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Lo stadio dello specchio: a proposito della linea finzionale su cui poggia l’identificazione della coscienza.

1.9 Lacan: L’Essere ed il senso

1.9.1 Lo stadio dello specchio: a proposito della linea finzionale su cui poggia l’identificazione della coscienza.

È interessante notare a proposito del pensiero di Lacan come il processo di alienazione porta a collocare il soggetto tra il sé attuale (il corpo in frantumi) e l’Io-ideale (l’immagine unitaria di sé riflessa nello specchio).

Questo ideale posto dal sé attuale è già esso stesso una originaria finzione attraverso la quale l’uomo trae il piacere (la manifestazione giubilatoria) nel rivedersi come qualcosa di compiuto ed autonomo quando in realtà è alle dipendenze delle cure dell’altro e

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nell’imbarazzo dei propri movimenti oltre a trovarsi nella lacunaria condizione psicofisica.

La finzione è dunque la modalità attraverso cui il bimbo, nella deficienza costituzionale dei suoi primi anni di vita si distacca da quel tutto in cui è immerso forgiandosi un’ individualità ed un immagine di sé compiuta.

Questo riconoscimento che il bimbo fa di sé allarga però la distanza del proprio sé attuale con l’idealità del sé riflesso. Tale distanza è colmata dal desiderio. Desiderio che infine nella dimensione parlante Lacan definisce a sua volta come fantasma ribadendo la costituzione immaginifica ed illusoria del desiderio (il quale rimane sempre desiderio di riconoscimento) ad indicare l’impossibilità da parte del desiderante di raggiungere l’oggetto del desiderio (oggetto perduto) e che si mostra inafferrabile per costituzione. Matematicamente la manifestazione del fantasma viene iscritta come soggetto barrato in cui è l’oggetto del desiderio. Il vuoto che intercorre tra il soggetto desiderante e l’oggetto del desiderio è incolmabile e sta ad indicare la volontà di possesso in quanto identificazione di sé con il possesso integrale della persona tutta, l’affermazione autentica, nel riconoscimento nella volontà di salvezza minacciata all’interno dell’animo disgregato dell’uomo.

A ben guardare il bimbo, sebbene comunque in una posizione illusoria, si pone in quanto soggetto dalla parte dell’Io-ideale speculare ed immaginario, o almeno pur permanendo la non coincidenza tra attualità ed idealità, in un rapporto di vicinanza maggiore con il sé ideale rispetto a quello attuale, la propria condizione frammentaria. Negli altri il bimbo rivede se stesso compiuto e inoltre le cure e le attenzioni che riceve dagli altri non sono altro che il riconoscimento da parte dell’altro, (gli rimandano la stessa immagine gliela confermano) della sua proiezione identitaria.

Rispetto al bambino, l’adolescente, il giovane Michelstaedter, in quanto soggetto regredisce portandosi ad una vicinanza maggiore rispetto ad un sé attuale che soffre della sua frammentaria costituzione (la costituzione di manchevolezza) e gettando fuori di sé, il più lontano possibile l’ideale assoluto: Io non mi rapporto più con l’ideale bensì con il Sé attuale e quest’ultimo lo vedo come un difetto, per cui tra me attuale ed ideale non intercorre più nessuna relazione identitaria. (qualsiasi fosse sebbene sempre lacunaria). L’ideale è posto distante in un’ assoluta autonomia ed astrattezza rispetto alla persona concreta e siccome lo specchio è in ultima istanza solo la metafora per designare l’effetto di rappresentazione, proiezione e riconoscimento negli altri, io negli

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altri rivedo me stesso come fatto a pezzi attestando la natura violenta ed aggressiva dello sguardo altrui che non è altro poi che lo stesso sguardo della coscienza che in maniera aggressiva119 fa tutto in frantumi. E’ chiaro che Michelstaedter in quest’ottica non solo vede se stesso in frantumi attraverso lo sguardo dell’altro ma vede ugualmente l’altro mancare dello stesso difetto.

Detta altrimenti, il soggetto, seguendo Lacan, si colloca sempre tra il sé attuale ed il Sé ideale. Questo è come dire: in qualsiasi punto si colloca il soggetto, incorpora sempre una parte di illusione, e nella maniera in cui si colloca si rappresenta e si proietta nel mondo.

Il filo conduttore dell’idealità segue il percorso che va dal concetto di frantumi (molteplice) a quello dell’unità/compiutezza (l’identico).

Ora il soggetto Michelstaedter pur collocandosi nel molteplice non per questo afferma la pura verità del suo essere attuale perché il soggetto, sia in un’accezione positiva che negativa, si identifica con la proiezione di un’immagine ideale e per questo illusoria. In qualsiasi modo in cui ci si afferma rimane vano il tentativo di eludere la nostra realtà illusoria. Se l’idea del proprio sé interiore è quella del Sé in frantumi, questa si rifletterà identica nelle varie proiezioni del mondo. Se l’immagine di sé, della propria vita è conclusa nel frammento segue che l’idea di unità non solo varca il proprio campo interiore collocandosi al di fuori di esso ma in virtù di questo distaccamento, di questo allontanamento dalla propria vita, andrà nello stesso tempo a collocarsi al di là della vita stessa, ovvero nella morte. Ed è proprio in virtù dell’ideale di compiutezza (perfezione) con cui più non intercorre un rapporto identitario si rimarca l’errore, che prende maggior spessore e si identifica come condizione di manchevolezza.

L’idealità più non si insegue perché ritenuto vile l’ideale, una chimera che rende vana qualsiasi affermazione in vita in quanto soggiacente sempre una qualche illusoria manifestazione. Comunque l’individuo si ponga, più o meno consapevolmente, egli giace sempre lungo una linea di finzione che identifica il suo sé, la sua coscienza con la rappresentazione che egli necessariamente ed inconsapevolmente si è fatto di sé.

119 La coscienza si fa sempre più aggressiva quanto più aumenta la distanza tra sé attuale e sé ideale,

ricolmata da un desiderio sconfinato, irraggiungibile, segue un’intensificarsi di aggressività, di volontà di fare tutto a pezzi, che in ultima analisi altro non è che istinto di morte (J. LACAN, Scritti, a cura di G. CONTRI,Einaudi, Torino 1974, pp.95-118).

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