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La tecnica e la coscienza

La pagina iniziale della Persuasione si apre con la metafora del peso. Esso somiglia a tutti gli effetti al primo esperimento inaugurato da Galileo Galilei, il quale per misurare la Legge del fenomeno della gravità, lascia cadere dalla cima della torre di Pisa un grave, appunto un peso. Nasce così la Scienza moderna.

La scienza, per mezzo dell’esperimento del grave trae positivamente da esso la legge come dominazione dell’uomo sulla natura. Similmente ma in maniera del tutto diversa il

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Schopenhauer (il mondo come volontà e rappresentazione) e successivamente ripresa dal Nostro riutilizza la stessa immagine per ribaltare il giudizio operato dalla scienza analizzandolo negativamente come zavorra, limite strutturale dell’agire umano.

Come soggezione dell’uomo nei confronti della natura (nel senso di Assoluto) e della necessità ( nelle Leggi) della materia che possiamo solo ambire senza mai raggiungere, « la sua vita, proprio in quanto preda della relazione e della dipendenza, è contesa dalle forme dell’impotenza; e perciò l’uomo trascorre i suoi giorni in un’alternanza di “rimorso”, “malinconia” e “noia”, “paura”, “ira”, “dolore”189

».

Dominio e soggezione restano oramai i poli ed i vincoli di questa moderna concezione dell’uomo che, in virtù di un’accresciuta libertà, un aumentato potere d’azione, in virtù inoltre della propria indipendenza di pensiero, sacrificano quel contatto con il mondo che contraddistingueva maggiormente l’uomo greco antico.

Una volontà che anela al tutto, in questo modo strutturata, mette in evidenza solo una volontà di dominio tesa a colmare una lacuna interna attraverso un controllo che è al di fuori della propria portata (potenza).

Per i greci l’Assoluto è rappresentato dalla Natura la quale è la necessità insuperabile a prescindere dal volere degli uomini ed è ciò che li anima che gli conferisce il movimento e la tecnica non si pone come pratica dominatrice bensì non può far altro che assecondare la Natura, mettere in atto solamente quei meccanismi compensatori di riequilibrio del suo naturale corso e mai porsi come prevaricazione nei suoi confronti poiché sono proprio tali atti la causa del vivere inautentico, quello che non segue un corso originario. La violenza nei confronti della Natura non è nient’altro che mistificazione della verità di tutto ciò che è autentico e originario. Ogni volere arbitrario, ogni sofisticazione per l’antico geco non rappresentava che tutto ciò da cui rifuggire perché inautentico.

Con la morale cristiana la Natura perde la sua congenialità di Uno – tutto. Questo ideale di stabilità viene a mancare in luogo di una più salda ragione. In questo modo l’uomo, stringendo una solidarietà ancestrale con la divinità e prendendone i connotati (l’immagine e la somiglianza ) attinge da essa la potestà ed il controllo sulla natura ed i suoi enti.

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Nella scienza moderna l’uomo gode del privilegio di asservire la natura ad i suoi scopi, turbandone l’armonia e inibendo allo stesso tempo un contatto, operando così un distacco tra la vita dell’uomo e la vita naturale.

Se dunque l’uomo dell’antica Grecia fruiva della Natura in un contatto con l’Assoluto ed in virtù di una Ragione estesa che non si poneva al di fuori della Necessità né tantomeno come distaccata dall’Anima, nell’epoca odierna, a causa della morale cristiana che inverte L’assoluto della Natura come Il Prodotto dell’uomo (relativo), quest’ultimo viene a caratterizzarsi nel distacco messo in atto dalla ragione scientifica (come dominio della Scienza e della Tecnica sulla Natura) e della coscienza analitica. Ma a ben guardare a soffrire dei mali di questo intervenuto distacco non è poi tanto (o almeno non solo) la natura quanto l’uomo che, privato di quel contatto a vantaggio/discapito della ragione scientifica rimane privato della possibilità di esperire in maniera totale quell’Assoluto che l’uomo antico rispettava e in cui si identificava. In luogo di questa indipendenza l’uomo si trova soggiogato dalla dipendenza della necessità del dominio illusorio in vista di un possesso non identificativo con la propria persona, il proprio sé, ma solo del mero possesso di un oggetto a sé estraneo e diverso, schiavo inoltre di una utilità costringente come sostitutiva di un valore da assegnare a sé e alle cose.

L’uomo dunque in virtù dell’analisi, della ragione scientifica, mette in pratica il suo potere di appropriarsi delle leggi divine, le leggi a cui è sottoposta la materia, ed attraverso di esse compie un totale dominio in vista di un possibile utilizzo soggetto all’arbitrio dei suoi diversi scopi.

La visione esistenzialistica nell’immagine del peso è inquadrata in un radicarsi dello scenario positivista che attribuisce un ruolo egemone alla tecnica in ragione del cambiamento dello scenario che distingue l’uomo classico da quello moderno.

La Natura come Causa ed Assoluto si tramuta in Prodotto (di Dio, e dunque dell’uomo in un rapporto di parentela stretta) ossia relativo ai vari fini opportunistici dell’uomo. Ma nella sofisticazione/sopraffazione della natura un qualunque scopo non sarà mai la Causa poiché interrotta la dialettica uomo – natura e dal momento che l’uomo oggettiva la natura come suo prodotto egli la distacca e la pone avanti a sé attribuendole le caratteristiche di un oggetto per un fittizio possesso, una fittizia utilizzazione per cui “l’incontro quotidiano con le cose avviene sotto la categoria costringente dell’utilità, il senso delle cose dipende dallo loro rispondenza all’utile, sull’utile viene misurata e

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definita la loro essenza. La terra è custode di semi, il cielo è sole e pioggia fecondati, la foresta è piantagione, la montagna è cava di pietra, il fiume è forza d’acqua, il vento è vento in poppa. La natura prima ancora di essere tecnicamente impiegata, è già utilitaristicamente definita. Le cose non sono considerate per quello che sono, ma per quello che servono. Il che cos’è è sospeso dall’a che serve190”.

È significativo ribadire a proposito che il Divenire per l’antico greco era il movimento genuino ed in seno alla necessità della Natura immutabile, dunque la stabilità dell’essere veniva ricercata in questo contatto con l’adesione alla natura per tramite del divenire. Per Michelstaedter il Divenire inverte la sua prerogativa da assoluto a relativo, come di quel movimento proprio dell’ingranaggio e dell’automatismo che l’uomo ingegna nei reconditi angoli della Scienza. Vedere la Natura in quanto prodotto fa incorrere nell’errore di separare la stessa dalle sue leggi di movimento e di estraniare la sua essenza (il Divenire) dalla sua costituzione (l’Essere).

3.4 Economia nel perseguimento dei valori della tecnica: La differenza