la mancanza del rapporto di subordinazione o l’assenza del nesso di occasionalità necessaria tra le mansioni cui era adibito il preposto e il danno dallo stesso cagionato; ovvero, ancora, che il fatto del preposto non era da considerarsi illecito.

La responsabilità dell’intermediario abilitato è estesa a qualsiasi comportamento tenuto dal consulente finanziario nell’ambito dell’incarico allo stesso affidato, anche in ipotesi di reato perpetrato in assoluta assenza di colpa dell’intermediario stesso215. Quest’ultimo risponde difatti a titolo oggettivo dei

danni causati al cliente dal proprio preposto216.

Il caso più frequente, nella casistica giurisprudenziale, è quello del consulente finanziario che, con artifici e raggiri, abbia sottratto disponibilità di denaro del cliente affidato in sua cura. Altrettanto ricorrente è la difesa dell’intermediario abilitato, che sostenga che il cliente abbia concorso, con il proprio comportamento, a causare il danno, e per tale ragione chieda la riduzione o l’esclusione del risarcimento richiesto. Al riguardo, l’articolo 1227 c. c. dispone che, se il fatto colposo del creditore abbia concorso a cagionare il danno, il

Cass. Civ., Sez. III, 26 luglio 2017, n. 18363, con nota di Soldati Nicola, Responsabilità del

promotore finanziario e onere della prova - il commento, in Le Società, n. 3/2018, p. 328 ss. L’Autore

afferma al riguardo che la Corte arriva, quindi, a sostenere che, facendo applicazione dei principi generali in tema di nesso di causalità in ambito civile, la prova del nesso di causalità tra l’inadempimento dell’intermediario finanziario e i danni lamentati dall’investitore può essere anche presunta.

215 Cass. Civ., sez. III, 19 luglio 2012, n. 12448: «A norma dell’art. 2049, la società di

intermediazione è responsabile degli illeciti commessi dal promotore finanziario anche a titolo oggettivo, cioè indipendentemente da comportamenti negligenti o colposi suoi propri, in relazione ai danni che l’investitore possa avere subito per avere fatto affidamento sull’esistenza del rapporto di preposizione. Ciò in considerazione dei rischi inerenti all’esercizio di attività finanziarie e delle gravi perdite a cui gli eventuali illeciti degli addetti possono esporre la clientela: rischi che la società di intermediazione è in grado di gestire, e danni contro i quali ha la possibilità di premunirsi (anche tramite l’assicurazione), in termini più efficaci, più razionali e meno costosi, che non il singolo investitore».

216 La responsabilità ex art. 2049 c.c., prescindendo da ogni imputabilità soggettiva, si ricollega

al fatto oggettivo che il danno sia stato arrecato nell’esercizio di una attività destinata a servire all’interesse di chi è chiamato a rispondere: Betti Emilio, Teoria generale delle obbligazioni, III,

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risarcimento può essere diminuito dal giudice secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non sarebbe addirittura dovuto, in forza dell’ultimo comma di tale norma, per i danni che il cliente avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza. È opinione condivisa che il concorso di colpa del creditore possa essere riconosciuto solo nel caso di collusione o fattiva acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul consulente, palesata da elementi presuntivi quali, a titolo esemplificativo, l’elevato numero di operazioni poste in essere con modalità irregolari217. Ciò si

potrebbe verificare qualora il rapporto sia inficiato da gravi ed evidenti anomalie218. Difatti, le disposizioni dettate nell’ordinamento italiano

relativamente alle modalità di corresponsione al consulente dell’equivalente pecuniario dei titoli acquistati o prenotati, sono volte solo a porre a suo carico un obbligo di comportamento diretto alla tutela dell’interesse del risparmiatore. Esse non possono dunque interpretarsi come fonte di un onere di diligenza a

217 Cass. Civ., Sez. I, 24 marzo 2011, n. 6829.

218 Giova tuttavia evidenziare che, in ogni caso, non può escludersi in astratto un concorso di

colpa del danneggiato. La più recente giurisprudenza di legittimità è molto puntuale nel ritenere possibile l’applicazione dell’art. 1227 c.c. (comma 1 o 2, a seconda dei casi) tutte le volte in cui l’intermediario provi che vi sia stata se non addirittura collusione quanto meno una consapevole e fattiva acquiescenza del cliente alla violazione, da parte del promotore, di regole di condotta su quest’ultimo gravanti. Quindi, se è vero che nel settore dell’intermediazione finanziaria la regolamentazione (soprattutto la più recente) appare fortemente orientata verso la protezione dell’investitore, non può escludersi una responsabilità di quest’ultimo tutte le volte che, pur in presenza di violazione di obblighi comportamentali da parte del promotore, sia del tutto mancata la diligenza contemplata all’art. 1227 c.c. Ben si comprende, dunque, come non possa bastare al fine di un concorso colposo del danneggiato la sola difformità rispetto alla previsione normativa di consegna da parte del cliente di somme di denaro al promotore. Come opportunamente precisano i giudici di legittimità, deve escludersi che la mera allegazione del fatto che il cliente abbia consegnato al promotore finanziario somme di denaro con modalità difformi da quelle con cui quest’ultimo sarebbe stato legittimato a riceverle valga, in caso d’indebita appropriazione di dette somme da parte del promotore, ad interrompere il nesso di causalità esistente tra lo svolgimento dell’attività del promotore finanziario medesimo e la consumazione dell’illecito, precludendo la possibilità di invocare la responsabilità solidale dell’intermediario preponente. Ciò vale prevalentemente in tutte quelle ipotesi in cui l’attività del promotore sia connotata dal dolo, in ragione del fatto che appare assolutamente privo di fondamento individuare una colpa del danneggiato nelle ipotesi in cui ci sia stata una precisa volontà del danneggiante di procurargli un danno: Fernando Greco, La responsabilità del soggetto

abilitato nell’illecito del promotore finanziario: il punto fermo della Corte di Cassazione, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc.1, 2013, p. 0025B.

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carico di quest’ultimo, tale da comportare un addebito di colpa – concorrente, se non addirittura esclusiva – in capo al soggetto danneggiato dall’altrui atto illecito. Al riguardo, i giudici di legittimità hanno precisato che la mera allegazione del fatto che il cliente abbia consegnato al consulente finanziario somme di denaro con modalità difformi da quelle con cui quest'ultimo sarebbe legittimato a riceverle, non vale, in caso di indebita appropriazione di dette somme da parte del consulente, ad interrompere il nesso di causalità esistente tra lo svolgimento dell'attività del promotore finanziario e la consumazione dell'illecito. Neppure, tale circostanza può essere addotta dall'intermediario come concausa del danno subito dall'investitore, al fine di ridurre l'ammontare del risarcimento dovuto219.

L'obbligo risarcitorio che grava sul preponente ha lo stesso contenuto di quello dell'autore diretto del danno220. La valutazione della sussistenza di una

eventuale responsabilità non potrà che essere posta in essere facendo riferimento alle circostanze del caso concreto. A tal fine, occorrerà anzitutto verificare se il consulente sia inserito all’interno dell’organizzazione dell’attività d’impresa dell’intermediario, senza alcuna indicazione volta a distinguere, quantomeno sotto il profilo della presentazione agli occhi del cliente, un’eventuale autonomia imprenditoriale rispetto al soggetto abilitato.

Affinché sia configurabile una responsabilità solidale ai sensi dell’articolo 2055, co. 1, c. c., è sufficiente che sussista l’unicità dell’evento lesivo, a prescindere dai criteri di imputazione e dalle tipologie delle singole condotte in virtù delle quali i diversi responsabili siano chiamati a rispondere. È persino indifferente che taluni comportamenti siano il risultato di azioni mentre altri di omissioni. Occorre solo che il fatto dannoso sia unico. Ne deriva che, nel caso di un danno

219«L'utilizzo, da parte dell'investitore, di mezzi di pagamento difformi da quelli che il

promotore finanziario è legittimato a ricevere non è sufficiente ad integrare una fattispecie di concorso colposo del creditore ex art. 1227 c.c.»: Cass. Civ., Sez. I, 7 aprile 2006, n. 8229.