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La responsabilità e la libertà nel mondo della tecnica e dell’ eroe nell’antica Grecia

Nella società della tecnica muta il senso dell’agire collegato ad uno scopo, ad un semplice fare come azione slegata dalle responsabilità.

L’azione in questo modo viene ridotta al mero compito, alla competenza tecnica.

Questo avviene a causa della specializzazione in cui un apparato sopravvive in virtù del sincronismo automatizzato delle sue parti. La responsabilità non fa parte della persona tutta che compie una determinata azione ma è collegata solamente al proprio piccolo compito61.

Similmente Hegel riconduce questo avvenimento all’avvento della democrazia ovvero all’istituzione che rappresenta lo stato nella sua astrazione ed universalità.

In questo scenario l’individualità sarebbe soggiogata dal volere più grande dello stato coercitivo e la libertà della persona risiederebbe solo nella possibilità di far propria la Legge assimilandola interiormente. In questo caso la responsabilità è confinata solo a quegli atti soggiacenti lo scopo ossia atti consapevoli indirizzati ad un determinato fine esulando dalla responsabilità personale quelli inconsapevoli o derivanti da cause non adducibili direttamente alla propria intenzionalità.

Diversamente stanno le cose nel contesto della mitologia greca classica in cui il potere d’azione dell’Eroe è sconfinato e ad esso è correlata una totale responsabilità che investe integralmente la persona tutta.

Hegel rintraccia nell’eroe questo ideale di uomo integro che per mezzo della sua compiutezza mette in campo le scelte che assorbono tutta la sua persona.

La responsabilità non viene né demandata ad altri né rifiutata, anche e soprattutto quando essa si rilevasse tragica o drammatica nei suoi risvolti.

«Nella condizione eroica il soggetto, com’è in connessione immediata con tutto il suo volere, fare e realizzare, così risponde in modo indiviso di qualsiasi cosa da questo fare consegua. Quando invece noi agiamo o giudichiamo azioni richiediamo, per poter imputare un’azione all’individuo, che egli abbia avuto conoscenza e consapevolezza del genere della sua azione e della circostanza in cui essa si è realizzata. Se le circostanze sono di altro genere e se così l’ oggettività porta in sé determinazioni diverse da quelle

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presenti nella coscienza di colui che agisce, l’uomo odierno non accoglie in sé l’intera responsabilità di ciò che compie, attribuendo a sé solo ciò che egli ha fatto consapevolmente e, in relazione a questo suo sapere, intenzionalmente”62

.

L’Eroe risponde in prima persona per tutta alla legge, anche nel caso egli non fosse consapevole della sua colpa, proprio perché sente addosso tutto il peso della propria persona in ogni azione che compie. “a noi una tale condanna apparirebbe ingiusta come l’irrazionale cadere in preda di un cieco destino!”63

.

Come sostiene Anders64, diversamente, l’uomo contemporaneo nell’era della tecnica, limita la sua responsabilità alla corretta esecuzione delle sue mansioni, al mero fare e rimane nell’ignoto circa le finalità delle azioni che compie.

La responsabilità propria è delegata ad altri: ai capi, ai superiori.

Per il Goriziano questo stato di cose rintracciato all’interno della macchina sociale, sia all’interno del mondo della tecnica che nel mondo della scienza, cade in preda all’irrazionale proprio perché l’organismo si scinde tra ciò che fa e le sue azioni non costituendo più una integrità dell’organismo.

E’ così che, ricadendo nell’assenso inorganico, si giunge alla libertà di essere schiavi. Dunque l’Eroe, il quale è inserito al di fuori dalla società e dalle sue leggi (anzi è legge per sé stesso65) è inserito all’interno di una sconfinata libertà e nell’assoluta

soggettività rimane preda dell’irrazionale della propria necessità.

La soggettività dell’eroe non incontra che sé stessa fuori dal mondo, rimane in trappola dell’irrazionale della propria individualità, anche se essa costituisce un tutt’uno con sé stessa. L’eroe dunque è in qualche modo “schiavo di se stesso” ovvero della sua parte più irrazionale.

L’uomo contemporaneo, diversamente, essendo inserito all’interno della società in cui legiferano le norme, ha un diminuito potere di libertà rispetto all’eroe. Egli però rispetto all’eroe ha una consapevolezza minore degli scopi e delle finalità che coinvolgono il suo agire ed una minor possibilità di contatto tra il suo organismo e le cose del mondo. In virtù della propria coscienza risponde solo per la parte consapevole delle sue azioni

62G. W.F.HEGEL, Estetica, edizione italiana a cura di nicolao Merker,Einaudi, Torino, 1997 ,tomo1,p213 63

Ivi.,p.204.

64 ANDERS, Noi figli di Eichmann, cit., pp 60-63.

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“Gli eroi sono invece individui che, partendo dall’autonomia del loro carattere e del loro arbitrio, accolgono in sé e realizzano il tutto di un’azione, ed in cui quindi appare loro disposizione individuale se fanno ciò che è giusto ed etico. Ma questa unità immediata di sostanziale ed individualità di inclinazione, impulsi, volere è implicata nella virtù greca, cosicché l’individualità è a se stessa la legge, senza essere sottomessa ad una legge per sé sussistente, ad un giudizio ed ad un tribunale. (Hegel, Estetica, cit. p. 211).

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ed in rapporto alla bontà delle sue azioni. Egli ha un maggior grado di oggettivazione della sua libertà che, se gli conferisce da una parte una minor libertà, gli restituisce dall’altra una limitata responsabilità. Egli rimane sempre relativo di fronte al suo agire a causa dell’ignoranza del perché si muove e della limitatezza dei suoi movimenti che sono subordinati e limitati dal potere degli Altri.

L’uomo contemporaneo di cui parla Michelstaedter, in virtù di una oggettivazione della individualità, vive in preda dell’irrazionale, dei suoi relativi bisogni e nella “nebbia” delle “cose che sono e non sono”, nell’ignoranza di una conoscenza autentica dello scopo da cui è mosso e nella limitatezza di un circolo astratto ed alienante: nella “libertà di essere schiavo”.

Diversamente l’uomo Michelstaedter, come vedremo poi più specificatamente, nell’impossibilità di conferire alla soggettività un’autonomia dalle correlazioni che investono la coscienza e la volontà ad essa direttamente collegate, mira ,attraverso la

pura oggettività, all’adempimento della sua pura azione.

L’idea di persuasione (l’unica libertà concessagli) viene perseguita attraverso l’espansione della coscienza fin quando la sua stessa eliminazione non gli restituisca la cristallinità del mondo.

L’uomo Michelstaedter, nell’infinità delle correlatività alle quali è subordinato rimane completamente privato della possibilità di dispiegare l’azione autentica, qualsiasi azione a cui conferire un senso. Egli vive nella completa urgenza di svolgere compiutamente la sua azione e per approdare ad una trasparenza più vasta del cosmo travalica il campo della coscienza approdando all’irrazionale della morte.

In definitiva L’eroe, pur attraverso un contatto autentico con la vita nell’assoluta soggettività è in preda dell’irrazionale di se stesso. Il rettorico vive a metà e delegando ad altri le responsabilità delle sue azioni è in preda all’irrazionale che lo fa vivere della sua morte. L’uomo Michestadter non sapendosi rappresentare come valido attraverso l’assoluta oggettività perseguita con “l’oggetto della coscienza”66

porta l’autonomia all’assoluta indipendenza dal relativo, all’infinitesimo, al frammento, consegnandosi all’irrazionale della morte, consegnandosi dunque all’irrazionalità della coscienza ossia alla volontà di accogliere il cosmo dentro di sé.

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Mi riferisco all’io lacaniano. “L’io è un oggetto bello e buono […] questa unità è ciò che per la prima volta si conosce come unità, ma come unità alienata, virtuale”. (J. LACAN, L’io nella teoria di Freud e

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